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Autore: Emily27    24/12/2013    3 recensioni
Era il ventitrè di dicembre ed Emily avrebbe dovuto essere a Londra, nel suo ufficio di capo-squadra a sbrigare le ultime formalità prima della Vigilia, invece in quel momento si trovava su un aereo che di lì a poco sarebbe atterrato al Washington Dulles. E tutto per colpa, o per merito, di Clyde...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Derek Morgan, Emily Prentiss
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ritornando



Era il ventitrè di dicembre ed Emily avrebbe dovuto essere a Londra, nel suo ufficio di capo-squadra a sbrigare le ultime formalità prima della Vigilia, invece in quel momento si trovava su un aereo che di lì a poco sarebbe atterrato al Washington Dulles. E tutto per colpa, o per merito, di Clyde.
Da quando aveva lasciato la BAU non aveva più fatto ritorno a Washington, era sempre stata troppo occupata con il suo lavoro: casi urgenti, trasferte in altri paesi europei e problemi da risolvere. Finchè gli impegni lavorativi erano diventati solo una scusa per non recarsi a fare visita agli amici della ex squadra. Due mesi prima Morgan e Reid erano andati a trovarla, era stata bene durante quei quattro giorni, ma allo stesso tempo aveva provato una pericolosa nostalgia della sua vecchia vita. Per questo motivo non era mai andata a fare loro visita a Washington, perché era arrivata al punto di pensare che se lo avesse fatto non sarebbe più tornata a Londra. Era questa la verità, anche se aveva tentato di nasconderla a se stessa, dicendosi che ora la sua vita era lì all'Interpol, in una città che aveva imparato ad amare, con nuovi amici e colleghi che aveva imparato a conoscere.
Forse era riuscita a seppellire quella verità nelle profondità del suo cuore, aiutata dal suo orgoglio che non ammetteva un ripensamento sulla scelta compiuta, ma non abbastanza bene da renderla invisibile agli altri.
Mentre l'aereo iniziava a scendere di quota nel cielo ormai buio e si accendeva la spia che invitava ad allacciarsi la cintura di sicurezza, Emily ripensò alla conversazione avuta con Clyde due giorni prima.

Era alla sua scrivania che stava riordinando alcuni documenti di un vecchio caso e sentiva lo sguardo di Clyde su di sé. Il suo superiore, che sedeva di fronte a lei dall'altra parte della scrivania giocherellando con la levapunti, non le aveva però ancora detto il motivo per cui si era recato nel suo ufficio.
«L'ho capito che non sei passato di qui solo per farmi un saluto» gli disse chiudendo il fascicolo e sollevando gli occhi su di lui.
«Allora te la cavi ancora bene come profiler.»
Emily sollevò gli occhi al cielo e lo esortò ad arrivare al dunque. «Vieni al sodo.»
Easter rimise la levapunti al suo posto dentro ad un portapenne e si sedette meglio sulla poltroncina. «Quando ti ho offerto questo lavoro non avevo alcun dubbio sulle tue capacità di svolgerlo nel migliore dei modi, e tu hai superato di gran lunga le mie aspettative.»
A quelle ultime parole Emily ebbe un moto d'orgoglio: sapeva di essere in gamba, ma sentirselo dire era sempre una soddisfazione.
«Però...» continuò lui lasciando la frase in sospeso.
«Però?» lo incalzò Prentiss. Cos'era quel
però? Non le sembrava di aver commesso nessuna mancanza.
Clyde appoggiò le braccia sulla scrivania e si sporse verso di lei.
«Però questo non è il tuo posto.»
Emily sentì un vuoto allo stomaco. Una reazione che solo l'essere messa di fronte alla realtà in modo così schietto poteva provocare. Ciò nonostante finse di non capire.
«In che senso?» fu la sua inutile domanda.
«Dai, Emily... Quando hai intenzione di ritornare alla BAU?»
«Cosa ti dice che io desideri tornare alla BAU?»
«Tutto» rispose Easter tornando ad appoggiarsi allo schienale della poltroncina.
Ogni suo proposito di convincersi che tutto andava bene, che
sarebbe andata bene, crollò. Clyde aveva visto giusto: quello non era il suo posto, anche se lo aveva creduto.
Distolse lo sguardo da lui e lo abbassò sulle sue mani intrecciate sul piano della scrivania, riflettendo. Un conto era quello che desiderava, un altro era la realtà, non poteva fare e disfare le cose a suo piacimento, era a capo di una squadra, aveva delle responsabilità, aveva accettato quel lavoro lasciando quello vecchio e adesso stava valutando l'ipotesi di tornare indietro, dov'era finita la sua coerenza? Doveva ascoltare quelle sensazioni o continuare a camminare sulla strada che aveva scelto?
La mano di Clyde che sfiorava il suo braccio la distolse da quei ragionamenti e Prentiss sollevò nuovamente lo sguardo su di lui.
«Emily... Tra qualche giorno sarà Natale, prenditi due settimane di ferie e torna a Washington, poi vedrai il da farsi.»
Prentiss sgranò gli occhi e li puntò su di lui come se avesse detto un'eresia.
«Due settimane di ferie? Sei impazzito?» esclamò, anche se a preoccuparla non erano le due settimane di vacanza, ma il fatto di doverle trascorrere a Washington.
«Fino a prova contraria sono ancora nel pieno delle mie facoltà mentali.»
«No» disse lei scuotendo il capo. «È impensabile con tre agenti in Francia e due a Vienna che dovrò raggiungere la settimana prossima.»
«Stai forse mettendo in discussione l'ordine di un tuo diretto superiore? Perchè quello era un ordine, Prentiss» le ricordò Clyde in tono autoritario, ma non troppo.
Era un consiglio sotto forma di ordine, pensò Emily, e come tale non le restava che eseguirlo.
A dire il vero, moriva dalla voglia di farlo.


Un taxi, che Emily aveva preso all'uscita dell'aeroporto, la condusse a Quantico, lasciandola a destinazione davanti all'edificio che ospitava la sede della BAU, dove aveva voluto recarsi subito.
Dubitava che qualcuno della squadra fosse ancora al lavoro alle venti passate, oppure addirittura si trovavano tutti fuori per un caso, tuttavia si concesse di sperare il contrario.
Entrò nel palazzo, dopo che era trascorso più di un anno da quando ne era uscita, e in un dejà vu si ricordò di quando aveva compiuto la medesima azione, dopo essere stata per mesi nel programma di protezione. C'era però una differenza: in quest'ultimo caso era stata costretta ad allontanarsi, nel primo si era trattato di una sua scelta e, per assurdo, era stato più difficile, come più complicato a livello emozionale era adesso tornare.
L'agente di guardia all'ingresso l'accolse con entusiasmo, ricordandosi di lei, e prese volentieri in custodia il suo trolley.
Emily prese l'ascensore e durante la salita sentì l'emozione pizzicarle lo stomaco, un chiaro segnale di ciò che aveva rappresentato per lei tutto ciò che stava per ritrovare e, specialmente, cosa ancora rappresentasse.
Una volta che fu arrivata al piano, uscì su un corridoio deserto. Restò per qualche istante a guardarsi intorno e a respirare l'aria familiare che scoprì esserle tanto mancata, finchè scorse una figura svoltare l'angolo in fondo al corridoio. Si trattava di Derek, il quale, non appena si accorse di lei, affrettò il passo per raggiungerla.
«Emily... Non ci credo!»
Lei gli rivolse un sorriso, felice di aver trovato ancora qualcuno lì a quell'ora e felice che fosse lui.
«Non smetti mai di lavorare?»
«Mi farò dare un premio a fine anno» si ripromise Morgan fingendo di asciugarsi il sudore dalla fronte. «Ehi, non hai detto niente del tuo arrivo.»
«Io... Volevo farvi una sorpresa.»
Non gli confessò che era stata un'idea di Clyde.
«E ci sei riuscita!»
Si vedeva lontano un miglio quanto Derek fosse contento di quell'improvvisata, e non tardò a dimostrarlo.
«Vieni qui...» disse abbracciandola.
Emily si lasciò stringere e fece altrettanto, ringraziando Clyde per averla costretta a volare fino a Washington.
Quando si sciolsero dall'abbraccio, Morgan domandò: «Quanto ti fermerai?»
Era proprio una bella domanda, pensò lei, perché in verità non conosceva la risposta.
«Ho due settimane di ferie, passerò qui tutte le feste natalizie.»
«Due settimane?» si stupì lui. «Non pensavo che Easter fosse così generoso.»
«Già... Nemmeno io.»
Derek la guardò, con due occhi profondi fissi nei suoi. «Sono felice che tu sia qui.»
Emily sorrise a quelle parole pronunciate con dolcezza e annuì, facendogli intendere che lo era anche lei.
«Prentiss, va tutto bene?» chiese poi Morgan, serio, senza smettere di scrutarla.
A quella domanda Emily temette di avvampare. Che diamine, ci si metteva anche lui adesso? Possibile che i suoi sentimenti si potessero leggere sul suo volto come in un libro aperto?
«Certo, è tutto okay. Perché me lo chiedi?» volle sapere, già sulla difensiva.
«Mi sto solo informando su come stia una mia cara amica venuta da Londra, finalmente» disse Morgan alleggerendo il tono e rimarcando sull'ultima parola. «So che è ora di cena, ma prima... ti andrebbe un caffè?»
Prentiss avrebbe preferito mettere qualcosa sotto i denti, ma accettò ugualmente di buon grado.
«Va bene.»
Derek le cinse i fianchi con un braccio e, con sua sorpresa, la condusse verso la porta a vetri con il logo della BAU.
«Credevo mi portassi al bar.»
«Perché fare tanta strada?» disse lui spingendo la porta e tenendogliela aperta affinchè potesse entrare nell'open space, deserto a quell'ora.
Una volta dentro, Emily si fermò ad osservare quanto la circondava: scrivanie, schedari e la scaletta  che portava all'ufficio di Hotch, ora immerso nel buio. Nel silenzio e sotto la luce di alcune lampade di emergenza, ogni cosa le parlava di momenti vissuti. Mosse alcuni passi verso il centro dell'open space e il suo sguardo corse istintivamente alla sua vecchia scrivania, ora occupata dagli oggetti di un'altra persona, qualcuno che aveva preso il suo posto perché lei aveva deciso di lasciarlo, per un motivo che adesso pareva sfuggirle. Era strano e naturale al tempo stesso trovarsi lì, come se fosse stata via secoli e un giorno soltanto.
Si girò verso Derek, il quale l'attendeva silenzioso sulla soglia dell'angolo relax. Lo raggiunse e, senza dire una parola, entrarono nella saletta, dove lui accese la luce e si accinse a preparare il caffè.
«Forte e ben zuccherato, come piace a te» disse Morgan armeggiando tra barattoli e fornellino, voltandosi poi indietro strizzandole l'occhio. «Certe cose non si dimenticano.»
«Non l'ho mai dubitato.»
Emily si levò il cappotto e lo sistemò su una sedia, emettendo un sospiro: era bello sentirsi a casa, una sensazione che non provava da tempo.
Quando Derek depositò sul tavolo due tazze colme di liquido bollente, si sedettero e Prentiss esclamò: «La mia tazza!»
«Nessuno l'ha più usata, aspettavamo che tornassi a sederti a questo tavolo a bere questa brodaglia. Ed ora lo stai facendo.»
Emily scosse la testa con un sorriso, conoscendo il significato nascosto delle parole del suo ex collega, e sorseggiò con cautela il caffè caldo, che giudicò il più buono che avesse mai bevuto.
«Sono solo qui in vacanza, Derek.»
«Emily, se considerassi questa solo una vacanza, avresti avvisato del tuo arrivo, saremmo venuti ad accoglierti all'aeroporto e tu saresti andata in albergo, invece di correre qui nonostante l'ora.»
Prentiss lo guardò bere il caffè, tranquillo come dopo aver detto una verità innegabile. Si domandò se lui e Clyde fossero stati creati con lo stesso stampo.
Aprì bocca per parlare, ma Derek la bloccò con un gesto della mano.
«Prima di dire qualunque cosa... Ascoltami, non fingere con me.»
A quel punto non aveva più nessuna intenzione di farlo, non aveva senso fingere con una delle persone a cui era legata più profondamente, con la quale poteva liberarsi di ogni pensiero avendo la certezza di non essere giudicata. E voleva smetterla una volta per tutte di mentire a se stessa.
«Quando ho accettato il lavoro all'Interpol ero convinta di ciò che stavo facendo, mi sembrava la cosa migliore per me in quel momento, invece adesso temo di aver commesso una sciocchezza, me ne sto pentendo, capisci?»
«Certo che capisco, e non hai commesso nessuna sciocchezza, Emily» disse lui posando una mano sulla sua, ancora stretta intorno alla tazza. «Hai compiuto quella scelta perché avevi bisogno di cambiare aria, e ne avevi tutte le ragioni.»
«Credo di non averne più.»
«Vuol dire che è tutto passato, allontanarti è servito a qualcosa, almeno.»
«E adesso?» Odiava sentirsi così incerta, non faceva parte della sua personalità, ma era un sollievo poter esprimere a qualcuno l'insicurezza che la tormentava.
«Tu cosa vorresti?»
«Che tutto fosse come prima.»
«Allora torna, e lo sarà» disse Derek, poi sorrise. «Devi solo andare a Londra ancora una volta a prendere Sergio.»
Emily ricambiò il sorriso, che fu però di breve durata. «Non è così semplice, tornare alla BAU non dipende solo da me. Un'altra agente ha preso il mio posto, la squadra è al completo, perchè dovrebbero aggiungervi un membro in più? E proprio me... Inoltre la decisione dovrebbe passare attraverso il nuovo capo sezione, che non mi conosce nemmeno.»
«Ma noi ti conosciamo. E ti vogliamo qui.»
«Credi che questo possa bastare?» domandò Emily scettica.
«Faremo in modo che basti.»
Era dolce l'entusiasmo di Derek, la convinzione delle sue affermazioni, così come la segreta speranza in un suo ritorno che tutti avevano nutrito. Faceva ancora parte della famiglia.
«Sai una cosa... Se ero stata sfiorata dall'idea di tornare, trovarmi poco fa nell'open space e qui adesso è stato una specie di colpo di grazia. I ricordi dei momenti vissuti e...» Emily si bloccò e riprese esclamando: «L'hai fatto apposta a farmi venire qui invece di andare al bar! Tu, Derek Morgan!» Gli puntò contro l'indice con fare minaccioso, mentre lui se la rideva.
«Okay, lo ammetto, ma ne è valsa la pena, no?»
«Va bene, te la concedo, però non basta a farti perdonare.»
«Dimmi cos'altro, sono pronto a tutto» dichiarò Morgan.
«Portami a cena, ho una fame da lupi.»

Uscirono dallo stabile sorpresi da piccoli e leggeri fiocchi di neve, che avevano già iniziato ad imbiancare ogni cosa.
«Sarà un bianco Natale» commentò Emily con il naso all'insù, lasciandosi punzecchiare il viso dal gelido nevischio.
«Hai programmi per domani?»
«Nessuno. Non ho intenzione di trascorrere la Vigilia con tutti i Prentiss a casa di mia madre, per questo aspetterò il venticinque a dirle che sono a Washington» disse Emily, la quale non aveva mai sopportato quegli incontri fatti di formalità, solo perchè dovuti.
«Mia madre e le mie sorelle arriveranno soltanto a Natale, potremmo trascorrere insieme la Vigilia, se ti va. Nessun tipo di formalità, niente etichetta, soltanto libertà di parola e azione...»
«Che cosa intendi con libertà di... azione?» domandò lei con aria sospettosa e un sorriso trattenuto a stento.
«Che potrai fare di me ciò che vorrai» rispose Derek allargando le braccia in un atteggiamento arrendevole. «Allora, ti va?»
Lei rise ai pensieri impuri che stava formulando la sua mente. «Mi va.»
Una mano di Derek afferrò il manico del trolley che si era offerto di portare, l'altra venne presa da quella di Prentiss. S'incamminarono così sotto la neve, elencando tutta una serie di azioni, più o meno piccanti, che avrebbero potuto compiere il giorno seguente.
Emily si sentiva contenta e distesa. Forse non sarebbe stato così semplice, c'erano diversi aspetti da considerare, ma il cuore le diceva che presto sarebbe tornata là dov'era il suo posto.


 
  
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