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Autore: Lightning00    25/12/2013    4 recensioni
Dal testo:
"[...] la causa sono svariati corpi in decomposizione sparsi per terra. [...] L’unica cosa che li accomuna è che il sangue di tutti quanti è servito per tappezzare i muri con la stessa scritta:
Cosa c’è sotto al tuo letto?
La sola creatura vivente e responsabile del massacro se ne sta raggomitolata su se stessa appoggiandosi a un muro, intrappolata da una camicia di forza, ad osservare la porta davanti a sé, senza cambiare mai la sua tipica espressione assente o emettere un suono."
Una One shot che ricorda a tutti che per quanto possiamo essere potenti ed educati, non possiamo nulla contro la natura del mondo e contro la natura di noi stessi.
Genere: Horror, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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La follia del numero 18


 Da qualche parte, negli Stati Uniti, nell’ospedale psichiatrico appena fuori città, non tira una buona aria. Questo perché la situazione riguardante la camera 18 è molto tesa, soprattutto quella sul soggetto all’interno di quella stanza.

Ma anche perché da quella stessa stanza proviene un odore ripugnante, e se si guarda all’interno, si potrà scoprire che la causa sono svariati corpi in decomposizione sparsi per terra. Alcuni sono stati orribilmente sfigurati, altri mutilati, altri sono messi in delle pose innaturali e imbarazzanti, e altri ancora sono ridotti in uno stato così pietoso che è impossibile riuscire a guardarli a lungo. L’unica cosa che li accomuna è che il sangue di tutti quanti è servito per tappezzare i muri con la stessa scritta:

Cosa c’è sotto al tuo letto?
 
La sola creatura vivente e responsabile del massacro se ne sta raggomitolata su se stessa appoggiandosi a un muro, intrappolata da una camicia di forza, ad osservare la porta davanti a sé senza cambiare mai la sua tipica espressione assente o emettere un suono.
La piccola figura di Rachel Lovejoy è immobile in quella stanza da cinque mesi, ormai.
Rachel è una tredicenne che appena un anno prima stava passando una piacevole vacanza estiva insieme ai suoi genitori, crogiolandosi sulla spiaggia poco lontana dalla sua città, o facendo grandi nuotate tra le onde.
Durante uno di questi giorni Rachel sparì improvvisamente. I genitori passarono diverse ore a cercarla, finendo poi davanti ad una caverna, posta in un luogo facilmente raggiungibile a nuoto, non lontana dalla spiaggia. La caverna sembrava essere molto profonda, e il buio era assoluto, così come il silenzio. Erano passate ventiquattr’ore da quando la loro figlia era sparita, e i genitori, disperati, decisero di controllare anche quella caverna, ma proprio quando furono sul punto di varcare la soglia di quel posto spaventoso, ecco che videro uscire dalla caverna proprio Rachel. Videro subito che c’è qualcosa di strano, perché Rachel, a detta loro sempre allegra e sorridente, quando uscì la sua espressione era neutra e assente, come se fosse stata concentrata solo su qualcosa davanti a lei. Ma i genitori pensavano che fosse normale, dopo un’esperienza del genere, e la riportarono a casa sereni.
Da lì le cose cominciano a farsi più complicate.
Rachel non disse più una parola da quando uscì dalla caverna, non interagì più con nessuno, se non ogni tanto con delle fugaci occhiate, non mangiava, a malapena beveva, non cambiò più espressione, e si chiuse spesso in camera raggomitolandosi vicino all’angolo più buio. I genitori, preoccupati, la portarono da uno psicologo, sperando che questi riuscisse a trovare una soluzione al problema. Ma l’effetto non fu quello desiderato.
Il corpo del professore fu trovato spezzato perfettamente a metà, con Rachel in mezzo alle due parti e la scritta sanguinolenta sul muro Cosa c’è sotto al tuo letto?
Quella fu la prima di tante vittime.
Rachel alla fine fu portata d’urgenza all’ospedale psichiatrico più vicino alla città, fu legata con una camicia di forza e segregata nella stanza numero 18, in attesa di analisi. Ma fare quelle analisi fu molto più complicato del previsto.
Chiunque varcasse la soglia di quella stanza non ne usciva più. Dalle telecamere si poteva vedere un po’ come venivano uccise le vittime, ma anche quello era più complicato del previsto:
Non appena le vittime entravano, le luci, non importa quanto fossero nuove e ben funzionanti, si spegnevano, e a quel punto si sentivano solo urla disumane e inascoltabili, e soprattutto risate. Talvolta anche spari o rumori metallici. Il tutto durava sempre qualche minuto, dopodiché le luci si riaccendevano e si potevano scorgere le vittime uccise orribilmente, Rachel sempre nella stessa posizione, e tutte le volte si aggiungeva la solita frase sui muri.
Tutti i metodi utilizzati per cercare di tirarla fuori di lì furono inutili. Cose come gas soporifero, funi, armature, maschere antigas, e persino ganci metallici e elettroshock non servivano a nulla contro Rachel: le luci si spegnevano e i responsabili venivano trascinati dentro a scontare una terribile pena. Nemmeno chi era solo entrato per recuperare i corpi era stato risparmiato.
Perciò, l’unico modo che restava per cercare di guarire Rachel, dal momento che non si poteva portare in un’altra stanza, era che qualcuno parlasse con lei attraverso un microfono.
 
Affascinato dal caso di Rachel, lo psicologo Joseph Barmell, considerato uno dei migliori, fu incaricato di scoprire cosa stava succedendo a quella bambina, e di cercare di guarirla.
Dopo cinque mesi di insuccessi, oggi, 20 Aprile 1888, il professor Barmell ha fatto l’ultimo tentativo, e ha ordinato che Rachel venisse soppressa immediatamente, ormai troppo pericolosa.
Aspetta la notizia della morte della bambina nel laboratorio dove sarebbe dovuta essere portata fin dall’inizio per le analisi, insieme a due suoi colleghi.
Ma sembra che in quell’ospedale niente sia destinato ad andare secondo i piani.
La porta si apre con cigolio, e le luci hanno un tremito. Barmell si sente morire quando vede proprio Rachel sulla soglia. Rachel, che non aveva mosso un muscolo per cinque mesi consecutivi, ora sta perfettamente in piedi, in chissà quale modo è riuscita a togliersi la camicia di forza, mettendo in mostra il vestitino rosa di quando era entrata la prima volta all’ospedale, ormai imbrattato completamente di sangue, e tiene delle forbici in mano. L’unica cosa diversa in lei è l’espressione: sul suo visino fanciullesco è impresso un diabolico sorriso a trentadue denti, e gli occhi sono spalancati.
Stavolta le luci non si spengono. Con una velocità sovrumana Rachel taglia la gola al primo dei due colleghi e si avventa sul secondo, brandendo le forbici come un coltello, e accompagnando ogni attacco ad una risata acuta e spaventosa. La porta è bloccata, e Joseph non riesce a fare altro se non stare in un angolino a guardare impotente quella scena spaventosa.
Lui lo sapeva, lo sapeva da quando aveva visto per la prima volta un attacco di quell’essere lì: quella non è una bambina, è un malefico mostro omicida, estraneo a questo mondo, e che va eliminato al più presto. Si maledice, Joseph, di non aver ordinato subito la sua morte.
Dopo aver mutilato l’uomo a cui aveva tagliato la gola, e dopo aver sfigurato l’altro, cavandogli anche gli occhi, Rachel prende la testa del primo uomo, e intingendo il dito all’interno, prende il sangue e si mette a scrivere sul muro sempre e ripetutamente la stessa identica, maledetta frase.
Una volta finito, lascia cadere la testa al suolo, e rimane qualche minuto così, a guardare il muro davanti a sé, dando le spalle al professore.
Poi, senza girarsi, pronuncia, dopo un intero anno di ostinato silenzio, le sue prime parole.
-Lo sa come fa una persona a impazzire?-
Il professore, basito, non risponde.
-Ci sono tre metodi: nel primo, una persona deve riscontrare un forte shock, che lo riduce a pensare continuamente e unicamente all’incidente che lo ha scosso, finché non fa qualcosa di grande e disperato, nella speranza che ciò lo distolga dai suoi pensieri. Nel secondo una persona deve fare sempre la stessa cosa, ancora e ancora, finché nella sua mente non sorge il piccolo ma ostinato pensiero di cambiare qualcosa, qualunque cosa, anche se si tratta di una cosa brutta, fino a che non arriva a compiere lui stesso un’azione di grande portata. E nell’ultimo, quello che preferisco, una persona può essere perfettamente sana e normale, ma basta che un semplice pensiero fuori dalla norma lo prenda, per fargli fare le cose più assurde, come scalare l’Everest a mani nude, o uccidere una persona con cui ha parlato solo una volta sola.-
Fa un attimo di pausa, mettendosi a giocherellare con le forbici insanguinate.
-E poi è dannatamente facile far impazzire qualcuno, sa? Basta entrargli nella mente e aspettare il momento in cui si vede costretto a trattenere i propri pensieri. A quel punto ZAC!- e qui chiude improvvisamente le forbici – Si tagliano via le corde che trattengono quei pensieri, lasciandoli dilagare in tutta la mente. A quel punto quel qualcuno non può più trattenere quei pensieri, ed è finalmente libero di agire seguendo la sua vera natura. Senza più ipocrisia. Senza più vincoli.-
A quel punto Rachel si volta, incrociando per la prima volta il volto del professore. Barmell è inebetito. Un momento prima quella era una ragazza pazza e fuori controllo, e invece ora si ritrova davanti una persona dall’aspetto serio e calmo. Quella situazione non fa che confonderlo sempre di più, e Joseph sente che sarebbe peggiorata ancora.
-Io detesto voi umani. Certo, è grazie a voi che sono nata, in fondo, ma vi detesto lo stesso. Un tempo non davate un freno alla vostra vera natura, e non solo eravate felici così, ma la vostra era una società migliore e funzionante. Adesso invece vi siete messi in testa l’idea che la cosa più importante è apparire belli e perbene agli altri, sopprimere quelli che sono i vostri reali pensieri, giudicare malvagi e folli quelli che dimostrano ciò che sono veramente. Come se foste chissà quali dei. Disgustoso.-
Il viso di Rachel si contrae poco a poco in un’espressione colma di rabbia, finendo a stringere talmente tanto le forbici da dare l’impressione che possa romperle da un momento all’altro.
-Non mi dica, professore, che lei non ha mai pensato cose del tipo “Ah, come vorrei uccidere questa persona…Oh, vorrei tanto farlo stare zitto”! Non ci crederei mai. Eppure qualcuno ha il coraggio di affermare una cosa del genere! Disgustoso, disgustoso, disgustoso! In questo mondo privo di fede e di rispetto adesso vi sentite tutti elevati al livello di un dio, ma non vi rendete conto che in realtà voi non siete altro che briciole nell’universo! Vi permettere di chiamare follia ciò che credete diverso dal vostro pensiero! Avete degradato la follia a malattia mentale, non rendendovi conto che ora la follia è l’unico modo per ribellarsi a questo mondo di menzogne!-
Joseph sa che sarebbe morto. Sarebbe morto di sicuro. Tanto vale dire quello che pensa veramente:
-Se però la follia porta all’omicidio, è nostro dovere fermarla e far ragionare le persone...-
-La ragione!- esclama Rachel con un sorriso sarcstico, inclinando per un momento la testa verso l’alto.
-Ecco un’altra cosa che sopravvalutate così tanto voi umani. Perché credete che le persone impazziscano? Perché voi vi ostinate a voler inculcare nella loro mente unicamente la ragione. Non capite nemmeno che più vi crogiolate al sole, più l’ombra che create è grande! Non volete accettare che la follia risiede in ognuno di voi tanto quanto la vostra preziosa ragione, e non dovreste stupirvi se un poveretto cerca di uscire dalla vostra opprimente gabbia aumentando a dismisura i suoi livelli di follia!-
Rachel si calma. Abbandona le braccia accanto ai fianchi e la sua espressione si rabbuia, inclinando leggermente le labbra fino a formare un sorriso appena accennato. Joseph non lo interpreta come un buon segno.
-Ma la vuole sapere una cosa, professor Barmell? Sono stufa. Stufa di questa orribile condizione che avete creato in questo centenario. Perciò ho deciso di cambiare le cose.-
Le luci hanno un nuovo tremito, e il sorriso della ragazzina si allarga. La paura di Joseph cresce ad ogni cedimento delle lampadine.
-Dopo tanto tempo ho finalmente avuto il permesso di agire di mia spontanea volontà, e vedrò di approfittare di questa occasione affinché voi umani non scordiate mai la mia lezione.-
Il professore sente che la sua fine è vicina, e raccogliendo tutto il suo coraggio pone le domande che avrebbe dovuto fare cinque mesi fa:
-Chi sei tu? Dov’è Rachel?-
-Rachel, professore, non è mai uscita dalla caverna. Ormai qui dentro- dice, picchiettandosi la tempia –non fa altro che ripetersi il buio di quel posto, e non si fermerà mai. E io, Joseph Barmell…-
La ragazza perde ogni traccia di quella serietà e lucidità che aveva dimostrato prima. Allarga il suo sorriso a dismisura e spalanca gli occhi allo stesso modo, mostrandosi ancora più terrificante di prima.
-…io sono la Follia del mondo.-
Le luci cedono per un momento, e Rachel (o chiunque essa sia) si è avvicinata un po’ di più a Joseph, senza muoversi di un passo.
-E sappiate tutti…-
Le luci si spengono di nuovo e la ragazzina è ancora più vicina.
-…che la mia vendetta sarà tremenda.-
Un ultimo cedimento, e ora il viso di Rachel è distante da quello del professor Barmell solo di un centimetro. E Joseph, finalmente, sfoga tutto il suo terrore in un lungo, disperato grido.
 
Rachel Lovejoy sparì nel nulla. Quasi come se non fosse mai esistita. Dopo il massacro dell’ospedale, nessuno ebbe più sue notizie, e non si sentì più di attacchi come i suoi. Le autorità la cercarono per molti anni, ma non riuscendo più a trovare nessuna traccia, il suo caso fu archiviato, e ben presto dimenticato.
Delle 254 persone che lavoravano al caso di Rachel nell’ospedale psichiatrico non ne è stata trovata viva nessuna. L’unica eccezione è per il celebre psicologo Joseph Barmell, ritrovato in stato confusionale (e successivamente impazzito) mentre gridava cose insensate del tipo: -Presto! Dovete fermare la follia, o quella si vendicherà di noi!- In più aveva accanto la giacca e la camicia a brandelli, e il torso era segnato da dei profondi tagli che formavano la frase: Cosa c’è sotto il tuo letto? Purtroppo, a causa delle ferite profonde, quella frase sarebbe rimasta per sempre segnata sul suo corpo.
Con la stessa frase sono state tappezzate con il sangue quasi tutte le pareti dell’ospedale. Con un unico particolare: All’ingresso, era situata una frase a caratteri più grandi delle altre, che diceva, con un vago tono minaccioso, queste parole:

Vi farò vedere di cosa sono capace
 
Esattamente un anno dopo, il 20 Aprile 1889, in Germania nacque un bambino di nome Adolf Hitler.
  
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