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Autore: micRobs    23/12/2013    5 recensioni
"E a quel punto Jeff fu sicuro di due cose: la prima era che quel Babbo Natale non aveva affatto settecento anni, né cinquanta, né forse manco arrivava ai trenta; la seconda era che si sarebbe messo in ginocchio in quell’istante, per farsi passare per un bambino e avere la possibilità di sedersi sulle sue gambe. Il ragazzo, perché Jeff era certo che fosse poco più che suo coetaneo, gli aveva rivolto un sorriso talmente bello e caldo, contornato da baffi e barba finta, che Jeff aveva sentito le gambe cedere.
Il suo amico Thad ripeteva sempre che lui aveva l’innamoramento facile ed era del tutto vero, Jeff non avrebbe potuto negarlo neanche se fosse stato un abile bugiardo, ma l’attrazione fisica per Babbo Natale mancava miserabilmente al suo appello. E ne avrebbe volentieri fatto a meno, ad essere totalmente onesti.
«Ti- La ringrazio, Signor Babbo Natale» articolò un po’ a fatica, incespicando con le parole. «Ma non è necessario, dico davvero.»
«Invece lo è, perché tu sei bravo» stabilì Debs e Jeff sospirò, arrendendosi all’evidenza di non poter vincere contro la sua unica nipotina e Babbo Natale. "
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeff Sterling, Nick Duval | Coppie: Nick/Jeff
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note di Robs: Ho, ho, ho! Buon Natale, miei cari *w* Mi sento un po’ emozionata, perché non mi aspettavo che la mia wishlist avesse successo, ma invece mi sono dovuta ricredere! Eccomi qui, dunque, a postare il primo dei regalini che mi sono stati richiesti sulla mia pagina ♥ Ho adorato scrivere questa shot e spero davvero che piaccia anche a voi leggerla, perché… boh, davvero, anche se sono 4500 parole e… lo so ♥
 
 

 
Ad Aurora,
perché me l’ha chiesta,
ma anche per moltissimo altro
Buon Natale, tesoro
 
 
 

“Saint Nick”
 


 
Le luci natalizie scintillavano all'angolo di ogni vetrina, contribuendo a ravvivare le gallerie del centro commerciale di colori e sorrisi.

Jeff adorava l'atmosfera natalizia sin da quando era bambino, era indubbiamente il periodo dell'anno che preferiva. Il mondo cambiava all'avvento di dicembre, le case si vestivano di festa, le carole natalizie risuonavano alla radio e per le strade e nelle reclame pubblicitarie, persino il palinsesto televisivo si arricchiva di film ed episodi delle serie televisive incentrati sul Natale. La si respirava ovunque quell'aria festosa e, se era comunque innegabile che la gran parte delle persone vedesse il Natale come un evento esclusivamente commerciale e d'apparenza, Jeff era pronto a giurare che tutti dovessero in qualche modo sentirsi avvolgere e inebriare dallo spirito natalizio che era impossibile ignorare. Crescendo, quella convinzione non era andata via, così come non lo aveva fatto l'entusiasmo ingiustificato che lo permeava alla vista del primo segno dell'avvicinarsi del Natale.

Per questo preciso motivo, quel buio e gelido pomeriggio di metà dicembre, si trovava a guardare, dall'alto della sua statura, l'immensa fila che si snodava lungo tutta la piazza del centro commerciale e che portava al trono decorato su cui, albero di Natale ed elfo di polistirolo accanto, sedeva niente di meno che Babbo Natale. Aveva smesso di credere all'uomo buono e panciuto da molto tempo ormai, ma quella di portare i bambini a sedersi sulle sue gambe per richiedere il dono dei loro sogni era una sorta di rito apotropaico strettamente necessario alla riuscita del Natale, e quindi lui non avrebbe mai permesso alla sua nipotina di sentirsi esclusa da quella tradizione così radicata.

Debby aveva sei anni e un sorriso grande e contagioso che tutti insistevano nel dire fosse sua diretta eredità e di cui lui andava più che fiero. Stringeva la sua mano e saltellava quasi sul posto, per l'impazienza e l'emozione di consegnare la sua letterina a Babbo Natale, Jeff era solo uno dei tanti genitori e fratelli che facevano la fila insieme ai bambini, ma sembrava sicuramente il più bendisposto e coinvolto. Si camminava a rilento, perché Babbo Natale – che lui vedeva ancora da troppo lontano per poterlo mettere bene a fuoco – pareva essere particolarmente desideroso di chiacchierare a lungo con ogni bambino che si sedeva sulle gambe, per cui Jeff non aveva davvero idea di quando sarebbe giunto il turno di Debs.

Nulla però, sembrava smorzare l'entusiasmo della bambina, tant'è che dopo quasi un'ora e mezza – quando ormai il trono di Babbo Natale non era più un miraggio lontano – continuava a sorridere e a rigirarsi tra le mani la bustina di carta lilla che avrebbe messo nel sacco poco distante da loro. Jeff le rivolse uno sguardo dolcissimo e fiero, passandole delicatamente la mano tra i capelli ramati.

«Tra un po' tocca a noi» la rinfrancò, senza alcun motivo preciso.

Lei infatti annuì e «Non sono stanca, zio» assicurò. «Babbo Natale deve vedere se i bimbi sono stati buoni o cattivi, per questo ci mette tanto» spiegò, dall'alto dei suoi sei anni di saggezza.

Lo zio schiuse le labbra per un attimo, prima di distenderle in un nuovo sorriso colmo d'affetto. E lui che si era preoccupato che Debs potesse stancarsi o infastidirsi!

«E tu ti sei comportata bene, sì?» Scherzò, avanzando di qualche passo e riuscendo finalmente a distinguere la risata allegra di Babbo Natale.

«Io sono stata bravissima, anche se mamma dice che non è vero.»

Jeff rise e scosse lievemente la testa. «Chissà come le sarà venuta questa idea, mh?»

Debs sembrò sul punto di ribattere e fargli notare quanto invece fosse una bambina ubbidiente – cosa che, ad onor del vero, era comunque – quando il bambino davanti a loro andò a prendere posto sulle gambe dell'uomo in rosso, decretando finalmente l'arrivo del loro turno. Sua nipote iniziò a saltellare entusiasta, ma l'attenzione di Jeff era tutta per Babbo Natale e per lo sguardo dolcissimo che stava rivolgendo al bambino seduto sulle sue ginocchia. Se Jeff non avesse avuto ventiquattro anni e una consistente collezione di prove più che concrete alle spalle, avrebbe giurato che quello fosse davvero Babbo Natale, che abitasse in Lapponia e lavorasse tutto l'anno per costruire i giocattoli ai bambini che riempivano le sue liste. C'era talmente tanta dedizione e pazienza nel suo sguardo, che Jeff si aspettava quasi di vederlo saltare a bordo di una slitta volante da un momento all'altro. D'un tratto, l'uomo si congedò dal bambino e chiamò Debby, così Jeff fece qualche passo avanti e si fermò al lato del trono, per consentire a sua nipote di avere la sua privacy con Babbo Natale.

«Come ti chiami, signorina?» Stava intanto domandando l'uomo, dopo aver fatto accomodare la bambina sulle proprie gambe.

«Deborah» rispose lei, solerte. «Ma tutti mi chiamano Debby e lo zio Jeff mi chiama Debs.»

Il ragazzo in questione rise sottovoce, imitato immediatamente dall’uomo sotto il vestito. Uomo che, dalla risata e dal timbro di voce, non doveva essere poi tanto in là con gli anni. Sembrava giovane, Jeff non poté non lasciarsi abbagliare dalla luce dei suoi occhi. Quelli di sicuro hanno meno dei settecento e passa anni di Babbo Natale.

«Ed io come posso chiamarti?»

«Puoi chiamarmi Debs, come lo zio» concesse la bambina, allungando un braccio e indicando Jeff con un dito. Babbo Natale spostò lo sguardo su di lui e il ragazzo alzò timidamente una mano in segno di saluto, preso in contropiede.

«Allora d’accordo, Debs, che regalo vuoi che ti porti?»

La bambina schiuse le labbra in un sorriso grande e raggiante, mettendo in mostra la finestrella lasciata da un dentino caduto, poi prese a dondolare i piedi oltre le gambe dell’uomo. «Voglio la bambola Polly che fa la veterinaria. Mamma non me la vuole comprare perché dice che ne ho tante di bambole, ma questa è la più bella di tutte ed io quest’anno sono stata brava!»

Babbo Natale sorrise affabile e Jeff pensò che – vista la pubblicità spietata che avevano fatto a quella bambola – Debs non doveva essere la sola ad avergli chiesto quel giocattolo. L’uomo, ragazzo, quello che era, però, non si lasciò scoraggiare, né mostrò segni di stanchezza o esasperazione: annuì alla richiesta della bambina, poi prese la letterina che lei gli porgeva e la ripose nel sacco insieme alle altre. «Sei stata bravissima, Debs, e avrai la tua bambola. D’accordo?»

Il sorriso che lei rivolse a Babbo Natale ricordò a Jeff il motivo per cui lui continuava a offrirsi volontario per quell’incarino ogni anno. Lei era felice, era felice perché un uomo con una pancia imbottita e della barba sintetica le aveva promesso la bambola che lei voleva e sì, magari sua madre neanche gliel’avrebbe comprata alla fine, ma Debs stava abbracciando Babbo Natale per quello che rappresentava e non per i regali che lei ogni anni gli chiedeva e che, puntualmente, sua madre non poteva comprarle – l’anno prima aveva chiesto un pony e un fratellino, sua sorella era diventata viola quando Jeff glielo aveva riferito.

«Anche lo zio Jeff è stato bravo» cinguettò Debs, richiamando il ragazzo alla realtà, insieme all’attenzione di Babbo Natale che, immediatamente, si catalizzò su di lui. «Puoi portare un regalo anche a lui?»

Jeff aggrottò la fronte e sorrise con dolcezza alla sua nipotina, colto alla sprovvista da quella piacevole improvvisata. «Babbo Natale è impegnato, Debs» le spiegò, con pazienza, per non urtare i suoi sentimenti. «Ha già tanti bambini a cui portare i regali, io gli farei solo perdere tempo.»

Babbo Natale, però, sembrava di altro avviso, tant’è che scosse energicamente la testa ed esclamò: «Se sei stato buono, meriti anche tu un regalo.»

E a quel punto Jeff fu sicuro di due cose: la prima era che quel Babbo Natale non aveva affatto settecento anni, né cinquanta, né forse manco arrivava ai trenta; la seconda era che si sarebbe messo in ginocchio in quell’istante, per farsi passare per un bambino e avere la possibilità di sedersi sulle sue gambe. Il ragazzo, perché Jeff era certo che fosse poco più che suo coetaneo, gli aveva rivolto un sorriso talmente bello e caldo, contornato da baffi e barba finta, che Jeff aveva sentito le gambe cedere.

Il suo amico Thad ripeteva sempre che lui aveva l’innamoramento facile ed era del tutto vero, Jeff non avrebbe potuto negarlo neanche se fosse stato un abile bugiardo, ma l’attrazione fisica per Babbo Natale mancava miserabilmente al suo appello. E ne avrebbe volentieri fatto a meno, ad essere totalmente onesti.

«Ti- La ringrazio, Signor Babbo Natale» articolò un po’ a fatica, incespicando con le parole. «Ma non è necessario, dico davvero.»

«Invece lo è, perché tu sei bravo» stabilì Debs e Jeff sospirò, arrendendosi all’evidenza di non poter vincere contro la sua unica nipotina e Babbo Natale.

«D’accordo, allora sarò felice di ricevere anche io un regalo da Babbo Natale, contenta?»

Lei annuì e, aiutata dal ragazzo, scese dalle sue gambe e si aggiustò la gonnellina a balze. «Grazie mille, Babbo Natale, ti voglio bene» dichiarò, poi prese la mano che Jeff le porgeva e con l’altra salutò il suo nuovo amico.

«Ti voglio bene anche io, Debs, e anche allo zio Jeff» rispose quello, mentre un altro bambino prendeva posto sulle sue gambe, profondamente invidiato dallo zio Jeff.                        
 

 

Era tornato in quel centro commerciale ogni pomeriggio nella settimana seguente. Una volta per accompagnare Thad a comprare il regalo a Sebastian, una volta per accompagnare Sebastian a comprare il regalo a Thad, una volta per farsi un’idea di cosa comprare a sua sorella, una volta per andare effettivamente a comprarle qualcosa, una volta per fare giustamente la spesa, l’altra perché si era improvvisamente reso conto di avere assolutamente bisogno di questa o quella cosa.

Aveva trovato una scusa per recarvisi ogni giorno. E ogni giorno si era fermato poco distante dalla sedia di Babbo Natale e aveva osservato. Aveva osservato lui, il modo in cui prendeva i bambini in braccio, il sorriso che gli illuminava gli occhi, la risata sempre presente e l’entusiasmo che distribuiva in giro. I Babbo Natale degli anni precedenti non erano così reali, non erano così pazienti con i bimbi, non mettevano il cuore in quel costume che per molti è solo un travestimento ma per molti altri invece è l’idealizzazione dei desideri che si avverano, un eroe a suo modo.

Lo osservava per qualche minuto, il tempo di due o tre bambini, ascoltava la sua risata calda e allegra e le sue gote colorate appena di rosso – forse a causa del caldo innaturale di quel posto, forse a causa della barba finta che pizzicava –, poi andava via con il cuore più leggero e le labbra piegate in un sorriso morbido ed emozionato.

Ogni giorno. Fino al giorno in cui il Babbo Natale seduto sul trono non era più lo stesso che aveva incontrato con Debs.

Jeff rimase a fissarlo con espressione guardinga e contrariata. Quell’uomo – era davvero un uomo, la sua voce grossa non lasciava spazio a dubbi – non rideva, non metteva entusiasmo nelle sue parole, non interagiva con i bambini più del dovuto e sembrava quasi essere lì per volere non suo. Era annoiato, glielo si leggeva in viso.

«Non ti convince? Neanche a me.»

Una voce – una voce che Jeff aveva già sentito – lo sorprese alla sua sinistra e lo fece voltare. Il ragazzo che aveva parlato era un po’ più basso di lui e non lo stava guardando, ma rivolgeva la sua attenzione a quella pallida imitazione di Babbo Natale. Aveva le guance arrossate e il viso semisepolto in una sciarpa di lana grigia e verde. Ed era carino.

«Uhm- non è che non mi convince, ma-»

«È troppo poco Babbo Natale? Sì, lo so.»

Jeff sbatté un paio di volte le palpebre, confuso dalla parlantina di quel tipo. Di solito era lui quello dalla chiacchiera facile e inarrestabile, ma non era mai arrivato al livello di fare una domanda e darsi anche una risposta da solo. Per due volte di fila. No, invece no, era praticamente all’ordine del giorno per lui, ma ne era comunque piuttosto sorpreso.

Il ragazzo però sembrava aver preso particolarmente a cuore l’assenza del precedente Babbo Natale, così Jeff si voltò verso di lui e decise di chiedergli direttamente se per caso sapesse che fine avesse fatto. Se non fosse che, quando incontrò nuovamente la sua figura, il ragazzo si era girato a sua volta e rivolgeva a lui i suoi occhioni grandi ed espressivi. Quello fu esattamente il momento in Jeff comprese altre due cose: la prima era che aveva trovato il suo Babbo Natale; la seconda era che la pseudo cotta che aveva per lui non gli sarebbe più passata, visto che adesso aveva una sua ragion d’essere.

L’espressione sul suo viso doveva essere indice della mistica epifania che aveva appena avuto, tant’è che il ragazzo di fronte a lui sorrise in maniera a dir poco adorabile e poi «Ciao, zio Jeff» lo salutò.

Jeff schiuse le labbra, troppe informazioni che aggredivano le sue terminazioni nervose. È davvero Babbo Natale. È lui. Si ricorda di me. Dio, è davvero sexy. Sì, ma si ricorda di me. Il mio nome, oddio. Thad lo avrebbe preso in giro a vita, se gli avesse detto che si era invaghito di Babbo Natale, su questo non vi erano dubbi.

«Tu-» iniziò, non sapendo bene cosa dire per salvare la sua reputazione e giustificare la sua assidua presenza in quel centro commerciale, sprovvisto di bambini da accompagnare. «Perché non sei-?»

L’altro scrollò le spalle. «Giorno libero» spiegò, con tutta la tranquillità di questo mondo, quasi come se non fosse solito trascorrere i suoi pomeriggi vestito da Babbo Natale. «Pare che anche gli abitanti del polo Nord abbiano un sindacato, chi l’avrebbe mai detto?»

E poi rise e Jeff capì che, fanculo all’innamoramento ultra facile, era innamorato di Babbo Natale.
 

 

Nick, questo era il nome di Babbo Natale – “Ti chiami Nicholas? Veramente?”, “Sì”, “Come il San Nicholas che porta i regali ai bambini?”, “Sì”, “Come-?“, “-Santa Claus? Sì” – era dovuto andare via dopo poche parole e tanti sorrisi dolcissimi. Jeff aveva osservato la sua schiena allontanarsi con un labbro stretto tra i denti e la sensazione di essere stato sciocco a non aver colto l’occasione di invitarlo a bere qualcosa di caldo. Gli sarebbe piaciuto trascorrere un po’ di tempo con lui, guardarlo sorridere, chiedergli come fosse finito a vestirsi da Babbo Natale, guardarlo sorridere, comunicargli che sarebbe stato un padre perfetto per tutti i figli che Jeff aveva intenzione di avere con lui. E guardarlo sorridere, soprattutto.

Si sentiva inspiegabilmente attratto da lui – in maniera diversa dai “Ciao, mi sono innamorato di te” che mormorava tra sé ogni volta che vedeva un ragazzo carino per strada – ed era un’emozione nuova e inebriante. Perché Nick non era solo carino e carismatico, ma era dolcissimo e paziente con i bambini, credeva in ciò che faceva e aveva il suo stesso innato spirito natalizio. Il che non era affatto poco. Non aveva mai provato questo genere di coinvolgimento, qualcosa che andasse oltre lo scambiare due parole con un ragazzo mediamente apprezzabile e decidere che sarebbero andati in luna di miele alle Maldive, e ne era in parte spaventato. Continuava a tornare in quel centro commerciale ogni pomeriggio per osservare Nick che interpretava Babbo Natale, facendo attenzione a mettersi un po’ più in disparte per non farsi cogliere in flagrante, e non riusciva a sentirsi un idiota a causa di quella piccola debolezza a cui continuava a cedere.

Il giorno in cui tutto cambiò ancora, coincise con la Vigilia di Natale più fredda che Jeff avesse in memoria. Le strade sembravano venire fuori da una cartolina di auguri, innevate e illuminate dalle luci colorate, ma pressoché deserte a causa della cena imminente.

Mancavano pochi minuti alle sei di sera, ma Jeff sapeva che il supermercato del centro commerciale sarebbe stato aperto almeno un’altra mezz’ora, per permettere ai ritardatari e agli sbadati di procurarsi tutto l’occorrente per mettere in tavola. Lui camminava a passo svelto verso l’ingresso, il parcheggio era vuoto e immobile e la neve gli aveva spruzzato il cappotto di morbidi puntini bianchi; aveva bisogno della salsa per le tartine che Jocelyn, sua sorella, aveva dimenticato di comprare. Quando varcò la porta scorrevole, fu investito in pieno dall’aria condizionata che riscaldava l’intero edificio e rabbrividì piacevolmente all’escursione termica che percepì.

Il supermercato era nella seconda galleria sulla destra, così Jeff si diresse direttamente da quella parte, del tutto intenzionato a fare quanto prima per tornare al caldo e all’asciutto della propria abitazione. Salvo poi fermarsi dopo appena tre passi a causa di qualcosa, qualcuno, che attirò la sua attenzione. Il centro commerciale era praticamente deserto, ma Nick era seduto sul trono di Babbo Natale. Vestito da Babbo Natale. Per sicurezza, Jeff estrasse il cellulare dalla tasca e controllò che fosse effettivamente la Vigilia di Natale, poi lo ripose al suo posto e tornò a concentrarsi su Nick.

Se non era già abbastanza strano che il ragazzo fosse in giro a quell’ora il 24 Dicembre, era assolutamente inconcepibile che stesse addirittura lavorando. Certo, sempre che non aspettasse la mezzanotte per iniziare a portare i regali ai bambini, Jeff non era ancora certo di poter escludere quell’opzione. Così si morse un labbro e gli si avvicinò lentamente, il cuore che batteva più forte ad ogni passo che metteva in fila.

«A quest’ora non dovresti, che ne so, star sfamando le renne e facendo la revisione alla tua slitta?» Domandò, una volta portatosi a un paio di metri da lui.

Nick sollevò immediatamente lo sguardo e gli sorrise, in quel modo caldo e avvolgente che causava qualche scompenso cardiaco a Jeff. «Volevo essere sicuro di non perdermi neanche un bambino, magari c’era qualche ritardatario» spiegò, alludendo palesemente alla sua presenza lì.

Jeff distolse lo sguardo e imprecò mentalmente, nel sentire le gote riscaldarsi all’istante, poi tornò a guardarlo e sollevò le spalle, ostentando nonchalance. «Sono grande per Babbo Natale» si giustificò.

L’altro tacque per qualche istante, poi «Peccato» fu tutto quello che disse, sebbene il suo sguardo nascondesse molto altro. Altro che Jeff era ansioso di scoprire e conoscere.

«Cosa fai qui a quest’ora?» Si interessò comunque, dimentico della salsa che aspettava di essere comprata. «Non dovresti essere a casa per la cena?»

Lo sguardo di Nick si rabbuiò per un attimo, una nuvola passeggera che osava coprire il sole, poi il ragazzo fece una smorfia amara e si sfilò il cappello rosso dalla testa. «Ho detto ai miei genitori che sarei andato a sciare ad Aspen con i miei amici. E ai miei amici che sarei andato in Turchia con i miei genitori. La verità è che non ho né i soldi e né la voglia per fare entrambe le cose, così rimango qui fino all’orario di chiusura e poi torno a casa a prepararmi un cheeseburger.»

Jeff era allibito. Aveva ascoltato ogni parola in religioso silenzio, come a voler carpire significati nascosti in ogni sillaba che Nick pronunciava, desideroso di trovare un senso all’isolamento volontario che quel ragazzo aveva messo in atto proprio la Viglia di Natale. Non ci era riuscito, gli sembrava semplicemente assurdo e in contrapposizione con ciò che aveva capito di lui.

«Non- Insomma, vista la dedizione con cui ti sei vestito da Babbo Natale… pensavo che il tuo spirito natalizio facesse a gara con il mio.»

Nick rise e provvide a privarsi anche della barba finta che ancora indossava. «Sono pieno di spirito natalizio» gli fece notare, una punta di tenera rassegnazione nel suo tono di voce. «Ma sono uno studente universitario: non posso permettermi di andare a sciare ad Aspen, ma non ho neanche voglia di seguire i miei dall’altra parte del mondo. Così sono rimasto in città. Stamattina ho coperto un paio di turni in ambulatorio e oggi pomeriggio sono venuto qui. Ma ho cantato Jingle Bells, se la cosa può sollevarti.»

«Vieni a cena da me.»

Jeff dovette sbattere un paio di volte le palpebre, prima di rendersi conto che davvero la voce che aveva parlato era la sua. Non se ne era neanche reso conto: aveva semplicemente pensato di fargli quella proposta, che quella si era immediatamente palesata sulle sue labbra. Nick lo osservò stupito, come valutando la sua sanità mentale e la serietà delle sue parole, poi inarcò un sopracciglio e «Sei serio?» Volle accertarsi.

Jeff annuì con sicurezza, visto che ormai aveva parlato ed era impossibile e inutile tirarsi indietro. «Assolutamente. Non ti permetterò di trascorrere la Viglia di Natale da solo, in compagnia di cibo spazzatura e repliche di Dr. House» il ragazzo sorrise mestamente, così Jeff immaginò di essere sulla buona strada per convincerlo. «E poi mia madre e mia nonna cucinano sempre per un esercito e sì, noi siamo in tanti, ma non così tanti.»

«Guarda che io non mangio così tanto» puntualizzò Nick e Jeff scosse lievemente la testa, perché la sola idea di trascorrere l’intera serata con lui gli aveva già fuso il cervello.

«Non fa niente, mi fa piacere se vieni» confessò, sentendosi al contempo molto imbarazzato e molto scemo.

L’altro però non dovette pensarla allo stesso modo, visto il sorriso radioso che gli piegava le labbra. «Devo calarmi giù dal camino vestito da Babbo Natale?»

«Puoi- puoi venire anche in borghese, direi.»

«D’accordo» Nick annuì e si alzò in piedi, ridicolmente vestito da Babbo Natale senza barba e cappello. «Dammi il tempo di-» fece un gesto vago con le mani e Jeff capì perfettamente che intendeva andare a cambiarsi, così gli sorrise e continuò a farlo mentre Nick si allontanava, inciampando nei propri piedi per l’impossibilità di camminare senza voltarsi a guardare Jeff.
 

 

Com’era prevedibile, la sua famiglia non fece alcuna piega a quell’improvvisata, anzi. Nick venne accolto con sorrisi calorosi e pacche sulla spalla, come se davvero fosse un vecchio amico di Jeff, uno di quelli che lui era solito invitare spesso a casa e far restare a dormire. Poco importava che avessero scambiato solo poche parole e che, di fatto, non si conoscessero per nulla: Jeff lo presentò a tutti e tutti lo adorarono immediatamente, anche se sorvolò sul suo lavoro part time, al fine di evitare che Debs lo sentisse e si rovinasse tutta la magia del Natale.

La cena proseguì così come era in programma, caotica e vivace, ma Nick non sembrò preoccuparsi delle domande insistenti dei suoi fratelli o di sua madre che continuava a riempirgli il piatto. Continuava a ridere e a rispondere con piacere a qualsiasi curiosità gli venisse posta – Jeff scoprì che il ragazzo si stava specializzando in pediatria e, non solo lo amò giusto un po’ di più, ma capì anche da dove venisse la sua bravura con i bambini – senza lasciarsi intimorire dall’entusiasmo e dal caos tipici di casa Sterling.

Anzi. «Mi sento come Harry Potter la prima volta che è stato alla Tana» commentò, a metà cena, sporgendosi verso Jeff – che era immancabilmente seduto al suo fianco – e parlottandogli direttamente nell’orecchio.

Jeff si sentì quasi morire a quella vicinanza improvvisa, ma non poté negare che la descrizione fosse davvero, davvero, molto calzante.
 

Si erano alzati da tavola da quasi mezz’ora, dopo aver fatto gli opportuni complimenti alle cuoche e mangiato ogni singolo esemplare di dolce natalizio esistente al mondo, Jeff aveva dato una mano a sparecchiare e Nick era stato rapito da Debs. La bambina si era innamorata di lui e questo non solo era indice di quanto il ragazzo ci sapesse fare, ma decretava anche definitivamente la parentela tra Jeff e sua nipote: gli stessi gusti in fatto di ragazzi non mentivano.

Quando Jeff tornò in salotto, però, fu sorpreso di trovarci non tutti i suoi parenti come si era aspettato, ma Nick da solo. Nick arrampicato su una sedia vicino alla porta finestra che cercava di staccare dal muro uno dei ramoscelli di vischio che Jeff aveva disseminato per casa. Ignorò il suo cuore che prendeva a battere all’impazzata e si schiarì la voce, facendo qualche passo verso di lui. Colto sul fatto, Nick si voltò di scatto e rischiò quasi di cadere dalla sedia per la sorpresa.

«Scusa, non-»

«Cosa stavi cercando di fare?»               

Il ragazzo esitò, poi rinunciò alla sua impresa eroica e scese da quello scaletto improvvisato. «Uhm» si massaggiò il retro del collo con una mano, sembrava pericolosamente a disagio. «Boh, volevo procurarmi un rametto di vischio per- avere una scusa per baciarti, sai.»

Con una fermezza che non credeva affatto di possedere – viste le parole che avevano appena lasciato la bocca di Nick – Jeff si avvicinò al basso tavolino posizionato tra i due divani e sfilò un rametto di vischio dalla composizione floreale natalizia che lo abbelliva. «E non potevi prendere questo?» Domandò semplicemente, come se fosse ovvio, mordendosi un labbro.

Lo sguardo di Nick cambiò all’istante, passando dal consapevole senso di colpa alla genuina confusione che Jeff gli aveva causato. «Mi sembrava più romantico- arrampicarmi su una sedia e… cercare di sopravvivere. Solo per baciarti, ecco.» 

Jeff avvertì le guance riscaldarsi e le gambe tremare per l’emozione e l’aspettativa di cui era pregno quel momento. La verità era che lui aveva desiderato baciare Nick sin da quando lo aveva visto nei panni di Babbo Natale la prima volta: vederlo avvicinarsi a lui, con quello sguardo negli occhi – quello sguardo che diceva “Ecco, sto venendo a rendere reale ogni tuo sogno” – era quasi troppo da sopportare per lui e per il suo povero cuore.

«Dove sono tutti?» Mormorò Jeff, in un patetico tentativo di prendere tempo, mentre Nick copriva la distanza che ancora li separava e si portava di fronte a lui.

«Sono in giardino. Ad accendere l’albero.»

L’altro annuì e si inumidì le labbra, continuando a rigirarsi tra le mani il suo lasciapassare per la terra promessa. Fortunatamente, Nick era dotato di un po’ più di senso pratico di lui: abbassò per un attimo lo sguardo sulle sue mani e poi «Sei il più alto» commentò con naturalezza, le labbra piegate in un sorriso morbido e caldo. Lo stomaco di Jeff fece una capriola al pensiero che fosse per lui.

«Giusto» prese un respiro profondo e poi sollevò il braccio destro, portandolo poco sopra la propria testa e sentendosi incredibilmente scemo. «Umh- va bene così?»

La risposta di Nick fu un leggero cenno del capo e un ulteriore passo verso di lui. Jeff avvertiva il braccio tremare, sia a causa dell’emozione e sia a causa della posizione a cui lo stava costringendo, ma quando Nick gli posò delicatamente la mano sulla guancia, passò tutto in secondo piano. Ogni cosa perse d’importanza, in favore degli occhi di Nick, del sorriso di Nick e del respiro di Nick che gli si infrangeva sulle labbra.

«Buon Natale, Jeff» mormorò, un attimo prima di sporgersi in avanti e annullare definitivamente la distanza tra loro. Senza esitazione, paura o ripensamenti.

Quello fu il momento in cui Jeff capì altre due cose, forse le più importanti di tutte: la prima era che, in barba a qualsiasi diceria popolare o meno, se Babbo Natale ti prometteva un regalo, potevi stare certo che lo avresti ricevuto; la seconda era che Thad avrebbe dovuto scusarsi per aver sempre denigrato i suoi innamoramenti ultra facili.

Talvolta, portavano a qualcosa di buono. Di veramente buono.





The End 

 
   
 
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