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Autore: AlfiaH    25/12/2013    3 recensioni
Nonsense. Completamente nonsense. E' una specie di cardverse. Nyo!UsUk. Già. Emily è una ragazza che viene dall'America /intesa come città del regno di Picche/ e si arruola nell'esercito durante la guerra contro il regno di Fiori per diventare re. Rose è una nobildonna dell'Inghilterra e sceglie di seguire Emily malgrado non si fidi di lei.
PER YAMIMANA CON AFFETTO
Genere: Angst, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Nyotalia
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata a quella persona orribile della mia WestAH/ArthurAH quellocheè.
Per Natale, già.
Tra l'altro è una schifo di storia. Ma non dovrei dirlo all'inizio altrimenti non la leggete (?)
Vabbeh. Deliro. 
Era nata come una cavolo di storica, giuro che all'inizio aveva senso, era pure carina come idea.
... Come rovinare una storia con le proprie mani Tra l'altro anche il titolo fa schifo ma sono le tre di notte e non mi viene nulla.
Pazienza. Penso che sia la OneShot più luuunga che abbia scritto in una sola giornata.
UhUh, sono fiera di me! - Non fateci caso, è lo spumante che parla a vanvera -
Ad ogni modo, l'importante è il pensiero.
- Sappiamo entrambe che non è così ma tu mi vuoi bene lo stesso, vero? <3 -
Okay, vi lascio leggere.
Adios, amigos! (?)

 
Il Tempo del Re


L’aria di dicembre era impregnata dell’odore acre della polvere da sparo, pungeva, pizzicava le pelli nude e tentava di divorare, pezzo per pezzo, quelle nascoste, cercava di scavalcare divise e gonnelle, mirava all’interno, alle ossa, ai muscoli, li rendeva lenti e pesanti, terribilmente pesanti, gelidi quasi quanto lo stridere delle catene sul terreno duro, ormai asciutto e sassoso, tra la coda di donne stanche e uomini armati. Solo lo scalpitare delle suole, che in quel momento appariva così estraneo e distante, e qualche occhiata crudele metteva a tacere le lamentele e i pianti così che la processione continuasse senza troppi intoppi e troppi sforzi. L’ordine era di non sparare ma, d’altro canto, contraddittoriamente, bisognava non perdere tempo, nemmeno un minuto con quegli animali. La vigilia di Natale più malinconica che quell’era avesse mai visto.

« Rose! Rose! »
 
Ed era tutto un miscuglio di verde e grigio, che tanto le ricordava il cielo plumbeo della sua città, ma certamente inglese non era quello che ogni tanto sentiva sputare fuori con ira da qualche voce indistinta; oppure, non ne era sicura, si trattava di qualche accento stretto e masticato male, probabilmente di carattere americano o giù di lì, in una zona oltreoceano, magari, sperduta nel regno di Picche.
Lasciò di nuovo che i suoi occhi si chiudessero, ancora storditi e confusi, si umettò le labbra, spaccate e screpolate, e rispose a quel richiamo con un mugolio. In quel momento non aveva proprio tempo di giocare con Emily, si disse, desiderava soltanto continuare il bel sogno che stava facendo, il fischiare del tè sul fuoco e il trotterellare delle carrozze sulla strada costantemente umida di fronte a casa sua, un buon libero tra le mani e il rimorso del centrotavola incompleto sulla poltrona che, magari prima di sera, avrebbe tentato di terminare.
La sua cara amica però, come sempre, sembrava essere di tutt’altro avviso.
« Rose! Rose, dannazione, apri gli occhi! Let me go, you bastards! »
 
C’era sempre qualcosa che non andava con quella lì, aveva sempre qualcosa da ridire, era rumorosa e, per Dio, non stava mai zitta. Lei e le sue dannate manie di protagonismo, sempre pronta a disturbare nei momenti meno opportuni. E tutti la fissavano, sempre, costantemente, anche in quel momento gli sguardi spenti dei condannati erano puntati su di lei che di speranza ne aveva e di combattività ancor di più, da vendere, sul serio, e Rose lo sapeva bene, sapeva quanto potesse essere testarda quella ragazza, da dar fil da torcere a qualsivoglia aguzzino, che fosse del regno di Cuori o di Fiori o di Quadri.
Così si costrinse, decisamente a malincuore, a sollevare le palpebre, un po’ per volta, e si accorse di aver perso gli occhiali, nuovi di un mese tra l’altro, che qualcuno, davvero con poca delicatezza, la stava trasportando di peso tenendola per entrambe le  braccia.
Quando poi la voce dell’americana – perché soltanto un’americana, quell’americana, poteva strillare a quel modo senza provare vergogna – si fece più vicina ed intensa, spalancò gli occhi verdi e fu assalita dal panico.
 
« … Emily? Emily!  »
 
Chiamò con voce roca, finalmente sveglia, guardandosi attorno e ritraendo indietro il viso nell’incontrare quello crudele e malevolo dei soldati vestiti di verde e bianco che la stavano portando via. Allora sentì il freddo, gli arti intorpiditi, l’odore disgustoso del ferro caldo, l’accento tedesco, e si pentì, si pentì amaramente, di non aver continuato a dormire.
Tutto le fu chiaro.
Soltanto la notte prima le avevano catturate – tutta colpa di quell’idiota, in ogni caso, che doveva per forza “andare a fare la guerra come i maschi” e non poteva starsene beatamente a casa a mangiare tè e biscotti come i comuni mortali – ed ora si ritrovavano lì, con i fucili puntati contro, destinate a chissà quale luogo di tortura. E di luoghi di tortura in quel regno ce n’erano tanti, ideati da Re Ivan in persona proveniente dalla Russia, una delle tante città dell’immenso regno di Fiori.
Riuscì soltanto ad intravedere l’amica – o quello che, durante tutti quei mesi, aveva cominciato a rappresentare per lei – che si dibatteva peggio un animale in trappola, che venne scaraventata in un carro sudicio e puzzolente.
Stava accadendo tutto troppo in fretta, non riusciva a muoversi e quell’odore fetido le impediva di respirare; non avrebbe mai dovuto seguire quella folle, lo sapeva.
« Dove… Dove ci portano?  Dove siamo? »
 
Non ricevette nessuna risposta. La guardarono in silenzio, con compassione, probabilmente, con gli occhi luminosi per le lacrime e spenti di speranza. Non ve ne era, per nessuna di loro.
 
 
« Non capiamo la sua lingua, signorina. Ma la mia mamma dice che non dobbiamo preoccuparci, andiamo a fare un giro in carrozza », intervenne una bimbetta sorridente, stringendo il suo pupazzo di pezza. Non capì cosa disse ma sembrava serena, più serena di quanto fossero il resto delle donne in quello scatolone di legno ambulante.
 
 
Non passò nemmeno qualche secondo che la ragazza le venne lanciata addosso con esasperazione, accompagnata da qualche bestemmia in russo di chi, a proprie spese, aveva sperimentato l’esuberanza di quella donna dall’aspetto angelico, con i suoi capelli di grano e gli occhi del cielo, e l’animo da guerriero, sempre col pugno alzato ed un oggetto contundente tra le mani. Che poi il suddetto oggetto fosse un mattarello o  una spada di legno era tutt’altro discorso.
 
« Rose! Rose, stai bene? Che diavolo ci fai qui?! »
 Domandò, tentando di riprendere fiato, mentre le porte venivano chiuse e tutto diventava scuro.
 
« Starei meglio se ti levassi di dosso », fu la risposta acida ed irritata della giovane inglese. Come poteva stare bene? Quella donna l’avrebbe portata all’esaurimento. Preferì non rispondere alla seconda domanda dalla risposta decisamente troppo imbarazzante.
Forse un po’ si preoccupava, forse le stava a cuore la sua salute, probabilmente avrebbe dovuto pensarci due volte prima di correrle dietro, avrebbe dovuto rifletterci e prendere con calma una decisione. Invece non aveva fatto nulla di tutto ciò e non era da lei. Aveva sbagliato, aveva commesso l’errore più grande che potesse commettere e, sebbene non ne fosse felice, non se ne pentiva. E come avrebbe potuto?
Si tirò a sedere e si massaggiò la nuca, tentando di mettere a fuoco meglio le figure che si trovava di fronte, impresa che pareva impossibile, però, senza l’ausilio dei suoi occhiali da vista.
La statunitense diventò silenziosa.
 
« Jones, dove stiamo andando? »
 
Tentò ancora, col cuore che batteva all’impazzata, colmo di paura,  con l’ansia di chi sa di non voler conoscere la risposta perché in realtà ne è già a conoscenza, perché le voci girano ma rimangono voci finché non si materializzano e cominciano a far paura, si tramutano in realtà e ti mettono al corrente dei fatti, nudi e crudi, così come sono. E quel silenzio, quello snervante silenzio peggiorava le cose, le facevano fremere le mani e tremare il petto di tensione e speranza, speranza di non avere una conferma.
 
« Al campo di lavoro, nel regno di Re Ivan. Lo chiamano così! »
 
Invece eccola lì, malvagia ed impetuosa, una risata dal fondo della carrozza, in un inglese abbozzato e depresso, inquietante. Le aprì la gola, le impedì di proferir parola. Stava andando incontro alla morte, lei che in quella storia non c’entrava per niente, o quasi.
Il suo guardo vagò in cerca della compagna la cui risposta non tardò ad arrivare.
Doveva fare qualcosa e doveva farlo in fretta.
Benché non si ritenesse razzista verso alcun individuo, l’inglese, per orgoglio o per rancore, si rifiutava categoricamente di finire in quel modo, per mano di qualche megalomane che, arbitrariamente e non, aveva distrutto la sua casa, devastato la sua bella Inghilterra.
E su questo, almeno su questo, si erano sempre trovate d’accordo, in un modo o nell’altro.
 
« Vi farò uscire di qui. Rose, dammi una mano!»
 
In un attimo la statunitense scattò in piedi, barcollò un pochino e si lanciò contro la porta, tentando di sfondarla con la spalla, una, due, tre volte, seguita a ruota dalla britannica che, dannazione, non si era mai sentita così viva.
 
“Una ragazza perbene non prende a spallate le porte!”
 
Quante volte glielo aveva ripetuto? Infinite, infinite davvero.
Glielo avrebbe rinfacciato a vita, ne era sicura.
In quel momento, però, non c’era tempo, né per il bon ton né per le buone maniere; si trattava di sopravvivere, solo questo. E in quei lunghi mesi l’inglese l’aveva sperimentata quella vita, seppur indirettamente, aveva visto il dolore, le ferite, le tragedie della battaglia. Aveva visto la guerra e mai, nemmeno per un istante, aveva desiderato averci a che fare, la leggeva, poteva leggere sulla sua pelle le cicatrici, uno dopo l’altra, ogni soldato che perdeva la vita. E le bastava.
Poi era arrivata lei, col fucile in spalla e la giubba davvero troppo larga per la sua taglia, il volto sporco di terra, un taglio sulla faccia e i modi, fosse stato solo per i modi, rozzi al pari di un cavernicolo.
“Vincerò la guerra e diventerò re, vedrai!”
E Rose ancora ricordava il suo sorriso ottimista, la sua aria determinata, il bacio che le diede, davvero senza ritegno.
 
« Jones!»

« Tieniti a me! »
 
Fu un attimo, un’ultima, decisa spinta e la serratura saltò, la porta di legno si spalancò e rotolarono giù, rovinosamente, tra la polvere e le foglie, serrò gli occhi e si sentì stringere, precipitarono per qualche metro, forse di più.
Quando li riaprì, intontita, il carro era sparito dalla sua visuale; erano salve.
Almeno così credeva.
 
Sospirò ed arrossì quando si accorse di avere il viso premuto contro il seno della soldatessa che ancora si ostinava a tenerla stretta, ossessivamente, quasi temesse di lasciarla andare.
Ed in effetti lo temeva.
L’aveva intravista da lontano, nell’altra fila, non si muoveva; si era presa un colpo. Il cuore le si era fermato nel petto, disperatamente l’aveva chiamata, disperatamente aveva sperato di essersi sbagliata.
Invece era lei.
Era lei, la sua Rose, la sua principessa dagli occhi verdi, senza i suoi occhiali, senza i suoi lunghi capelli biondi, e la stavano portando via di peso, come una bambola, priva di vita.
 
« … Jones? »
 
Sentì la sua voce e tirò un sospiro di sollievo; era sana e salva. Passò le dita tra la sua zazzera bionda e le depositò un leggero bacio sulla testa, amareggiata.
 
« I tuoi capelli… »
Il viso della londinese cominciò a scottare contro la sua pelle, tentò di liberarsi da quella stretta, evidentemente a disagio.
 
« Lasciami andare», ordinò, cercando di sembrare più dura possibile, scansando l’americana. Si alzò in piedi a fatica, batté le mani sulla giubba e la spolverò, senza degnarla di uno sguardo. Sapeva di avere i suoi occhi addosso, immaginava l’espressione amareggiata che aveva assunto. Semplicemente non poteva reggere.
Le diede le spalle e sussurrò un “andiamo”. La compagna però non le diede retta.
 
« Perché lo hai fatto? Cosa ti è saltato in mente? Volevi farti ammazzare? Guardami quando ti parlo!  »
 
Era arrabbiata e ne aveva tutte le ragioni, ragioni che la nobildonna davvero non capiva, che fingeva di non capire. Ignorò le sue domande e prese a camminare ma si fermò all’istante, gli occhi spalancati, quando, alzando il viso, se la ritrovò davanti, in piedi, le braccia lungo i fianchi e il volto umido coperto di lividi, il vecchio taglio aperto e vermiglio, la canotta lacera ed impregnata di sangue.
 
Desiderò abbracciarla ma non lo fece.
C’era qualcosa nella testa della britannica, qualcosa che scattava, che andava oltre il libero arbitrio, oltre al “voglio o non voglio”, oltre alla contrapposizione del bene e del male, il desiderio di non desiderare.
Non voleva  pensare a lei, non voleva provare dolore, quella presa allo stomaco nel vederla in quello stato.
Non voleva sembrarle brutta, non voleva temere di non piacerle più in quelle vesti.
Si odiava, si odiava terribilmente per questo.
Tentò di superarla ma lei fu più veloce: allungò una mano, venne scacciata.
 
« Ora non è il momento, dobbiamo andare a casa. Piuttosto, dovrei medicarti quelle ferite. »
 
La soldatessa si accigliò, se possibile, ancora di più. Perché quella donna era così impossibile? Bella ed impossibile.
Si sentiva un’idiota, a volte, nel perderci ancora del tempo, a non voler rinunciare. Eppure ogni volta riusciva a stupirla, quella ne era una dimostrazione, così come il fatto che non avesse detto a nessuno il suo segreto malgrado non approvasse la sua scelta.
Non era insensibile come voleva apparire, ci riusciva solo molto bene.
 
« A casa? Non ci penso proprio. » Inarcò un sopracciglio, « è solo un graffio » aggiunse.
 
« Si, e dobbiamo sbrigarci, siamo dei fuggiaschi.  E piantala di fare l’eroe, dobbiamo arrestare almeno l’emorragia. Non guardarmi in quel modo, per favore. »
 
« Come faccio a non guardarti? Sei così carina quando ti preoccupi per me! »
 
 


Rose, borbottato un insulto in madre lingua, strappò un pezzo della giacca aiutandosi con i denti e, sistemate alla bene e meglio le ferite di entrambe, chiusasi nel suo mutismo, si misero in cammino.
 
 
 
 
 
« La zona est  è in mano ai fiorellini ma alcuni dei miei amici del Regno di Quadri sono accampati alla Ligne Maginot. Con un po’ di fortuna possiamo beccarli. Stammi dietro, dobbiamo risalire fino al Rosacristallo. Vedi un fiume?»
 
Una folata di vento gelido scompigliò loro i capelli, le fece rabbrividire e risvegliò i dolori, annunciava l’arrivo della neve e la scesa della notte, aumentava la stanchezza, gelava le dita.
Per quanto Rose fosse atletica, non riusciva a starle dietro, era stanca e non vedeva alcun fiume, l’idea di andare nel Regno di Quadri le faceva venire il voltastomaco e stava per morire assiderata. Come facesse la soldatessa ad avere sempre così tanta energia era un mistero, veramente un mistero. Inoltre non si fidava granché del suo senso dell’orientamento, non si fidava delle sue capacità di sopravvivenza, non si fidava di lei in generale.
Insomma, era pur sempre una ragazza. E se li avessero attaccati? Non ci sarebbe stato nessuno a proteggerle. Non che ne avesse bisogno, ma si sarebbe sentita più al sicuro con un omone grande e grosso al proprio fianco, decisamente.
Invece erano lì, senza cibo né acqua, al freddo, chissà in quale luogo dimenticato da Dio. Grandioso.
Quale erano le possibilità? Morire nel regno di Fiori o morire nel regno di Quadri. Che schifezza, le veniva da piangere.
Erano spacciate, completamente spacciate e ciò che più le dava sui nervi era la totale superficialità della compagna di viaggio: possibile che non se ne rendesse conto? Era tutta colpa sua, sua e del suo stupido egocentrismo.
Si passò una mano tra i capelli, esasperata, e si poggiò ad un tronco.
 
« Penso che dovremmo fermarci e risparmiare le energie… Ti ricordo che non abbiamo cibo né acqua. »
 
Fece presente, ma l’americana sembrava prestare attenzione a tutt’altra cosa. Non si era neppure degnata di prendere in considerazione la sua idea!
 
« Per questo ci serve il fiume. Non abbiamo tempo per riposare! »
 
« Tu sei completamente pazza. Come pensi di fare? Sta per nevicare, è quasi buio, qui non c’è nessun cazzo di fiume, Emily! Dannazione, rendiamoci conto!  »
 
Allargò le braccia e guardò il cielo scuro con gli occhi umidi, sul punto di crollare, batté un piede sul terreno nervosamente per sottolineare le sue parole e finalmente la più giovane si voltò verso di lei abbozzando un sorriso, uno di quelli dolci e rassicuranti che, in quel momento, stonavano  così tanto da risultare una presa in giro, un paradosso.
 
« Hey principessa, non preoccuparti, andrà tutto bene! »
 
E poi aveva quel modo di fare, di darla a bere a chiunque col suo ottimismo fuori luogo, che era davvero irritante, le dava sui nervi, già a fior di pelle.
 
« Andrà tutto bene un corno, svegliati, per dio! Siamo sole e disperate in mezzo al nulla più totale, è la Vigilia di Natale e stiamo camminando da ore, è notte fonda. Levati quel sorriso idiota dalla faccia e ammettilo, ammetti che non sai cosa fare, che non andrà tutto bene! » Alzò la voce, più di quanto avesse mai fatto in vita sua.
 
« E cosa dovrei fare? Dovrei deprimermi? Sto cercando una soluzione!»
 
« Sempre meglio deprimersi che illudersi e rimanere fregate lo stesso. Oh, ma dopotutto a te che importa? Certo, questo era il tuo sogno, no? “Voglio morire combattendo, Rose, voglio fare qualcosa di buono della mia vita, voglio diventare re!” Come no. Sei una dannata ragazza, potevi rimanere a casa a fare biscotti ed invece no! Andiamo in guerra a farci ammazzare! Avevi il culo parato e nemmeno l’hai sfruttato.»
 
Emily sgranò gli occhi.
 
« Cosa?! Nessuno ti ha costretta a seguirmi! Non sono affari tuoi quello che voglio fare della mia vita. Io diventerò re sul serio! Pensavo tu avessi capito che… »
 
Fiocco dopo fiocco, lacrima dopo lacrima, le parole risuonarono, affilate come rasoi, sulle rocce e sugli alberi, dalle labbra alle orecchie, dalle orecchie al cuore, dolorose, lasciavano senza fiato.
 
« Che cosa? Che ti piacciono le donne? Lo avrebbe capito anche un cieco. Sai che potevano fucilarti per questo? Ah, ma io non ci sto, non mi farò mettere nei guai. Tanto per te una vale l’altra, no? “Il re può avere tutte le donne che vuole”, parole tue. Smettila di prenderti gioco di me. La mia vita era perfetta prima che arrivassi tu a stravolgerla.»
 
 
Bastò poco, veramente poco, e il mondo le crollò addosso con un rumore sordo, in mille pezzi, insieme alla voglia di sopravvivere, di lottare, di essere ottimista.
 
« … Che mi sono innamorata di te.»
 
Fu un sussurro il suo, un sussurro dalle ali spezzate.
Rose aveva ragione, la stava mettendo nei guai.
L’avrebbero fucilata assieme ai rivoltosi, agli anormali. Magari avrebbero tentato di curarla, probabilmente con metodi nemmeno così ortodossi.
Era stata egoista fino a quel punto? Non avrebbe mai dovuto baciarla, qualche mese prima, non avrebbe dovuto trascinarla in quel casino. Lei non c’entrava nulla.
Eppure aveva desiderato fino alla fine che tutto si risolvesse per il meglio, aveva creduto che avrebbero regnato insieme, l’una accanto all’altra, per sempre.
Si sbagliava.
 
La nobildonna fece per dire qualcosa ma una voce in lontananza, uno sparo le distrasse dalla discussione: le avevano trovate.
 
La corsa ricominciò, tra gli alberi, nel bosco, veloce come mai. Eppure le gambe della statunitense si ribellavano, pretendevano di fermarsi, erano diventate lente, più lente di quelle dell’inglese che sembravano volare. Emily la amava, era innamorata di lei, glielo aveva detto, non le importava che non avesse più i suoi capelli lunghi. Emily la amava, la amava sul serio, doveva salvarsi, dovevano salvarsi ad ogni costo, doveva dirglielo anche lei, doveva scusarsi, doveva baciarla, doveva dirle che l’amava, che era andata lì per lei, solo per lei.
 
Ed eccolo lì il fiume, ecco gli accampamenti, una carrozza, lo stemma dei Quadri, la salvezza.
 
L’infermiera salì sul carro, la soldatessa si arrestò, abbozzò un sorriso malinconico, mormorò qualcosa ai suo amici, guardò la luna.
 
« Emily, Emily, muoviti!»
 
« Hey, Rose. È Natale.»
 
« E allora? Salta su questa cavolo di carrozza! »
 
« Sei stato il miglior regalo di Natale che potessi desiderare, ho fatto qualcosa di buono della mia vita. Anche se non sono diventata re… Ora è il tuo turno. Vivi in eterno, Rose, regna anche per me. »
 
Si sfilò il ciondolo luminoso dal collo, le prese la mano e ve lo depositò sopra, tra le lacrime la baciò, come i più nobili dei cavalieri. Le lancette sul piccolo orologio color cobalto presero a girare veloci, incredibilmente, quando le loro mani si unirono.
Ore scorsero, secoli passarono, ere si alternarono.
 
E quando quella ragazzetta sorridente armata di sorriso smagliante e mazza da baseball entrò nel suo negozio, le venne da sorridere. Accavallò le gambe e sollevò gli occhiali da vista sulla testa.
 
« Mi scusi, lei è? »
 
« Emily, Emily Jones! Vorrei un libro che riguarda diritti, leggi e roba simile, grazie! Sa, preso diventerò presidente degli States! »
 
« Rose, Rose Kirkland. Mi faccia uno squillo quando diventerà presidente. Sa, vorrei propormi come First Lady. »
 
 


#Angolo della disperazione

Sparatemi in bocca :D
*Sparge amore e biscotti natalizi*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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