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Autore: Rowena    18/05/2008    6 recensioni
Credeva di essere morto, dopo aver pagato per il suo delitto più atroce. Lucy, la sua adorata Lucy era morta per mano sua senza che la riconoscesse. Ma il cammino di Sweeney non è ancora terminato e, prima ancora che possa rendersene conto, il diabolico barbiere di Fleet Street si ritrova in uno strano pub, circondato da una compagnia di scheletri e cadaveri che mal si accostano all'idea comune della morte. [Crossover Sweeney Todd/Corpse Bride]
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mrs Lovett, Sweeney Todd
Note: Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta
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La morte era stata lenta e atroce, per il diabolico barbiere di Fleet Street, privato adagio della sua linfa vitale dopo essere stato ferito mortalmente da quello stesso bambino morto di fame che avevano accolto per carità e per il cuore tenero di quella strega della signora Lovett.
Era dunque defunto, andato finito: aveva esalato l’ultimo respiro fissando il volto esangue della moglie perduta, morta per sua stessa mano.
Folle, si era detto prima di abbracciare la dama con la falce: aveva sospirato tanto a lungo sulla donna che hai amato fino a uccidere per lei, macchiarti di rosso nettare pulsante d’estranei e nemici per arrivare alla gola dell’odiato giudice, eppure non fu capace di riconoscerla senza i capelli in ordine e il sorriso sulle labbra.
Povera, vestita di stracci e disperatamente perduta nel delirio del veleno, eppure era la sua dolce Lucy.
Chi era, dunque, se non era più capace di distinguere la sua unica ragione di vita nei panni di una mendicante? Quale dei suoi due volti era quello vero, il povero e malcapitato Barker, condannato senza colpa per le bramosie di un rivale, o l’anima dannata che rispondeva al nome di Sweeney Todd, tornato dall’inferno con il solo scopo di vendicarsi?
Tutto si era annebbiato con la perdita della vista, ultimo senso a cedere al freddo silenzio che l’aveva attanagliato; aveva giocato con la vita di Johanna, con quel ragazzetto senza spina dorsale che, tuttavia, si era adoperato con ben più solerzia per salvare la sua bambina da un gramo destino al braccio di Turpin.
Soltanto sulla via dell'aldilà aveva compreso quanto avrebbe potuto fare per lei: aiutare Anthony a portarla via dal palazzo del giudice, nasconderla in quella casa che era stata un nido d’amore per la sua famiglia, raccontarle la verità e rivelarsi per quello che era, il padre creduto morto da quindici anni…
Cieco e demente, Sweeney. Innamorato di un’ombra, Benjamin.
Entrambi troppo ingenui per agire davvero, piuttosto che mettersi a cucinare cadaveri e servirli alla gentile clientela.
Ed ora era morto, come sua moglie, come gli antichi nemici, eppure per lui non era ancora giunto il momento di conoscere la pace eterna.
Aveva riaperto gli occhi lontano dal sotterraneo del negozio di pasticci, in un luogo a lui totalmente sconosciuto. La vita l’aveva abbandonato, non aveva dubbi a riguardo: non soltanto la sua carne appariva di un colore stranissimo, ma era anche maledettamente fredda.
Per un attimo tentò d’immaginare le storie che la signora Lovett avrebbe inventato per vendere un pasticcio di quel bluastro cadaverico, ma poi si riscosse: quella strega ingannatrice!
Spingerla nel forno non era stato sufficiente per farle pagare le sue colpe, si disse, ma non aveva voluto usare il prezioso rasoio d’argento con cui aveva reciso la vita dell’amata sposa. Non era degna di finire i suoi miserevoli giorni di bottegaia come la sua dolce Lucy.
Come a riscuoterlo dai suoi cupi pensieri, il suono squillante di un campanaccio lo richiamò a tenersi vigile.
«Nuovo arrivato, gente!», gridava una donnetta bassa e tozza cercando di attirare l’attenzione dei presenti. Sweeney socchiuse gli occhi, abbagliato dalle luci colorate che impazzavano nell’ampio salone: dove si trovava, in una qualche sorta di locale?
Non aveva mai visto nulla del genere nel corso delle sue due vite.
«Io sono la signora Plum, tesoro, cuoca al pub Ball&Socket nonché unica e sola proprietaria: benvenuto nel mondo di sotto».
«Mondo di sotto?», ripeté confuso il nuovo arrivato.
Si guardò intorno con più attenzione: era finito al centro di un cerchio composto da personaggi curiosi, che lo fissavano e parlottavano del suo aspetto.
La maggior parte di questi aveva ancora la carne sulle ossa, anche se esibiva chiaramente le cause che avevano condotto alla morte, mentre molti erano ormai ridotti a scheletri senza mostrare più tratti o peculiarità che spiegassero la loro storia.
«Aldilà è un termine che le risulta più congeniale, monsieur, oppure preferisce chiamarlo mondo dei morti? La sostanza non cambia».
Era stata una testa a rispondere alla sua domanda, un volto spostato da un’orda di scarafaggi. Paul si presentò come il capocameriere del pub e richiese un’ordinazione, ma Sweeney non ebbe neanche un minuto per riflettere su quanto gli stava accadendo che quello ordinò alle sue bestioline di allontanarsi per servire avventori più loquaci.
«Non devi aver paura, caro: sei uno di noi, ormai, e potrai rimanere qui per il resto dell’eternità». «Sì, è ovvio: da dove vieni? Raccontaci qualcosa della vita che ti sei lasciato alle spalle e brindaci su!»
Ancora frastornato, Sweeney si passò una mano sul collo, solo per scoprire che aveva mantenuto la ferita infertagli da quello sciocco romantico di Toby. Era tutto finito, dunque; non si sarebbe più torturato per le ingiustizie subite e l’amore perduto?
«Vengo da Londra, signori…»
«Cielo, un altro?»
Un basso scheletro vestito con un’uniforme dai colori sgargianti si fece largo tra la ressa che si era avvicinata per ascoltare la storia del nuovo arrivato. «Non ne possiamo più: certo, da quel che ci raccontano sembra essere più un formicaio che una città, eppure di recente gli arrivi da lassù sono aumentati a dismisura».
Il barbiere si sentì in imbarazzo: in quel luogo si trovavano tutti i suoi malcapitati clienti, stando a ciò che aveva appena udito. Se l’avessero riconosciuto, si sarebbe trovato in un grosso guaio.
Probabilmente da qualche parte stavano complottando anche Turpin e il suo fedele messo, anche loro risorti come cadaveri eterni.
Non era l’inferno, ma non aveva alcun interesse a scoprire se quel luogo fosse una prigione per gli spiriti dannati o semplicemente se raccogliesse le anime che non avevano accesso al paradiso, in qualche modo.
«E tutti recavano un taglio netto alla gola, proprio come il vostro, mio caro signor… Come avete detto che vi chiamate? Non rammento».
Un altro ufficiale si era avvicinato al primo, tenendo un boccale colmo fino all'orlo in mano: curiosamente, però, questo era alto e allampanato quanto l’altro era basso e tozzo.
«Io non ho nome, mi dispiace. Non amo rammentare la mia storia e, di certo, se sapeste cosa ho fatto in vita perderei il vostro calore: piuttosto», s’illuminò all’improvviso, «è passata di qui una certa Lucy, di recente? Veniva da Londra, come me».
«Lucy? No, nessun cadavere è arrivato di recente presentandosi con questo nome».
«Spiacente, signore: se la signora Plum non si ricorda di questa persona, significa che non si trova nel mondo di sotto; credetemi, nessuno è più informato di lei sui nuovi arrivati», sospirò un cadavere al fianco del barbiere. «Probabilmente, l’anima che cercate ha raggiunto subito la pace perché non aveva vincoli che la trattenevano alla terra».
L’aveva persa ancora.
Aveva pregato per un istante che gli indicassero il suo angelo, magari in un angolo di quella strana bettola, finalmente guarita dalla pazzia e dal tormento per quanto aveva patito dopo l’incarcerazione del marito, ma all’improvviso comprese la verità.
Non ci sarebbe stata pace per lui né a Londra né nell’aldilà: raggiungere la pace e la libertà per lui era impossibile, visto il livore che ancora la sua anima non sapeva dimenticare.
Un’altra epifania, dunque: doveva prestare attenzione a queste illuminazioni o anche lui avrebbe perso presto la ragione.
«E un giudice, sempre di Londra? L’avete visto, per caso?»
«Oh sì, lui lo ricordiamo bene, non è vero, ragazzi?», la voce della signora Plum aveva un che d’inquietante, mentre il cadavere lanciava occhiate complici agli avventori del suo pub.
«Vedete, signore, gli spiriti malvagi non sono i benvenuti qui: se si scopre che qualcuno dei nostri amici ha qualche conto in sospeso con un nuovo arrivato, quello deve pagare».
Perfino gli scheletri si passarono una mano su quello che una volta era stato uno stomaco, ghignando malevolo.
Perfetto: rischiava ora di morire una seconda volta, divorato dagli altri cadaveri per di più. Con le attività condotte negli ultimi mesi di vita, non poteva certo negare che il destino trovasse ironico accanirsi su di lui.
Un bambino saltellò di fronte a lui tutto contento, ribadendo con allegria come il giudice Turpin fosse andato incontro al suo gramo destino. Era stata una vera gioia, per lui che aveva conosciuto la forca prima ancora di compiere i dieci anni.
Il messo forse non aveva subito la stessa sorte, ma non gli importava: Bamford non era pericoloso di per sé, piccolo e storto com’era, incapace di agire da solo. Senza gli ordini dell’odiato giudice, non costituiva un nemico.
La festa per il suo arrivo sembrava non avere fine: gli fu difficile aggirare alcune domande particolarmente personali, cercò di non lasciarsi andare agli spiriti, strinse infinite mani e ossa.
Alla fine, mentre cercava d’allontanarsi dalla folla prima che una delle sue vittime lo riconoscesse – non aveva ancora individuato un solo volto noto, ma era meglio non rischiare – in un cantuccio vicino al pianoforte sbilenco, la vide. Aveva i capelli un po’ bruciacchiati, forse, e così il vestito, eppure non c’erano possibilità d’errore: teneva tra le dita un bicchiere di vino e singhiozzava al fianco di uno scheletro con la bombetta.
«Insomma, Bonejangles, ti sembra che sia stata tanto malvagia?», domandò tra le lacrime. «Io non ho mentito, lo giuro, e lui non ha mai chiesto espressamente se la sua povera moglie fosse davvero morta. Volevo solo che fosse di nuovo felice, io, con me».
La signora Lovett era tornata dalle fiamme in cui l’aveva gettata.


   
 
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