dreams on the shelf
~
{ storia di neve e di sole }
Il contrasto tra i
capelli corti e scuri, nuovi, e il lungo velo bianchissimo stride quasi quanto
quello tra il suo sorriso nervoso e la luce che le infiamma gli occhi. A poco
servono le rassicurazioni fatte di sguardi e di silenzi della donna che le è
alle spalle, che ride e quasi piange, mentre allontana con discrezione le dame
di compagnia e forse riflette su quanto sia strano ritrovare di colpo una
figlia e subito vederla volar via verso l’altare. La principessa scuote appena
la testa, scacciando via i pensieri; ci sono così tante cose che non sono mai
state dette e così tante che non sono mai state fatte, e, dopotutto, non è che
la vigilia del suo grande giorno. Così, si volta a guardare sua madre – quella
vera – e le chiede con voce speranzosa di bambina di raccontarle una storia.
La regina sorride, siede
con grazia sul tappeto e l’accoglie accanto a sé con una carezza tra i capelli,
quei capelli corti e scuri e nuovi.
«Ti racconterò»
sussurra, «come è nato il regno.»
La principessa assapora ogni
suono e ogni tono della sua voce ancora quasi sconosciuta, ancora tutta da
imparare. «E com’è nato?»
«Con la neve.»
~
I
get a little warm in my heart when I think of winter
I
put my hand in my father’s glove
All’apparenza
– non fosse stato per quegli strani capelli bianchi – era un ragazzo
assolutamente normale. Elsa proprio non riusciva a capire perché trovasse così
entusiasmante il fatto che lei gli avesse rivolto la parola. Sarebbe stato,
be’, piuttosto imbarazzante se non
l’avesse fatto. Insomma, anche se sai impastare palle di neve che non si
sciolgono mai e anche se sai scolpire dal nulla stalattiti e stalagmiti senza
davvero sapere quali hanno la m, non
capita tutti i giorni di incontrare nel tuo giardino dalle alte, altissime mura
una persona capace di varcarle volando nel vento.
Dal fiume di parole e risate allegre con cui il
ragazzo l’aveva investita, Elsa aveva capito che il suo nome era Jack, che
veniva da un lontano paese del nord e che, in qualche modo, erano molto simili.
Era una sensazione curiosamente calda.
Non le succedeva spesso – così come non le succedeva mai di sentirsi molto simile a qualcuno, specie da quando ad Anna
era successa quella cosa.
«Ma allora... potrei volare anch’io?»
Non lo chiese con un vero interesse; volare
sarebbe stato bello, ma dubitava che avrebbe risolto le cose.
Il ragazzo di nome Jack smise di colpo di
congelare le tracce dell’ultima pioggia. Accucciato sopra una di quelle brutte
pozzanghere che si era offerto di rendere più belle per lei – «Io e te possiamo, no? Possiamo cambiare tutto
quello che vogliamo!» – sollevò il viso e per un attimo, un attimo lungo come
l’inverno, le sembrò immensamente triste.
«Non ne sono sicuro, no. Tu sei...» Cercò la
parola giusta, ed Elsa non si sorprese di sapere perfettamente quale fosse. «Diversa.»
Elsa annuì, malinconica. Non si era aspettata
nulla di più: c’erano le persone normali, che portavano i guanti soltanto per
combattere il freddo; c’erano i troll, che non tutti sapevano esistere, ma
potevano essere visti, compresi, da
chi sapeva dove guardare; c’era Jack, che volava e giocava con il ghiaccio, che
era come lei ma non era come lei. E poi c’era lei.
Jack non parlava né rideva più. Dai piedi di
Elsa s’irradiava adesso un fiotto di gelo imperturbabile, che andava a coprire
le pozzanghere e il giardino e tutto ciò che era – e sarebbe rimasto – lontano.
I
hear a voice, ‘You must learn to stand up
for
yourself, ‘cause I can’t always be around’
Il
giorno del rito funebre, Elsa spalancò la finestra.
Si era ben guardata dal farlo da allora, da quella cosa che aveva reso impossibile
una vita già abbastanza difficile – quella di Anna, non la sua. Quella di Anna,
di Anna, di Anna. Anna che adesso era
sola, da qualche parte nelle sue vesti di lutto, a mormorare i cordogli e i rimpianti
che a Elsa non sarebbe mai stato dato pronunciare. Anna che adesso era sola, e
basta.
Si era ben guardata dal farlo per anni, ma questa cosa, ormai, cambiava tutto. E
non si curò affatto di nascondere le lacrime al vento gelido che forse veniva
dal mondo di fuori o forse, più probabilmente, solo dalla sua stanza – né allo
sguardo di Jack, ancora lì, sempre lì.
Jack non sorrideva. Sorrideva sempre, quando
veniva a salutarla dall’altra parte di quel vetro perennemente annebbiato, a
scarabocchiarle con la punta di un dito parole di vicinanza e di conforto,
senza mai mostrare la minima considerazione per il suo allontanamento costante
– senza mai cambiare; ma stavolta non sorrideva, non faceva nulla, la guardava
soltanto, ed Elsa avvertì più che mai la coscienza di essere sola. Represse un
singhiozzo, con indicibile fatica. Le principesse non piangono. E neanche i mostri.
«Non è stata colpa tua» giunse infine, da un
posto lontanissimo, la voce di Jack. «Lo sai
che non lo è mai stata.»
Elsa non disse nulla, soltanto voltandosi a
guardare per lui l’inferno di ghiaccio che era diventato il suo mondo, la selva
bianca di punte acuminate e cristalli assassini e frammenti di un dolore troppo caldo, troppo da tenersi dentro e
sopportare, da non congelare in forma di monito sfuggito a qualsiasi controllo.
Non seppe mai se Jack avesse visto ciò che vedeva lei; ma dopo qualche istante
sentì il suo passo inconsistente, piedi nudi e bianchi sul pavimento ghiacciato,
e si chiese se non fosse stato sul punto di toccarla, ma non accadde nulla.
«Io... Io non so dirti cosa fare. Non so dirti
come contenerlo. Per me è naturale, è
la mia stessa essenza, ma tu...» Elsa sentì allora il suo sospiro, non troppo
diverso da uno sbuffo di vento. Era così vicino da scompigliarle i capelli – ma
forse non lo era abbastanza. «Tu dipendi dalle tue emozioni. È con quelle che
hai a che fare. Devi riuscire ad affrontarle, da sola.»
Da sola.
Come Anna.
Più di
Anna –
ma questo era un pensiero cattivo, sbagliato, proibito.
Elsa mosse qualche passo, raggiunse la porta
chiusa: non osò sfiorarla. Invece serrò gli occhi, si avvolse il ventre tra le
braccia, si lasciò scivolare a terra – nauseata dal suo stesso moto di rifiuto.
«Non posso.
Non ci riuscirò mai. Mai.»
Questa volta, quando parlò, nella voce di Jack
tremava qualcosa che ricordava un sorriso amarissimo e triste.
«Questo perché sei umana. Stupidamente, stupendamente
umana.»
Elsa non lo guardò, ma seppe che lui se n’era
andato nel momento stesso in cui i lenti passi di Anna risuonarono in fondo al
corridoio.
When
you gonna make up your mind?
When
you gonna love you as much as I do?
Arendelle splendeva di nuovo nella calda estate,
com’era giusto che fosse, ma il castello di ghiaccio sulla montagna a nord era
ancora lì. Sembrava solo un po’ più vuoto e un po’ più triste, forse.
Non c’era stato un vero e proprio tacito
accordo; nondimeno, a Elsa parve la cosa più naturale del mondo trovare Jack
che l’aspettava lassù. Lo vide da lontano, evanescente e solo nel regno che era
stato il suo, mentre con un dito – lo stesso col quale aveva passato una vita a
salutarla dall’altra parte di una finestra chiusa – faceva sbocciare fiori di
ghiaccio a decorare la scalinata scintillante della luce del primo sole; lo
raggiunse senza fretta, senza impronte. Lui si voltò a guardarla e lei lo vide,
ancora una volta, com’era sempre stato.
Dopo così tanto tempo, le sorrideva di nuovo.
Elsa si fermò al suo fianco, chinandosi sulla
balaustra ora adorna di rose di cristallo, a guardare verso il sole con i
capelli nel vento. In silenzio.
«Hai trovato il tuo posto» disse Jack. Non era
una domanda.
E per la prima volta – forse perché non era
vero; forse perché aveva trovato se stessa, ma non le sue risposte, non il suo
posto, e perché non si era mai perdonata
– le venne in mente quanto dovesse essere difficile per lui, per Jack. Dopotutto
gliel’aveva detto lui stesso: per lui era naturale, era la sua stessa essenza. Non
aveva il potere di scegliere di scioglierla, né di condividerla con qualcuno
che non la comprendesse, non la vedesse.
Magari non era stato che il caso a farli incontrare, a far sì che solo agli
occhi di lei lui potesse esistere... O magari no.
Anna era stata il suo atto d’amore. Ma Jack,
Jack che non esisteva, Jack che le aveva detto che era sola, era venuto a
scriverle parole sul vetro e a far rifiorire un triste passato in ricordi dolceamari
dalle forme di rose.
Lentamente, posò la mano sulla sua.
«Sono solo quella Regina delle Nevi che non
potrà mai volare» gli rispose, molto piano.
Jack rimase immobile a lungo, sentendo il suo contatto;
poi, a poco a poco, mosse le dita per intrecciarle con le sue, sorpreso, e la
guardò, turbato, e si voltò, con mille cose troppo
calde dentro gli occhi, e osò portare l’altra mano esitante fin sul suo
viso, sullo zigomo, sulle labbra – Elsa sapeva che era la prima volta che
toccava qualcuno, qualcuno che non avvertisse o anche solo non si curasse del freddo
puro che era la sua pelle, il suo respiro che
adesso era così vicino, più di quanto non lo fosse mai stato, più di quanto
non potesse esserlo quello di chiunque altro.
«Io so solo che sei bellissima» sussurrò Jack nel respiro di lei; e ancora una volta,
come quando aveva reso più belle le pozzanghere, per Elsa fu una sensazione
curiosamente calda.
Years
go by and I’m here still waiting
Withering
where some snowman was
Il
castello di ghiaccio era diventato il loro posto.
Elsa non parlava mai ad alta voce dei lunghi
momenti in cui, ancora, sentiva il bisogno di rifugiarsi lassù; a volte Anna
aveva in serbo per lei una domanda o due, e rideva, sforzandosi di non dare a
vedere quanto la rendesse triste quel divario insormontabile che amore e
autocontrollo non avrebbero mai potuto cancellare del tutto – aveva trovato se
stessa, ma non il suo posto, non le sue risposte, non da sola. Il loro era, sì, un tacito accordo, costruito su cose non
dette e su cose impossibili da dire, ma senza rancori. Ogni volta che lo voleva,
Elsa era lassù, e lassù era Jack.
Jack che non cambiava mai, stagione dopo
stagione, anno dopo anno, e continuava a baciarle le mani e le labbra senza
vederne i segni del tempo trascorso a fingere di vivere, infine, una vita
perfetta.
«La bambina è nata» raccontava Elsa quel giorno,
le dita tra le ciocche di neve di Jack, disteso accanto a lei con la testa sul
suo grembo. «È piccolissima, e ha i capelli scuri di nostro padre. Kristoff è così felice da arrivare persino a trascurare Sven. E non ho mai visto Anna così radiosa.»
«Dev’essere bello...» sorrise Jack a mezza voce, gli occhi chiusi, un braccio abbandonato come
per caso sulle gambe di lei.
Elsa ebbe la netta impressione che avesse
lasciato la frase in sospeso, troncando sul nascere parole che però quel suo
sorriso non poteva nasconderle. Doveva
essere bello vedere un po’ di sé in qualcun altro; doveva essere bello sapersi
circondati da persone che erano come te, in tutto e per tutto, né più né meno
di te – essere uno tra eguali.
Senza smettere di percorrere le stesse vie tra i
suoi capelli, lasciò vagare lo sguardo su Arendelle,
sulla valle, sullo strapiombo che aveva visto la nascita di Olaf. Anche Olaf
viveva al castello dalle porte aperte, adesso. Era tutto così giusto. Così giusto
da sembrare perfetto.
«Sì. Lo è sicuramente.»
La stretta di Jack si fece impercettibilmente
più forte sul suo ginocchio, come per trattenerla, come per trattenere se
stesso.
Hair
is grey and the fires are burning
So
many dreams on the shelf
You
say, ‘I wanted you to be proud of me’
I
always wanted that myself
Per
rispetto di Jack aveva chiesto ad Anna di lasciarla sola; non avrebbe
sopportato di vedere gli occhi già sconvolti di lei passare ignari attraverso
di lui.
Pensò confusamente che era la prima volta, da
sempre, che Jack veniva a trovarla tra le mura di casa sua, oltre la finestra
dal vetro perennemente annebbiato. Si chiese come gli sembrasse, dopo secoli di
polvere e solitudine, quella che in un tempo remoto e spensierato era stata la
sua stanza dei giochi, prima ancora che la sua cameretta. Un istante dopo si
ritrovò a domandarsi, in un moto di vanità quasi infantile, se gli piacessero i
suoi capelli anche ora che erano diventati più crespi e più grigi – e sorrise
di sé; col tempo aveva seriamente cominciato a somigliare ad Anna. Doveva
ricordarsi di accennarglielo. Ne avrebbero riso insieme.
E in effetti Jack – Jack che non cambiava mai –
li guardava, i suoi capelli, e guardava le sue mani ruvide e le sue labbra non
più rosse, e oggi davvero non poteva non vedere i segni del tempo trascorso a
fingere di vivere infine una vita perfetta.
Diversa, anche da lui.
«Voglio che tu sappia una cosa» gli disse allora
Elsa, Regina delle Nevi, parlando in un bisbiglio come per svelare un segreto,
e sfiorandolo piano come per non mandare un sogno in pezzi. «Sono felice. Non è
stata la più facile delle strade, ma sono davvero felice. Voglio che tu lo
ricordi sempre.»
Jack deglutì e le strinse la mano, se la strinse
al volto, alla guancia fredda di quel freddo puro di cui lei non si era mai
curata.
«Credo...» Elsa si concesse un sorriso. «Credo
che mi dispiaccia solo di non aver potuto volare.»
Fu lieta di rivedere lo stesso sorriso sulle
labbra di Jack, di rivederlo com’era sempre stato; per un attimo lungo come l’inverno
fu come se il tempo non fosse mai passato, come se la vita fosse stata davvero
perfetta.
«Volerai.»
Elsa annuì appena. Chiuse gli occhi e assaporò
fino in fondo il calore che, ancora oggi, i sorrisi e le parole di Jack riuscivano
a farle sbocciare in un cuore stupidamente e stupendamente umano.
I
tell you that I’ll always want you near
You
say that things change, my dear
~
La principessa si porta
davanti allo specchio, riflettendo su ogni parola del racconto, e non pensa
neppure lontanamente a quanto potrebbe sembrare buffo agli occhi di chiunque che
una giovane sposa, nel bel mezzo della prova del vestito, si soffermi su una
bella fiaba appena raccontata da sua madre. No: al momento è più interessante
il fatto che la storia della sua vita, che comincia con il sole, affondi le sue
radici in una storia diversa che comincia con la neve. E poi c’è un’altra cosa,
un’altra piccola scoperta luminosa, che le riscalda il cuore e le fa quasi venire
voglia di piangere...
«Nonna Anna» mormora
allo specchio, come a se stessa. «Mi piacerebbe aver conosciuto anche lei.»
Incontra il sorriso perplesso
di sua madre e si chiede se non sia il suo turno di raccontarle qualcosa; ma è
una sensazione così bella, così curiosamente calda, che forse non è un male
tenerla tutta per sé ancora per un po’.
~
«Oh!
Scusami, non ti avevo visto, mi dispiace...»
«Ehi,
non è niente.»
«Sicuro?»
«Certo.
Torna a ballare.»
La
ragazza gli aveva rivolto un sorriso familiare, un po’ intimidito, e poi aveva
seguito il suo suggerimento, allontanandosi nella scia della canzone che aveva
trasformato la sua presenza in una magia – di certo senza immaginare di aver
appena investito non un ragazzo più o
meno della sua età, ma una creatura invisibile per chiunque altro tra i confini
di quella piazza e oltre.
Jack
non aveva smesso di guardarla dal momento esatto in cui i suoi piedi avevano
cominciato a volare sulla musica. Aveva pittura sulle dita e fiori tra i
capelli. L’uomo che era con lei l’aveva chiamata Rapunzel.
Era
bellissima.
Spazio dell’autrice
Questa
storia è il mio personale tributo a Elsa, a Frozen, a Jack Frost e alle 200+ persone che mi hanno reso talmente
– be’ – indegna da scriverla apposta per loro, per ringraziarle di avermi tra gli
autori preferiti qui su EFP.
Scusate,
ho bisogno di un momento, tutte queste cose in un colpo solo non sono una
passeggiata. *si rifugia in un angolo a singhiozzare in maniera indecente*
Allora.
Naturalmente è impossibile restare immuni all’incantesimo che è Frozen, e penso
sia impossibile – almeno per una fangirl come moi – anche
astenersi dal crossoverare la ship
Jack/Elsa. Sono ufficialmente d’accordo con l’headcanon
generale che vede Jack insegnare a Elsa a controllare il suo potere sul
ghiaccio, e anzi era proprio da questo stesso punto d’origine che anch’io mi
ero mossa per scrivere su di loro; poi, ahimè, la mia storia ha deciso di
andare per conto suo, e mi ha fatto notare che Jack non lo controlla affatto, il ghiaccio, o almeno non lo usa a seconda delle
emozioni come fa Elsa – e che addirittura, a un’occhiata più attenta, è
talmente diverso da Elsa che la loro eventuale unione sarebbe tutt’altro che
all’insegna dell’happy ending. Elsa ha Anna, e pur
non avendo molte possibilità di amare un uomo ‘normale’ è, in definitiva,
umana. Jack non lo è, ed è in pratica condannato a restare solo per sempre,
perché anche lo stare con qualcuno in grado di vederlo è un qualcosa che ha necessariamente un inizio e una fine.
Così – SONO FINITA NELL’ANGST /O/
Per
quanto riguarda la presenza di Rapunzel: mi piace tantissimo
pensare che sia una discendente di Elsa ed Anna, non solo per i layout dei due
film che rendono l’accostamento immediato, ma soprattutto perché è troppo bello
pensare che il suo ‘discendere’ dal sole possa avere qualcosa a che fare anche
con la neve. La sua capacità di vedere Jack, nel flashback finale riconducibile
alla square dance, dipende proprio dalla parentela
con Elsa, che era un suo spirito affine e dunque non aveva bisogno di un presupposto
altisonante come il credere in lui per riuscire a vederlo. È un what if bello grosso, sì – ma, in
fondo, del regno di Rapunzel non conosciamo il nome,
e nell’arco di un trentennio o giù di lì non è escluso che il paesaggio (?) sia
cambiato abbastanza da trasformare Arendelle nel paese
delle luci fluttuanti...
Tutti
i vaneggiamenti sopracitati sono accompagnati dai versi della struggente Winter di Tori
Amos, giusto perché ci piace ucciderci per bene, sì.
Oh,
e c’è anche un minuscolerrimo omaggio a Harry Potter: la faccenda sulle
stalattiti e sulle stalagmiti e su quali hanno la m. Non so, dovevo mettercelo. In fin dei conti questo è un
concentrato dei miei feels.
E,
niente, che cosa posso aggiungere? Grazie a tutti
voi, persone meravigliose in virtù delle quali questo mio viaggio mentale è
giunto a termine:
a u t u m n, Acros, Aine Walsh, ALanna, alexandra995, Alexy Snitch, alix katlice, Allegory86, amayuccia,
AngelVidel14, AresEris, AriCastle66, Atelo_Phobia, AutumnLeaves98,
bambola_e_bibola,
Beatrix_, Beckill, BeckyPanda, Bilu_emo, blackmiranda, BlackRuri, BloodLines_Anya,
Breath_Less,
BreeJanko,
C h i s, Caramell_, Cat_, Chandrajak, Chicca293, Cicciolgeiri,
CioccolatinoAlLatte,
Cla90, Dark Roku, DarkAeris, Daughter Of Atena, DazedAndConfused,
DelilahAndTheUnderdogs,
Der Henker, Distorted Soul, DreamGirl91, e m m e, EclipseOfHeart, EffieSamadhi, Elizabeth Mary Greengrass, ElyTheStrange, EmmaStarr, Ems Bardi, Euridice100, F13, FairyFrida,
fall again, Fatto il misfatto, Fay_Fay, Fede_Wanderer, fedina, fiammablade3466, Fiery, FireboltGlow29013,
Flaine, FlappyBat88, Frosba, Fuuma, Geil_Flynn, Globulo Rosso, Glorious89,
GraysonChan,
g_iffany, Hayley Black, Hence, Hey There Delilah,
Hikarii, HikariZanna, Hikaru_Zani, Hikary, Honest, Honorious van del Welt,
IceGirl, Ilovewrite, Imagine15, Iris_R_Chaucer, Jacqueline, jocelynne, Jules_Black, K i k k a, kagura, kalea95, KAZ 2Y5, Kelloggs Snowflakes, Kendhra_, KiaTheYellowRose, Kia_InSpace, KikiWhiteFly, Kimky, Kiomy, kogarashi, Kojima Ayano, Kristen Williams, KuroCyou, Kuruccha, la Rose_neko, lacchan96, Lacie,
Lady White Witch,
Lady_Ginevra Black_, laplop, Leda Swan, Leddy, Lenni, LilianneRose, Lills, Lilly_93, Lily White Matricide, Lilypuf, Little Fanny,
LittleHarmony13, LittleKairi14, LizTheStrange, Loxaris, Luly Love, MagikaMemy, makeba, Manga_Girl, Marti Lestrange, Mary Lennox, Maysilee, Melitot Proud Eye, MelMel, Mels_write, merediana, MerythGreen, Minnie, mintheart, Miss Day, Misurino, MiticaBEP97, monobear, MoonmoonX3, Morgana le fay, Night_chan, Nuit, Nyeph, Padme Undomiel, Paradox, Perla_Bartolini, PiccolaEbe, piccola_puffola,
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_Halley_, _Kiiko Kyah, _Maria_, _phobos, _Raspberry, _Sapphire_, _Syn, _Woolly_ e ___Faxas.
Non
sono sicura che sia la storia giusta per ringraziarvi degnamente, sapete. Ma,
ecco, per i 100+ c’è stata una raccolta multipairing
e dunque crossover: volevo regalarvi qualcosa di diverso ma non troppo distante.
Spero apprezziate. ♥
Grazie
anche a tutti voi lettori, naturalmente, e a tutti l’augurio di splendide feste
passate e future, e Dio ci benedica tutti
noi.
Aya ~