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Autore: martioriginal    17/12/2013    3 recensioni
“Sono vivo, John”.
Fu l’unica cosa che disse, la sua voce era calma e distaccata, così come lo era sempre stata.
Quelle parole arrivarono a John come una cannonata, non riusciva a credere che tutto quello fosse reale.
Sherlock era lì, davanti ai suoi occhi e tutto gli sembrava un incubo, come i suoi sogni sull’Afghanistan o l’immagine di Sherlock che si gettava dal palazzo, ma ora lui era lì e sembrava tutto così maledettamente reale.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“I AM ALIVE, JOHN.”

Erano passati due, tre anni, John non lo sapeva, ormai aveva perso il conto dei giorni trascorsi senza Sherlock; ma era certo che fosse passato poco più di un mese da quando aveva deciso di togliere la sua foto dal portafoglio, e un mese effettivo da quando l’aveva davvero rimossa e posta nel cassetto del comodino, sotto un’infinita pila di fogli.
Sapeva anche che era passato un anno da quando si era sposato con Mary.
Non aveva voluto quel matrimonio, non all’inizio, aveva acconsentito perché la sua famiglia lo aveva messo sotto pressione, e con sua grande sorpresa aveva avuto influenza nella scelta anche Mycroft Holmes.
Tutti gli dicevano che doveva andare avanti, che non poteva rimanere ancorato al passato:

“Sherlock è morto, fattene una ragione”.

Aveva sentito quella frase per così tanto tempo che quando Mary era arrivata, beh l’unica cosa che voleva era ‘farsene una ragione’; e sembrava quasi che stesse funzionando, sembrava quasi che avesse dimenticato la morte del suo migliore amico.
Ma era davvero così? Agli occhi del mondo si; secondo tutti lui era il semplice Dottor John Watson, collega del grande Sherlock Holmes, ma tutto il resto non contava, c’era solamente questo.
Nessuno sapeva che John aveva sempre amato quell’uomo, lo aveva amato profondamente e segretamente.
Ora tutti credevano che il suo amore fosse rivolto a Mary, e forse un po’ iniziava a crederci anche lui.
Solo la Signora Hudson non ci credeva, solo lei sapeva che ogni Mercoledì pomeriggio dalle 15:00 alle 17:00 John si receva al 221B di Baker Street, infilava le chiavi nella serratura e dopo aver dato due mandate alla porta entrava nell’appartamento.
L’anziana padrona di casa l’aveva scoperto più di una volta ad osservare la faccina gialla, tempestata di fori di proiettile, che Sherlock usava come distrazione.

“Il muro se lo meritava.”

Sorrideva ancora se pensava a quella frase, e a quel giovane uomo che quando si innervosiva diventava peggio di un bambino capriccioso.
La Signora Hudson lo aveva visto anche seduto sulla poltrona dell’investigatore mentre si rigirava il teschio tra le mani, e infine lo aveva visto prendere il violino di Sherlock e stringerselo al petto ricoprendolo di carezze e bagnandolo con le sue lacrime, mentre la voce veniva puntualmente interrotta da singhiozzi e parole e sospiri di dolore gli uscivano dalle labbra.
Poi John andava in bagno, si lavava il viso e vi sfoggiava il finto sorriso migliore del mondo, prendeva il cappotto e con le chiavi in tasca usciva dalla porta, tornando così alla sua vuota e miserabile vita.
Questo andava avanti da due anni, ogni Mercoledì, John dedicava un paio d’ore alla memoria di Sherlock, non al cimitero, non su una lapide fredda e vuota, ma nella loro casa.
Perché quella era sempre stata la loro casa, la loro vita.
Passò un po’ di tempo, i giorni trascorrevano in maniera monotona, tutte le mattine in ambulatorio, i pomeriggi a casa con Mary o in giro per quale commissione, il Lunedì incontrava la Signora Hudson per il thè, il Mercoledì andava a casa di Sherlock e poi? Poi la settimana successiva ripeteva esattamente le stesse cose.
Così, nella monotonia più totale, arrivò il Capodanno 2013, John lo passò in famiglia; fecero una bella cena a casa sua e di Mary, lei era un’ottima cuoca, invitarono i parenti di lei e i genitori di John, stranamente si presentò anche Harry, John ne fu abbastanza felice. Se la sua poteva chiamarsi felicità.
Passarono una serata divertente, a mezzanotte in punto l’orologio suonò e il pensiero del dottore volò indietro di tre anni, pensò al primo Capodanno con Sherlock, ovviamente stavano risolvendo un caso e non avevano festeggiato, se non per una misera cena inventata all’ultimo minuto dalla gentile Signora Hudson, ma non era quello l’importante, loro due erano insieme, e il sorriso di Sherlock era per John il regalo migliore, un sorriso che ormai non vedeva da troppo tempo.
Tutti andarono a dormire tardi e John fu l’ultimo a coricarsi, ma fu anche il primo a svegliarsi, perché il 1’ Gennaio 2014 era un Mercoledì e per quel giorno lui aveva un sacro impegno da rispettare.
La mattina passò molto velocemente, l’ambulatorio era chiuso per le festività e John si tenne impegnato a sistemare un po’ la casa; preparò la colazione e sistemò il tavolo, lo faceva tutti i Mercoledì, come per dimostrare a se stesso che poteva essere premuroso con Mary anche se di lì a poche ore sarebbe tornato al 221B.
Mary si svegliò e gli regalò un dolce sorriso non appena entrò in cucina.

“Buongiorno”

Le disse John con voce calma, e quando lei si mise a sedere le diede un bacio sulla fronte.
Fecero colazione, o meglio il brunch visto che erano le 12.00.
Mangiarono con molta tranquillità parlando della sera precedente e delle loro famiglie, Mary si trovava davvero bene con Harry e John non poteva altro che essere almeno contento per questo.
Dopo il brunch Mary sparecchiò la tavola e andò a lavare i piatti, John andò a farsi una doccia e poi uscì dicendole che doveva accompagnare fuori la Signora Hudson.
Mary accettò la cosa con apparente serenità, dopotutto sapeva che John non si sarebbe mai del tutto staccato dalla sua vecchia vita, proprio per questo non si era opposta quando lui l’aveva informata di aver mantenuto i contatti con Lestrade e quando l’ispettore lo chiamava per avere un occhio in più sulla scena di crimine contorto; si era rassegnata anche alla presenza saltuaria di Mycroft.
Se c’era una cosa su cui Mary non aveva dubbi era che se Sherlock Holmes fosse stato vivo, lei non avrebbe avuto speranze.
John le diede un bacio veloce e poi uscì di casa.
Andò al 221B di Baker Street, la Signora Hudson era già lì ad aspettarlo; Finalmente il fornaio del negozio vicino l’appartamento si era deciso a lasciare la moglie e aveva invitato la Signora Hudson a casa per trascorrere quel giorno di festa, ma lei non voleva fare la strada da sola, così John si era offerto di accompagnarla.
La casa del fornaio, era solo un isolato più avanti, perciò fecero il percorso a piedi, circa quindici minuti dopo John la strada inversa per tornare all’appartamento che per più di un anno aveva condiviso con Sherlock.
Era in anticipo di circa due ore, ma non aveva voglia di tornare a casa, per cui sarebbe rimasto lì un po’ più del previsto.
Come sempre salì al piano di sopra e posò la giacca sulla prima sedia del soggiorno, poi notò che la polvere si stava accumulando.
Aveva due ore in più a disposizione e voleva tenere la mente occupata, così iniziò a pulire. Levò la polvere principalmente dai libri e dai ritagli di giornale che erano ancora accuratamente sistemati così come Sherlock li aveva lasciati, fece molta attenzione alle provette e ad ogni altro strumento che il giovane Holmes era solito usare nelle sue ricerche.
Nel giro di un’ora e mezza aveva spolverato tutto e pulito attentamente il primo piano dell’appartamento, aveva una mezza intenzione di continuare a sistemare l’altro piano, ma quando si voltò e vide il violino di Sherlock, lì in bella vista, si sentì tremare le mani e decise di dedicare un po’ delle sue cure allo strumento.
Ripose tutti gli oggetti che aveva utilizzato fino a quel momento e prese un guanto e una boccetta scura.
Si mise a sedere sulla poltrona si posizionò il violino in grembo, dopo essersi infilato il guanto si spruzzo un po’ del contenuto della boccetta su due dita e iniziò a spalmarlo sulla superficie dello strumento; si ricordo di aver visto Sherlock farlo un paio di volte, le sue dita lunghe e affusolate sembravano perfette mentre tracciavano i bordi del suo adorato strumento musicale.
John costatò che non si poteva pensare lo stesso delle sue mani, ma nonostante questo continuò a lucidare accuratamente ogni angolo del violino.
Poco dopo si sfilò il guanto, che lasciò sul tavolino insieme alla boccetta, prese un panno liscio e iniziò a ripetere le stesse mosse che poco prima aveva fatto con le dita.
Era stato talmente preso da quel processo che non si era nemmeno accorto della porta che veniva aperta e dei passi che avevano invaso la stanza, aveva semplicemente continuato a lucidare lo strumento.
Dopo circa cinque minuti, il lavoro era del tutto completato; posò il panno sul tavolo e ripose il violino nella scatola ai suoi piedi.
In tutto questo non aveva mai smesso di guardare il pavimento, chissà per quale strana ragione, ma in quella casa John non riusciva quasi mai a stare a testa alta.
Prese gli oggetti che aveva messo sul tavolo e finalmente, quando si voltò, si decise a sollevare lo sguardo.
L’istante dopo iniziò a maledirsi per averlo fatto.
Tutto ciò che aveva in mano gli cascò a terra, la sua bocca si spalancò per lo stupore e il cuore smise di battere.
Era immobile, non riusciva a dire o fare niente, gli sembrò quasi si aver smesso di respirare, o forse aveva smesso davvero.
Davanti a lui, perfetto e composto come sempre, c’era il grande consulente investigativo Sherlock Holmes.
Il solito completo nero aderiva perfettamente al suo corpo, il lungo cappotto svolazzava fin sotto le ginocchia e infine la morbida sciarpa blu, che solitamente avvolgeva il suo collo, era stretta nella sua mano.
Il cuore di Sherlock batteva forte, si era emozionato nel vedere il suo John prendersi cura del suo violino, ma lui era l’impassibile detective, non poteva far trapelare un sentimento del genere.

“Sono vivo, John”.

Fu l’unica cosa che disse, la sua voce era calma e distaccata, così come lo era sempre stata.
Quelle parole arrivarono a John come una cannonata, non riusciva a credere che tutto quello fosse reale.
Sherlock era lì, davanti ai suoi occhi e tutto gli sembrava un incubo, come i suoi sogni sull’Afghanistan o l’immagine di Sherlock che si gettava dal palazzo, ma ora lui era lì e sembrava tutto così maledettamente reale.

“Tu—t—tu eri morto, io ti vist—visto. Tu eri morto!”.

La voce di John era tremolante ma venne fuori due toni più alta del normale, era completamente sconvolto.
Arrivati a quel punto Sherlock decise di mettere da parte la sua integrità e si avvicinò a lui, lo prese per le spalle e lo scosse.

“John guardami, sono io, sono vivo, ho dovuto farlo, c’erano dei sicari, eravate tutti in pericolo..”

Ci fu un istante di pausa e poi continuò.

“Ti ricordi cosa hai detto sulla mia tomba?”

Non aspettò una risposta, sapeva che non l’avrebbe ricevuta, John aveva il respiro irregolare e sembrava sul punto di cedere da un momento all’altro.

“Un miracolo no? Sono vivo, John. Sono io.”

E poi arrivò il momento, John sentì le gambe farsi molli, come se un proiettile di guerra l’avesse di nuovo colpito, senza che se ne rendesse conto crollò al suolo mentre le sue braccia stringevano le ginocchia di Sherlock, poi posò una guancia contro la sua coscia.
In quel momento si sentiva così piccolo e vulnerabile, ma non poteva evitarlo.
Sherlock si abbassò fino ad incontrare il suo sguardo.

“John stai calmo, sono qui.”

Ma John non accennava a calmarsi, anzi il respiro era diventato irregolare e la vista si stava appannando a causa delle lacrime pronte a uscire.
Sherlock lo sguardò quasi con dolcezza e l’altro si stupì poiché non ricordava di aver mai visto uno sguardo simile negli occhi del detective, ma non ebbe il tempo di realizzare niente perché le labbra del moro si posarono delicatamente sulle sue.
John lo ringraziò mentalmente per quel gesto, si era chiesto per tre anni quale sapore avessero avuto le irraggiungibili labbra di quell’uomo impossibile, e ora gli era stata concessa una risposta.
Quelle labbra avevano il sapore più dolce del mondo, ma erano anche salate e aspre, dure e forti, ma dolci.
John non lo sapeva, non sapeva come descriverle, perché erano troppe le sensazioni che finalmente stava vivendo.
Perché quello era vivere. Sherlock era vivere.

“John sono qui, non me ne andrò di nuovo. Te lo prometto.”

“Guai a te Holmes se pensi anche solo lontanamente di farlo.”

E dopo John gli abbozzò un mezzo sorriso, forse il più vero degli ultimi due anni.
Sapeva che dall’altra parte della città, in una casa accogliente, lo stava aspettando Mary, ma sapeva anche di avere ancora a disposizione due ore, due ore da passare con l’uomo di cui era sempre stato innamorato.
A Mary avrebbe pensato più tardi, e forse ora che Sherlock aveva fatto ritorno avrebbero anche trovato una soluzione.
Ma una cosa era certa.
Sherlock era vivo, tutto il resto non aveva importanza.


Angolo dello scrittore:
Ok, non mangiatemi.
Credo di avere reso i personaggi un po' OOC, però non l'ho voluto inserire come avvertimento dato che non ne sono ancora particolarmente sicura.
E' la mia prima Johnlock e in generale la prima fan fiction su Sherlock.
Spero che vi piaccia, a presto (:
Marti.
   
 
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