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Autore: Carooooool    22/12/2013    2 recensioni
La mamma mi accarezzò la testa. "Aspettatemi qui, care. Sarò indietro tra un attimo". Mi allungò la mia sorellina di un paio di anni circa, e la presi in braccio come mi aveva insegnato. Avevo 7 anni.
Era strano che la mamma ci avesse portato così lontano. In quel bosco c'eravamo state una volta con papà. Ma ora papà non c'era più e la mamma era molto triste ultimamente.
"Tranquilla cara, giusto il tempo di due secondi" mi rassicurò di nuovo. Prima di voltarsi si chinò ad abbracciarmi, e baciò la testolina di May dolcemente. Ritornò sui suoi passi e salì in macchina.
L'auto che si allontanava fu l'ultimo ricordo che ho di lei.
Non tornò più a prenderci.
Genere: Avventura, Azione, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Inspira.
Espira.
Inspira.
Espira.


Fuori il cielo è bianco, come le tende che incorniciano la finestra, o come i muri che mi circondano.
Mi passo una mano nei capelli cortissimi, le ciocche sono irregolari e mancano in alcuni punti. Non riesco nemmeno più ad aggrapparmici, non riesco a strapparle neanche se volessi. Mi limito ad accarezzarle, infilandoci le dita in mezzo.
Sono cresciuti un po', ma la consistenza è ancora ruvida, come la pelliccia di una volpe o di un gatto selvatico.
La sedia su cui sono seduta è scomoda, dura e rigida. Le ossa poggiano contro lo schienale. 
Sento il continuo fastidio dell'ago nella piega braccio, il rumore insistente della goccia che scende dalla flebo. 
Ogni tanto una delle signore vestite di bianco viene a controllare come sto, e cerca di convincermi a spostarmi, a fare due passi, un giro.
Con il loro sudicio sguardo forzatamente gentile. 


"Tutto divenne ovattato.
Le grida strazianti che uscivano dalla mia gola erano attutite da uno spesso strato di cera.
Era come se una nebbia bianca stesse annientando i miei sensi, li rendesse fuori uso.
Poco lontano da dove era parcheggiato un pickup nero c'era una specie di capanno di legno scuro, con una veranda.
Il corpicino di mia sorella mi cadeva dalle braccia come pasta frolla mentre cercavo di correre verso l'entrata.
Un giovane con una divisa blu stava pigramente seduto sulla sua poltrona, con i piedi poggiati su di una scrivania.
Dovevo ricordarmi di respirare. Inspira ed espira. Di nuovo. 
Il panico mi sommergeva come le onde in tempesta sugli scogli. 
Una voce stridente gli urlò aiuto, e dovetti rielaborare il suono prima di rendermi conto che era la mia. 
Lo vidi alzarsi di scatto, mentre continuavo a ripetere che era morta, e che doveva fare qualcosa. Che doveva aiutarmi. 
Si muoveva così maledettamente piano. 
L'adrenalina scorreva nelle vene come un fiume in piena. 
Prese un apparecchio dal tavolo e mosse il dito velocemente su di esso. 
Il viso emaciato di May era immobile, l'espressione calma.
Non c'era emozione, aveva perso persino la bellezza che conservava mentre dormiva. Era un involucro vuoto, una crisalide senza farfalla, l'incarto trasparente di un ghiacciolo. 
May era morta. 
Strinsi le piccole dita nella mano, mentre il giovane in divisa spingeva ripetutamente contro il suo petto fragile. 
Chiusi gli occhi, e tremante, le baciai delicatamente le nocche.
Tutto si muoveva così lentamente, in slow motion, ogni respiro durava un'eternità.
Era strano come fuori tutto fosse quasi in mobile mentre dentro di me si scatenava la tempesta perfetta. 
Arrivò un grosso furgone e caricarono il corpo di May sul retro. 
Mi chiesero qualcosa che ignorai. Io dovevo stare con mia sorella, non potevano impedirmelo.
Quando mi chiusero nel retro di un altro veicolo cominciai a dare di matto. Mi sentivo rinchiusa, imprigionata. 
Dove diavolo stavamo andando, perché non potevo stare con May!?
Degli uomini vestiti di bianco e di arancione mi bloccavano, mentre schizzavo ovunque nel poco spazio attorno a me.
Doveva essere un'autoambulanza, o qualcosa di simile. 
Mancava l'aria, annaspavo. 
Spalancavo la bocca e cercavo di inghiottirne il più possibile. 
Poi un ago mi bucò il braccio, e non sentii più nulla."

Le croste ai lati delle labbra bruciano mentre bevo avidamente dal bicchiere che una mano grassoccia mi ha appena messo in grembo. 
Il sapore è acre, probabilmente nell'acqua vi sono disciolte le medicine che mi rifilano da circa un mese. 
Nel giro di poco la mia testa si fa più pesante, e mi sento terribilmente intorpidita. 
Sono detti 'calmanti', in quanto risulto un 'individuo possibilmente aggressivo'. 
Le sento quando bisbigliano tra di loro, quando rileggono la cartella con sopra il mio nome. 'Mentalmente instabile', 'incapace di intendere e di volere', 'pazza'.
Perché é proprio quello che tutti credano io sia. Pazza.
Mi imbottiscono di narcotici e mi lasciano in uno stato di dormiveglia costante, onde evitare attacchi di panico violenti come quello di qualche settimana fa. 
Non mi muovo da questa sedia da almeno cinque ore. 
E guardo fuori. Guardo il cielo, le piante, il marrone caldo delle cortecce.
Lo stesso colore degli occhi di May.


"Mi risvegliai in un lettino bianco. 
Nonostante fosse dannatamente comodo stare su un letto vero, non trovavo nulla di confortante in quella situazione. 
Avevo un soffitto sopra la mia testa, le pareti erano di un freddo e magnetico bianco, come quasi la maggior parte degli oggetti che mi circondavano.
Non era il bianco soffice della neve. Era qualcosa di chimico, innaturale.
Il bosco ed i colori che da sempre mi avvolgevano erano spariti, come se qualcuno li avesse presi e portati via. 
Il silenzio statico fu interrotto da una giovane che entrò nella camera.
-Salve signorina- mi salutò con voce calma ed un largo sorriso. -come si sente?-
Scrutai la sua espressione, ma non risposi.
Dopo alcuni secondi rinunciò e abbassò lo sguardo. -d'accordo... - sussurrò, ed aprì la cartelletta che teneva in mano. Fece scorrere il dito lungo il foglio, mentre leggeva qualcosa. Sollevò le sopracciglia in un'espressione stupita.
-Ma qui non c'è il suo nome!- disse mentre sfogliava le carte con una certa confusione. 
-Mi scusi,-domandò gentilmente- come si chiama?
Non sapevo se fidarmi oppure no. Il suo viso era visibilmente turbato dalla mia diffidenza, e dall'insistenza che dimostravo nel non rispondere.
-Insomma signorina, io ho bisogno di un nominativo. C'è qualcuno che può rispondere per lei? Un genitore, un conoscente, un parente?- 
Feci segno di no con la testa. 
Le spalle della giovane crollarono visibilmente. Sospirò e borbottò qualcosa sottovoce, prima di uscire dalla stanza con la cartelletta tra le mani.
Avevo il sospetto che sapessero qualcosa su May, dove si trovasse, cose la fosse successo, se fossero riusciti a salvarla.
Ma non potevo fidarmi di loro. 
Pochi minuti dopo un uomo sulla trentina con un lungo camice bianco entrò, seguito dalla giovane di prima.
La sua coda di cavallo si muoveva fluida e ondeggiava sulle spalle ad ogni suo passo.
Portai una mano al collo, in cerca della mia chioma, ma non trovai nulla. Risalii con le dita la pelle ruvida, fino all'orecchio, dove sentii l'attaccatura dei capelli. 
Erano corti.
L'uomo si avvicinò al letto, e si rivolse a me con la stessa voce calma che aveva utilizzato anche la ragazza. 
- Signorina, mi perdoni, ma non abbiamo nessun suo nominativo. - parlò in modo confortante e molto lentamente. -non c'è pervenuta nessuna informazione su di lei. Ora, potrebbe cortesemente dirmi qual'è il suo nome?-
Qualcosa nella mia testa mi ripeteva che se non avessi collaborato, non avrei potuto sapere nulla su May.
- Liza. - mi limitai a rispondere. Appuntò con una penna qualcosa a margine del foglio nella cartelletta.
- Liza...?- continuò. Non capivo. - Il suo cognome. Liza...?-
Cognome. Ricordavo vagamente che a scuola la maestra ci chiamava sempre con due nomi, il secondo era Liza. Ma il primo non lo ricordavo proprio.
- non lo so. - sussurrai. 
Il medico annuì, e continuò a scrivere.
- Va bene, per oggi va bene così. La signorina Murray le spiegherà tutto. Arrivederci.-
Mi salutò. 
Prima di uscire l'uomo si soffermò a fianco della giovane, che gli sussurrò qualcosa nell'orecchio.
Dopo che l'uomo ebbe varcato la soglia e fosse scomparso dietro all'angolo, Murray si avvicinò alla sacca che penzolava a lato del mio letto. Un lungo tubo finiva dritto dritto del mio braccio. 
D'istinto feci per strapparlo, ma la dottoressa mi bloccò la mano.
-No, la flebo deve restare li. Sopporta il fastidio. - mi indicò.
Decisi di fare quello che diceva, almeno per ora. Con un lungo ago iniettò qualcosa nella sacca, e dopo poco sentii bruciare il braccio.
-So che fa male, ma aspetta. - 
Attesi qualche secondo e il dolore iniziale sparì.
-Dov'è May? - chiesi finalmente con un filo di voce.
- Ti riferisci alla ragazzina con cui sei arrivata in ospedale?- chiese.
Annuii.
La dottoressa Murray deglutì, e inspirò rumorosamente. 
- May è stata colpita dalla trichinellosi, un infezione dovuta al consumo di carne infetta cruda o poco cotta. Inoltre le erano state riscontrate altre diverse infezioni, oltre alla massiccia denutrizione. L'autopsia ne ha definita la causa. 
Per quanto riguarda te, sei stata in coma farmacologico per una settimana. I capelli ti sono stati tagliati in quanto presentavi zecche, pidocchi e altri parassiti. La tua gamba... -
Smisi di ascoltare quello che la giovane stava dicendo. Non avevo capito nulla, e la mia espressione confusa la fece interrompere. 
May colpita da cosa? Consumo di che? Autopsia?
La Murray sospirò. 
- Dov'è May. Dov'è mia sorella. - ripetei. Ora non era una domanda. Era un ordine. 
- È morta. - disse - Quando è arrivata in pronto soccorso il cuore aveva già smesso di battere da una decina di minuti, e non siamo riusciti a fare nulla. Mi dispiace tanto.-
Non l'avevano salvata quindi. May non c'era più. Non c'era più per davvero.
Non c'era più speranza, soluzione, motivo di vivere. 
Mi strappai con violenza la flebo e corsi fuori dal letto. Sentii una terribile fitta alla gamba, il mio polpaccio era bendato. 
Scansai violentemente la dottoressa che cercò di bloccarmi, facendole sbattere forte la testa contro la porta. Si accasciò a terra, sanguinante. 
Cercai una via di uscita da quel labirinto bianco di luci artificiali e stanze. 
Mi sentivo soffocare. Finalmente trovai una porta ed uscii.
Il cielo era bianco, e davanti a me stava uno spiazzo coperto di cemento. I pochi alberi che ne indicavano il viale erano spogli e grigi, e una lunga distesa di macchine parcheggiate riflettevano lucide il bianco del cielo. 
I miei piedi erano freddi, aveva appena piovuto e le pozzanghere mi avevano bagnato. 
Non c'era più colore.
Io avevo portato via May dal bosco.
E lei aveva portato via il bosco dalla mia vita.
Due braccia robuste mi strinsero sotto le ascelle, e un ago mi punzecchiò sotto alla spalla. 
Caddi inerme sul cemento freddo."


-Forza Liza, andiamo a dormire. Sono le sette. - l'infermiera grassottella che mi porta il pasto mi incoraggia a tornare nella mia camera. 
La guardo inerme, e mette una mano sotto al mio gomito. Mi solleva delicatamente, e mi cinge la vita aiutandomi a stare in piedi. Con la mano sinistra mi aggrappo all'asta della flebo, e passo dopo passo cerco di attraversare tutto il corridoio dell'ospedale psichiatrico in cui sono rinchiusa da un mese.
Il medicinale smette di fare effetto, e sento tutto il dolore che provo.
Sto implodendo, come un tetto che cade, come un fiore che si richiude giunta la notte, come un edificio demolito. 
Devo ricordarmi di respirare.
Espira.
Inspira.
Espira.
Inspira.
Espira. 


Fine. 


                                                                Nota dell'autrice

Ringrazio tantissimo quelli che mi hanno seguita e tutti quelli che ci hanno anche solo dato una letta, mi avete fatta veramente felice!
Devo chiedere scusa però in quanto ho notato che assomiglia MOLTO ad Hunger Games; non era mia intenzione, ma mi sono fatta fin troppo trascinare. 
A chiunque dia fastidio, chiedo perdono. 
Grazie di nuovo. Davvero. 
Carol. 

 
  
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