Ma lei sta bene, Peeta. E anche tu. La tua esistenza terrena non è ancora finita.
Sei in ospedale, Peeta. Lo capisci dalle lenzuola candide che avvolgono il tuo corpo, dal filo di una flebo che ti spunta dal braccio, dal sommesso bip di quei macchinari che ti hanno riportato indietro da quella che ormai era la morte. Ti guardi intorno lentamente, cercando di mettere a fuoco; devono averti anestetizzato, perché non senti niente. Hai solo la consapevolezza che la tua mente è annebbiata, avvolta nei fumi di chissà quale antidolorifico, che soffoca i tuoi pensieri come quella nebbia che ti ha quasi ucciso nell’arena. Qualcuno ti passa accanto, ma non riesci a vederlo; dice qualcosa, ma non comprendi le sue parole; non sai nemmeno se si stia rivolgendo a te o a un’altra persona, ma non importa, perché in quello stesso momento i tentacoli dell’anestetico tornano ad avvinghiarsi alla tua mente, trascinandoti nell’abisso dell’incoscienza.
Non appena ti dimettono dall’ospedale, ti trascinano in una stanza spoglia, dalle pareti bianche: a farti compagnia, solo uno schermo nero di fronte a te ed una sorta di piccolo trono dai braccioli dorati, su cui ti fanno sedere. Ecco, ora sei il re degli Hunger Games, Peeta, sei sfuggito all’arena per la seconda volta e questa è la tua ricompensa. Ma qualcosa non va: i tuoi polsi sono incatenati, così come le tue braccia e le tue gambe. Non puoi muoverti, a meno di strapparti qualche pezzo di carne. Allora realizzi tutto: ti trovi in una prigione. Di colpo, lo schermo prende vita, mentre vi scorrono molte immagini di Katniss. E tu sei triste, Peeta, perché lei non è lì con te. Senti un movimento alle tue spalle: la porta che ti ha condotto qui si è spalancata di nuovo. Due pacificatori in divisa bianca ti si parano davanti all’improvviso, e un pugno ti colpisce prima che tu te ne accorga; non fai in tempo a riprenderti dallo stupore che subito molti altri colpi seguono il primo. Adesso senti dolore, Peeta. Vorresti gridare, e lo fai; urli, sfoghi le tue sensazioni con versi disumani, invochi il nome di Katniss; continui fino a perdere la voce, ma quelli non smettono di picchiarti, e il tuo stesso sangue ti inzuppa le vesti, rendendole calde e rosse. Poi, quando ormai hai esaurito le speranze che quella tortura abbia fine, non senti più nessun colpo. Per un attimo, credi che sia finita, speri che sia finita; invece questo è solo l’inizio. Un ago ti buca la pelle e senti un liquido sconosciuto che ti viene iniettato nelle vene. Tu però non reagisci: ormai hai a stento la forza di respirare, figuriamoci quella di opporti. Non sai cosa pensare, perché per un attimo non senti niente: non un suono, non un movimento, semplicemente il nulla più assoluto; persino il dolore sembra scomparso. Forse ti stanno somministrando un anestetico, oppure una medicina, ma allora che senso avrebbe tutto questo? Perché farti soffrire tanto per poi curarti le ferite? Non hai ancora finito di pensarlo che tutto esplode.
No, non può essere, lei è salva, sta bene.
Ma come puoi esserne sicuro, Peeta? Tu sei bloccato in questa stanza, non puoi sapere cosa accade fuori; ti sorge in mente un dubbio: poco fa erano solo le sue immagini sullo schermo, oppure l’hai vista davvero?
Forse gli uomini di Snow l’hanno catturata e adesso lei è lì con te. Il grido si ripete. E se la stessero torturando? Spalanchi gli occhi, e quelli corrono istintivi al grande impianto video sulla parete, perché devi vedere, hai bisogno di sapere se sta bene.
Ma al posto del viso sorridente di Katniss incontri solo l’espressione terrificante di un mostro. Come è possibile? Eri certo che fosse lì, quell’ibrido non c’era un attimo fa… E se non si trattasse di un ibrido? Se fosse proprio lei? No, non è possibile. I suoi lunghi capelli neri raccolti in una treccia sono lisci e perfetti, non sporchi ed arruffati, addirittura bruciati in alcuni punti; i suoi occhi sono grigi come il cielo in una mattinata invernale, non sono rossi, iniettati di sangue; la sua pelle è olivastra e perfetta, non coperta di incrostature cremisi. No, quello che hai di fronte è un ibrido, non Katniss. Però le assomiglia tanto… E se fossero stati quelli di Capitol a renderla così?
«Peeta» qualcuno ti chiama. Un istante e vedi che chi ha proferito parola è proprio quel mostro sullo schermo. No, non puoi crederci, non vuoi crederci; perché la voce che hai sentito è così dannatamente simile a quella di Katniss?
«Peeta, perché mi guardi così?» il suo tono è sorpreso. Tu scuoti la testa, urlando all’ibrido di andarsene; del resto lei non può essere Katniss, no?
«Peeta, perché vuoi che me ne vada? Io ti amo, e tu lo sai» adesso la sua voce è preoccupata. E anche tu lo sei. Perché, nel profondo del tuo cuore, sai che quella è davvero Katniss, la ragazza che ti ama quanto tu ami lei. Ma allora perché non ti aiuta a liberarti, perché non viene ad alleviare il tuo dolore e, soprattutto, perché è coperta di sangue? (e capisci che quello è il tuo sangue, lo stesso che ti sgorga ancora dalle ferite)
Le tue domande non trovano risposta, perché tutto esplode in un’unica ondata rossa che ti travolge, togliendoti il respiro. Provi a trattenere il fiato, Peeta, ma non ci riesci; senti quel liquido cremisi che ti entra nel naso, nella bocca, avverti il suo sapore metallico, lo senti scendere in gola e anche riempirti i polmoni. Hai un’ultima visione dell’ibrido di Katniss che sogghigna guardandoti affogare nel tuo stesso sangue, poi perdi coscienza, non prima di aver udito le sue parole. «Arrangiati, Peeta».
Non ti sei ancora rassegnato all’idea che quella sia la vera Katniss: anche se l’immagine sullo schermo dice di amarti, tu sai che non è così, perché chi ti ama non gode nel vedere il male affliggerti.
Ma la vera ragazza di fuoco non può essere comunque risparmiata dal tuo odio.
Perché lei è libera, e tu no? E perché, anche sapendo che tu sei prigioniero nelle mani dei suoi (dei vostri) nemici, non fa niente per provare a salvarti?
Perché è una codarda, Peeta.
Finalmente l’hai capito; nonostante il dolore che ti causa, quell’ibrido ti ha aiutato non poco a ragionare. Katniss non ti ama davvero: se così fosse, avrebbe tentato in qualche modo di aiutarti. Ma non l’ha fatto.
E tu non puoi perdonarla per questo.
Botte.
Sangue.
Ibridi.
Katniss.
Ancora botte.
Sangue e Katniss.
Ibridi e sangue.
E altre botte.
Katniss, ibridi, sangue. Nient’altro. Ormai è tutto un circolo vizioso, il cui punto di partenza è stata proprio Katniss, la ragazza che credevi di amare e che ora odi con tutto il cuore.
Perché Katniss è un ibrido, Peeta, e tu odi gli ibridi. L’unico modo che hai per essere libero è ucciderla.
Angolo dell'autrice
Buonasera, popolo di Efp! Come avevo promesso a quelli che seguono la mia fic "We're all animals", pubblico una one-shot di genere (credo) angst (sì, mi sono evoluta dal semplice introspettivo u.u) su un argomento in genere un po' trascurato: il depistaggio di Peeta. Ho provato a scrivere la mia versione dei fatti, o meglio, la visione che Peeta ha della tortura secondo me. Se alcune parti vi sembrano un po' intricate è perché ho cercato di rendere il flusso di pensieri di Peeta come se fossimo nella sua testa; infatti, propriamente, la voce narrante è una parte della mente di Peeta, che tuttavia gli si rivolge in terza persona, come se fosse esterna.
Ok, io vi ho detto la mia. Adesso gradirei di sapere cosa ne pensate voi: a vostro parere, ho reso l'idea o farei meglio a ritirarmi nel buco da cui sono uscita e non tentare mai più di scrivere angst (di nuovo ammesso che questo sia il genere, da quello che ho capito l'angst è una sorta di, non so se il termine è totalmente adatto, "thriller psicologico"). Gradirei che mi lasciaste una recensione, almeno per chiarirmi questo punto "oscuro". Ah, un'ultima cosa: se vi piacciono i dialoghi interiori dei personaggi, avevo scritto tanto tempo fa una fic su Enobaria, che trovate qui. Racconta come sia diventata un'assassina senza pietà, sempre secondo me, ovvio. Se vi va, passate anche lì.
Va bene, stavolta ho finito davvero. Auguro a tutti voi buone feste!
Swan