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Autore: Mirella__    23/12/2013    2 recensioni
Incredibile come un bacio possa mettere in subbuglio anche le menti più brillanti.
Esso porta a rivelare all'altro una parte di sé, che in alcuni casi sarebbe bene nascondere...
Terza classificata al contest "Pick a Prompt" di Samidare.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: L, Light/Raito | Coppie: L/Light
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sincronia

 

Quel giorno Light Yagami ed L Lawliet non lavoravano sulla stessa lunghezza d’onda: era quasi come se la loro assidua sincronia li avesse abbandonati.

Decine -  o forse molti di più - erano stati gli sguardi che si erano rivolti.

Assurdo come mai una volta l’ambra avesse incontrato il nero.

E mentre la voce del moro esponeva futuri piani agli agenti del quartier generale, Light tormentava le proprie labbra, studiando quelle del detective per ammirarne ogni possibile sfaccettatura.

Incredibile come il suono delle parole gli giungesse ovattato: un probabile calo d’attenzione dovuto alla stanchezza, nient’altro…

Eppure il giorno prima, al medesimo orario, non era stato spossato mentre traeva a sé il detective e si aggrappava alle sue spalle per farlo restare dov’era giusto che fosse: al suo cospetto, a baciarlo come nessuno aveva osato mai fare, nemmeno quella stupida di Misa.

Ryuzaki lo aveva torturato, letteralmente, concedendogli un contatto più approfondito solo quando dipendeva dalle sue labbra al punto da mettere da parte il suo orgoglio e chiedere.

Non ad alta voce, no, quello sarebbe stato troppo per lui: i gesti lasciavano intendere ciò che desiderava ed L amava udire il respiro affannato dell’altro, tanto da soddisfarlo in ogni capricciosa richiesta.

Qualche sporadica volta Light aveva visto un sorriso beffardo sulle labbra del maggiore, ma ad ogni gemito di Ryuzaki, per quanto breve e controllato,  quel sorriso si rifletteva sul suo stesso volto.

Quel bacio era stato… era stato liberatorio, improvviso e lo aveva lasciato spiazzato, mentre il desiderio che il ricordo riusciva a provocargli lo esaltava.

Sentimenti che entravano in contraddizione con una parte nascosta in lui, una contraddizione che Light non poteva capire, ma che sentiva.

Perdere parte dei proprio ricordi significa perdere parte di sé stessi.

E il ragazzo si lambicava, cercando di ricordare, ma cosa aveva dimenticato?

Cosa?

Era sicuro che il tempo perduto fosse fondamentale, che sarebbe dovuto essere recuperato.

Il come, purtroppo, restava un mistero.

Il mormorio di sottofondo divenne sempre più intenso, tanto che il ragazzo venne distolto dalle sue elucubrazioni e si ritrovò a fissare nuovamente lo sguardo su L, che scuoteva la testa in segno di disappunto, come spesso faceva quando parlava Matsuda.

Tornato ormai alla realtà, Light diede ragione all’agente, qualunque idea stesse esponendo ai suoi colleghi gli andava bene; adesso aveva ben altro per la testa, poco importava quanto ciò che l’uomo stesse dicendo potesse essere strampalato e che dargli ragione non lo avrebbe portato ad altro che a una figuraccia.

“Non credevo che Light fosse un tipo a cui piacesse bere”.

Le palpebre del castano si aprirono e chiusero un paio di volte, portandogli la consapevolezza d’aver compiuto un errore madornale: dare ragione a Tota Matsuda.

C’era da dire che anche l’espressione sconcertata di Soichiro Yagami sarebbe potuta essere un suggerimento di quanto avesse sbagliato.

Trattenendo l’impulso di sbattersi una mano sulla fronte, il giovane sorrise al gruppo, cercando di ricordare almeno alcune delle parole che aveva sentito.

 

Conclusione, festeggiare, carcere, Kira.

L’ordine era un fattore trascurabile.

 “Non intendo certamente diventare un alcolizzato, penso solo che non ci sia nulla di male nel festeggiare con un bicchierino”.

In fondo era normale per un adolescente qualunque voler provare nuove esperienze – tra le quali, ovviamente, figurava l’alcool – e Light questo doveva sembrare, un comune ragazzo voglioso d’entrare nel fantomatico mondo degli adulti.

E di ciò ne era al corrente anche Lawliet.

Erano passati i mesi ed L era un bravo osservatore:  il signorino Yagami non aveva considerato Matsuda e la sua discussione, anzi, Lawliet era convinto che i pensieri del ragazzo facessero porto unicamente sulla sua persona.

Non c’erano stati progressi con le indagini e, nonostante Light avesse grandi capacità di concentrazione, era da escludere che le sue riflessioni vertessero sul loro caso.

Ryuzaki sapeva a cosa il minore pensava e suvvia, Kira o non Kira, Yagami era pur sempre un adolescente; forse gli ormoni esercitavano meno controllo su di lui rispetto a quanto influissero sulla media, ma le azioni del giorno precedente avrebbero portato chiunque a porsi domande sulla propria identità sessuale e, considerando la perfezione quale il ragazzo pensava d’essere, Light era sicuramente intento a studiare gli avvenimenti.

Di per sé, L non era preoccupato della propria situazione, anzi, il suo animo era quieto, conscio che da come si erano posti gli eventi sarebbe potuto uscirne unicamente vincitore.

Nei suoi venticinque anni aveva avuto modo di prendere atto della sua persona, constatando i propri difetti e le proprie attitudini.

Nel bene o nel male li aveva accettati.

Light era diverso però: avvolto in una versione utopistica di se stesso, non si rendeva conto del suo più grande difetto: trattare il prossimo con sufficienza, studiandolo in modo quasi meccanico.

Etichettava la gente che gli era di fronte, riusciva a capirne la psicologia, e le utilizzava come pedine; ma la mente umana è facilmente deturpabile, una variabile senza alcun controllo.

E quest’unico fattore avrebbe potuto portarlo alla disfatta.

 Ma se - almeno in quel momento -  gli agenti potevano sembrare una costante, L non lo era, non lo era mai stato, ed il detective sapeva quanto ciò intrigasse il castano.

 

 


L ‘ultimo agente uscì dalla stanza, la porta si chiuse con un suono secco e definitivo, premonitore di una forzata conversazione.

Solo allora il più giovane alzò il viso verso il venticinquenne, notando la perfetta sincronia con la quale anche gli occhi del detective si posarono sui suoi lineamenti.

Si alzarono all’unisono, ma non si parlarono e il silenzio li accompagnò fino alla loro camera.

Una volta sdraiati - entrambi con la schiena rivolta all’altro: tacito invito a non riprendere alcuna discussione - ascoltarono il ticchettio regolare dell’orologio che scandiva il tempo passato assieme.

Era lento.

Dannatamente lento.

Inoltre la posizione che avevano scelto era tanto scomoda: al minimo movimento uno dei due tirava la catena dell’altro e tale fu la frequenza di quei fastidiosi spostamenti che Light, del tutto spazientito da quell’irritante situazione, si voltò verso l’altro.

L venne colto da un leggero tremolio all’angolo della bocca, tuttavia trattenne il riso: aveva vinto una piccola battaglia, non mancava così tanto per vincere la guerra.

Tratte queste conclusioni, il detective spostò il braccio incatenato sopra la propria testa, costringendo il castano a spostarsi, mossa che produsse rumorosi cigolii ad un letto decisamente troppo piccolo per due persone.

Il sonno di Light in quei giorni veniva a mancare, e quando le palpebre sembravano volersi chiudere di propria iniziativa Ryuzaki provvedeva a fare un qualsiasi movimento che intaccasse la quiete che si era instaurata in pochi secondi, facendolo riscuotere e- in qualche più rara occasione - svegliandolo da uno stato che si limitava alla dormiveglia.

A quell’ennesima tortura il ragazzo gli riservò uno sguardo inviperito, che avrebbe fatto fuggire via qualunque essere umano ne fosse stato il soggetto, ma L non era del nostro mondo o, almeno, non ai nostri occhi.

"Yagami, si può sapere cosa stai facendo? Lasciami dormire, sono stanco".

Ah!

Se qualcuno potesse capire l'irritazione che provò in quel momento!

"Se solo trovassi una posizione che ti soddisfacesse per almeno più di tre secondi riusciresti a prender sonno!”

Hideki avrebbe avuto la sua gatta da pelare quella notte e le spalle che Light gli aveva appena mostrato ne erano la riprova.

E, quasi come a voler confermare le sue deduzioni, l’altro tirò bruscamente a sé la catena, così facendo L si ritrovò contro il suo petto, il respiro corto che, tuttavia, non intaccava minimamente la solita mimica facciale.

"Ho sonno, lasciami dormire in pace". Ripeté Light, sfidando L a trovare una risposta migliore della sua.

Ma quando le distanze trovano il modo d’essere superate il resto perde d’importanza.

Mostrarsi interessato al proprio avversario equivaleva ad una sconfitta, eppure, nel loro sguardo, c’era una scintilla che li dichiarava già perdenti.

Entrambi desideravano la stessa cosa, nessuno dei due era disposto ad ammetterlo per primo.

Le labbra si unirono, in un bacio che non trovò né vincitori, né vinti.

La sincronia, che spesso aveva concesso loro la supremazia su tutto e tutti, gli si era ritorta contro, portando in quel bacio la volontà d’entrambi, atto di cui nessuno dei due aveva dato il via.

Nel silenzio della loro camera i vestiti vennero tolti e gettati chissà dove; una maglia finì dritta sull'obiettivo della telecamera ad infrarossi, ma - non trovando alcun appiglio - rovinò a terra, lasciando che l'intruso registrasse ogni singolo avvenimento.

Avrebbero cancellato le prove di quella notte, non c'erano dubbi, però sarebbe stato soddisfacente mostrare all'amante il suo attimo di cedimento.

L non aveva perso, era stato Light a trarlo a sé.

Light non aveva perso, era stato L a prendere l'iniziativa.

Entrambi avevano solo tirato la catena.

  
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