Sincronia
Quel
giorno Light Yagami ed L Lawliet non lavoravano sulla stessa
lunghezza d’onda: era quasi come se la loro assidua sincronia
li avesse
abbandonati.
Decine
- o forse molti di
più -
erano stati gli sguardi che si erano rivolti.
Assurdo
come mai una volta l’ambra avesse incontrato il nero.
E mentre la
voce del moro esponeva futuri piani agli agenti del quartier generale,
Light tormentava
le proprie labbra, studiando quelle del detective per ammirarne ogni
possibile
sfaccettatura.
Incredibile
come il suono delle parole gli giungesse ovattato: un probabile calo
d’attenzione dovuto alla stanchezza,
nient’altro…
Eppure il
giorno prima, al medesimo orario, non era stato spossato mentre traeva
a sé il
detective e si aggrappava alle sue spalle per farlo restare
dov’era giusto che
fosse: al suo cospetto, a baciarlo come nessuno aveva osato mai fare,
nemmeno
quella stupida di Misa.
Ryuzaki lo
aveva torturato, letteralmente, concedendogli un contatto
più approfondito solo
quando dipendeva dalle sue labbra al punto da mettere da parte il suo
orgoglio
e chiedere.
Non ad alta
voce, no, quello sarebbe stato troppo per lui: i gesti lasciavano
intendere ciò
che desiderava ed L amava udire il respiro affannato
dell’altro, tanto da
soddisfarlo in ogni capricciosa richiesta.
Qualche
sporadica volta Light aveva visto un sorriso beffardo sulle labbra del
maggiore, ma ad ogni gemito di Ryuzaki, per quanto breve e controllato, quel sorriso si rifletteva
sul suo stesso
volto.
Quel bacio
era stato… era stato liberatorio, improvviso e lo aveva
lasciato spiazzato,
mentre il desiderio che il ricordo riusciva a provocargli lo esaltava.
Sentimenti
che entravano in contraddizione con una parte nascosta in lui, una
contraddizione che Light non poteva capire, ma che sentiva.
Perdere
parte dei proprio ricordi significa perdere parte di sé
stessi.
E il ragazzo
si lambicava, cercando di ricordare, ma cosa aveva dimenticato?
Cosa?
Era sicuro
che il tempo perduto fosse fondamentale, che sarebbe dovuto essere
recuperato.
Il come,
purtroppo, restava un mistero.
Il mormorio
di sottofondo divenne sempre più intenso, tanto che il
ragazzo venne distolto dalle
sue elucubrazioni e si ritrovò a fissare nuovamente lo
sguardo su L, che
scuoteva la testa in segno di disappunto, come spesso faceva quando
parlava
Matsuda.
Tornato ormai
alla realtà, Light diede ragione all’agente,
qualunque idea stesse esponendo ai
suoi colleghi gli andava bene; adesso aveva ben altro per la testa,
poco
importava quanto ciò che l’uomo stesse dicendo
potesse essere strampalato e che
dargli ragione non lo avrebbe portato ad altro che a una figuraccia.
“Non
credevo
che Light fosse un tipo a cui piacesse bere”.
Le palpebre
del castano si aprirono e chiusero un paio di volte, portandogli la
consapevolezza d’aver compiuto un errore madornale: dare
ragione a Tota
Matsuda.
C’era
da
dire che anche l’espressione sconcertata di Soichiro Yagami
sarebbe potuta essere
un suggerimento di quanto avesse sbagliato.
Trattenendo l’impulso di sbattersi una mano sulla fronte, il giovane sorrise al gruppo, cercando di ricordare almeno alcune delle parole che aveva sentito.
Conclusione,
festeggiare, carcere, Kira.
L’ordine
era
un fattore trascurabile.
“Non
intendo certamente diventare un alcolizzato,
penso solo che non ci sia nulla di male nel festeggiare con un
bicchierino”.
In fondo era
normale per un adolescente qualunque voler provare nuove esperienze
– tra le
quali, ovviamente, figurava l’alcool – e Light
questo doveva sembrare, un
comune ragazzo voglioso d’entrare nel fantomatico mondo degli
adulti.
E di
ciò ne
era al corrente anche Lawliet.
Erano
passati i mesi ed L era un bravo osservatore: il
signorino Yagami non aveva considerato
Matsuda e la sua discussione, anzi, Lawliet era convinto che i pensieri
del ragazzo
facessero porto unicamente sulla sua persona.
Non
c’erano
stati progressi con le indagini e, nonostante Light avesse grandi
capacità di
concentrazione, era da escludere che le sue riflessioni vertessero sul
loro
caso.
Ryuzaki sapeva
a cosa il minore pensava e suvvia, Kira o non Kira, Yagami era pur
sempre un
adolescente; forse gli ormoni esercitavano meno controllo su di lui
rispetto a
quanto influissero sulla media, ma le azioni del giorno precedente
avrebbero
portato chiunque a porsi domande sulla propria identità
sessuale e,
considerando la perfezione quale il ragazzo pensava d’essere,
Light era
sicuramente intento a studiare gli avvenimenti.
Di per
sé, L
non era preoccupato della propria situazione, anzi, il suo animo era
quieto,
conscio che da come si erano posti gli eventi sarebbe potuto uscirne
unicamente
vincitore.
Nei suoi
venticinque anni aveva avuto modo di prendere atto della sua persona,
constatando i propri difetti e le proprie attitudini.
Nel bene o
nel male li aveva accettati.
Light era
diverso però: avvolto in una versione utopistica di se
stesso, non si rendeva
conto del suo più grande difetto: trattare il prossimo con
sufficienza,
studiandolo in modo quasi meccanico.
Etichettava
la gente che gli era di fronte, riusciva a capirne la psicologia, e le
utilizzava come pedine; ma la mente umana è facilmente
deturpabile, una
variabile senza alcun controllo.
E
quest’unico fattore avrebbe potuto portarlo alla disfatta.
Ma
se - almeno in quel momento - gli
agenti potevano sembrare una costante, L
non lo era, non lo era mai stato, ed il detective sapeva quanto ciò
intrigasse il castano.
L ‘ultimo
agente uscì dalla stanza, la porta si chiuse con un suono
secco e definitivo,
premonitore di una forzata conversazione.
Solo allora
il più giovane alzò il viso verso il
venticinquenne, notando la perfetta
sincronia con la quale anche gli occhi del detective si posarono sui
suoi
lineamenti.
Si alzarono
all’unisono, ma non si parlarono e il silenzio li
accompagnò fino alla loro
camera.
Una volta
sdraiati - entrambi con la schiena rivolta all’altro: tacito
invito a non
riprendere alcuna discussione - ascoltarono il ticchettio regolare
dell’orologio che scandiva il tempo passato assieme.
Era lento.
Dannatamente
lento.
Inoltre la
posizione che avevano scelto era tanto scomoda: al minimo movimento uno
dei due
tirava la catena dell’altro e tale fu la frequenza di quei
fastidiosi
spostamenti che Light, del tutto spazientito da
quell’irritante situazione, si
voltò verso l’altro.
L venne
colto da un leggero tremolio all’angolo della bocca, tuttavia
trattenne il
riso: aveva vinto una piccola battaglia, non mancava così
tanto per vincere la
guerra.
Tratte
queste conclusioni, il detective spostò il braccio
incatenato sopra la propria
testa, costringendo il castano a spostarsi, mossa che produsse rumorosi
cigolii
ad un letto decisamente troppo piccolo per due persone.
Il sonno di
Light
in quei giorni veniva a mancare, e quando le palpebre sembravano
volersi
chiudere di propria iniziativa Ryuzaki provvedeva a fare un qualsiasi
movimento
che intaccasse la quiete che si era instaurata in pochi secondi,
facendolo
riscuotere e- in qualche più rara occasione - svegliandolo
da uno stato che si
limitava alla dormiveglia.
A
quell’ennesima
tortura il ragazzo gli riservò uno sguardo inviperito, che
avrebbe fatto
fuggire via qualunque essere umano ne fosse stato il soggetto, ma L non
era del
nostro mondo o, almeno, non ai nostri occhi.
"Yagami,
si può sapere cosa stai facendo? Lasciami dormire, sono
stanco".
Ah!
Se qualcuno
potesse capire l'irritazione che provò in quel momento!
"Se
solo trovassi una posizione che ti soddisfacesse per almeno
più di tre secondi
riusciresti a prender sonno!”
Hideki
avrebbe avuto la sua gatta da pelare quella notte e le spalle che Light
gli
aveva appena mostrato ne erano la riprova.
E, quasi
come a voler confermare le sue deduzioni, l’altro
tirò bruscamente a sé la
catena, così facendo L si ritrovò contro il suo petto, il respiro
corto che, tuttavia,
non intaccava minimamente la solita mimica facciale.
"Ho
sonno, lasciami dormire in pace". Ripeté Light, sfidando L a
trovare una
risposta migliore della sua.
Ma quando le
distanze trovano il modo d’essere superate il resto perde
d’importanza.
Mostrarsi
interessato
al proprio avversario equivaleva ad una sconfitta, eppure, nel loro
sguardo,
c’era una scintilla che li dichiarava già perdenti.
Entrambi
desideravano la stessa cosa, nessuno dei due era disposto ad ammetterlo
per
primo.
Le labbra si
unirono, in un bacio che non trovò né vincitori,
né vinti.
La sincronia,
che spesso aveva concesso loro la supremazia su tutto e tutti, gli si
era
ritorta contro, portando in quel bacio la volontà
d’entrambi, atto di cui
nessuno dei due aveva dato il via.
Nel silenzio
della loro camera i vestiti vennero tolti e gettati chissà
dove; una maglia
finì dritta sull'obiettivo della telecamera ad infrarossi,
ma - non trovando
alcun appiglio - rovinò a terra, lasciando che l'intruso
registrasse ogni
singolo avvenimento.
Avrebbero
cancellato le prove di quella notte, non c'erano dubbi, però
sarebbe stato
soddisfacente mostrare all'amante il suo attimo di cedimento.
L non aveva
perso, era stato Light a trarlo a sé.
Light non
aveva perso, era stato L a prendere l'iniziativa.
Entrambi
avevano solo tirato la catena.