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Autore: Wayfarer    17/05/2008    2 recensioni
un breve raccontino di fantascienza... spero che vi piaccia!
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Joseph si era sempre chiesto perché l’ uomo esistesse

Joseph si era sempre chiesto perché l’ uomo esistesse.

Nell’ equilibrio dell’ Universo, perché l’ uomo non avesse alcuna finalità.

Distruggere e mangiare e sfruttare. Ecco i suoi compiti.

Nessuno lo distruggeva, lo mangiava o lo sfruttava. L’ uomo aveva sempre imposto il suo potere su tutto il resto. La natura, gli altri esseri viventi. E tutto questo per Joseph era inaccettabile. Com’era possibile che nulla sovrastasse l’ uomo? O si nutrisse di lui?

Joseph era diventato astronauta per scoprire qualcosa contro cui l’ uomo non potesse vincere, ma fino ad ora su ogni nuovo pianeta sventolava una stramaledetta bandiera,simbolo che l’ uomo aveva nuovamente conquistato, nuovamente mostrato la sua forza.

I suoi compagni astronauti ridevano di lui. “L’uomo è l’unico consapevole di esserci, consapevole di pensare e del proprio potere. Per questo nessun’altra specie può vincerci. Solo queste stupide risposte. Ma finora le specie aliene avevano dato loro ragione. Tutti esseri senza consapevolezza, quasi fermi ad aspettare l’ arrivo degli umani.

Questo pianeta prometteva bene, però. In oltre due mesi di esplorazioni, non si era ancora rivelata alcuna presenza vivente.

Ma il rilevatore dell’ astronave continuava a vibrare, in qualunque zona del pianeta si trovassero. Esseri e n’erano, e molti.

Joseph sentiva che questa volta sarebbe stato diverso. Gli alieni si stavano nascondendo. O forse stavano aspettando. Quindi probabilmente comprendevano il pericolo.

Il rilevatore vibrò più intensamente. Joseph ebbe un brivido, a metà tra la paura e l’ emozione.

Gli sembrava di giocare a nascondino, ogni minuto era colmo di ansia, i nervi sempre tesi ad ogni minimo sentore di pericolo.

Stranamente gli sembrava di non essere lui a cercare gli alieni.

Era una strana sensazione, che aumentava ogni giorno. Si sentiva come circondato da mille occhi, sempre e costantemente, senza poter trovare alcun rifugio sicuro in quel pianeta deserto in cui erano atterrati senza pensarci due volte, senza chiedere il permesso.

Joseph rise nervosamente, e il silenzio di quell’eterna notte sembrò nutrirsi della sua risata. Chiedere il permesso. Buffo. Avevano mai chiesto il permesso, loro, gli uomini, prima di distruggere?

Aveva finito di montare la tenda-laboratorio. Si alzò in fretta, ansioso di tornare all’ astronave, di vedere e sentire i suoi compagni. Accese la torcia e si avviò verso quello che gli sembrava l’ ovest, scrutando i crateri tutti uguali per cercare un punto di riferimento. Nulla. Ogni cratere, ogni centimetro del suolo, era uguale su tutto il pianeta. E in ogni punto del pianeta, il rilevatore segnalava con la stessa intensità la presenza di esseri viventi. C’erano delle variazioni, talvolta molto intese, ma si manifestavano su tutto il territorio. Non era dalla zona che dipendevano, ma dal momento.

Come se gli alieni si facessero più attenti, più presenti, come se si svegliassero talvolta da un grande sonno.

Joseph avvertì un movimento alle sue spalle e si girò bruscamente, il respiro affannato.

Nulla. Notte e silenzio.

Quel silenzio così totale da sembrare denso, così intenso che Joseph era sicuro di sentirlo.

Joseph si sentiva ad ogni passo più stanco, la tuta si faceva sempre più pesante, ogni respiro gli costava maggior fatica. Controllò l’indicatore dell’ossigeno. A posto.

Con il passo successivo Joseph seppe che non avrebbe mai raggiunto l’astronave. I piedi faticavano a sollevarsi dal suolo e gli pareva che qualcosa di viscido colasse a terra ogni volta che riusciva ad alzare gli scarponi. Era certo che fosse unicamente una sua impressione, ma credeva di sentire un risucchio, come di una ventosa, ad ogni suo passo. Qualcosa che lo voleva trattenere.

Si fermò un istante e alzò gli occhi alle stelle. Quelle erano uguali che a casa, si vedevano così anche dalla Terra.

Sentì una breve puntura al piede e poi più nulla. Le gambe avevano perso sensibilità. Cadde sulle ginocchia, ma i piedi rimasero con se suola attaccate al terreno. “Sta bevendo… sta bevendo il mio sangue.” Senza accorgersene Joseph era passato al singolare. Ora lo capiva perfettamente: era il pianeta ad essere vivo. E il pianeta pensava. E mangiava.

Joseph guardò un’ultima volta quel cielo che lo aveva accompagnato in tutti i suoi viaggi e improvvisamente il silenzio e la solitudine si fecero quasi piacevoli.

Il suo corpo era quasi totalmente attaccato al suolo e Joseph riusciva quasi a percepire il lento succhiare del pianeta. Riuscendo a malapena ad alzare le braccia Joseph si sfilò il casco, interrompendo l’ immissione si ossigeno.

Non voleva essere vivo quando il pianeta si sarebbe attaccato alla testa.

 

 

  
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