Serie TV > Elisa di Rivombrosa
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Autore: DorotheaBrooke    22/12/2013    1 recensioni
Nicola Di Conegliano, dopo la vicenda narrata in Elisa di Rivombrosa - parte seconda, si ritrova a dover affrontare uno dei suoi nemici più temibili... il rimorso.
p.s. abbiate pietà, è la prima volta che scrivo una fanfiction. Il telefilm è vecchiotto, ma il personnaggio a cui mi sono ispirata è troppo affascinante.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Barone, vi trovo bene…”
L’affermazione del dottor Arganti lo spinse istintivamente ad alzare lo sguardo e a osservare il proprio riflesso sulla superficie opaca del vetro della finestra. Chi era l’uomo che stava osservando? Dov’era il terribile barone di Conegliano, rispettato e temuto, odiato e  onorato? Avrebbe giurato che un tempo quegli occhi celesti fossero appartenuti all’uomo che aveva gettato per anni nella disperazione i lazzaroni dei Quattro Venti, eppure … “manca qualcosa…”  mormorò con lo sguardo fisso sulla finestra.
“Come avete detto? Cosa vi manca?” chiese l’altro, alzando un sopracciglio, decisamente perplesso.
“Un po’ di pulizia, dottore, ecco cosa manca, un po’ di pulizia” affermò Nicola di Conegliano, come riemergendo da un sogno, voltandosi e dirigendosi verso la scrivania. Aveva accolto il medico in un’enorme biblioteca, i cui scaffali traboccavano di volumi all’apparenza antichi.  “Dovrò dire a Maria di far lucidare quelle dannate finestre, è impossibile distinguerci qualcosa … ma sedetevi, che fate lì, in piedi come uno stoccafisso?” disse il giovane uomo, indicando una sedia e accomodandosi a sua volta all’altro capo della scrivania.
“Veramente, barone, a me non sembrano così sporche…” replicò il medico, per poi sedersi, accogliendo l’invito dell’uomo.
“Sciocchezze… questo nuovo palazzo che ho comprato è pieno di polvere, da quando mi sono trasferito, mi sento soffocare” Proferì rabbuiandosi. Da quand’era iniziata quella sensazione? Quasi un dolore che provava a ogni respiro, come se al posto dell’aria inalasse veleno, che lo lasciava inerme, agonizzante, senza mai concedergli la grazia della morte.
“Magari dovrei visitarvi …” propose il medico, guardando perplesso il giovane nobile.
“No” rispose Nicola “come medico, di malati immaginari ne avrete visti fin troppi, non voglio rubare il vostro tempo inutilmente” Nella sua mente, solo nella sua mente era il male che lo consumava, che lo distruggeva, nessuno poteva aiutarlo, nessuno poteva salvarlo. Non riuscì a resistere all’istinto di portarsi una mano di fronte alla bocca, in preda alla nausea.
“Voi però non avete una bella cera, sembrate uno di quei mendicanti moribondi gettati agli angoli dei vicol… ” insistette il dottor Arganti, per poi  zittirsi all’improvviso all’occhiataccia riservatagli dal barone “…  senza offesa” tentò di rimediare dopo un attimo di silenzio
Valutò per qualche istante l’idea di chiedere a Zanni di farlo fuori, ma poi si ricordò che Zanni era morto. Comodamente disteso in una bara, non avrebbe mai più potuto muoversi, mai più potuto sentire nulla, mai più potuto provare il male che ora divorava il suo padrone. Perché Zanni sì e lui no? Perché non poteva anche lui lasciare che la terra soffocasse il suo dolore?  “ Un mendicante? Sapete, dottore,  credo che molte persone siano diventate mendicanti a causa mia” Disse, aprendo il cassetto della scrivania in cui teneva una pistola con il colpo in canna
“Che intendete, barone?” chiese l’uomo di  fronte a lui in tono preoccupato, impallidendo.
“Non temete, dottore, non era una minaccia” lo rassicurò mentre le mano si chiudeva attorno alla pistola.
“ E che cos’era?”
“Una confessione” disse portandosi la pistola alla tempia.
Non avrebbe mai creduto che quel vecchio medico potesse essere ancora così veloce. In un attimo saltò a cavalcioni sulla scrivania e gli afferrò il braccio. Il colpo partì, ma la sua traiettoria era ormai stata deviata. Solo un lieve graffio si aprì sulla sua fronte “No!” Gridò il giovane nobile lasciando cadere l’arma ormai inoffensiva e mettendosi in piedi per afferrare il medico per la gola “PERCHÉ?” urlò. Fu un attimo, mentre il sangue colava sulle sue palpebre, bruciando nelle sue pupille, il volto sconvolto di Arganti parve mutarsi in quello fiero del lazzarone che aveva fatto torturare. Come lo chiamava Zanni? Capece qualcosa, neanche ricordava il nome della persona che aveva fatto tanto soffrire.  Abbandonò la presa e avvicinò le sue labbra alla fronte dell’anziano medico fino a baciarla “Perdonatemi, perdonatemi” mormorò, mentre sulle sue guance il sangue si mischiava a lacrime da tempo trattenute.  
 
  
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