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Autore: jarod92    24/12/2013    3 recensioni
L'edizione dei 75 Hunger Games si è conclusa e il distretto 13 non è l'unico a prepararsi per l'imminente battaglia. Capitol City sta creando il suo esercito e nelle sue mani ha una speciale pedina per contrastare Katniss Everdeen e la rivolta. Peeta.
La storia racconta della lenta e trasformazione di Peeta Mellark, catturato da Capitol City al termine dei giochi, prima che diventato inutile allo scopo, venga salvato dal Distretto 13.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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CAPITOLO I
Bianco



Tic tac. Tic tac. Quel suono. Quel suono, è cosi incredibilmente familiare. Ma non è un suono: è una voce. E quella voce comincia a rimbombare nella mia testa, continuamente. La riempie e cerca di abbattere le pareti del cranio, spingendo sulle tempie, martellandole dall’interno. Tic, tac - continua. Ma questa volta non è una voce, è qualcosa di irreale. No, non è vero. In realtà è qualcosa di reale. È acqua. Questo è il ticchettio dell’acqua che scende lenta e perfettamente intervallata, da un rubinetto e si scontra contro l’aspro acciaio del lavabo. Cerco di stringere le mani in un pugno, fallendo. Nonostante le dita siano propense a collaborare, i polpastrelli sembrano essere immobili ed addormentati come fossero anestetizzati, ma ciononostante riesco ad avvertire al tatto un tessuto bucherellato – o probabilmente con delle parti in rilievo – sul quale sono steso. Sbarro gli occhi, mentre un bagliore troppo intenso, come migliaia di flash puntati nelle pupille, mi costringe a richiuderli nel timore di aprirli ancora.
Katniss - sibilo ad un tratto cercando di stringere ancora le mani, fallendo ancora una volta. Devo riprovare, devo farlo per lei. Schiudo leggermente gli occhi lasciando filtrare a poco a poco la luce, sin troppo invadente, cercando di metabolizzare dove sono. Poi, ricordo. Ci sono riuscito! Non mi era rimasto nulla nella vita se non lei. Ed in qualsiasi modo avesse deciso di amarmi o soltanto sentirsi legata a me, quel qualcosa mi bastava per andare avanti nel mio obiettivo. Salvarla, era il mio unico scopo. E se sono morto, forse, sono riuscito nell’intento. Sono riuscito a ridare alla sua famiglia, quel bagliore di speranza che tanto avevano agognato. Katniss era viva, circondata da coloro i quali l’avrebbero amata per sempre. Probabilmente aveva amato anche me, ma mentre lei era stata tutta la mia vita, io sarei rimasto un semplice capitolo per la sua.

Ma in realtà avevo fallito ancora una volta. La testa è immobile ed inerme su quel lettino d’ospedale sul quale metabolizzo di ritrovarmi, mentre gli occhi scrutano l’ambiente circostante, alla volta della fonte del fastidioso ticchettio. E a pochi metri da me, un piccolo lavandino circondati da grigi e freddi macchinari, continua a perdere acqua. Quasi mi sembra di sentirla sulla mia stella pelle, perché altrettanta sostanza umidiccia comincia a trasparire dai miei occhi, a riconferma del mio fallimento. Le lacrime scendono lentamente rigandomi il viso, solcandomi la guancia in una maniera troppo delicata in confronto al dolore che portano con se. Se io sono vivo, tutti gli altri tributi sono morti. Katniss è morta. Chiudo gli occhi, stringendoli quasi in una maniera tale da volermi infliggere una punizione, cercando il modo più banale di ferirmi, senza risultati, per poi riaprirli scrutando il mio corpo. Un taglio lungo e sottile lacera con una precisione quasi chirurgica, il mio petto che sembra stia per aprirsi in due parti. Scendo sull’addome, di cui riesco a intravedere solo la superficie della mia pelle insolitamente più pallida del solido, intrisa di sangue a tratti bagnato e a tratti coagulato, in un colore più scuro e nerastro, senza tuttavia sentire nessun tipo di dolore, che al contrario desidererei ardentemente provare. Quel genere di dolore cosi forte e pungente, da lacerarti dentro salendo lungo la schiena, per esploderti nel petto, cosi violentemente da cancellare l’angoscia della morte. Dimenticare che per qualche strano errore Katniss e morta, ed io sono vivo.

Ma c’è altro in serbo per me. Conosco quella sensazione e so cosa sta per accadere: in una maniera che non conosco ho vinto l’edizione della memoria e i 75esimi Hunger Games. Sono un hovercraft, come nella scorsa edizione in attesa che gli innesti di pelle prendano chirurgicamente il loro posto e che il mio corpo venga preparato per le telecamere. Poi, milioni di persone inneggeranno alla mia vittoria e alla morte degli altri, spargendo invece qualche lacrima finta improvvisata o ben orchestrata per l’unica persona che abbia mai amato nella mia vita. E mentre fuori sarò vivo, il dolore mi strazierà salendo dallo stomaco, dilaniandomi, lasciandomi morire internamente.

Prendetelo – stride una voce femminile troppo acuta, che sembra quasi esser stata magistralmente modificata. Vengo improvvisamente strattonato all’indietro e il soffitto biancastro puntellato a tratti precisi di faretti bianchi di un’innaturale bianco, scorre sotto i miei occhi inermi. I polpastrelli cominciano a muoversi lentamente picchiettando prima piano, poi freneticamente sulla barella. – Le mani! – ringhia ancora quella voce, mentre degli uncini di acciaio, gelidi e robusti, fuoriescono ai lati del polsi bloccandomi. Il loro tono è diverso dalla scorsa volta, qualcosa potrebbe non quadrare. E mentre cerco di schiudere lentamente la bocca nel capire ciò che stesse per succedere, una mano robusta si fionda sulle mie labbra, tappandomela col palmo, affondando volontariamente e violentemente i polpastrelli nelle mie guance, stringendo contro i muscoli del viso, quasi speranzoso di riuscire a penetrare la carne al di sotto. E mentre tossisco, cercando di liberarmi dalla morsa, tutto ritorna bianco.

NEWS: SECONDO CAPITOLO ''LACERATO'' ONLINE Venerdi 27 Dic. 2013
  
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