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Autore: utopsik    16/12/2013    1 recensioni
Merlino provò tanta tristezza, quella che si prova quando piove, ed infatti pioveva, dentro di lui.
Anche lui piangeva, ma Arthur e Gwen non se ne accorsero, erano troppo persi nel cadere a pezzi e ricomporsi.
Troppo impegnati nel distruggersi e rigenerarsi.
[Gwen x Arthur]
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwen, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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[missing moment 3x05]
writer's corner.
Prima volta che scrivo in questo fandom aiuto,
sono innamorata di questa serie,
la sento vicinissima a me ed è una cosa che non so spiegare,
quando sono a scuola sento come se mi mancasse Camelot e
mi mancassero tutte le vicende degli episodi,
è terribilmente spaventoso il modo in cui mi affeziono alla finzione.
L’idea per questa one shot, è nata durante l’episodio 3x05,
nel punto in cui si vede Merlino camminare per i corridoi e sente i singhiozzi di Ginevra,
si affaccia e vede Arthur e Gwen abbracciati,
che si consolano e si salvano e quella scena mi ha stretto il cuore,
io shippo fortemente Arwen,
più di Merthur forse e la loro storia  è talmente travagliata ed il loro amore talmente forte che non posso non amarli.
Ho pensato che quella scena non bastasse,
nella mia testa ho immaginato come ci siano arrivati ad essere abbracciati così
e ho deciso di scriverlo in un missing moment.
Okay, ho parlato troppo, vi lascio alla storia.
-Beatrice.
                                                        
Distructive.

 

Il sole splendeva su Camelot quel giorno, splendeva in  cielo, si rifletteva negli specchi d’acqua, ma non splendeva nei cuori e nelle anime.
I cuori erano freddi, duri e le anime spezzate dall’ imminente morte di Lady Morgana, la pupilla del Re, la figliastra di Uther.
Gaius cercava dei rimedi, Merlino piangeva nella sua stanza, sentendo ancora una volta un peso troppo pesante sulle sue esili spalle, gli occhi, azzurri, vispi e svegli erano vitrei e le gote arrossate dal pianto, stava seduto sulla sua branda e osservava il cielo illuminato, mentre dentro aveva il buio. Sono un assassino, si diceva e ci credeva davvero e poi si picchiava la testa e si tirava i capelli, e poi, sono solo un assassino, si ripeteva.
Il grande castello pareva muto, non un brusio, non un sussurro, nessuno aveva le forze per proferire parola né al re, né a nessun altro, tutti aspettavano la Morte di Morgana, aspettavano i rintocchi delle campane che le avrebbero detto addio, nessuno credeva di averlo mai dovuto fare.

Non un rumore nel palazzo, solo il ticchettio dei sandali di Ginevra, che camminava veloce per il lungo corridoio, con i suoi ricci sempre in disordine e i suoi occhi lucidi ed il cuore nel petto che batteva forte mentre si dirigeva nelle stanze di Arthur, l’unico che l’avrebbe fatta stare bene. Mai se lo sarebbe aspettata, mai avrebbe immaginato di innamorarsi del figlio del Re, mai i suoi occhi avevano guardato un ragazzo nel modo in cui guardava Arthur, con speranza e con disperazione perché nulla è peggiore di un amore impossibile, ti scava le costole, penetra nei polmoni, schiaccia il cuore, lo prosciuga, distrugge e genera. Così avrebbe descritto Ginevra il loro amore. Distruttivo.
Quando si trovò davanti alla porta di Arthur fece un profondo respiro e le sembrò di non riuscire a riempire i polmoni perché l’aria si bloccava in gola come per soffocarla, sentì i suoi occhi scoppiare quando si inzupparono ancora bagnando il suo umile abito bianco. Non rifletté, non si chiese se avrebbe dovuto bussare, spalancò il portone e basta con l’espressione di chi si sente perso e cerca salvezza, la sua salvezza era Arthur ed era lui che cercava. Vagò con lo sguardo perso come chi si perde in una tempesta e vide il suo faro abbandonato al muro di pietra che osservava fuori dal vetro della finestra.
 
Osservava il suo futuro regno, Arthur,  ciò su cui avrebbe comandato, si chiese come ce l’avrebbe fatta, se sarebbe stato un buon Re, giusto - più giusto di suo padre- e saggio. Teneva le mani incrociate al petto coperto da una tunica bianca, Gwen lo guardò e sorrise compiaciuta perché finalmente non era sola. “Vostra Altezza.” Tentò di sussurrare, ma la voce morì; fece un passo e si schiarì la voce. “Vostra Altezza.” Ripeté come in una supplica. Arthur riconobbe la sua voce, l’unica voce che l’avrebbe salvato, rizzò le spalle e si voltò senza però avanzare. “Ginevra.”
 La salvezza rispose.

Erano entrambi distrutti, con gli occhi gonfi e rossi, ma erano assieme e si guardavano a pochi passi di distanza, due metri e si sarebbero potuti abbracciare, ma rimasero immobili, sospesi nel tempo a fissarsi come si fissavano i gargouille sulle cime più alte della fortezza. Nessuno aveva il coraggio di parlare o almeno di sussurrare, sostennero i loro sguardi vuoti e senza speranza.
“Sei qui.” Sussurrò finalmente Arthur, “Sei qui.”
Sei qui a salvarmi dolce Ginevra?, chiese a se stesso e la risposta venne da sola, quando sussurrando un flebile sì, Gwen lo abbracciò perché era l’unica cosa che potevano fare. Si strinsero e si chiusero nel loro guscio, Arthur poggiò spossato il suo viso su una spalla di Ginevra e lei affondò nel suo petto e inspirò l’odore della tunica che sapeva di pulito e di casa.
“Come faremo Arthur, senza di lei?” chiese Gwen soffocando il suo pianto su di lui che la accoglieva per consolarla e per proteggerla dal mondo là fuori. “Non ne ho idea Ginevra, è come se non fosse reale, se non stesse davvero succedendo, non lo credevo possibile.” Arthur desiderava non fosse vero, desiderava essere lì con Gwen chiacchierando del più e del meno sorridendosi come due ragazzini, invece piangevano e si stringevano cercando di proteggersi e consolarsi a vicenda.
“Con lei sono cresciuto, è come una sorella per me e vederla spegnersi così è semplicemente…” il tremolio nella voce di Arthur si trasformò in un pianto che aveva cercato di trattenere, si strinse più forte alla sua amata e si sentiva così bene facendo qualcosa di così sbagliato.
 “Non piangete, vi prego.” Gwen passò le sue mani stanche e rovinate sul volto bagnato del ragazzo e lo accarezzò come si accarezzano i bambini la notte, “Non piangete.” Ripeté e si alzò in punta di piedi per sfiorare la fronte di Arthur con la sua per sentire il respiro di lui sul suo. Con un mano Arthur spostò un ciuffo corvino e riccio che ricadeva sul viso della ragazza mentre l’altra la teneva ancora stretta a se, per non farla scappare, per non rimanere solo.
“La vita è così terribilmente ingiusta a volte, Ginevra. Ti strappano via ciò che più ami, senza nemmeno chiederti scusa, ti lasciano senza una ragione per combattere, per vivere.”
 Ginevra sentì che quelle parole le stava dedicando anche a suo padre, ed ora oltre che piangere per la povera Morgana, piangeva per quel suo padre, morto più di un anno prima, strappatogli di Uther Pendragon, ma non provava rancore, il rancore portava odio e l’odio distruzione, provava tanta tristezza e compassione e continuò ad accarezzare il volto del biondo ragazzo, spostandogli i capelli dalla fronte per baciargliela e poi ricongiungerla alla sua.
“Se dovesse morire..” cominciò Arthur, “Se dovesse morire, mi rimarresti solo tu, sei l’unico spiraglio, tutto ciò che ho, l’unica che io abbia mai amato.”
Ginevra strinse gli occhi e le lacrime vennero liberate, Arthur le osservava le labbra socchiuse e prima di darsi dello stupido le baciò e sentì il sale su di esse, ma non le lasciò e Ginevra neppure perché entrambi sapevano di aver bisogno l’uno dell’ altra, nonostante gli ostacoli e i destini destinati a non incrociarsi, loro sapevano che avrebbero superato tutto, che non si sarebbero arresi, sapevano che gli sguardi per i corridoi, i sorrisi appena accennati durante le cene, le pelli che si sfioravano quando si scontravano apposta per toccarsi, ne sarebbero valsi la pena.
Era una lotta dura, ma loro erano forti, ed erano insieme.

Merlino camminava, camminava come un fantasma, come uno spirito, non vivo. Dentro la sua testa vedeva le immagini dei cristalli ed esse si sovrapponevano alle immagini di Lady Morgana mentre cadeva  dalle scale, era un incubo, solo che era reale. Era colpa sua, tutto era sempre colpa sua, non era in grado di salvare qualcuno, di prendersene cura, era solo un imbranato. Si incolpava di ogni singola cosa e se Morgana fosse morta non se lo sarebbe mai perdonato. Sentiva gli occhi pizzicare, faticava persino a vedere davanti a se, in ogni caso si sentiva perso, e solo.
Pensava, spremeva quel suo miracoloso cervello per trovare una soluzione al più presto, si distruggeva le labbra coi denti e si tirava i capelli con le mani e piangeva. Sono un assassino, ripeteva.
Più si avvicinava alla stanza di Arthur più dei singhiozzi si facevano insistenti nelle sue orecchie.
Riconobbe Gwen e poi Arthur, immaginò fossero assieme, non si meravigliò, almeno loro si appartenevano, potevano contare l’uno sull’ altra, Merlino non aveva nessuno, era solo.
Tenne lo sguardo basso e si vergognò di guardare in direzione della stanza del Principe, due corpi, in piedi al centro della stanza, si stringevano e si toccavano per consolarsi e sentirsi vivi. Le mani di Gwen che accarezzavano il volto del ragazzo e le labbra che si cercavano senza sfiorarsi mentre entrambi piangevano le loro lacrime per la giovane Morgana.
Merlino provò tanta tristezza, quella che si prova quando piove, ed infatti pioveva, dentro di lui.
Anche lui piangeva, ma Arthur e Gwen non se ne accorsero, erano troppo persi nel cadere a pezzi e ricomporsi.
Troppo impegnati nel distruggersi e rigenerarsi.
 
 
  
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