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Autore: Rowan936    17/12/2013    4 recensioni
Suo padre era tornato da lui, la prima volta, ma adesso era stato portato via da una malattia. La sua non era stata una morte violenta, era spirato tra le lenzuola del suo letto, tra atroci dolori. Il grande eroe della Terra era stato ucciso da una malattia. Il suo papà, il suo invincibile papà, se n’era andato per colpa del suo stesso cuore. Quel cuore così grande, che aveva sempre perdonato chiunque, anche il più crudele degli assassini.
« Di nuovo qui, moccioso? »
E il cuore del suo papà non aveva mai sbagliato.
« Ehi, Vegeta… » mormorò il bambino, regalando un timido sorriso al Saiyan.
[...]
Forse, in un’altra vita, avrei fatto in modo che restassi.
Forse, ti avrei stretto abbastanza forte da impedirti di andare via.

***
[Mirai!Vegeta/Mirai!Gohan, angst, What if?]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gohan, Mirai!Gohan, Mirai!Vegeta, Vegeta
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Angolo autrice
Ave popolo (?) Allora, vi ricordate quando avevo detto di star scrivendo troppe storie fluff e di aver bisogno di qualcosa di più tragico? *”NO.” ndVoi “Va be’, io l’avevo detto u.u” ndRowan* Be’, questo è il risultato. Una Mirai!Vegeta/Mirai!Gohan. Non esiste nulla di più angst del contesto mirai U_U Alla fine, però, c’è un piccolo accenno di Vegeta/Gohan, nel contesto “normale” (?) Qui c’è una What if sia per il contesto Mirai che per l’altro, giusto per la cronaca. L’avvertimento vale per tutto lalala. Questa OS mi è stata ispirata dalla canzone “The one that got away” di Katy Perry, alla quale ho spudoratamente rubato qualche strofa, LOL. Nella storia ci sono delle parti c’entrate e in corsivo, quelle sono, appunto, un po’ scoppiazzate dalla canzone, anche se non sono uguali. Per cui non è una song-fic. NOTA BENE: L’ultimo pezzo è ambientato dopo il Cell Game. Siccome nel contesto Mirai di questa fanfic Trunks è morto, mi potreste chiedere come accidenti sia possibile che ci sia il contesto “felice”. Da quel che ho capito (magari mi sbaglio, in quel caso concedetemi la licenza poetica, vi prego) esistono varie dimensioni, in ognuna delle quali si è svolto qualcosa in modo diverso. Quindi, è possibile che la storia sia ambientata in un futuro alternativo a quello alternativo (?) dal quale proviene Trunks, ma che esista comunque, in parallelo, un’altra dimensione in cui il ragazzo ha viaggiato nel tempo ecc ecc. Sì, lo so, non ci avrete capito niente. Se fosse poco chiaro, chiedete pure, cercherò di spiegarmi meglio :’) Spero che i personaggi non siano OOC – come al solito, non fatevi problemi a segnalarmelo – e mi scuso per eventuali errori :) Buona lettura!
 

 
 
 
 
Disclaimer » Dragon Ball © Akira Toriyama.
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Il vento gli accarezzò il viso, provocandogli un sottile brivido lungo la schiena. Il bambino chiuse un istante gli occhi, liberando altre lacrime che si aggiunsero al fiume che già gli scorreva lungo le guance.
« Papà… » sussurrò al vento « Perché te ne sei andato? »
Che il mondo fosse un posto crudele, a volte, Gohan lo aveva imparato presto, alla tenera età di quattro anni, quando suo padre gli era stato strappato via da una morte violenta, una morte da eroe, e lui si era ritrovato a cercare di diventare un guerriero sotto la guida di Piccolo.
Ora era di nuovo solo.
Suo padre era tornato da lui, la prima volta, ma adesso era stato portato via da una malattia. La sua non era stata una morte violenta, era spirato tra le lenzuola del suo letto, tra atroci dolori. Il grande eroe della Terra era stato ucciso da una malattia. Il suo papà, il suo invincibile papà, se n’era andato per colpa del suo stesso cuore. Quel cuore così grande, che aveva sempre perdonato chiunque, anche il più crudele degli assassini.
« Di nuovo qui, moccioso? »
E il cuore del suo papà non aveva mai sbagliato.
« Ehi, Vegeta… » mormorò il bambino, regalando un timido sorriso al Saiyan. Lo stesso sorriso fasullo che esibiva da troppi giorni, ormai.
« Tsk. Mi sembrava di averti già detto che questo è il mio posto. » disse il principe, sedendoglisi accanto. Si trovavano su uno spuntone di roccia, tra le montagne, affacciati su un panorama mozzafiato. Gohan aveva scovato quel posto il giorno in cui era morto suo padre, quando era scappato da casa dopo che la sua aura era svanita per sempre e Vegeta era diventato Super Saiyan. Perché, dopo l’iniziale sgomento, il principe era stato assalito da una rabbia senza precedenti, al pensiero che non avrebbe mai affrontato quello scontro tanto atteso, che non avrebbe mai sentito il sangue di Kakaroth tra le dita, e si era trasformato. Aveva raggiunto quello stadio tanto atteso. Ma a cosa serviva, se ormai il suo rivale non c’era più?
Da quel giorno maledetto, il giorno della morte di Goku, Gohan aveva smesso di vivere; Vegeta, invece, aveva smesso di combattere, il che era un po’ la stessa cosa.
Il bambino, dopo essersi allontanato in volo da casa, aveva trovato quel luogo appartato e quieto, dove si era fermato fino a sera, con l’aura azzerata. Era stato allora che il principe lo aveva raggiunto, desideroso, come lui, di solitudine.
Gli aveva intimato di andarsene, dicendo che quello fosse il suo posto, che lui si recasse lì da quando erano tornati da Namecc. Il bambino non aveva obbedito, così erano rimasti in silenzio, seduti l’uno accanto all’altro, il più piccolo a piangere lacrime silenziose, l’altro a cercare di mantenere un po’ di contegno.
Erano cinque giorni che si recavano lì, ogni pomeriggio.
Non dicevano molto, si limitavano a farsi compagnia a vicenda.
« Perché non combatti più? » domandò Gohan, all’improvviso. Il principe si irrigidì visibilmente, poi biascicò qualcosa come “Non sono affari tuoi, stupido marmocchio”. Il bambino non si offese.
« Sai, dovresti cambiare idea. » continuò « Non sei felice se non combatti. E poi, la Terra ha bisogno di un eroe, no? »
« Mi hai forse scambiato per Kakaroth?! È lui quello che si prodiga per questo stupido sasso. » sbottò il principe, rendendosi conto troppo tardi di aver commesso un grosso errore. Perché Kakaroth non c’era più e non poteva parlare di lui al presente. Perché Kakaroth non c’era più e lui non poteva ignorare        questo fatto, nominandolo come se nulla fosse successo.
Gli occhi di Gohan si fecero lucidi nel sentire nominare il padre e, senza accorgersene, cominciò a singhiozzare. Non sperò in nessuna parola di conforto da parte del principe, perché sapeva che non ne avrebbe ricevute. Vegeta non era tagliato per consolare la gente. Lui viveva solo per se stesso, non aveva bisogno di nessuno e faceva in modo che nessuno avesse bisogno di lui.
« Piantala di frignare. » ringhiò il Saiyan, all’improvviso, con rabbia eccessiva, rivolta più a se stesso che al bambino.
« Perché se n’è andato così, Vegeta? Perché? » domandò Gohan, ignorando il suo ordine e puntando i propri occhi lacrimanti su di lui. Il principe lo fissò per qualche istante, non sapendo cosa rispondere o come comportarsi. Alla fine, la sua mano si mosse da sola, andando a posarsi sulla spalla del bambino.
« Non lo so. » mormorò, sincero. Si accorse solo in un secondo momento di cosa stesse facendo e si affrettò a ritirare la mano, incrociando le braccia al petto e puntando lo sguardo in un punto a caso, purché lontano dal moccioso.
Gohan si asciugò le lacrime con il dorso della mano e, mentre calava la sera, si avvicinò al principe, accoccolandosi al suo fianco.
« ’Sta notte voglio restare qui. »
 
 
Forse, in un’altra vita, sarei stato tuo.
Forse, i nostri corpi non si sarebbero allontanati.
 
***
 
« Perché deve succedere tutto questo? » ringhiò Gohan, conficcando le unghie nei propri palmi, gli occhi fissi sullo schermo della televisione. Aveva diciotto anni, ormai, e quegli androidi continuavano a seminare panico e distruzione sulla Terra.
A poca distanza da lui, appoggiato a una parete, Vegeta lo osservava, impassibile.
Il giorno in cui C17 e C18 avevano fatto la loro comparsa, uccidendo i membri della squadra Z, il principe si era salvato per miracolo. Gohan si chiedeva ancora come avesse fatto a convincerlo a non lanciarsi all’inseguimento dei Cyborg, che lo avevano lasciato a terra e in fin di vita. Vegeta non voleva arrendersi, non voleva abbandonare il campo di battaglia quando ancora poteva dare qualcosa. Ma l’allora bambino lo aveva convinto a salvarsi, a rimandare la sua vendetta.
Ancora adesso, che Gohan era un ragazzo, il principe non era riuscito a riscattarsi per il torto subito. Sembrava una barzelletta: prima con Kakaroth, adesso con quei due ammassi di bulloni. Grandioso.
Avevano combattuto diverse volte contro quei mostri, e ogni volta ne erano usciti sconfitti, ma erano sempre riusciti a salvarsi, in qualche modo.
« Tesoro, non fare così… » disse Chichi, abbracciando il proprio figlio.
Vegeta si era trasferito sui Monti Paoz quando gli androidi avevano attaccato la Città dell’Ovest, distruggendo la Capsule Corporation e uccidendo così Trunks, di appena tre anni, e Bulma. Il principe, nonostante non lo ammettesse, si sentiva orribilmente in colpa per non essere riuscito a salvarli.
« Non è giusto. » affermò Gohan, come in quegli anni aveva fatto spesso, osservando gli scenari di distruzione proposti dal telegiornale. L’abbraccio di sua madre gli donava calore, ma non abbastanza da sciogliere le gelide catene che gli stringevano lo stomaco.
Se papà fosse qui, si diceva a volte, li avremmo sconfitti tempo fa.
Una volta si era lasciato sfuggire questo pensiero davanti a Vegeta, che aveva assottigliato lo sguardo per poi sbottare: « Ma Kakaroth non è qui! E visto che anche io sono un Super Saiyan come lo era lui, non avrebbe potuto fare niente in ogni caso. Ora piantala di piangerti addosso, idiota! »
Il principe, forse, aveva ragione, perché lo stesso Gohan aveva raggiunto lo stadio tanto ambito, quando aveva visto il cadavere di Piccolo e gli altri, ma non poteva nulla contro gli androidi. Nulla.
« Lo so, piccolo mio, lo so. Vado a preparare il pranzo, va bene? » disse dolcemente Chichi, accarezzandogli i capelli come quando era bambino. Il ragazzo annuì e, poco dopo, si ritrovò solo con Vegeta.
Il principe lo ignorava completamente, fissando il vuoto con uno strano sguardo.
« Tutto a posto? » domandò il mezzo Saiyan, cautamente. Vegeta lo degnò solo di una fugace occhiata, per poi tornare alla sua contemplazione del vuoto.
« Bada agli affari tuoi. » ringhiò. Il ragazzo sospirò, scuotendo la testa con fare rassegnato.
« Prima o poi ce la farò. » aggiunse il principe, all’improvviso. « Ammazzerò quelle due lattine. »
Gohan sorrise debolmente, sperando con tutto il cuore che avesse ragione.
Quando quei due Cyborg saranno solo un ricordo, ti dirò quello che provo per te.
 
 
Forse, in un’altra vita, avremmo mantenuto le nostre promesse.
Forse, avremmo sconfitto insieme le avversità.
 
***
 
Un’ombra si mosse nelle tenebre della notte, avvicinandosi a una figura dormiente senza emettere un suono. Gohan dormiva placidamente nel suo letto, il suo respiro regolare e il suo volto sereno testimoniavano che, una volta tanto, i suoi non fossero incubi, ma sogni di una felicità che al momento non poteva avere.
Avrebbe fatto in modo che la ottenesse anche nella realtà.
Vegeta lo osservò dall’alto in basso, respirando piano per non rischiare di svegliarlo. Non mosse un muscolo nella sua direzione, vi fu solo un lungo sguardo e, nei suoi occhi scuri, si dipinsero mille scuse mai pronunciate, mille abbracci mai regalati, mille promesse mai osate. Peccato solo che Gohan non potesse leggerle.
La mano destra del Saiyan ebbe un guizzo, come a voler suggerire che avrebbe dovuto accarezzare il ragazzo dormiente.
Dopo. Si disse, contrastando la sua stessa volontà. Dopo avrò tutto il tempo per fare qualsiasi cosa.
E, mentre l’alba si avvicinava, Vegeta lasciò quella casa che ora era anche sua, senza sapere che non vi avrebbe messo mai più piede.
 
 
Forse, in un’altra vita, avrei fatto in modo che restassi.
Forse, ti avrei stretto abbastanza forte da impedirti di andare via.
 
***
 
La luce del sole entrava dalla finestra, illuminando il letto sul quale il giovane ancora riposava. Gohan aprì pigramente gli occhi, emettendo qualche verso non meglio definito.
Notando che fossero già le nove passate, si domandò distrattamente come mai Vegeta non lo avesse buttato giù dal materasso all’alba, come faceva ogni giorno, per cominciare gli allenamenti. Non vi prestò troppo caso, notando che l’altro letto presente nella stanza fosse disfatto. Probabilmente, Vegeta si era sentito magnanimo e non aveva voluto disturbare uno dei pochi sonni senza incubi che Gohan riusciva a ottenere.
Scalciate via le coperte, si stiracchiò e si avviò in cucina, dove trovò sua madre intenta a preparare la colazione.
« Buongiorno, tesoro… » lo accolse, senza voltarsi.
« Buongiorno… Dov’è Vegeta? » domandò il ragazzo, sedendosi a tavola. Chichi gli lanciò uno sguardo stupito.
« Non è a letto? »
Gohan inarcò le sopracciglia, confuso. « No. »
« Allora non so dove sia. Questa mattina non si è fatto vedere. »
Il ragazzo sentì una strana sensazione farsi strada dentro di sé, un senso di vuoto che non aveva mai provato prima. Dov’era Vegeta? Si concentrò per avvertire la sua aura, ma non la individuò. Iniziò a tremare.
« Questa mattina, c’è stato un altro attacco nella Città del Sud, a opera dei due Cyborg che stanno mettendo tutti in ginocchio. » disse una donna al telegiornale, mentre sullo schermo della tv scorrevano le solite immagini di macerie e distruzione. Gohan sentì i battiti del proprio cuore accelerare. « Un uomo è intervenuto per cercare di sconfiggerli. Si tratta del misterioso guerriero biondo che spesso compare insieme a un altro ragazzo e che ha salvato innumerevoli innocenti. » Gohan si sentì morire mentre venivano mandate in onda le immagini di Vegeta che combatteva, che salvava dei civili… « Non sappiamo che fine abbia fatto, la telecamera è stata distr– »
Gohan si precipitò fuori prima di poter sentire la fine di quella frase.
 
 
Forse, in un’altra vita, non ti avrei perso.
Forse, il mio cuore non avrebbe smesso di battere nell’apprendere che, probabilmente, tu non ci fossi già più.
 
***
 
Silenzio.
Con Vegeta, il silenzio non era cosa insolita, anzi, erano più le volte in cui il principe lo fissava senza dire nulla piuttosto che quelle in cui gli parlava. E, anche quando i suoi pensieri venivano tradotti in parole, non si trattava mai di discorsi troppo lunghi e articolati, erano sempre frasi semplici ed essenziali.
Quel silenzio, però, era diverso.
Mentre Gohan avanzava sul campo di battaglia, tra le macerie di quella che una volta era una delle strade principali della Città del Sud, sentiva quel silenzio di morte opprimergli le orecchie, urlargli che di lì a poco avrebbe trovato il suo corpo senza vita.
Solo in quello scenario di distruzione, il ragazzo scandagliò con gli occhi ogni maceria, fino a trovarlo.
Tum. Tum.  
Mentre il battito del proprio cuore gli rimbombava insistentemente nel cervello, Gohan si avvicinò a quella sagoma stesa tra la polvere, in una pozza di sangue.
Tum. Tum.  
« Vegeta… » chiamò, con voce rotta da un pianto a stento trattenuto. Se si fosse lasciato andare, sarebbe stato come ammettere che lui fosse morto.
Tremando, s’inginocchiò accanto al suo corpo immobile.
Tum. Tum.
« Vegeta… Dai, alzati… » mormorò, sfiorando con le dita il suo volto rilassato. Troppo rilassato. Lo aveva visto così solo una volta, su Namecc, in un giorno che avrebbe voluto dimenticare. Nemmeno nel sonno perdeva la sua espressione corrucciata. Solo nell’oblio della morte.
Tum. Tum.
« Per favore… Non puoi essertene andato anche tu… »
Si accasciò sul suo petto, nascondendo il volto nella Battle Suite lacerata, mentre quelle lacrime che avevano appena cominciato a sgorgare si mischiavano al sangue. Non poteva essersene andato.  
« Prima o poi ce la farò. Ammazzerò quelle due lattine. »
Quando Vegeta aveva pronunciato quelle parole, lui non ne aveva compreso appieno il significato, non aveva capito che il suo fosse un avvertimento. Come aveva potuto essere così stupido? Il principe lo aveva avvisato, ma lui era stato troppo ottuso per accorgersene.
« Perché…? Non dovevi affrontarlo da solo… »
Se solo non avesse aspettato così tanto… Se solo gli avesse detto subito quello che provava per lui, senza promettersi di farlo in tempo di pace… Forse allora il principe sarebbe rimasto con lui. Adesso era troppo tardi.
« Mi hai lasciato solo… Non dovevi… »
Rimase lì, a singhiozzare sul suo corpo senza vita, per non seppe quanto tempo, con il cuore che piangeva invisibili lacrime roventi.
 
 
Forse, in un’altra vita, non mi avresti lasciato.
Forse, non avrei dovuto piangere la tua scomparsa.
 
***
 
Il vento gli accarezzò il viso, provocandogli un sottile brivido lungo la schiena. Il bambino chiuse un istante gli occhi, liberando altre lacrime che si aggiunsero al fiume che già gli scorreva lungo le guance.
Era solo, perso nella sua disperazione.
Suo padre era morto, andato via per sempre, per colpa sua e della sua arroganza. Perché aveva lasciato che il suo istinto Saiyan prendesse il sopravvento? Perché?
« Hai intenzione di continuare a frignare ancora per molto? » domandò una voce, alle sue spalle, rivelando una presenza di cui Gohan non si era ancora avveduto.
« Oh… Ciao, Vegeta. »
Il principe grugnì qualcosa in risposta, per poi sedersi accanto al bambino, come era solito fare da un paio di giorni a quella parte. Gohan si asciugò in fretta le lacrime, che però continuarono a scorrere, inesorabili.
« Se n’è andato per colpa mia, vero? » disse, a un certo punto, sapendo che Vegeta sarebbe stato l’unico a dirgli la verità. Gli altri avevano troppa paura di ferirlo, lo trattavano con i guanti, ma lui non credeva di meritarsi tali premure e sapeva che, in ogni caso, il Saiyan accanto a lui non gliele avrebbe concesse.
« Sì. » rispose infatti il principe, schietto, senza nemmeno guardarlo in faccia. « È morto per colpa tua e del tuo istinto Saiyan. »
Il bambino nascose il volto tra le gambe, singhiozzando il più piano possibile. Era la verità, lo sapeva. E faceva male.
« Però » continuò inaspettatamente il principe « rimanere nell’Aldilà è stata una decisione di quell’idiota. Solo sua. È morto per colpa tua, ma nessuno lo ha costretto a non tornare. »
Gohan alzò lo sguardo, incredulo. Vegeta lo stava… Consolando?
Il principe parve intuire i suoi pensieri, perché si affrettò ad assumere un’espressione disgustata, mettendo in chiaro: « Non mi fraintendere, non voglio certo consolarti. È solo un’esposizione dei fatti. »
Il bambino sorrise leggermente.
« Grazie, Vegeta. »
« Tsk. »
 
 
Forse, in un’altra vita, saremmo potuti essere felici.


 
 
  
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