Lasciavo scorrere le dita lungo la tessitura, pensando al modo più lento di sfilartele, facendoti salire la voglia.
Solo i tuoi capelli spuntavano nella mia visuale.
I tuoi polsi aggrappati alle maniglie dell'armadio, strette le dita, schiacciati i palmi e le nocche quasi bianche per il rigore di quel gesto.
Il tuo torso era rimasto coperto dalla maglia, avevo deciso che era inutile levartela.
Non volevo lasciarmi trascinare dalla passione, dalla foga d'averti, doveva essere tutto freddo e calcolato, come una partita a scacchi.
Volevo farti cedere, ma le tue gambe, aperte e protette solo da un sottile strato di cotone nero, non erano facili da piegare.
Era come se il tuo acconsentire m'impedisse di umiliarti come volevo.
Lento, sfilo le calze, sperando che le mie unghie ti creino disagio.
Ora le calze sono a terra accanto ai tuoi piedi nudi.
Nessun suono fuoriusciva dalle tue labbra.
Sei difficile da vincere, ed è per questo che mi diverte provarci.
Inoltro un dito nel tuo antro, aspettando un segno di debolezza da te.
"Se vuoi posso fermarmi" sussurro.
Nessuna risposta.
Insisto con un altro, muovendolo a forbice insieme al primo.
***
Piccole macchie di seme sporcano le calze che non indosserai di nuovo.
Un ghigno sfiora le tue labbra, hai vinto, ancora.
Ed io ho già voglia di una rivincita.