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Autore: Nephilim13    22/12/2013    1 recensioni
Una figlia speciale, nata ancora prima di Clary e Jonathan, riuscita a scappare da suo padre dopo anni di torture e violenze, fisiche e psicologiche, da parte dei suoi scagnozzi Pangborn e Blackwell.
Ivy ha poteri che nessuno immagina, ma potranno questi salvarla dal destino oscuro che incombe su di lei? Riuscirà ad allontanarsi definitivamente da suo padre?
|Clace|Malec|Sizzy|NuovaCoppia
Deviai in un vicolo buio e mi lasciai cadere con il sedere per terra stremata, sudata e ansimante. Il vicolo era talmente stretto che non potevo nemmeno stendere le gambe, così le portai al petto e cercai di far tornare il respiro regolare. Avevo i polmoni in fiamme: non avevo mai corso così tanto e così veloce. Un grande cerchio bianco si stagliava nel cielo scuro della notte, e in quel momento la luna era l'unica luce che avevo a disposizione. Una lacrima di gioia mi rigò la guancia, mentre un leggero sorriso soddisfatto cominciava a nascere sulle mie labbra. Sollevai la testa di scatto: qualcosa si era mosso. Feci scivolare la mano nel cappotto e tirai fuori il pugnale che ero riuscita a sottrarre a mio padre.
Genere: Azione, Dark, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Jace Lightwood, Jonathan, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Valentine Morgenstern
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Storm tries to come and wreck my world,
no I won't let it.
Stumble to escape through anchored drapes
made of bedding.

OneRepublic, Dreaming Out Loud

Un solo pensiero mi riempiva la mente:
Corri, dannazione, corri!
Correvo a perdifiato, una meta non definita, una traiettoria sconosciuta.
Mi guardai per l'ennesima volta indietro, sperando di non incappare in qualche suo scagnozzo. Un' unica cosa importava: ero riuscita a scappare, ce l'avevo fatta!
Ma dove sarei potuta andare, ora?
Finii addosso ad un Mondano e ricominciai a correre senza nemmeno scusarmi.
L'indomani mio padre avrebbe trovato il mio corpo senza vita davanti alla sua casa, quindi fino a quel momento sarei rimasta scoperta, e dovevo trovare un posto sicuro dove passare la notte. 
Attraversai la strada, incurante delle auto che cominciarono a suonarmi per la frenata brusca che avevo fatto fare loro.
La casa di Magnus era off - limits: sarebbe stato il primo posto in cui Valentine avrebbe cercato. Non era stupido, e sapeva molto bene che avevo degli incontri segreti con Magnus di notte e che quest'ultimo era il mio migliore e unico amico. 
Deviai in un vicolo buio e mi lasciai cadere con il sedere per terra stremata, sudata e ansimante. Il vicolo era talmente stretto che non potevo nemmeno stendere le gambe, così le portai al petto e cercai di far tornare il respiro regolare. Avevo i polmoni in fiamme: non avevo mai corso così tanto e così veloce. Un grande cerchio bianco si stagliava nel cielo scuro della notte, e in quel momento la luna era l'unica luce che avevo a disposizione. Una lacrima di gioia mi rigò la guancia, mentre un leggero sorriso soddisfatto cominciava a nascere sulle mie labbra. Sollevai la testa di scatto: qualcosa si era mosso. Feci scivolare la mano nel cappotto e tirai fuori il pugnale che ero riuscita a sottrarre a mio padre. Mi alzai silenziosamente, come unico rumore quello delle auto. Avanzai furtivamente verso dove avevo sentito quel rumore di passi. Uscii fuori dal vicolo con la punta del coltello rivolta verso il basso e mi appiattii contro il muro: c'era una persona. Cacciai fuori la testa e lo osservai: aveva i capelli neri, ed era tutto ciò che riuscivo a vedere oltre che la sua schiena e il suo sedere. Era un Cacciatore, ma non era di sicuro uno dei suoi: li avrei riconosciuti anche di spalle da mille metri lontano, ma lui non era uno di loro. Mi dava le spalle, e non era da solo. Quando capii con chi stava parlando il moro, il mio cuore perse un battito. Non ero sicura se fosse lui o meno, anche perchè erano passati circa tre anni e lo avevo visto poche volte. 
Jace, il bambino che Valentine aveva sempre amato come un figlio, anche se lui non lo era. 
Io, che invece ero sua figlia, mi ero sempre sentita estranea a Valentine; sapevo che mi voleva bene, nel profondo, ma il suo modo contorto di dimostrarlo non faceva altro che alimentare la mia sete di libertà e il mio desiderio di farla finita. Strinsi con forza il coltello che tenevo in mano per evitare di farlo cadere e farmi così scoprire. Pensandoci, però, avrei potuto chiedere loro un rifugio per la notte, visto che stando a quanto avevo capito Jace adesso viveva all'Istituto di New York, e sarei potuta andare con loro.
Stavo per farmi avanti e presentarmi, quando una mano mi sfiorò la spalla. Sussultai e mi voltai di scatto, puntando istintivamente il coltello alla gola del mio avversario. Il mio potenziale pericolo non era altro che un Mondano ubriaco e con un tantino di stupratore nelle vene. Beh, di stupri e violenze ne avevo già avuti abbastanza.
«Calma, bellezza. Siamo nervosetti, stasera?» disse indicando la lama affilata che gli stavo premendo contro la gola. 
«Sei ubriaco.» gli dissi bruscamente e fredda, togliendogli il coltello dalla gola. «Vai a casa a dormire. Ti farà bene.» Riposi il coltello nella tasca interna del cappotto e, facendo due passi avanti, mi resi visibile ai due giovani Cacciatori, che stavano già guardando nella mia direzione. Dovevano aver sentito le voci. L'uomo mi prese il polso e mi strattonò, ma io non mi mossi di un millimetro. Alzai gli occhi al cielo e gli imposi di lasciarmi andare. 
«Ci andrò a casa, bellezza. Ma con te.» disse con voce impastata e gli occhi famelici di desiderio. Mentre mi tirava, strattonai il polso e lui cadde a terra, ridendo. Notai la perplessità dei due Cacciatori, che evidentemente non sapevano se prendere parte a una lite tra due Mondani oppure lavarsene le mani come Ponzio Pilato. Non dovevano aver notato l'unica runa visibile sul mio corpo, quella della Chiaroveggenza, altrimenti sarebbero scoppiati a ridere già da un pezzo. Una puzza familiare ma terribilmente schifosa mi invase le narici, e mi voltai di scatto verso il Mondano, che ancora rideva. Si alzò  e mi si avvicinò di nuovo mentre io guardavo in qualsiasi direzione possibile, sperando di trovare la fonte di quella puzza demoniaca. Il Mondano mi afferrò il braccio e mi strattonò, nuovamente senza successo. La puzza si era fatta più vicina, ma adesso avevo capito da dove proveniva. 
«Non muoverti.» mi disse Jace scandendo lentamente ogni parola. Dovevano averlo capito anche loro due, perchè stavano infilando le mani nelle cinture e tirando fuori spade angeliche a tutto tiro. Furtivamente, infilai la mano libera nel cappotto e strinsi il pugnale tra le dita, pronta a tirarlo fuori. Il demone mi afferrò il braccio anche con l'altra mano e mi strinse, forte.
«Ho detto, vieni con me.» La voce era diversa dalla precedente: era più gutturale e roca, la voce di un demone. Le mani si trasformarono in artigli, i capelli scomparvero  e al posto del Mondano comparve una creatura rosso sangue, la bocca spalancata a mostrare una fila di denti neri e irregolari, gli occhi due cavità vuote. Senza nemmeno dare il tempo ai due Cacciatori di partire all'attacco, tirai fuori il pugnale con la mano libera e mozzai al demone entrambi gli artigli con cui mi teneva stretta. Questi mi rimasero stretti intorno al braccio, e ad ogni mio movimento si muovevano come ciondoli di un braccialetto. Una pozza di sangue fumante si formò ai miei piedi. Il demone mi si buttò addosso, e io lo lasciai fare: avevo bisogno di divertirmi un pò. 
«Jace! Dobbiamo aiutarla!»
«Non pensate nemmeno di muovervi da così come siete.» dissi, e loro obbedirono.
Io e il demone rotolammo per qualche metro in un abbraccio mortale. Alla fine lui finì sopra di me e cominciò a tirare pugni in direzione della mia faccia, ma io li scansavo tutti. Avevo partecipato ad allenamenti molto, molto più duri. Quando ne ebbi abbastanza, gli mollai una ginocchiata all'altezza della pancia e me lo tolsi di dosso con un pugno.
«Si sta divertendo come una pazza!» rise Jace.
Mi stesi su un fianco e poggiai la testa al pugno chiuso guardando il Demone con completa indifferenza.
«Credevo valessi di più. Per essere un Psutin, sei piuttosto scarso. A voi l'onore.» conclusi rivolgendomi a Jace e al suo compagno. Non se lo fecero ripetere due volte, o almeno non Jace. Quest'ultimo infatti si avvicinò a passi eleganti e lenti al corpo sofferente del Demone, che teneva i polsi sanguinanti premuti contro il ventre, nel punto dove avevo appena colpito. Appena si fermò, Jace fece roterare la Spada Angelica un paio di volte nella mano poi, grazie ad un colpo forte e secco, la Spada trapassò il Demone proprio nel punto centrale in cui sarebbe dovuta esserci  la spina dorsale. Non riuscii a trattenere uno sbadiglio di vera stanchezza non appena mi fui alzata. Barcollai leggermente: la giornata era stata troppo densa, troppo piena di avvenimenti forti. Mi appoggiai al muro con la mano destra, mentre con l'altra mi massaggiai una tempia, che mi doleva da morire. Mi girava la testa oltre che sbattermi continuamente, e inoltre avevo così tanta fame che avrei divorato un rinoceronte intero crudo, corno incluso. 
«Stai bene?» mi chiese il moro, vedendomi barcollare. Si era avvicinato e mi teneva una mano stretta sul polso con cui mi stavo massaggiando la testa. Staccai con violenza gli artigli che mi erano rimasti sul braccio e li buttai a terra.
«Si.» risposi poco convincente. Sentivo che da lì a poco sarei svenuta, mancava poco, così chiesi di portarmi con loro all'Istituto.
«Certo. E' un tuo diritto alloggiare lì per quanto ti pare.» mi disse Jace con aria di sufficienza.
«Grazie, ma conosco le regole, Jace.» Mi resi conto di aver parlato troppo, ma non lo diedi a notare. I due invece non cercarono di non far trapelare la loro sorpresa.
«Non chiedermi come conosco il tuo nome.» lo anticipai. «Lo so e basta. Io sono Ivy, comunque.» mi presentai, cercando di portare il discorso su un'altra strada. 
«Quindi... quanti anni avete?» chiesi mentre cominciavano ad incamminarci verso l'Istituto. Io seguivo i due come un cagnolino e, oltre che sentirmi una zombie vivente sul punto di sbattere a terra, mi frullavano in testa mille domande. Cacciai le mani in tasca e mi strinsi nel cappotto: cominciavo ad avere freddo. Dei brividi freddi mi corsero giù per la schiena; dovevo necessariamente stendermi da qualche parte e dormire.
«Io sedici.» disse Jace. «Alec diciotto.»
Annotai mentalmente il nome del ragazzo moro proprio mentre Jace mi faceva la stessa domanda.
«Voglio vedere se indovini.» lo sfidai. Ovviamente la prima cosa che guardarono fu il seno, una fastidiossima terza, per poi muovere gli occhi continuamente dal basso verso l'alto. 
«Venti.» sentenziò Jace.
«Sbagliato.»
«Diciannove?»
«Fuochino.»
«Diciotto?» azzardò Alec.
«Probabile.»
Alec guardò Jace, soddisfatto, mentre il secondo continuava a guardarmi senza vergogna, con uno sguardo calcolatore negli occhi che avevo già visto tante volte. Oh Raziel, anche se non era suo figlio, quel ragazzo era la copia spiaccicata di Valentine.
«Verificherò, Ivy.»
Io gli scrollai le spalle. «Fai quel che ti pare.»

 

Angolo autrice.
Ma ciao a voi che avete appena letto la mia storia!
Dunque, come avrete capito dal testo sopra questa storia è ispirata alla canzone "Dreaming Out Loud",
dei One Republic, la mia band preferita. Non ho nulla da dire se non spero che vi piaccia,
e sarei grata se lasciaste una recensione, se l'avete trovata interessante o schifosa, bella o brutta.
Bacioni e alla prossima!
N13
   
 
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