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Autore: tamss    16/12/2013    2 recensioni
Dal testo.
"Oh certo, come no! Sono passati quattro anni! Non credo proprio che lui mi pensi ancora! Cosa dovrei fare? Stravolgergli l'esistenza di nuovo? Andare là e dire: 'ah senti, lo so che sono passati quattro anni ma sai passavo da queste parti e.. beh ti amo!' Non se ne parla."
"D'accordo ammetto che potresti avere ragione... Ma non puoi continuare ad amarlo in silenzio per sempre."
"Si che posso. E' la mia punizione... E' il prezzo che pago per essere stata una codarda."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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DUEMILAQUATTRO

"Non hai niente da dire?" la sua voce era un sussurro, sembrava più un'affermazione che una domanda rivolta a qualcuno. Io mi limitai ad abbassare lo sguardo e a fissarmi le all star, che d'un tratto sembravano la cosa più interessante del mondo.
"Dannazione, Sara!! Ti ho detto che ti amo! Te l'ho detto due settimane fa!! Com'è possibile che in due settimane tu non sia riuscita a formulare una risposta? Una qualsiasi risposta andrebbe bene!" mi urlò contro Lucas.
"Non so come si ama, Lucas. La sera quando vado a letto io ci provo a ricordare il tuo profumo, o la tua voce, provo a pensare a quale musica mi hai detto che ti piace, in questi otto mesi che stiamo insieme, provo a ricordarmi qual'è il tuo colore preferito, ma niente. Nessuna di queste cose mi rimane nel cervello, perchè prima di andare a letto penso a Anne, penso all'incidente che me l'ha strappata via, penso a mia madre che è nell'altra stanza a piangere perchè mio padre non è tornato a casa per la sesta sera di fila! Penso a come la mia vita sia andata in pezzi in soli dieci mesi, penso alla mia migliore amica che non c'è più, alla mia famiglia che si è frantumata, penso alla rabbia, ogni secondo di ogni giorno. Vorrei che tu mi avessi potuta amare prima che il destino avesse deciso di portarmi via ogni cosa che amo, quando ancora sapevo ridere. Vorrei che mi avessi conosciuta quando andare al ballo con te sarebbe stato lo scopo della mia vita. Vorrei mi avessi conosciuta prima, quando ero ancora viva. Non so come si ama Lucas. Tutto quello che so, è che con te mi sento meno arrabbiata, che qualunque sia il tuo profumo, mi piace da morire, che non ho idea di quale sia il tuo colore preferito, ma che il verde ti sta benissimo, che le tue mani sono grandi e i tuoi abbracci sono caldi, e che starci dentro mi fa sentire più a casa delle quattro mura dove vivo. Non so quale sia la tua canzone preferita, o che musica ascolti, ma so che canti bene e che starei ad ascoltarti per ore.", pensai. Poi, prima di aprire la bocca per parlare, quel fiume di parole mi si seccò in gola, e mi ritrovai a boccheggiare come un pesce lesso, incapace di rispondergli, per l'ennesima volta.
"Io ti amo Sara. Ma così non posso stare...Non posso amare per entrambi, non posso amarti se nemmeno tu stessa ti ami!" mi disse con più dolcezza, prendendomi le mani.
"So quanto hai sofferto, d'accordo?" continuò, " So che Anne ti manca e che la situazione in famiglia è ingestibile. So anche sei sensibile e fragile, nonostante tu ti ostini a farti vedere sempre dura e invincibile. So che leggere per te non è un hobby, ma una via di fuga, so che sei arrabbiata, costantemente. So tutte queste cose! Ma ho comunque scelto te! Ti ho scelto perchè al di là della rabbia e alla paura, ci sei tu. Tu che ami le montagne russe e potresti mangiare un vagone di cioccolato, tu che quando cominci a ridere non riesci a smettere, tu che con quegli occhi azzurri non puoi far altro che essere sincera, sempre. So che la vita ti ha traumatizzata, so che in diciottanni hai sopportato più dolore di quanto una persona non debba sopportare in quarantanni di vita, generalmente. Ti amo lo stesso, ti amo con la rabbia e il dolore, ti amo e voglio salvarti." disse. Sentivo le sue parole imprimersi nella mia mente, mentre calde lacrime mi rigavano il volto.
"Non puoi." fu tutto quello che riuscii a dire. Il ragazzo che amavo era lì, pronto a tirarmi fuori dalla mia miseria, e la mia paura era più forte di qualsiasi altra cosa. Così feci l'unica cosa che sapevo fare: me ne andai. Divincolai le mie mani dalle sue, gli posai un umido bacio sulla guancia e lo lasciai lì, ignorando i suoi singhiozzi, ignorando i miei singhiozzi, ignorando i pezzi di cuore che stavo perdendo per strada.

DUEMILAOTTO.

"Sara!" sentii Susan chiamarmi.
"Che c'è?" chiesi voltandomi verso la mia collega.
"Il direttore vuole vederti." rispose lei.

Bussai e mi sistemai la camicia mentre attendevo che il signor Williams mi desse il permesso di entrare. Mi ero trasferita a Londra subito dopo il liceo, e finita l'università avevo cominciato a lavorare. Lavoravo in quella casa editrice da poco e speravo di riuscire ad ottenere qualche incarico importante, anche a costo di dover leccare, di tanto in tanto, il culo a Williams.
"Entri pure signorina Kingsley!" sentii la sua voce dall'interno.
"Salve, signore. Mi cercava?" chiesi, sfoderando il mio più bel sorriso di circostanza.
"Esatto, ho un manoscritto da sottoporle, si tratta di una scrittore emergente, credo abbia si e no la sua età!" mi spiegò il signor Williams.
"Capisco! Beh, mi metto subito al lavoro! Vado di sopra da Claire a prenderlo?" chiesi io.
"Oh no cara, il ragazzo ha chiesto di poter partecipare alla stesura, lavorete fianco a fianco. La sta aspettando di sotto. Si chiama Jeremy Scott." concluse lui, rispondendo poi al telefono che aveva preso a squillare.
Scesi al piano di sotto, curiosa di cominciare il mio primo incarico senza supervisione, anche se assolutamente invidiosa di quel ragazzo che seppur così giovane stava per veder pubblicato il suo libro, mentre io, chissà quanto avrei dovuto aspettare per realizzare quel sogno. Sospirai, mentre le porte dell'ascensore si aprivano sulla hall.
"Jeremy Scott?" chiamai, una volta raggiunta la sala d'attesa dove di solito gli scrittori si sedevano speranzosi. Un bellissimo ragazzo si alzò e cominciò a venirmi in contro quando chiamai quello che, evidentemente, era il suo nome. Quando lo vidi, per poco il mio cuore non perse un battito. C'era qualcosa nei suoi occhi, nel modo di in cui camminava, nel suo sorriso, che mi ricordava in modo inverosimile, Lucas.
Ah, Lucas. Non passava giorno, senza che io pensassi a lui, non passava notte senza che io sognassi quel giorno, il nostro ultimo giorno insieme. Avevo capito troppo tardi quanto lo amassi, quanto bisogno avessi di lui. Avevo lasciato che le mie paure prendessero il controllo, perdendo una l'unica cosa che davvero mi avesse mai resa felice.
"Hem, ciao! Sono Jeremy, tu sei Sara, vero?" mi chiese il ragazzo, distogliendomi dai miei dolorosi pensieri. Scossi la testa e sorrisi. "Si, sono io, tanto piacere! Vieni, andiamo nel mio ufficio." gli dissi.

Jeremy era incredibilmente simpatico, riusciva a farmi ridere e il suo libro mi aveva toccata nel profondo. Scoprii che il libro non era altro che una biografia. Jeremy aveva avuto una vita incredibilmente difficile: all'età di sette anni un ladro era entrato in casa, uccidendo i suoi genitori davanti ai suoi occhi; fino ai quindici anni era, quindi, rimbalzato da un parente all'altro, finché un giorno decise di starsene per conto suo, facendo richiesta di emancipazione. Era riuscito a mantenersi per qualche miracolo fino ai diciassette anni, trovando lavoretti di ogni genere, finché non cominciò a spacciare per fare più soldi. A diciannove anni finì in carcere, dove cominciò a tenere un diario, raccontando tutta la sua vita. Sei mesi prima del nostro incontro era uscito per buona condotta e aveva deciso di rendere pubblica la sua storia, per essere d'aiuto a chiunque come lui si fosse mai ritrovato sperduto, nella speranza di impedire a qualcun'altro di compiere i suoi stessi errori.
Lavorare con lui era semplice e piacevole, e ben presto tra noi si instaurò una bellissima amicizia. Lo ammiravo per la sua forza, per la sua voglia di vivere nonostante tutto. Lo ammiravo così tanto che gli confidai i traumi della mia vita, dall'infelice realtà famigliare in cui ero cresciuta, alla morte di Anne, alla perdita di Lucas. Jeremy mi capiva, senza giudicare o sputare sentenze. "Tra persone danneggiate ci si capisce", mi ripeteva sempre.

"Sai Sara, credo che dovresti andare da Lucas." mi disse Jeremy un giorno, mentre ce ne stavamo seduti in un bar a berci una birra.
"Sai Jeremy, credo che dovresti farti gli affari tuoi." gli risposi io acida.
"Oh andiamo!" mi riprese lui, "lo ami ancora! Credi che non veda come diventi triste ogni volta che parliamo di lui? Tu lo ami, l'hai sempre amato, e credo che lui dovrebbe saperlo."
"Oh certo, come no! Sono passati quattro anni! Non credo proprio che lui mi pensi ancora! Cosa dovrei fare? Stravolgergli l'esistenza di nuovo? Andare là e dire: 'ah senti, lo so che sono passati quattro anni ma sai passavo da queste parti e.. beh ti amo!' Non se ne parla."
"D'accordo ammetto che potresti avere ragione... Ma non puoi continuare ad amarlo in silenzio per sempre."
"Si che posso. E' la mia punizione... E' il prezzo che pago per essere stata una codarda."

QUALCHE MESE DOPO.

"Certo signore che ci tengo al mio lavoro!" dissi cercando di tenere il telefono incastrato tra l'orecchio e la spalla mentre mi vestivo.
"No signore, ha perfettamente ragione." replicai cercando di mantenere la calma.
"Arrivo subito signore." dissi, e riagganciai. Uscii di casa in fretta e furia, coi collant che mi prudevano, la gonna che risaliva su per le cosce, la camicia abbottonata male e un caffè bollente in mano. Il destino sembrava volesse a tutti i costi farmi perdere il lavoro, dato che sembrava che nessun taxi di Londra fosse disposto a fermarsi per me. "Al diavolo!", pensai. Mi sfilai i tacchi e cominciai a correre, cercando di non rovesciare il caffè. La mia folle corsa terminò molto prima del previsto, quando finii addosso a un passante rovesciando il caffè e con un tacco in meno in mano.
"Mi scusi tanto..." cominciai a dire, rialzandomi e cercando di sistemarmi. L'uomo non rispose, così alzai lo sguardo verso il suo volto. "Non ci credo.", pensai.
"Sara? Sei tu?" chiese il ragazzo.
Erano passati più di quattro anni ma mai, mai sarei riuscita a scordare il calore rassicurante della sua voce, così bassa e graffiante. Non riuscivo a capacitarmi del regalo che il destino mi aveva fatto. Lucas era lì, davanti a me, col mio caffè sulla sua felpa, coi suoi capelli scuri spettinati, con gli occhi verdi così luminosi. Era lì e io tremavo. Era lì e io lo amavo. Pensai che doveva essere un incantesimo, una magia, un'illusione. Così mi alzai sulle punte e lo baciai, per paura che svanisse, lasciandomi di nuovo sola col mio amore. Nell'istante in cui le nostre labbra si sfiorarono sentii il mio cuore fermarsi, per poi girare su se stesso e poi saltare a destra, e poi a sinistra, contro la gabbia toracica. Sentii i pezzi che anni prima avevo perso, tornare al loro posto, ricomponendolo. Sentii i miei organi interni sciogliersi e tornare a posto, sentivo la mia pelle vibrare. Lucas schiuse le labbra, dandomi accesso completo alla sua bocca. In quel momento il mondo in torno a noi si era liquefatto, e in quel limbo solo nostro, avevamo diciott'anni e ci amavamo, e il mondo era ai nostri piedi, senza dolore e senza paure. Io ero solo Sara, amavo la vita e credevo nelle cose belle, e lui era solo Lucas, e non doveva salvarmi da nulla. 
Poi Lucas si allontanò, interrompendo il contatto tra noi, ed eravamo di nuovo per le strade di Londra, avevamo di nuovo ventidue anni e io avevo rovinato tutto anni prima.
"Che fai Sara?" mi chiese imbarazzato.
"Vieni con me, ti prego." sentii le mie labbra dire. Lui annuì e io gli presi la mano, portandolo al mio appartamento, facendolo sedere sul divano.
Il mio telefono squillava, così lo spensi.
Il ragazzo che amavo era lì, per qualche strano scherzo del destino, lui era lì.
Avevo perso un tacco, avrei quasi sicuramente perso il lavoro, ma lui era lì.
Il mio appartamento era un casino, la mia vita pure, i miei capelli anche, ma lui era lì.
"Sara..." cominciò Lucas.
"No." lo interruppi. "Io.. Io ti amo, Lucas. Ti ho sempre amato, anche quando non riuscivo a dirlo, perché avevo così paura di vivere che non riuscivo nemmeno a dar voce ai miei sentimenti. Ti amo e sarei dovuta venire a cercarti molto tempo fa. Ti amo, e non sono più arrabbiata col mondo, ora riesco a pensare solo a te, e a quanto ti amo.". Mi inginocchiai di fronte a lui e gli presi le mani, "Non ho mai saputo quale profumo tu usassi, ma so che mi mandava su di giri. Non so quale sia la tua canzone preferita, non l'ho mai saputo, ma so che hai una voce bellissima e che avrei potuto ascoltarti cantare ogni secondo. Le tue mani me le ricordavo esattamente così, morbide e grandi. I tuoi occhi sono più scuri, ma li amo lo stesso. Ti amo Lucas, e non ho più paura." gli dissi cercando di trattenere i singhiozzi. Lucas mi prese il viso tra le mani e mi baciò con foga, con rabbia, con passione, sentivo le sue guance bagnarsi di lacrime esattamente come le mie. 
Lui era lì. Lui era lì, e mi amava.
Mi alzai trascinandolo sù con me, gli sfilai la felpa e la posai a terra lentamente, poi piano piano gli sfilai la t-shirt bianca e la lasciai cadere a terra. Lucas mi sbottonò uno ad uno i bottoni della camicia, con una lentezza dolorosamente eccitante, poi abbasso la lampo della gonna e me la sfilò dolcemente, abbassandosi per seguirne il percorso, lasciandomi piccoli baci sul ventre e sulle cosce. Era in ginocchio, e cominciò, piano piano, a sfilarmi i collant, facendomi alzare prima l'una, poi l'altra gamba, accarezzandomele teneramente. Lo tirai sù e presi a baciargli il collo, mentre con le mani gli sfilavo i jeans lasciandoli cadere a terra. Si staccò da me e fissò i suoi occhi nei miei, mi prese per il sedere e mi alzò da terra, mentre gli circondavo la vita con le mie gambe. Continuammo a baciarci mentre sbattendo contro qualche oggetto qua e là raggiungevamo la mia camera da letto. Mentre mi adagiava sul letto, sembrava che il tempo scorresse più lentamente, facendoci pregustare il piacere dell'attesa di unirci in un corpo solo.
Si coricò sopra di me, puntellandosi sui gomiti per non schiacciarmi, mi sfilò le mutandine e carezzò ogni lembo di pelle che la sua mano riusciva a raggiungere. Poi mi fece alzare e mi sfilò anche il reggiseno, lasciandomi completamente nuda sotto di lui. Mi guardò negli occhi intensamente e mi baciò le labbra, il mento, l'incavo del collo, per poi scendere fino al seno, torturandomi i capezzoli coi denti, poi si spostò sul ventre e infine arrivò alla mia intimità. Sentire il suo respiro caldo nel mio centro, fece aumentare la mia eccitazione e sentii il mio respiro diventare sempre più corto, finché, quando mi penetrò con la sua calda lingua, quei respiri non divennero ansimi. Con le mani gli torturavo i capelli, così capì che volevo di più e si sfilò i boxer, tornando a guardarmi negli occhi. Mi accarezzava il viso quando mi penetrò, causandomi un piacere che non provavo da tempo immemore. 
Si insinuava nel mio corpo a suon di spinte, di gemiti. Spingeva sempre più forte, mentre io lo stringevo a me, pregandolo di darmi di più. Sentivo i suoi muscoli vibrare sotto le mie mani, mentre si muoveva dentro di me. La mia schiena era inarcata, così da annullare la distanza tra i nostri corpi e approfondire la nostra unione. I nostri corpi combaciavano perfettamente, come se fossero stati fatti per essere un tutt'uno. Non c'erano parole per descrivere la bellezza di quello che stavamo facendo. Le sue mani vagavano sul mio corpo, la sua bocca sul mio collo, le mie unghie che gli procuravano solchi rossi sulle spalle, i nostri ansimi che si fondevano tra loro, il suo respiro sulla pelle. Qualunque cosa fosse, quello che stavamo facendo, era il nostro amore che prendeva forma. Noi, semplicemente, ci stavamo amando. Oltre il tempo e lo spazio, contro ogni logica e contro ogni aspettativa.
Lui era lì, era dentro di me. Era lì e nient'altro al mondo importava.
Dopo un tempo che nessun orologio di questo mondo avrebbe potuto scandire con le sue lancette, il nostro amarci giunse al culmine, portandoci all'apice del piacere. Lucas fece per spostarsi, ma io lo trattenni. Volevo sentirlo parte di me, così rimanemmo immobili, mentre sentivo il suo calore propagarsi nel mio corpo. Mi baciò il naso prima di coricarsi al mio fianco, carezzandomi dolcemente i capelli rossi.
"Sara..." cominciò lui.
"Shht, ti prego... Non dire niente. So cosa stai per dire, e hai ragione io avrei dovuto..." dissi io cominciando a parlare.
"Sara io domani mi sposo." 

DUEMILADODICI.

"Scusi, dove posso trovare quei nuovi assorbenti senza ali?"
"Nell'ultimo reparto là in fondo, a destra!" risposi io sorridendo cordialmente alla donna.
"Sai Sara, io non capisco perché non lasci questo schifo di lavoro e non vai a fare quello per cui ti sei laureata." mi disse Claire mentre si limava le unghie.
"Perché ho lasciato Londra e il mio lavoro senza preavviso. E poi dai lo sai anche tu il perché, è inutile che sto qui a ripeterti sempre le solite cose." dissi io irritata.
"In ogni caso sono le cinque... Oggi non arriva tua madre con Lucy?" mi chiese Claire.
"Dannazione, hai ragione! Io stacco, ci vediamo domani!" la salutai frettolosamente uscendo dal negozio.

"Mamma!" mi urlò Lucy correndomi in contro.
"Ciao tesoro mio! Com'è andato il fine settimana dalla nonna? Ti sei divertita?" le chiesi stringendola tra le braccia e baciandole i capelli.
"Si! Tantissimo! Abbiamo mangiato il gelato a cena e ho giocato con Bongo!" squittì mia figlia.
"Mamma, le hai lasciato mangiare il gelato per cena?? Ti avevo detto di non farlo più!" sgridai mia madre che nel frattempo ci aveva raggiunto, col fiatone.
"Oh insomma. Ti avevo avvisata quando eri ancora incinta di Lucy, che l'avrei viziata. Non lamentarti! E ora abbraccia tua madre!" mi disse scherzando. Così la abbracciai, segretamente e immensamente grata per l'aiuto che mi stava dando da quattro anni a quella parte.

Misi Lucy a letto, diedi la buonanotte a mia madre e uscii in veranda per accendermi una sigaretta. Guardai il pacchetto quasi vuoto e pensai che era uno stupido vizio che non mi ero mai riuscita a togliere, sin dall'adolescenza. Eppure, quella dose di nicotina, a volte, era l'unica cosa che mi rendeva sopportabile il peso del passato, quando i ricordi mi invadevano la mente.

"Sara io domani mi sposo."
"E questo cos'è stato? Mi hai appena usato per del sesso? Io ti ho detto che ti amo, Lucas!!" gli urlo contro, coprendomi col lenzuolo e allontanandomi istintivamente da lui.
"Non è stato solo sesso! Io ti amo ancora, ma ho trovato una donna che mi ama come la amo io, che ha una vita normale, che mi darà una vita senza drammi e senza complicazioni. Non è facile amarti Sara... L'ho imparato anni fa." mi dice lui alzandosi a sua volta e rimettendosi i boxer. Per quanto mi sforzo non riesco a smettere di singhiozzare, ferita a morte da quanto sta succedendo.
"Sara dai non piangere, ti prego..." prova a consolarmi Lucas. Ma io scuoto la testa, non voglio più sentirlo parlare, non voglio più che mi tocchi.
"Vattene da casa mia, vattene dalla mia vita, vattene dal mio cuore DANNAZIONE!" gli sputo addosso con cattiveria. Sento il mio muro di paure e di rabbia ricostruirsi.
"Sara, ti amerò per sempre... Ma ho scelto la strada più facile." mi dice lui.
"Vattene." dico io, singhiozzando e rannicchiandomi in un angolo della mia stanza. Lo sento sospirare e girare i tacchi... Lo sento chiudere la porta mentre esce dalla mia vita.


Spensi la sigaretta nel posa cenere e andai a dormire, l'indomani mi aspettava un'altra ordinaria giornata a Holmes Chapel. Ringraziai il destino per avermi dato Lucy, che con quegli occhi così verdi, dava speranza e senso alla mia vita.

DUEMILATREDICI.

"Mamma, che cos'ha la nonna?" mi chiede Lucy, con un tono di voce incredibilmente triste.
"Oh, tesoro, la nonna è malata... Stiamo andando a Doncaster da lei, così tu le fai vedere i tuoi disegni e la tiri un po' su di morale, va bene?" cerco di rassicurarla io.
A mia madre avevano trovato un tumore maligno al cervello e l'aspettativa di vita era di qualche mese. Lei ovviamente aveva rifiutato qualsiasi tipo di trattamento, testarda com'era, così mi rimaneva poco tempo da passare con lei, e altrettanto poco tempo per trovare il modo di spiegare a mia figlia di cinque anni, che le persone muoiono, anche se noi le vogliamo avere con noi per sempre.
Arrivammo nella mia vecchia casa alle otto di sera, e mio padre ci aspettava in veranda, con una sigaretta tra le labbra.
"Nonno! Mamma guarda, c'è il nonno!" cominciò a urlare mia figlia, mentre io parcheggiavo nel vialetto.
Spensi il motore e liberai Lucy dal seggiolino, permettendole di correre in contro a mio padre, che la prese in braccio.
"Papà! Che ci fai qui?" chiesi io.
"Tua madre non vuole affidarsi a nessuna infermiera a domicilio, così sono tornato per prendermi cura di lei..." mi disse abbracciandomi goffamente.
"Si beh potevi pensarci prima di lasciarci per un'altra donna." gli dissi io, strappandogli Lucy dalle braccia.

"Mamma! Come stai??" le chiesi abbracciandola forte.
"Oh tesoro, non mi lamento per ora.. Non c'era bisogno che veniste fin qua!" mi disse lei rimettendosi a sedere sul divano.
"Certo che ce n'era bisogno, non affronterai questa cosa da sola." le dissi io. Lei mi accarezzò il viso dolcemente, come se fossi stata io quella malata.
"Senti, perché non esci stasera? Trovati in centro coi tuoi vecchi amici e lascia qui Lucy, così anche tuo padre può giocare con lei!" propose mia madre.
"Non se ne parla, non sono qui per divertirmi!"
"Tesoro vai.. Hai ventisette anni e fai solo la mamma e la lavoratrice, non ti diverti mai! Guarda che la vita è una sola!" mi disse lei sorridendomi.
"... D'accordo, ma non torno tardi, sappilo!" acconsentii titubante.

"Oh mio Dio! Sei davvero tu? Sara Kingsley?" chiese Amber Marley, con lo stesso tono civettuolo che aveva quasi dieci anni prima.
"In carne ed ossa!" risposi io sorridendo e sedendomi al suo tavolo.
"Sei qui per tua madre? Povera signora Kingsley, è sempre stata gentile con tutti..." disse Amber.
"Eh già... Dai che c'è di nuovo qui? Raccontami tutto!" cambiai argomento.
"Oh sai, qui è tutto piatto e monotono... Credo che non sia successo niente di interessante da quando Lucas Mercury ha abbandonato all'altare Scarlett Payne! E' stato un vero e proprio scandalo! Se n'è parlato per mesi! Oh mio..." si bloccò di colpo notando la mia espressione. "Tu e Lucas! Oh mio dio, voi stavate insieme! Sai, tutti pensavano che sareste stati voi i Brangelina di Doncaster..." non la stetti ad ascoltare oltre. Il mio cervello aveva registrato solo una frase, di tutto il suo inutile discorso: "Lucas Mercury ha abbandonato all'altare Scarlett Payne." Lucas non si era più sposato. Lucas. Non. Si. Era. Più. Sposato. Mi alzai di scatto e uscii dal locale, cominciando a correre verso casa Mercury. Mentre correvo cominciò a piovere, ma non mi importava. Correvo sotto la pioggia, ridevo sotto la pioggia, mentre il cuore cercava di saltare fuori dal mio petto.
Suonai il campanello una, due, tre volte, finché la signora Mercury mi aprì.
"Sara? Sara Kingsley, sei proprio tu? Mi dispiace pe...." cominciò la signora Mercury ma non la feci finire, non avevo tempo.
"C'è Lucas?"  le chiesi tutto d'un fiato.
"E' andato a prendere la pizza qui all'angolo... Dove andavate sempre voi, ti ricordi?" replicò la donna.
"Grazie!" la ringraziai mentre correvo verso la pizzeria da asporto.
Mentre correvo, tra la pioggia fitta, lo vidi. Camminava lentamente, in una mano la pizza e nell'altra l'ombrello, che usava per coprirsi.
"LUCAS!" urlai con quanto più fiato avessi in corpo. Alzò lo sguardò e lasciò cadere la pizza a terra, bloccandosi di colpo, abbassando l'ombrello dalla sorpresa.
"SARA?" mi urlò dall'altra parte della strada. Se qualcuno ci avesse visto ci avrebbe preso per due pazzi, ma non ci importava.
"PERCHE' NON TI SEI SPOSATO?" gli chiesi rimanendo ferma nella mia posizione. Non rispose. Iniziò, invece, a venirmi in contro.
"PERCHE'?" chiesi ancora. Lui si avvicinava sempre di più, finché non me lo trovai di fronte.
"Perché non ho mai smesso di amarti Sara. Perché per quanto tu sia pazza, instabile, incasinata e indecisa, io ti amo!" disse lui alzando la voce. Io indietreggiai.
"Perché non sei tornato da me?" chiesi io.
"Perché mi avevi cacciato, perché avevo tradito la tua fiducia, perché avevo paura!" rispose lui, mantenendo il tono della voce piuttosto alto.
"Mi ami?" chiesi io, facendo un passo verso di lui.
"Si. Nonostante tutto, io ti amo. Ed ero venuto a cercarti, qualche mese dopo aver rotto con Scarlett! Ma non c'eri più a Londra, e nessuno sapeva dove fossi, e tua madre non mi voleva dire nulla! Pensavo fossi scappata di nuovo, e questa volta per sempre..." disse prendendomi il viso tra le mani.
"Mi ami?" chiesi io di nuovo, ormai in lacrime.
"Più di quanto sia umanamente possibile." disse lui, fiondandosi poi sulle mie labbra, baciandomi come se non ci fosse un domani, come se le mie labbra fossero il suo ossigeno per respirare. Mi beai di quel contatto per qualche minuto, ma poi mi staccai. Doveva sapere di Lucy.
"Lucas aspetta... C'è qualcuno che devi conoscere." gli dissi.
"Non ti stai per sposare, vero?" mi chiese lui allarmato. Io risi.
"No, idiota!" risposi, "Cinque anni fa... Quando siamo andati a letto insieme... Ci siamo fatti prendere dal momento e... Non siamo stati attenti a... Insomma, non abbiamo usato precauzioni." conclusi tutto d'un fiato.
"Che stai dicendo Sara?" chiese Lucas timoroso.
"Sto dicendo che... Che abbiamo una figlia, Lucy... Lei ha cinque anni e... e ha gli occhi verdi come i tuoi, e parla troppo e sa già leggere e... Vorrebbe tanto conoscere il suo papà." gli dissi fissando i miei occhi nei suoi.
"Perché non mi hai cercato? Non dovevi fare tutto da sola, dannazione!" mi disse Lucas, di nuovo arrabbiato.
"Credevo che fossi felicemente sposato, non volevo rovinarti la vita!!" replicai sulla difensiva. Lucas sospirò, poi sorrise.
"Parla troppo, eh?" chiese poi prendendomi la mano e recuperando l'ombrello. "Dev'essere proprio mia figlia allora!" disse.
"Ah lo è... Vedrai, te ne innamorerai!" gli dissi io, quasi saltellando di gioia.

DUEMILAQUATTORDICI.

"Mamma sei bellissima!" mi disse Lucy, battendo le mani entusiasta.
"Grazie amore, anche tu lo sei! Sembri proprio una principessa!" le dissi io accarezzandole i capelli. "La nonna? E' seduta con l'infermiera vero?" chiesi poi.
"Si! E dice di dirti di smetterla di chiedere sempre dov'è, perché lei sta bene!" disse mia figlia, imitando buffamente mia madre. Io risi. 
"Dai vai, non voglio essere in ritardo... Abbiamo già aspettato troppo!" la incitai, e la guardai saltellare fuori dalla stanza.

"Lucas Mercury, io giuro di amarti, di onorarti e rispettarti ogni giorno della mia vita. Giuro di non avere paura, Lucas. Giuro di restare anche quando tutto sembra andare contro il nostro amore. Giuro di esserci in malattia, nel male, nella povertà. Giuro di esserci quando sarai triste e stanco, giuro di non essere mai egoista. Giuro di essere tua e di non smettere mai di credere in noi." giurai davanti ai nostri parenti e amici, mettendogli la fede dorata al dito.
"Sara Kingsley, io giuro di amarti, di onorarti e di rispettarti ogni giorno della mia vita. Giuro di farti sentire sempre sicura. Giuro che con me, non sentirai mai il bisogno di scappare, che non ti sentirai mai sola. Giuro di restarti accanto nel bene e nel male, in salute e in malattia, in ricchezza e povertà. Giuro di amarti anche quando non ti capisco, anche quando non mi va." giurò Lucas a sua volta, facendomi commuovere. I nostri giuramenti, forse, agli occhi degli altri non avranno avuto molto senso, ma per noi, che sapevamo esattamente cosa significasse per l'altro pronunciare quelle parole, avevano un che di perfetto.
"Vi dichiaro Signore e Signora Mercury!" disse l'ufficiante, tra gli applausi generali.

DUEMILAVENTI, oggi.

Dedicato a tutti quelli che hanno perso tutto. A chi ha pianto e ha urlato contro il cielo, a chi ha amato così tanto da sentire male al cuore. A chi si sente solo, a chi è arrabbiato, a chi è perso. A tutto voi, io dedico questo libro, dicendovi: andrà tutto bene, prima o poi.
"Si dai, è una bella dedica!", penso stampando il manoscritto del mio primo libro, sperando di non svegliare Lucas e Lucy che dormono sul divano qui affianco.


Questa one-shot l'ho scritta di getto e credo che si veda. Immagino che agli occhi di un estraneo possa sembrare completamente senza senso, ma in realtà un senso ce l'ha. Le paure e la rabbia di Sara sono le mie, i suoi traumi sono i miei, il modo in cui scappa dai sentimenti, sono io. Questa storia che ha dell'inverosimile, credo di averla scritta innanzitutto per dare speranza a me stessa, per infondermi coraggio, per convincermi a credere che da qualche parte, là fuori, amori così esistono. 
Ringrazio tutte quelle che la leggeranno! <3 Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate, soprattutto perché sono una specie di novellina... ahaha  grazie mille :-) :-)
  
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