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Autore: Francine    21/12/2013    4 recensioni
Tokyo, 10 Dicembre
Carissima Shaina,
(mi permetti di chiamarti ancora così?)
So che adesso starai spiegando questa lettera dopo averla appallottolata e gettata nel cesto dei rifiuti o, come ritengo sia più probabile l’avrai riattaccata con lo scotch dopo averla ridotta in mille pezzettini. Lo hai fatto, vero? Non mentirmi; non sono lì con te, ma so che lo hai fatto. Mi sembra già di vederti mentre Agathê ti consegna la posta, la porti a casa e la apri con lentezza. Ti sei incuriosita nel non trovare alcuna traccia del mittente, vero? Tu lo sapevi che fossi io, vero?, anche se l’indirizzo lo ha scritto Shun (sono un vigliacco, lo so).
Scusami, ma sono sicuro che se l’avessi fatto avresti gettato questa lettera nel fuoco.

(Prima pubblicazione: Natale 2005)
Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eagle Marin, Ophiuchus Shaina, Pegasus Seiya
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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Biglietto d'Auguri



Words are very unnecessary
They can only do harm 
(Depeche Mode, Enjoy the Silence, 1990)





Tokyo, 10 Dicembre
Carissima Shaina,
(mi permetti di chiamarti ancora così?)
So che adesso starai spiegando questa lettera dopo averla appallottolata e gettata nel cesto dei rifiuti o, come ritengo sia più probabile l’avrai riattaccata con lo scotch dopo averla ridotta in mille pezzettini. Lo hai fatto, vero? Non mentirmi; non sono lì con te, ma so che lo hai fatto. Mi sembra già di vederti mentre Agathê ti consegna la posta, la porti a casa e la apri con lentezza. Ti sei incuriosita nel non trovare alcuna traccia del mittente, vero? Tu lo sapevi che ero io, vero?, anche se l’indirizzo lo ha scritto Shun (sono un vigliacco, lo so). 
Scusami, ma sono sicuro che se l’avessi fatto avresti gettato questa lettera nel fuoco. E non è giusto, io dico; primo: perché ho diritto di augurarti Buon Natale, e secondo: perché per scrivere queste poche righe ci sto mettendo anima e corpo. Questo è il dodicesimo tentativo che butto giù; ho iniziato il giorno del mio compleanno. Sarò sincero: ho sperato fino all’ultimo che mi arrivassero gli auguri da parte tua, ma niente, né un bigliettino, né una telefonata. Nulla.
E allora, mi sono detto, se la montagna non va da Maometto, sarà Maometto che andrà alla montagna. Ed eccomi qui, a scrivere questa lettera mentre fuori cade la neve. 

Ok lo sappiamo entrambi che gli auguri di Natale sono solo una patetica, ridicola scusa. Però, Principessa (posso chiamarti ancora così, vero?), io ci tengo ad avere ancora un contatto con te, una scusa per spingermi a ricordarti della mia esistenza. Esistenza che tu sembri aver cancellato del tutto: se le cose stanno così, se sei stufa del sottoscritto, se lo vuoi eliminare dalla tua vita con un colpo di spugna, come fosse una macchia sul parabrezza, lo accetto. Ma dammi quest’ultima occasione. Se non riceverò risposta, lo accetterò. Ma per favore prosegui a leggere. Ti sto scrivendo con il cuore in mano, e tu lo sai quanto mi risulti difficile mettere insieme due parole che non si contraddicano tra loro. 

Ho pensato molto a noi. Quanto sarà che non ci vediamo, due mesi? Ecco, io in tutto questo tempo non ho fatto altro che pensare, pensare, pensare, a dove ho sbagliato con te e a come fare per poter recuperare il nostro rapporto. 
Io senza di te non sono io. 
Sì, è contorto come pensiero, ma non riesco a formularlo meglio. Tu sei parte di me, mi sei entrata dentro e non te ne vai. Forse, sai, ho capito perché mi hai lasciato. Non so se Milo c’entri qualcosa, non credo, anche perché Aiola si è prodigato nel rassicurarmi fin dall’inizio di come lui non sia affatto interessato a te. Ma anche se fosse, io non mi sarei certo lasciato abbattere, ma avrei fatto di tutto per riconquistarti, oh se l’avrei fatto! So che lui non c’entra, che tutto sommato ho sbagliato ad attaccarlo ed accusarlo di essersi intromesso tra di noi. Tu non mi hai lasciato per lui, tu mi hai lasciato per causa mia. 

Non sono un tipo che perde tempo a pensare, anzi! Agisco, carico a testa bassa, mi butto a capofitto nelle cose e spesso creo più casini che soluzioni. 
Però, in tutto questo tempo ho avuto modo di far muovere gli ingranaggi arrugginiti del mio cervello bacato. E forse di capire i tuoi motivi.
Tu vuoi un uomo accanto, vero Principessa? Una persona matura e responsabile a cui affidarti totalmente a cui legarti con la sicurezza che sia in grado di esserci, qualora ce ne fosse bisogno. E uno come Milo non so quanto possa essere affidabile, anzi! Per te, ora come ora ci vorrebbe uno come Aiolia, forte, sicuro di sé ed affidabile.

Shaina, guardiamoci in faccia: sei sicura? Scusami se te lo chiedo, e se ti sembrerò un grandissimo maleducato, ma io non ne sono poi così certo. Per il semplice fatto che una come te, forte, fiera ed indipendente non potrebbe mai sottostare ad uno che le organizzi l’esistenza. 
Vuoi
davvero un uomo così? Rispondimi, per favore; perché io non ci credo. Sai, penso di aver intuito quale sia il problema da risolvere: io. O meglio, il mio essere ancora immaturo l’essere ancora un ragazzino, lo stesso che salvasti anni fa dal pugno di Aiolia. Vuoi che cresca? Che metta la testa sulle spalle? Lo farò, amore mio. Però, mi chiedo: ti piacerei se fossi così? Se non fossi più Seiya, se non fossi più il ragazzo da salvare da qualcosa che va storto?
È successo cinque anni fa, per l’esattezza. Ti ricordi? Io, a ripensarci, mi sento ancora come allora, stordito confuso e leggermente imbarazzato dal fatto che tu, la mia nemica giurata, colei che mi detestava più di un foruncolo sul viso, mi avesse difeso. Non te l’ho mai detto, ma tenerti tra le braccia, mentre ti accasciavi al suolo così indifesa e fragile, è stato così… così… sconvolgente. Non trovo altre parole: tu così forte ed agguerrita mi mostravi la parte più intima di te. Più di quando abbiamo fatto l’amore per la prima volta. Hai messo a nudo te stessa, ti sei tolta la maschera, sia fisica che metaforica, e mi hai chiesto di accettare l’esistenza dei tuoi sentimenti. Non di ricambiarli, ma di accettarli. Una sorta di ultimatum insomma: è come se tu mi avessi detto Fa’ quel che ti pare, ma il mio cuore agisce così!. Ecco è quello che sto facendo io adesso, una sorta di “comunicazione di servizio”. Io ti amo, Shaina, ti amo al punto da non poter vivere senza questo mio sentimento. La tua assenza mi pesa come un macigno sullo stomaco, ma devo accettarla, non posso rinchiuderti in una gabbia e tenerti accanto a me. Cerco di conviverci, cerco di non notare la tua tazza blu cobalto che mi fissa accanto alla mia, sul lavandino, chiedendomi che caspita stia aspettando a prendere il primo aereo per la Grecia e a riportarti qui con me.
Oh, se vorrei farlo! Arriverei come una furia, entrerei nel Santuario e ti riporterei indietro con la forza, se questo valesse a qualcosa. Ma non è così. E mi sfinisco di esercizi nella speranza di non sentire questo silenzio che mi urla che non ci sei, nella speranza di riuscire a dimenticare questo tarlo che mi ripete il tuo nome e mi intima di venirti a prendere. Non ascolto quella voce, so che mi comporterei da ragazzino e tu non vuoi questo vero? 

Così me ne resto qui, con la casa che mi parla di te, di noi e dei nostri momenti felici. Di quando abbiamo deciso di dipingere il soffitto di celeste ed abbiamo sbagliato le proporzioni tra colore e vernice, ottenendo un bel punto di pervinca. O di quando sei rimasta a dormire qui per la prima volta e mi hai svegliato portandomi la colazione a letto. O del maldestro tentativo del sottoscritto di prepararti una cenetta romantica, bruciando le scaloppine e facendo attaccare il riso alla padella. Della neve che cade, mentre noi rimaniamo abbracciati ad osservarla da dietro la finestra con una coperta di lana addosso. Dello shopping natalizio con te che vaghi tra la folla impazzita e io che ti arranco dietro stracarico di pacchetti. Delle tue caramelle all’anice. 
Del tuo profumo alla tuberosa, delle tue piante grasse che sembrano dirmi “Quand’è che torna?”.

Ho lasciato tutto così com’era quando te ne sei andata; le tue cose sono sempre qui, nell’anta sinistra dell’armadio: il tuo pigiama rosa carico dal taglio maschile, le tue pantofole, la tua spazzola anti-crespo, il tuo rossetto color miele ed il tuo spazzolino da denti rosso. Perché io ci spero, sai? Sarò un inguaribile ottimista, ma io ci credo al tuo ritorno. Un bel giorno, quando meno me l’aspetterò, ti troverò qui, seduta al kotatsu mentre mangi un mandarino. Oppure, entrerai in una giornata di pioggia, come se non fosse successo nulla, e mi dirai “Non hai idea di che giornata impossibile ho avuto oggi!”. E io ti abbraccerò, togliendoti il respiro ed ubriacandomi di te. 

Ecco che comincio a fare lo smielato! Scusami, forse ti starò annoiando, ma voglio dirti tutto quello che non ti ho mai detto. Se solo tu mi dessi un’ora, un’ora sola della tua vita, e mi lasciassi parlare, spiegare forse… forse riuscirei a dimostrarti che anche Seiya può crescere. Pur rimanendo se stesso senza mettersi una maschera di cartapesta sulla faccia. Non avrebbe senso, alla fine si romperebbe, e tu ti ritroveresti con uno sconosciuto. E io non mi riconoscerei più. Che senso può avere? Se ami Seiya, vuoi Seiya. Non vuoi il corpo di Seiya ed il cervello di qualcun altro, questo lo so, ti conosco fin troppo bene. Però anche uno sciocco buffone impulsivo come me può dimostrare cervello e maturità, quando occorre. Ricordi la fine di quest’estate e quella cena disgraziata? Tu mi hai rimproverato di avere esteso l’invito a tutti gli altri senza averti prima consultata ed avvisata. Ed è finita con il sottoscritto con una guancia gonfia ed un bel litigio tra di noi; me ne sono andato in giro, pensando che, il giorno dopo mi sarei cercato un lavoro come si deve, che avremmo comprato un bel letto matrimoniale e che ti avrei dimostrato di avere le palle per convivere e prendermi cura di te. E poi, quella doccia fredda, proprio quando ero venuto a scusarmi per averti fatto perdere il lavoro. Le cose sono cambiate, Principessa, il tuo stupido bamboccio ha passato questo periodo ad analizzare se stesso e a capire cosa dovesse fare per riconquistarti e convincerti che sì, anche Seiya può maturare. E crescere.

Il lavoro ce l’ho, anche se non sono entrato alla Fondazione Grado. Adesso gestisco una palestra, nelle vicinanze del porto, per bambini esuberanti che non sanno come sfogare altrimenti la loro energia. Lo so, sono un Saint. Ho salvato il mondo tante di quelle volte, credi che lo abbia dimenticato? Ma io ho anche una vita privata, Shaina, e sono stufo di essere stipendiato da Saori come se avessi ancora dieci anni. Ne ho quasi venti, ed è ora che inizi a camminare con le mie gambe. 
Vuoi farlo insieme a me? 
Vuoi? 
Ti dimostrerò che anche io sono perfettamente in grado di sobbarcarmi delle responsabilità, essere allo stesso tempo, un uomo, un amante, un compagno, un amico, un confidente, un camerata… tutto quello che vuoi. Perché insisto tanto? Perché io non ci credo che l’amore che provavi per me sia evaporato all’improvviso, come acqua nel deserto.
Quante volte mi hai salvato, Shaina? Dal Lightninig Bolt di Aiolia, dalla Freccia d’Oro che Poseidone mi riscagliò contro. Hai preso le nostre parti durante la Corsa al Santuario, difendendo Marin mentre io correvo su per la Scalinata delle Rose. Trasferendoti accanto a me, qui in Giappone. Curandomi quando stavo male, facendo la spesa insieme, assaporando con me il piacevole torpore di una domenica mattina d’autunno, mentre fuori piove e il mare muggisce contro gli scogli artificiali. Fulminando Miho al vostro primo incontro, intimandole “Lui è mio!” con lo sguardo. Me l’ha detto lei, io da bravo superficiale, non me n’ero mai accorto. Sì, mi sono confrontato con Miho per avere un parere femminile, e se da una parte mi auguro che questo non inasprisca ancor di più i nostri rapporti, dall’altro spero che tu, un pochino, abbia sentito una piccola, piccola fitta di gelosia. Per me vorrebbe dire molto. 


Io non credo che tu mi abbia dimenticato, non è possibile. Sono sicuro che una possibilità, per noi, ci sia ancora. Perché io ti sento radicata in me, troppo profondamente, troppo viva e vicina, nonostante sia da più di due mesi che non metti piede in casa mia. Ti ho sulla pelle, come una camicia, sotto pelle, come il sangue, dentro l’anima; ti sento qui, accanto a me, ed ogni notte mi sistemo su un fianco, accarezzando il posto che occupavi quando ti fermavi da me. Il letto matrimoniale non l’ho ancora comperato, voglio sceglierlo con te. Così come aspetto te per cambiare casa e per cercarne una più grande per tutti e due. 

So che prossimamente Saori darà una Festa di Natale al Santuario. 
Io non ci sarò, resterò qui. 
Nella busta troverai un biglietto aereo in una custodia di plastica rigida, e spero che tu non sia riuscita a strappare anche quella!
Il volo parte da Atene il 21 Dicembre alle dieci di sera ed arriva a Tokyo alle undici di mattina del 23 Dicembre, con uno scalo di tre ore a Francoforte. Al tuo arrivo troverai un taxi ad aspettarti, è già tutto pagato, mancia compresa. Io ti aspetterò al bar ABC, a Shinjuku; mi troverai lì per tutto il giorno, al secondo tavolo a sinistra come si entra nel locale. 
Se verrai, ti dimostrerò con i fatti come anche Seiya, lo stupido, idiota e impulsivo Seiya possa crescere e diventare un uomo. 
Se, invece, per qualsiasi motivo tu non dovessi venire, non ti disturberò più ed accetterò questo tuo silenzio come la più eloquente delle risposte. 
Scusami se ti ho preso del tempo, magari avevi ben altre faccende di cui occuparti che stare a sentire questo patetico tentativo di conquistarti di nuovo.
Io ti amo, sappi solo questo. E spero con tutto il cuore che tu prenda quell’aereo. 

Come stella doppia in cielo
Seiya



Shaina fissa la lettera tenuta assieme con il nastro adesivo. Ce l’ha tra le mani, indecisa su cosa farne, se gettarla dentro al camino, che scoppietta allegro alle sue spalle, o se restarsene ferma e rigirarsela ancora tra le dita. 
Seiya. 
La grafia sulla busta non è la sua, ma il timbro postale parla chiaro: una persona sola poteva averle spedito una lettera dal Giappone, di certo non Saori o Hyoga, oppure Shun.
Seiya. 
Non ha neppure aperto la busta, ma l’ha stracciata fino a quando le sue dita non hanno incontrato qualcosa di più rigido della carta o di un bigliettino d’auguri. Un biglietto aereo. E allora ha raccolto ad uno ad uno quei pezzi di carta strappati con lentezza, come voler ribadire a se stessa che no, non ci sarebbe cascata di nuovo, che con lui ha chiuso e che è ora che anche lui volti pagina. Ha preso il nastro adesivo e ha rincollato quei frammenti scritti in un greco non fluidissimo, e li ha letti, una tazza di tè bollente tra le mani. 
E adesso?, si chiede poggiando la lettera sul tavolo e specchiandosi nel riflesso bruno del tè. Che cavolo faccio?, pensa indecisa; è tornata in Grecia non appena Milo ha ottenuto licenza di rientrare, sostituito da Aldebaran. Se n’è infischiata di tutto e tutti, è andata da Athena e le ha esposto il suo bisogno di tornare indietro e di rendersi utile, in qualche modo, al Santuario. E Saori le ha detto di sì. Non le è importato chiarirsi con Seiya, aspettare che lui uscisse dall’ospedale o altro; ha preso al volo il primo aereo per Atene e via. Quanto a Milo, non si è comportato esattamente come un affettuoso compagno di viaggio, anzi. È sprofondato in un impenetrabile mutismo non appena ha posato il suo sedere dorato sul soffice sedile della Prima Classe, e da quel momento non si è più degnato di scambiare con lei due parole, neanche per chiederle se soffrisse il mal d’aereo o che ore si fossero fatte. 
E lei si è adeguata. Quando, all’aeroporto, si sono separati, lui le ha a malapena rivolto un «Ciao» prima di prendere l’autobus per il Pireo e raggiungere Naxos via traghetto. E da allora non si sono più incrociati al Santuario, nemmeno di sfuggita. 

Da un lato, si sente sollevata: Seiya ha intuito, grazie al Cielo, che non l’ha lasciato perché si è presa una cotta per Milo. Forse è vero che con il tempo e la paglia maturano anche le nespole, però… però non se la sente di rivederlo. Di rischiare di perdere un equilibrio conquistato faticosamente. È stato difficile anche per lei iniziare a vivere senza Seiya, accettare il fatto di non sentire più la sua presenza accanto a lei, dover ignorare gli accorati appelli che lui le ha rivolto fino all’inizio di Dicembre tramite il Cosmo. Non è stato facile resistere alla voglia di rispondere ai suoi richiami, ignorare l’odore della sua pelle che le si era attaccato addosso, ma doveva farlo, doveva disintossicarsi da lui, dal suo modo di fare che l’aveva portata ad essere un’altra Shaina. A non piacersi più, a non riconoscersi più. Io non sono così!, si era detta mentre stava sotto la doccia, dopo una giornata estenuante in cui aveva perso il lavoro. Un Silver Saint che faceva la commessa in una boutique per signore annoiate. Ma siamo impazziti?, aveva commentato spalmandosi una generosa dose di bagnoschiuma al gelsomino sulla pelle ed iniziando ad insaponarsi con movimenti circolari e penetranti, come se volesse lavarsi via tutta la stanchezza che sentiva sulle spalle. 
Non riesce ad essere lucida. No, non ce la fa. Riprende la lettera e se la rigira tra le dita. Lo immagina seduto al kotatsu, a casa
adesso la chiamo anche casa?
 
mentre sceglie con cura quel foglio di un delicato verde pastello ed inizia a ricopiare la lettera che ha pensato per lei. Perché lei lo sa com’è fatto veramente, quel terremoto umano: impulsivo, sanguigno, ma quando sta facendo qualcosa che gli sta veramente a cuore è capace di dedicare una cura inaspettata per piccole cose come la scelta di un colore, di un odore, di un sapore. Di un’emozione. Carta verde pastello e busta giallo zafferano, un accostamento che lui sa che le piace. E inchiostro nero pece. Shaina ha sempre trovato surreale l’inchiostro blu, un vezzo frivolo da signorine ben educate. I documenti, le cose importanti, concrete, si scrivono in nero, e questo lei lo ha sempre ribadito ai quattro venti. E lui l’ha presa alla lettera, scegliendo il tratto di una romantica stilografica che ha lasciato delle curve nere sul verde della carta. 

Che deve fare con lui? Posa la lettera sul tavolo e si prende una mela. È in un bel pasticcio. Da un lato, si sente sollevata nel sapere che Seiya non si presenterà alla festa che Saori sta preparando e per cui ha preteso la partecipazione di tutti i Saint. Si stava già torturando con domande su che cosa fare una volta che l’avesse rivisto. Parlargli? Evitarlo? Fingere che non fosse successo niente? 
Alla fine aveva scelto di assecondare la sua reazione, reagendo di conseguenza. Un’altra parte di lei, però, le ricorda che in fondo, potrebbe anche fare un salto laggiù per prendere le sue cose: i pigiami invernali, quel completino intimo color champagne che le era costato quasi mezzo stipendio, le sue adorate piante grasse, i cd dei Depeche Mode. 
Indecisa, addenta la mela e la divora osservando il crepitio delle fiamme che guizzano nel camino. 
Non sa proprio come comportarsi: possibile che ogni volta che lei decida di seguire un corso d’azione, arrivi sempre e comunque Seiya a sconvolgerle l’esistenza?
Una mina vagante, ecco cos’è quel ragazzo! Un’adorabile mina vagante dai grandi occhi, scuri e profondi come il cielo stellato, la voce morbida e sensuale, la pelle calda… no! Assolutamente no! Addenta con più forza l’ultimo mozzicone di mela: non deve assolutamente ricascarci, non adesso che è riuscita a toglierselo dalla testa. 
O no? 
Getta il torsolo nel fuoco. Le piace l’odore dell’olio essenziale di mela, lo preferisce a quello dei mandarini. Già si sente il leggero aroma acidulo spargersi per l’aria. Avanti, devo ancora finire di rassettare casa!, si dice rimboccandosi le maniche della camicia beige e spostando il letto da sotto la finestra. Ci sono un po’ troppi spifferi per i suoi gusti; d’estate va bene, è persino piacevole sentire un refolo gentile sulla pelle, ma adesso, con mani e piedi che faticano a mantenere il calore corporeo costante, le pare solo un inutile spreco. La notte non è fredda, ma all’alba la temperatura scende di un bel po’ di gradi; e alzarsi la mattina infreddolita le manda in fumo tutta la giornata. 
Lavorare le servirà. Non penserà a Seiya, a quella maledetta lettera e a quella vocina che le dice che sì, passare il Natale a Tokyo non è poi un’idea così malvagia. 


«Guarda che Primavera è lontana!» 
Marin e il suo volto di porcellana. Un po’ si assomigliano, Seiya e lei. O forse la pensa così per il preconcetto che tutti gli orientali si assomiglino? 
«Shaina?» 
Scuote la testa: ecco, stava di nuovo pensando a Seiya! Volare in Giappone? Non se ne parla neppure. 
«Ehi, ma sei diventata sorda?» 
«No, scusami, ero sovrappensiero…», si giustifica alzandosi dal pavimento e pulendosi le mani sui jeans. 
«Ho notato. Come mai ti sei data alle grandi pulizie? Aspetti visite?», le chiede Marin entrando. 
«No, scema!», dice Shaina mentre prende una sedia addormentata a pancia in su sopra al tavolo e la porge all’altra. «Dovevo tenermi impegnata.»
Marin la guarda con un’espressione indecifrabile. 
«Non ho molto da offrirti, scusami. Avrei dovuto fare la spesa stamani, ma poi…»
«Poi?», l’incalza l’Aquila appollaiata sulla sedia di paglia, le ginocchia al petto. 
«Poi Agathê mi ha dato una busta…»
«E?»
Shaina la fulmina con lo sguardo verde. 
«E non hai mai pensato di farti mezzo chilo di fatti tuoi?» 
È inviperita, pensa Marin. E questo può significare una cosa sola. Seiya. «Sono passata in un momento sbagliato, avrei dovuto immaginarlo!», fa la ragazza alzandosi dalla sedia. 
«Aspetta!» 
La voce di Shaina la ferma con la mano sulla maniglia. Marin si volta. 
«Scusami, è che ho la sindrome premestruale», si giustifica la padrona di casa tirandosi dietro l’orecchio una ciocca che sfugge dalla coda sulla nuca. 
Raccontalo ad un’altra! Tu ti rimpinzi di schifezze, quella isterica sono io, pensa Marin tornando ad accomodarsi al tavolo. «Ne vuoi parlare?», le chiede per tastare il terreno. Shaina si versa un bicchiere d’acqua, che l’altra rifiuta, e lo tracanna tutto d’un fiato. 
«Sul tavolo c’è una lettera», e Marin si volta, notando in quel momento un foglio verde rattoppato con lo scotch. E sopra vi campeggia una grafia a lei assai nota.
«Puoi leggerla, se vuoi», e Marin capisce che quell’innocuo se vuoi altro non è che una richiesta mascherata. Donna orgogliosa!, sorride tra sé e sé, prendendo il foglio e scorrendo le parole con calma. 


«E ora?», le chiede quando ha finito. 
«Ovviamente, tutta la parte su Aiolia sono pippe mentali di Seiya», le precisa subito, dovesse pensare che ha messo gli occhi sul suo uomo! 
«Sicura?» 
«Non starai pensando che ti voglio soffiare Aiolia!?», sbotta Shaina con gli occhi spiritati. 
«No. Tu e Aiolia vi ammazzereste dopo neanche dieci minuti passati nella stessa stanza.»
«È così palloso?», le chiede accomodandosi accanto a lei. 
«Diciamo che è un tipo molto, molto preciso. Nel senso che ama avere le redini di tutto, e se non sei più che diplomatica finirebbe per gestirti come se fossi una bambolina», le spiega l’amica con un sorriso. «Per il resto è un gran disordinato! Lascia in giro tutto, dai calzini ai cd, e poi… il cartone del latte vuoto rimesso in frigorifero, il pane lasciato sempre fuori dalla busta, lo zucchero o il sale che finiscono e lui che se ne guarda bene dall’avvisarmene, la lavatrice avviata senza dividere i colorati dai bianchi e senza controllare la temperatura…»
Marin elenca tutti i difetti del suo compagno aiutandosi con le dita, che non le bastano, e a Shaina scappa un sorriso nel vedere l’immagine del prode Aiolia andare in pezzi come un vetro che ha ricevuto una pallonata. 
«Non dirmi che ti sei ritrovata con gli slip blu?» 
«Magari! Ho tutti i reggiseni grigio perla. Tutti. Non se n’è salvato neanche mezzo. Aiolia ha messo in lavatrice due calzini color antracite e l’ha fatta partire.» 
«Che carino!» commenta Shaina ridacchiando. 
«Già, un vero amore! Peccato che il carico fosse preparato per un ciclo a quaranta gradi! I miei poveri reggiseni! E lui ha avuto il coraggio di lamentarsi per i suoi calzini infeltriti! Hai visto che cos’ha combinato quell’aggeggio infernale che tieni in casa?, mi ha detto mostrandomi due pezzettini di lana bucherellati.» 
Marin assume un’espressione afflitta. 
«Li avevi pagati molto, quei reggiseni?» 
«Uno sì. Mi era costato una tombola, ma il signorino me li ricompra tutti, oh se lo farà!». Sorride. «Che hai intenzione di fare tu, piuttosto?» 
Shaina vorrebbe cadere dalle nuvole, ma ha capito perfettamente che Marin sa che lei sa. 
«Non lo so» ammette. Marin ripiega la lettera e gliela porge. 
«Analizziamo il problema?», si sente proporre con quel suo modo di fare così materno e comprensivo che in genere la fa uscire fuori dai gangheri; ma stavolta, no. Stavolta vede la mano che Marin le sta tendendo come una luce ben distinta nella nebbia fitta in cui sta brancolando. Seguiamo la lucina, si dice mentre le risponde «Perché no?», con fare indifferente. Marin lascia che si prenda tutto il tempo che le occorre per centrare il nodo del problema. Sa che non ci vorrà molto, per come la conosce. 

«Il problema sono io.» 
E infatti, Shaina si dimostra essere una donna che non ama perdere tempo in futili elucubrazioni mentali, ma che quando lo fa, è capace di arrivare al nodo più velocemente del proverbiale pettine. 
«Mi sono resa conto», continua l’Ofiuco, «che durante questi cinque anni passati in Giappone, il mio rapporto con Seiya non è andato da nessuna parte. Non si è né evoluto, né è regredito. Ha vegetato. Lui che partiva per salvare il mondo, io che lavoravo e tornavo a casa con i piedi gonfi la sera. Una volta da me, una volta da lui, e il fine settimana lo passavamo insieme. A volte non riuscivamo nemmeno a vederci, tanto ero cotta.» 
«Beh, ma non vedersi è più sopportabile se si sta sotto lo stesso cielo.» 
«Marin, il problema non è solo quello. Non nascondiamoci dietro un dito!», le risponde palleggiando un mandarino. «Il guaio è che io sono diventata un’altra donna, una donna che non mi piaceva.» 
«E così sei scappata via?» 
«Scappata? Io?» 
«Sì, tu! Seiya ti accusa di questo, non sei riuscita a leggerlo tra le righe?», le chiede l’Aquila inarcando un sopracciglio. 
No, non può essere sua sorella, è troppo acuta rispetto a lui!, pensa Shaina mentre riapre la lettera alla ricerca della frase incriminata.

Ecco, io in questi due mesi non ho fatto altro che pensare, pensare, pensare a dove ho sbagliato con te e a come fare per poter recuperare il nostro rapporto. Io senza te non sono io.

«Seiya ti accusa di aver preso armi e bagagli e di essertene andata via senza dargli un’ultima possibilità per chiarirsi con te.» 
«Sì, certo! Lo so io come avrebbe voluto chiarirsi, lui! Finendo a letto, come al solito!» 
«Tipico dei maschi, non lo sai?» 
«Non dirmi che anche Aiolia…»
«È un uomo come tutti gli altri, cosa credi? E tutti i maschietti pensano che le cose si possano risolvere ed appianare con un po’ di sano sesso. Non che mi dispiaccia, ma sono le parole quelle che aiutano a risolvere una crisi. Il silenzio ha ragione di essere quando c’è armonia, non quando bisogna ricompattare una coppia», le spiega l’amica. È seria, Marin, dannatamente seria, e Shaina capisce che non deve essere un rapporto tutto rose e fiori. 
«Quindi, ho ragione io! Seiya vuole risolvere il problema finendo a letto!» 
«No. Te l’ha scritto qui…», le risponde mostrandole il punto sulla lettera. 

Scusami, forse ti starò annoiando, ma voglio dirti tutto quello che non ti ho mai detto. Se solo tu mi dessi un’ora, una sola, della tua vita, e mi lasciassi parlare, spiegare, forse... forse riuscirei a dimostrarti che anche Seiya può crescere.

«Lui vuole solo avere un’ultima occasione per parlarti, Shaina. Parlarti. O non avrebbe scelto un bar per incontrarti, no? Ti avrebbe offerto la cena in un ristorante, magari uno italiano, e poi avreste concluso la serata in albergo.» 
Shaina pensa che, tutto sommato, il ragionamento di Marin fili. E poi Seiya è un tipo diretto: pane al pane, vino al vino, non è una persona capace di simili giochi machiavellici. 
«Gliela darai quest’occasione, Shaina?», le domanda Marin un po’ preoccupata. 
«E anche se così fosse? Mettiamo il caso che io prenda quell’aereo», fa sventolando il biglietto, «e vada a Tokyo. E poi? Che gli dico? Scusami, ma non sei l’uomo adatto a me? Andiamo, meglio così…»
«Meglio così, per chi? Per te? Non credevo che fossi così vigliacca, sai?» 
«Vigliacca, io?», si difende Shaina. 
«Sì, tu. Chi altri? Chi è partita senza dargli uno straccio di spiegazione, tu o io? Chi non ha il coraggio di darci un taglio netto, ma preferisce non sporcarsi le mani lasciando quel povero ragazzo ad elemosinare una tua risposta? Eh, Shaina?» 
«Tu sei di parte…», tenta di ribattere quando l’altra l’interrompe dicendole: «No, mia cara! Se io fossi stata realmente di parte, mi sarei intromessa non appena l’avessi saputo, e non avrei aspettato in disparte lasciando che risolveste da voi le vostre controversie, non credi? Ho pensato fosse giusto non aprire bocca, ma adesso, scusami, non posso più tacere! Non posso per riguardo a Seiya.»
Il tono di Marin non si alza, ma si fa conciso e tamburellante. 
«Io voglio un uomo accanto, non un ragazzino a cui dover sempre asciugare il naso! E Seiya questa sicurezza di cui ho bisogno non potrà darmela mai. Mai. Perché è proprio questo suo carattere infantile a renderlo così speciale», ribatte l’Ofiuco cercando di restare calma. 
«Se le cose stanno realmente così come dici, perché allora non sali su quell’aereo e non gliele canti di persona, come stai facendo con me?» 
«Starai scherzando, spero! È già umiliante sentirsi rifiutare da una donna, vuoi che lo ammazzi del tutto?» 
«Forse lo ammazzerai, ma glielo devi. È sempre meglio un bel pugno allo stomaco di quest’attesa sfiancante. E, soprattutto, è più onesto.» 

Restano in silenzio, il rubinetto del lavandino che goccia pian piano. Marin fissa un punto imprecisato davanti a sé sul tavolo scuro, in attesa che Shaina trovi la forza per ribattere, per dire qualcosa, per mandarla anche solo a quel paese. Ma il battagliero Ofiuco tace. Si rigira tra le mani bianche la lettera di Seiya da una ventina di minuti, senza aprire bocca. E Marin decide che si è intromessa fin troppo: quella è una decisione che spetta solo a Shaina prendere, e lei deve ancora stendere il bucato. «Pensaci…»
«Che giorno è oggi?», le chiede Shaina ritrovando di colpo la parola, mentre continua a fissare il foglio verde pastello. 
«Il venti di Dicembre», risponde Marin prima di aggiungere: «Kalimera», ed uscire da quella casa lasciandola da sola a sola con il fantasma di Seiya. 


Dormire sulle poltrone dell’aereo è la cosa più orribilmente scomoda che la mente umana possa aver concepito. Tutte quelle ore di volo le hanno fatto dimenticare di possedere un bel paio di gambe affusolate. Alzatevi e fate una passeggiata ogni ora, recita il mensile per signore che ha comperato al Duty Free seguendo lo strillo in copertina circa un articolo sulle dritte per chi effettua lunghi voli. E la foto di Kevin Costner l’ha convinta a scegliere Cosmopolitan e a leggerlo per tutto il volo. Passeggiate!, imponeva la giornalista dalle colonne di carta stampata; sì, ma dove? Era pur sempre su un aereo, non su una nave da crociera. Ha visto tutti e tre i film in programmazione, si è spulciata la rivista da cima a fondo e ha esaurito le pile del walkman. Tutto, pur di non pensare ad un eventuale discorso da fare a Seiya. Ha deciso di essere spontanea. Già se lo immagina: lui le chiederà dove ha sbagliato con lei, quando e perché, dando fondo a tutto il repertorio delle frasi cui i maschi attingono in questi casi. Ha deciso di dirglielo chiaro e tondo, senza tanti giri di parole, una volta per tutte. Seiya, sei un bravo ragazzo e ti ho amato moltissimo, ma io sono cambiata. Non sono più la ragazzina di sedici anni che ti ha dichiarato i suoi sentimenti: sono cresciuta. Sono una donna, adesso, una donna che ha bisogno di avere un uomo accanto. E tu non sei quell’uomo. Mi dispiace, ma le cose stanno così. Grazie di tutto.
Semplice facile e indolore; questo è l’unico canovaccio che ha intenzione di seguire per indorargli almeno un poco la pillola. 
L’aereo sta per atterrare, ha giusto il tempo per andare in bagno e cambiarsi d’abito. Ha indosso un paio di jeans e un maglione bianco, a collo alto. Due occhiaie che fanno paura, il colorito spento e i capelli che sembrano stoppa verderame. Va bene che gli deve dare picche, ma non vuole che gli prenda un colpo nel trovarsela davanti combinata come una strega. 
Ma c’è proprio bisogno di mettersi l’abito nero con le maniche a tre quarti?, le chiede la solita vocina, la stessa che l’ha convinta a salire sull’aereo con solo il bagaglio a mano e che l’ha tormentata per tutto il volo. S’impone di ignorarla, mentre chiude la porta del bagno e tira fuori dal borsone rosso abito e beauty case. 


Trova il tassista ad accoglierla con un grande cartello giallo-oro su cui campeggia il suo nome completo in rosso-porpora. Si avvicina all’uomo che l’accoglie con un sorriso compitissimo ma sghembo, la divisa blu inappuntabile. 
«Dov’è il suo bagaglio, signorina?», le chiede in inglese fluente notando che porta con sé solo un borsone da palestra, decisamente inadeguato all’abito classico di velluto nero che le cade a pennello sul fisico statuario. 
«Ho solo questo borsone, possiamo andare», gli risponde precedendolo verso l’uscita.
Europee, tutte uguali!, pensa il tassista rincorrendola a grandi passi. Fuori piove, una pioggerellina leggera, leggera: lei si stringe nel cappotto di lana pesante: ha dimenticato quanto potesse essere fredda Tokyo sotto Natale.
«Prego!» Il tassista le apre la portiera e lei scivola dentro la vettura. L’uomo sale, e parte verso Shinjuku, verso il fantomatico ABC, e lei ringrazia che se ne stia zitto e non l’assilli con domande fuori luogo. Ha già quella voce fastidiosa a tormentarla, e adesso ci si è messo anche il suo cuore! Batte, batte, batte talmente in fretta che le sembra d’impazzire.
Calma, devo stare calma, si ripete; non può farsi fregare, non ora, sarebbe ridicolo. Seiya gioca in casa, lo sa perfettamente che sarà un incontro difficile, ma sono proprio le partite vinte su campo esterno quelle che contano di più. Shaina espira lentamente e fissa la schiena del tassista, in uniforme blu al di là del vetro, restare perfettamente diritta lungo il sedile, mentre le mani guantate di bianco tengono ben saldo lo sterzo. 
Strano popolo, i giapponesi, pensa mentre l’auto scivola silenziosa lungo le strade bagnate. 


L’ABC è un bar incastrato al nono piano di un elegante grattacielo nel cuore di Shinjuku. Il taxi l’ha lasciata all’entrata, sparendo nel mare di automobili che affollano la strada piovosa. È entrata, con passo sicuro, attraverso l’elegante porta girevole profilata di metallo dorato arricciato in volute liberty, ha consultato la legenda all’ingresso e preso l’ascensore, custodito da un ragazzo giovanissimo, inguainato in una divisa rossa dai bottoni dorati. Una scimmietta ammaestrata, ha pensato all’altezza del terzo piano, pentendosene poco dopo. 
Le porte automatiche del bar si sono appena chiuse dietro di lei. Nessuno sembra aver fatto caso al suo arrivo; il barista, un uomo sui trent’anni, alto, con gli occhiali dalla montatura ovale e null’altro interesse se non la brillantezza del bicchiere che ha tra le mani, le rivolge un timido sorriso e ritorna al suo lavoro. Il locale è pressoché vuoto, i tavoli ovali sono abbigliati con un’allegra tovaglia azzurro carico e delle rose blu, tre per ogni vaso che svetta solitario. Non ci sono avventori, tranne un ragazzo seduto al secondo tavolo a sinistra come si entra nel locale. 
Non può restare ferma sulla soglia come uno stoccafisso; avanza e si accomoda ad un tavolo accanto all’unico occupato, osservando il riflesso di quel ragazzo attraverso uno dei tanti specchi che costeggiano le pareti del bar, ingegnoso trucco del proprietario per far sembrare più spazioso un locale senza troppe manie di grandezza. 

Lui non si muove. Shaina sa che si è accorto che lei si è seduta molto vicino a lui, ma Seiya, perché è di lui che si tratta, non muove un solo muscolo. Le sembra di avere a che fare con una statua di cera, e non riesce a fare altro che osservarlo. Deve ammettere che è cambiato, sul serio! Si è fatto ancora più bello, più di quanto i suoi sogni le abbiano ricordato in questi mesi; sarà forse per via del blazer blu che indossa con finta distrazione sopra il dolcevita bordeaux? Il cuore le batte sempre più forte, le invade le orecchie e sente tutte le sue certezze, solide come granito, crollare come le mura di Gerico al suono del corno di Giosué. Ora, per la prima volta da non sa più quanto tempo, lo vede realmente per quello che è: Seiya non è più un ragazzo spettinato, simile ad un gatto randagio, sempre con la battuta e lo scherzo pronti. È un uomo, un bell’uomo dalle spalle larghe, i capelli sistemati e il pizzetto curato che gli adorna il mento. Può sentire il leggero odore speziato d’ambra del suo dopobarba, lo stesso che lei gli aveva regalato per l’ultimo San Valentino, arrivare a lambirgli il naso, catapultandola nel passato e riscagliandola nel presente nello stesso momento.


Lui non si muove, se ne resta fisso a guardare le tre rose di un blu carico che coabitano nel piccolo vaso di vetro, azzurro come tutto il resto del locale, dai tavoli alle sedie, al bicchiere d’acqua che il barista si è premurato di porle davanti non appena si è seduta, al pavimento lucido, alle tende di delicata organza che velano discrete le ampie finestre affacciate su Shinjuku. Un posto elegante, ma non ingessato, silenzioso a dispetto del caos che attanaglia la strada sottostante, intimo e tranquillo al tempo stesso; il luogo ideale per parlarsi serenamente, confrontarsi, spiegarsi. Chiarirsi. 
Ma perché, adesso che finalmente è lì con lui, adesso che si è preparata il discorso da fargli, adesso che forse è forte al punto di potergli dare un grande dolore senza infierire su di lui… perché, adesso, ha la tremarella alle gambe? Crampi provocati dal lungo volo? Suvvia, non scherziamo, le ridacchia dietro la solita vocina fastidiosa che l’ha perseguitata per tutto il viaggio. Perché?, l’incalza il suo io interiore, con tono canzonatorio cui lei riesce a ribattere solo un isterico «Sta zitta!», che non sembra sortire alcun effetto. 
Se ne resta seduta al tavolo per quasi un’ora abbondante, mentre la radio diffonde nell’aria le note di celebri motivi natalizi e quelle di canzoni d’amore soft. Il barista sembra non fare caso a quella strana coppia di clienti; se ne rimane dietro il suo bancone a sistemare il locale, controllando la lucentezza dei suoi bicchieri ad uno ad uno. Sarà abituato a queste situazioni, pensa Shaina prima di decidere che ne ha le tasche piene di quel mutismo, e che non si è certo sorbita quasi ventiquattro ore di volo per rimanere in silenzio davanti a delle rose finte come una banconota da due dollari. È ora di prendere il toro per le corna. Uno, due, tre, un bel respiro profondo e Shaina si alza dalla sedia proprio mentre la radio diffonde le prime note di un motivo familiare. Troppo familiare.
Resta letteralmente congelata, tutta protesa verso la musica che esce dagli altoparlanti, mentre sente la voce di Dave Gahan inondarle le orecchie come la risacca al tramonto. Entra in sintonia con la musica, le note, il giro di basso e la presenza di Seiya in quel locale. Che abbia già acquisito la completa padronanza dell’Euphonia di Sagittarius? 
 
Words are very unnecessary
They can only do harm 

Resta fulminata da quella frase. Le parole non sono necessarie, rendono solo tutto più difficile. Quante volte si sono addormentati così, senza parlare, con quella canzone come sottofondo? Quante volte si sono capiti al volo? Quante volte lei gli ha affidato la propria vita solo basandosi su un rapido scambio di sguardi?
Perché lo hai fatto?, le chiede quella vocina, che ha perso il tono sarcastico ed indisponente di prima. 
Perché? Fiducia? Rassegnazione? Disperazione? Amore?
Perché l’ho fatto?, si domanda lei mentre la melodia inizia a dissolversi nell’aria. E non trova una risposta. O meglio: si accorge di vedere qualcosa, un punto luminoso che ruota veloce nel buio, come una stella cadente che le segnala la propria presenza. Segue la scia di quel minuscolo puntino, che si avvicina sempre di più, di più, di più… fino a quando lei non vede.
«Ed era Enjoy the Silence, dei Depeche Mode, richiesta da Seiya per la sua amatissima Principessa… Tanti auguri, ragazzi! E adesso passiamo a…»
La voce dello speaker radiofonico la catapulta di nuovo nel presente. Seiya non si è mosso. Calma piatta. Percepisce i sensi di lui tesi all’eccesso, come le corde del proverbiale violino: è calmo solo in superficie, come le placide acque di un lago percorse da rapide correnti profonde. Dentro sta male, lo percepisce a pelle; sente che Seiya prova un’ansia profonda che lo sta soffocando e rischia di fargli saltare le coronarie da un momento all’altro. Il tempo riprende a scorrere normalmente sotto le note di How deep is your love, dei Bee Gees. Deve fare qualcosa. Adesso, altrimenti lui esploderà come un ordigno. 
Vai da lui, vai da lui, vai da lui…
Il suo cervello la sta martellando con queste tre parole. Non ne può più! Il puntino luminoso, scaraventato all’indietro, nel buio, non appena Shaina è tornata all’hic et nunc, ritorna a brillare a tempo, come un lampeggiante d’emergenza. 
Click, clack, click, clack, click, clack…
Basta!, urla lei dentro di sé. Decide di farla finita con quella situazione assurda e prende il borsone addormentato ai suoi piedi, lo infila a tracolla ed esce dal locale senza voltarsi. 

Il ticchettio dei suoi passi si spegne in lontananza quando Seiya riapre gli occhi. 
Andata. 
Perdutamente, irrimediabilmente, andata. Senza appello. E lui sente l’ansia che lo stava divorando vivo fino a pochi istanti prima, mutarsi in freddo, cupo e viscido dolore che serpeggia, striscia sotto pelle, lungo tutta la rete venosa e il sistema linfatico. 
Ok, lui ce l’ha messa tutta. Non ha nulla, nulla da rimproverarsi. 
Ma allora, perché si sente come se non fosse riuscito a soddisfare i desideri della sua stella, come se l’avesse, per l’ennesima volta, illusa e poi delusa? Come se non avesse fatto tutto quello che lei si aspettava da lui? Alla fine, non ce l’ha fatta. Ha fallito. F-A-L-L-I-T-O. Non è servito a nulla spedirle quel biglietto, provare a cambiare, a crescere per lei. Allora, si dice, devo aver sbagliato ogni cosa. Shaina non mi ha lasciato perché sono troppo immaturo per lei. È semplicemente stufa di me.
E adesso, dopo che si è imposto con violenza di non correrle dietro ed abbracciarla, adesso che vorrebbe solo che la Terra si aprisse sotto di lui e lo ingoiasse, che quel dolore che ha sfrattato il suo cuore e si è sistemato nel bel mezzo del suo petto se ne andasse e lo lasciasse in pace; adesso, solamente adesso lui capisce. Non lo vuole più. Solo questo. 
Non ha più senso restare lì ad aspettare. Rilascia le mani dalla morsa in cui le ha sottoposte sotto il tavolo dal momento in cui lei ha messo piede nel locale, prende il cappotto antracite abbandonato sulla sedia al suo fianco e si avvia all’uscita salutando il barista. 
«Buona Natale, Take!» 
«Buona Natale anche a te! Ah, Seiya?»,e Pegaso si volta verso l’altro, con un’espressione che lo fa assomigliare ad uno straccio logoro. «Corrile dietro!», gli consiglia il barista da dietro le lenti. 
«Se servisse a qualcosa, l’avrei già fatto, Take, l’avrei già fatto…» ,mormora mentre lo saluta con un cenno svogliato della mano. 


Fuori piove. Seiya alza il bavero del suo cappotto e si avvia verso la metropolitana. Ha un elegante ombrello bordeaux con sé, ma non lo apre, preferendo portarlo come se fosse la lancia di un malinconico e solitario cavaliere di ventura. Non nota le luci intermittenti che affliggono gli alberi piantati lungo il viale brulicante di persone. Non nota le coppiette indaffarate negli acquisti che passeggiano mano nella mano, o le studentesse che approfittano della pausa pranzo per comprare il regalo all’amica o al fidanzato. S’infila sotto terra e sale sul primo vagone del convoglio, appoggiandosi con la spalla ad un sostegno verticale, le spalle rivolte agli altri passeggeri; probabilmente nessuno baderà a lui, tutti presi come sono dalla frenesia del Natale, ma non vuole che gli altri si accorgano del suo stato d’animo malconcio. Isolarsi, vuole solo questo. Tagliare tutti i canali di comunicazione con il mondo esterno e rintanarsi nella tana per leccarsi le ferite.
Passerà, gli diranno così, e poi le solite frasi di rito: un bel giorno ti sveglierai senza pensare a lei, oppure l’ancor più odiosa combriccola di parole vedrai che ne riderai, fra qualche tempo, magari proprio con lei…
È sempre facile dare consigli e conforto quando non è il proprio cuore ad essere strapazzato e ridotto in briciole. Ma cosa ne possono sapere gli altri di quello che prova lui, di come si sente? Gli hanno tagliato via braccia e gambe, lo hanno estirpato dal proprio corpo e spedito via missile nello spazio siderale, anni luce lontano. È a pezzi, e non ha neanche voglia di piangere, a che servirebbe? Beate le donne che ci riescono!, pensa mentre il treno si avvicina verso casa sua. Un bel piantarello, due singhiozzi, quattro lacrime e poi stanno meglio! Peccato essere uomini…
Cos’è quel pizzicore che sale dalla gola ad invadergli il naso, allora? 
Guadagna l’uscita della stazione appena in tempo: l’aria fredda ed umida gli impedisce di scoppiare a piangere come un bambino che ha visto il proprio palloncino scappargli di mano ed involarsi verso il cielo di un azzurro struggente. Solleva il bavero del cappotto sopra la sua testa e si avvia verso casa, correndo sotto la pioggia che rimbalza sull’asfalto. S’infradicerà come un pulcino, lo sa, e passerà il Natale abbracciato alla borsa dell’acqua calda e la febbre alta. Una scusa perfetta per declinare l’invito di Saori. Lei non si è ancora arresa, nonostante tutti i ripetuti no che lui le ha risposto ogni volta.
«Se cambi idea, non hai che da raggiungerci, d’accordo?», conclude così ogni telefonata, e lui si chiede perché mai lei insista tanto e che senso abbia ripeterglielo ogni volta. Saori è fatta così. Ha sempre avuto un occhio di riguardo per lui, come se avesse intuito che il Santo di Pegaso, il forte e casinista Pegaso, abbia in realtà più punti deboli degli altri Bronze Saint. E pensare che Shaina era gelosa di questa premura! 

Seiya entra in casa e lascia il cappotto a gocciare sull’attaccapanni accanto al minuscolo genkan. Via le scarpe fradice, via i calzini zuppi, e via anche il blazer blu, che gli è costato un occhio della testa e che tornerà sotto naftalina per un bel pezzo. Si getta di peso sul letto, gli occhi fissi sul soffitto pervinca a tratti più chiaro, a tratti più scuro. Adesso le sente, le lacrime, scorrergli sulle guance abbronzate, ora che il suo cervello, in un masochistico flash-back, gli rammenta attimo per attimo di quel pomeriggio di fine Luglio in cui si erano prodotti nell’arte degli imbianchini. 
«Guarda che è troppo scura, Seiya…»
«Tranquilla, amore, va bene così, deve solo asciugare la tinta…»
«Sicuro? Per me è troppo blu.» 
«Ma il cielo è quasi blu.» 
«Nossignore! Il cielo è celeste, non azzurro!» 
«Come, no?» 
«No! Nemmeno d’estate è così carico!» 
«Sai che ti dico, Principessa? Che noi avremo un cielo estivo sopra la nostra testa! E aggiungo pure che se mi gira, ti dipingo anche un bel paio di cumulonembi!» 
«Un paio di... cosa
«Cu-mu-lo-nem-bi… », le aveva scandito e lei aveva preso il dizionario giapponese-italiano, gli aveva chiesto: «Come si scrive?», e aveva trovato la traduzione. E dato che lei non aveva la più pallida idea di come fossero fatte quelle benedette formazioni nuvolose tipiche del periodo estivo, l’aveva portata alla finestra e li avevano cercati insieme, laggiù dove cielo e mare si toccano. 


«Merda!» sospira premendosi il cuscino contro la faccia. Gli manca. Tantissimo. Una mancanza fisica, intestina quasi; si da’ dello stupido, dell’idiota, del coglione per non esserle corso dietro ed averla fermata. Falle vedere che sei maturo, si è detto, e questo è stato il risultato! Magari… magari lei non aspettava altro che essere rincorsa e presa tra le braccia, secondo la logica a volte contorta delle donne. E lui? Oh, no… lui doveva dimostrarle di essere maturo, forte, un uomo tutto d’un pezzo…
Fanculo! 
E se fossi ancora in tempo?
Si asciuga le lacrime. Tornare in Grecia dal Giappone non è esattamente come prendere il primo autobus per il centro. Ci sarà un numero specifico di voli al giorno, se non addirittura a settimana. Forse lei è ancora a Narita, magari se si riveste e corre laggiù… Sì. Sì! La troverà a fare i biglietti, oppure mentre esce dall’aeroporto. La prenderà e si farà ascoltare, fino alla fine, fino a quando non le avrà detto tutto. Tutto: che non ci si comporta così, che non si illudono le persone, che se proprio voleva dargli picche in quel modo, tanto valeva che se ne fosse restata al santuario, risparmiandosi ventiquattro ore di viaggio…
Stop. Stop! 
Fermi tutti! 
Che cosa ha detto il suo cervello? Ventiquattro ore? 
Nessuno fa un viaggio del genere e poi se ne sta zitto come se il gatto gli avesse mangiato la lingua. Nemmeno una pazza schizzata come Shaina! Ma allora?, si chiede mentre si ritrova con il piumino tra le mani, e la sua attenzione è catapultata alla porta. C’è qualcuno, fuori, che sta cercando le chiavi di scorta sotto lo zerbino. Un tintinnio argentino e il rumore della chiave che penetra nella toppa. Vuoi vedere che… ?
La porta si apre e… lei. Lei! Appare in una nuvola di fiato che si condensa non appena mette piede dentro casa. Si toglie le scarpe scalzandole con grazia e sale il gradino. 
«Brr, che freddo!» e si libera del cappotto, mentre lui resta imbambolato a fissarla posare il suo borsone accanto al kotatsu .
«Non hai idea di che giornata ho avuto! Ho tutte le ossa rotte!», e si massaggia il collo un po’ indolenzito. Lui resta sempre immobile come uno stoccafisso al mercato, con il cuore che fa le capriole ma con la paura che, allo stesso tempo, lei sia solo una chimera un’illusione che sparirà se solo proverà ad avvicinarsi a lei. 
«Beh? Che c’è?», gli chiede lei con un sorriso. «Di’ qualcosa, no?»
Sorride anche lui ora che sente il cosmo d’argento di lei carezzare dolcemente il suo. 
«Bentornata a casa tesoro!», le dice prima di avvolgerla in un abbraccio mozzafiato. 

Dedicata a JeanGenie (Natale 2005)
 
   
 
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