Libri > Colpa delle stelle
Ricorda la storia  |      
Autore: perifrasi    15/12/2013    2 recensioni
«Augustus Waters, hai per caso incontrato Shakespeare a Londra?»
«No. Ho imparato ad apprezzare le cose belle del non morire.»
«Credo che il termine giusto sia Vivere.»
«Okay, Hazel Grace. Grazie per avermelo ricordato.»
«Grazie a te per aver ricordato a me come si fa, Augustus Waters. Okay. »
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Effetto collaterale del non morire.

 
Quando mi sono svegliata, questa mattina, il cielo era incredibilmente limpido ma l’aria così fredda da far ballare e tremare le mie ossa “figurarsi quelle di vetro di Gus” ho pensato immediatamente. Quasi costretta dall’arietta così pungente, ho indossato una felpa che mi aveva prestato prima della storia del drenaggio e incappucciata nella nostalgia mi sono diretta verso il college. E’ stato come essere incastrata a lui, straordinariamente rassicurante e piacevole. Dopo quella sera, quando sono andata a recuperarlo al distributore, Augustus è stato ricoverato e poi trasferito in un ospedale lontano. Lontanissimo. Diciamo pure a circa 4000 miglia da qui, diciamo pure a Londra, o meglio: dall’altra parte dell’Oceano. Sono passati circa quattro mesi, centoventi infiniti giorni, di quegli infiniti che sono al vertice della gerarchia degli infiniti, quelli più grandi di altri. A causa del fuso orario non riusciamo a sentirci spesso ma pare che stia meglio, anche se del suo ritorno non abbiamo parlato neanche una volta.
Sto un po’ meglio anche io: il Phalanxifor continua a stare a braccetto con la BiPAP e io non so più dove sbattere la testa ma tutto sommato il liquido diminuisce e mi sono abituata alla mia condizione. Così ho deciso di fare volontariato. Chiariamoci, non che sia diventata una specie di Patrick ma ogni tanto faccio un salto in reparto quando sono al pediatrico per i controlli (o al Memorial) e, confondendomi con i degenti, semino un po’ di risate e consapevolezza. E’ per questo che mi sono accorta che sostanzialmente la mia è una malattia contagiosa, una specie di epidemia fantasma: se non muori di tumore, muori per il dolore che questo ti attacca.
Se il mio corpo non collassa né migliora, la mia mente si involve dando spazio a pericolosissime ragnatele di pensieri cupi e tristi. Continuo a non avere amici e a leggere, leggere, leggere soltanto. Se prima credevo che la depressione fosse un effetto collaterale del morire, ora penso sia un’inevitabile conseguenza di vivere. Mi sto ammalando, da questo punto di vista. Vorrei poterlo dire a qualcuno ma avrei soltanto dita puntate contro: io sono sopravvissuta e devo esserne grata e non posso non voler essere sopravvissuta e non posso non esserne felice e non posso non cercare di ricominciare. Vorrei dire a mia madre che non sono più semplicemente una granata, che dentro di me sono già esplosa e che tanti altri piccoli ordigni stanno facendosi largo in tutto il mio corpo, attanagliando la mia puntigliosa anima, viaggiano nel sangue proprio come fa l’ossigeno della cannula fino ad arrivare al cuore.
 
Comunque sia cerco di scuotermi da queste sensazioni e convincermi che siano passeggere perché non posso permettermi di crollare.
 
Passo a far visita a Isaac, notando che sta messo quasi peggio di me. Ce ne stiamo distesi sul tappeto del salotto a spolverarci silenzi difettosi e ricordi imbarazzanti.
«Mi ricordo quella tua orribile maglia gialla, Hazel.»
«Mi ricordo la notte dei trofei distrutti.»
«Mi ricordo di quanto il mondo facesse schifo quando ancora potevo osservare le cose e quanto invece mi sembrasse meraviglioso quando, a occhi chiusi e cieco, lo sentivo raccontato da Gus. Tu che pensi, Haz?»
«Il mondo fa ancora schifo, Isaac. Era Augustus Waters a renderlo un posto terribilmente bello.»


Dopo pranzo torno a casa, accompagnata da un’incredibile tendenza a isolarmi. Così apro la porta facendo per andare in camera per essere cullata dalla solita magica solitudine. Invece accade qualcosa. Nonostante la cannula, un profumo familiare mi solletica le narici, abbagliandomi la mente. Sorrido.
«Augustus!» Dico instintivamente.
«Presente.» Risponde lui spuntando dalla cucina. O zeus padre degli dei. Credo di stare avendo le allucinazioni e questo significa due cose: (a) sto impazzendo (b) ho sviluppato metastasi al cervello.
«Ssei … sei tu?» Sei qui! Sussurro timidamente.
«Adoro il tuo spaventosamente acuto intuito, Hazel Grace.»
«Gus, sei vivo.» E mi guardi coi tuoi occhi liquidi di febbre, magnetici al punto da farmi tremare.
«Effetto collaterale del non morire, Hazel Grace.»
 
Sono rimasta abbracciata a lui per un tempo interminabile, incollandomi il martello che sta al centro del suo petto sulla mia pelle. Sono così felice che sia qui, che cammini come quando l’ho conosciuto, che continui a respirare meglio di me. Che sia sopravvissuto di nuovo, anche se era “acceso come un albero di Natale”.


«Hazel Grace, per quattro mesi sono stato lontano da te e per quattro mesi ho cercato i tuoi occhi verdi negli abitanti addolorati di un anonimo ospedale londinese. Cercavo un paio d’occhi più belli dei tuoi ma non ce ne sono, sai? Ogni volta che ci provavo la mia mente ripeteva cose tipo “Niente a che fare con Hazel” e ogni volta io mi sentivo nato esclusivamente per lo spettacolo che finalmente adesso rivedo.»
«Augustus Waters, hai per caso incontrato Shakespeare a Londra?»
«No. Ho imparato ad apprezzare le cose belle del non morire.»
«Credo che il termine giusto sia Vivere.»
«Okay, Hazel Grace. Grazie per avermelo ricordato.»
«Grazie a te per aver ricordato a me come si fa, Augustus Waters. Okay. »
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Colpa delle stelle / Vai alla pagina dell'autore: perifrasi