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Autore: Nellaria    18/12/2013    1 recensioni
[Adèle Exarchopoulos/Léa Seydoux]
Cos’era cambiato in quei pochi mesi? Era cresciuta, sì, l’aveva detto ai giornalisti, a quei ficcanaso, che era cresciuta. La chiamavano ‘adulta’ e lei si appropriava di quell’appellativo come solo una bambina sa fare. Me lo danno e me lo tengo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Non era più lei, non era più la stessa di qualche mese prima.
Si era dissolta in qualche modo, tra un’intervista e l’altra, in mezzo a tutti quegli abiti e ai tappeti rossi. Era scomparsa e non sapeva se sarebbe più tornata quella di un tempo.
Il giornalista era lo stesso di sempre, o almeno le sembrava così. Anche il palazzo era uguale, solo la stanza era cambiata. E forse l’aria al suo interno.
L’aria. Ecco, l’unica cosa che Adèle riusciva a percepire fino in fondo, oramai, era l’aria. La sentiva più tagliente, più pesante, più accogliente, meno tesa. La sapeva leggere in ogni riga e in ogni lettera minuscola. Ultimamente le era parsa piuttosto disperata e malinconica, ma mai uguale a se stessa. L’aria era l’unica cosa che mutava.
Il resto era solo caos piatto.
Un turbinio di eventi sconosciuti, di facce mai viste e già viste, di sensazioni vissute troppo a lungo. Tutto era sempre lo stesso e niente le risultava mai essere una certezza.
Cos’era cambiato in quei pochi mesi? Era cresciuta, sì, l’aveva detto ai giornalisti, a quei ficcanaso, che era cresciuta. La chiamavano ‘adulta’ e lei si appropriava di quell’appellativo come solo una bambina sa fare. Me lo danno e me lo tengo. Eppure aveva anche saputo far sgorgare la sua innocenza e la sua giovinezza quando, durante una delle solite e ripetitive interviste negli Stati Uniti, aveva osservato:
“Questo Paese è strano. Siete davvero strani. Qui da voi, io non posso comprarmi una birra, ma posso acquistare una pistola”.
A diciannove anni, questo era davvero troppo.
 
Era già pronta a sorbirsi l’ennesima lista di domande già ascoltate, a cui aveva risposto almeno qualche decina di volte. Non sorrideva affatto. Non c’era niente di divertente in tutto ciò, non dopo tutto quel tempo.
Cercava di rimanere concentrata e di non apparire troppo scontrosa nei confronti di chi la stava tempestando di quesiti fastidiosi.
Gli ultimi sei mesi erano stati una novità assoluta per lei. Non conosceva i meccanismi del mondo dello spettacolo, non aveva mai partecipato alla promozione di un film su scala mondiale. La sua voce tentava di raccontare i suoi pensieri coprendoli con una maschera d’eccitazione, una maschera che aveva creato lei. L’eccitazione era andata a farsi benedire tempo prima.
“E’ stata un’esperienza piacevole la tua? Mi riferisco agli ultimi mesi in cui hai girato il mondo, fatto mille interviste e tutto il resto. E’ stato più piacevole o spiacevole?”
Una domanda facile, che non l’avrebbe portata a smarrirsi in qualche pericoloso ricordo.
“Sicuramente piacevole. Però sai..”
Si rese conto di essere già piombata nel passato recente.
“A volte ci si sente soli. Sei in un’enorme stanza d’hotel e ti senti solo”
I capelli biondi della sua collega apparvero per un istante nella sua mente.
“Ma a volte è anche rilassante essere soli in quella grande stanza”
Scacciò il pensiero con un gesto della mano, che poi andò a posarsi sulla nuca, immortalandola in una posa terribilmente sensuale. Lei era così, poco curata nei gesti e nelle movenze e pur sempre splendida.
 
“Ti hanno mai fatto delle domande stupide?”
Anche quella era una domanda stupida, per Adèle.
“Certamente, ne ho ricevute molte”
Aveva un tono annoiato, quasi rassegnato e che tendeva alla presa in giro.
“Mi hanno chiesto cosa penso del fatto che probabilmente della gente, degli uomini, andranno a vedere il film solo per eccitarsi. Beh, francamente non me ne importa. Mi dispiace per loro, vedranno solo sette minuti di scene di sesso e tre ore di film. Magari impareranno qualcosa”
A lei non fregava nulla di queste sciocchezze, di queste assurdità. Tutte seghe mentali che solo dei pervertiti potevano pensare, a suo parere.
Una ragazza della sua età, una bambina appena cresciuta, voleva partecipare alle feste, conoscere gente famosa, diventare un modello per qualcuno e magari amare. Il resto l’avrebbe lasciato all’età adulta. Ma lei non lo era già?
“Qui mi trattano tutti come una bambina”
Il giornalista si mise a ridere, seguito immediatamente dall’interprete. L’unica che non sembrava apprezzare quel particolare tipo di humour era Adèle. Lei era parte di un progetto importante, un film che avrebbe cambiato qualcosa nella storia del cinema, una pellicola che trattava una storia d’amore tra due ragazze come fosse la normalità. Lei era testimone e interprete di questa rivoluzione, non una bambina.
 
“Non sembri felice come l’ultima volta che ci siamo visti, o sbaglio?”
Persino quell’omino spettinato che le stava di fronte l’aveva capito, un uomo che aveva visto due volte in vita sua aveva percepito il suo malumore.
“Già, è vero, è che sono passati sei mesi..”
Accennò appena un sorriso triste.
“Sono sola. Vorrei condividere tutto questo con Léa e..”
La frase rimase in volo, a metà.
Léa.
Ecco cosa l’aveva fatta cambiare. La partenza di Léa.
Da quel momento tutto era diventato più grigio, più inutile, più serio. Non c’erano più gli scherzi, le prese in giro, gli abbracci, i baci. Non c’era più lei e tutto aveva perso senso.
Sentiva che un filo sottile le teneva ancora collegate, anche se si trovavano in due parti opposte del globo terrestre. Léa era magia pura, la sua tenerezza disarmante e quel sorriso particolare l’avevano catturata fin da subito, dai primi giorni di riprese.
Lei era un’adulta vera, non un ridicolo ibrido come Adèle. Avrebbe potuto guidarla in mezzo alla gente, alla scoperta del mondo e delle culture. Le avrebbe insegnato ad affrontare la vita. L’avrebbe amata.

 
 
 
 
  
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