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Autore: chilometri    27/12/2013    5 recensioni
“Ti mancherà?”
Mi mancherai, Ian? Mi mancherà il tuo sorriso, le tue camicie, la vena sul collo che si gonfiava quando urlavi contro di me, le lentiggini sparse sul viso, gli occhi verdi, la voce calda, le tue mani sulle mie, le tue labbra, sulle mie? Mi mancherai?
“Da morire.”
E sto già morendo.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nome: Ghost inside of me.
Rating: Giallo.
Disclaimer: Ian Gallagher, Mickey Milkovich non mi appartengono in nessun modo - purtroppo - , come tutti gli altri personaggi/cantanti qui citati/linkati. La storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Conteggio parole: 3.820
Avvertimenti: Slash, Angst, Drammatico.
 
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Ghost inside of me.
 

 
 
Sei partito per la guerra, Ian, con un documento falso nelle tasche, con i capelli rossi coperti da un cazzo di cappello militare che ti ha accarezzato più volte di quanto abbia fatto io.
Ti faccio i miei complimenti, cadetto, mentre sotto gli spalti della scuola non c'è più nessuno e non ci sei tu, da ormai due mesi.
Ti faccio i miei complimenti per aver costruito un'intera città di speranze, su di me che sono un campo minato.
L'ultima volta che ti ho visto avevi persino lo zaino sulle spalle e la giacca a coprire il completo militare, ti avevo chiesto se volessi sentirti dire di rimanere ed avevo riso.
Ian, tu lo sai che sono una testa di cazzo e mi si è fottuto il cervello perché fumo troppe sigarette e ho stretto tra le mani più le pistole che le tue, che ho guardato negli occhi la morte e mai nei tuoi, che ho saputo solamente darti del frocio, perché sono un codardo.
Cosa ti aspettavi, da uno come me, Ian?
Ho saputo darti solo il peggio, – cancella quel “solo” Ian, perché da me e per me non c'è mai stata una parte buona, un lato migliore, una scelta. Non avevi scelto.
Non ne avevo neanche io.
Sono stato chiuso tra le mura di una casa di merda, ho bevuto birra al posto del latte e guardami ora, con la fede al dito.
Sono il marito di una troia comunista, come la chiamavi tu. Quando eri qui.
Guardati adesso, Ian, dove cazzo sei? Ce l'hai ancora quella divisa o l'hai sostituita? Ti diverti a giocare a fare il soldato, ma se ti perdo, se provi a morire o a farti del male, ti spacco il culo. E non nel senso in cui ti piaceva.
Non so se l'hai fatto di proposito, parlo del lasciarmi qui, ma la verità è che non so più cosa fare, con chi bucare lattine di birra e con chi berle, lasciare che mi si bagnasse il mento e l’unica cosa che fossi capace di fare era ridere. Io ridevo con te per della birra che mi colava sulla pelle e non c’era cosa più bella di quella. Ma ora che non ci sei, ora che non rido più, non è più lo stesso. Ed ho ricominciato a pagare persino quello che compro, al negozio. Solo quando ci vado, perché ogni volta che ci entro e non sei dietro il bancone o a bestemmiare mentre riordini il casino che ha fatto qualcuno – a volte anche il mio –, fa più male di quanto mi aspettassi.
Il problema, Ian, è che sei una testa di cazzo, che mi hai fatto casino dentro e non sei qui a riordinare gli scaffali.
L'altro giorno sono andato su quel tetto, quello in cui abbiamo litigato per la prima volta, ci sono ritornato con la pistola, Ian.
Con la pistola, una birra e qualche livido sulla faccia.
Ho aspettato qualche secondo.
Ho aspettato te, ho sperato che saresti sbucato dalla porta, incazzato nero. Speravo di vedere la tua faccia, le cicatrici quasi invisibili, ho sperato che fossi arrabbiato con me perché a quel punto avrei avuto un motivo per picchiarti e tu mi avresti detto che ti amavo ma che non volevo ammetterlo.
Ed è la verità, Ian, e te lo avrei pure detto se avessi aperto quella cazzo di porta di quel cazzo di ultimo piano.
Ma non sei arrivato, Ian, perché sei partito nonostante ti abbia chiesto di restare.
Ma non sei arrivato e, ormai, non so nemmeno più se tornerai.
 
 
 
Oggi è lunedì, ma non ho idea di quale sia il numero che gli appartiene, ho smesso di guardare il calendario quando ho realizzato ed accettato – su questo ancora ci sto lavorando – che altrimenti sarei rimasto lì a contare i giorni che sono passati da quando sei andato via da questo posto, lasciandomi in una cazzo di topaia. Con il fumo che impregna i polmoni è difficile respirare, ma senza di te diventa quasi impossibile.
Oggi, comunque, è il diciassettesimo messaggio che ti lascio in segreteria, non penso che tu abbia più un telefono, magari te lo hanno ritirato in quel posto di merda in cui sei andato a finire, ma io sono comunque al freddo, in una cabina scassata ad aspettare di sentire un bip.
Siamo pur sempre nel South Side, io sono pur sempre Mickey Milkovich e tu sei ancora Ian Gallagher, il bambino che gioca a fare il soldato.
Perché è questo che stai facendo, stai giocando e quando avrai una pallottola nella gamba e nessuno a salvarti, sarà divertente vedere come proverai a strisciare e portare il tuo culo fuori dai casini, e a chi penserai e se ti pentirai di aver lasciato tutta la tua vita qui.
“Sei una testa di cazzo”, proferisco così, e lo so, lo so, che questo non ti invoglierà a tornare, ma dubito che ascolterai, quindi “una lurida testa di merda” inspiro il fumo dalla sigaretta, lascio che si infiltri nei polmoni.
Aspetto.
Non so nemmeno cosa dire o se ho voglia di parlare.
So solo che mi manchi. E quindi, “mi manchi”, è l'unica cosa che ti dico.
Poi scaravento il telefono contro il vetro della cabina e quella si rompe e a me non frega un cazzo.
Siamo pur sempre nel South Side, ed io sono pur sempre Mickey Milkovich.
 
 
 
Dietro le sbarre di una prigione di merda, ecco dove sono finito ancora una volta, Ian.
Dietro. Le sbarre.
Senza. Di te.
Non so nemmeno cosa io ci faccia qui, sono stato troppo fatto, troppo ubriaco per ricordare chi ho calciato, cosa o rubato chi ho ucciso, magari?
Non so nemmeno cosa io ci faccia qui, ed ora parlo di un quartiere pieno di troie e teppisti, perché tanto alla fine è andata che mi hai lasciato pure tu, e magari quella pallottola nella gamba te la meriti.
Non voglio che tu muoia, ma non illuderti, Ian, è solo perché voglio vederti tornare mentre ti reggi a delle stampelle e, “avevi ragione” sentirti dire “non sarei dovuto andare via.”
Il punto, Ian, è che ora sei in accademia, e chi me lo dice che sopravvivrai. Tiro un pugno alla sbarra, mi faccio male ma non sento dolore, c'è una guardia che grida qualcosa e io gli dico di andare a farsi fottere, ma ho le lacrime agli occhi e la voce incrinata.
Vaffanculo, Ian Gallagher.
 
 
 
Sono ancora in prigione, sto ancora pensando a te e non vogliono farmi fare una telefonata. Devo chiamarti, in realtà, ma mentre urlo al poliziotto di stare zitto, tossisco. Forse sto fumando troppo. Forse sono giorni che non mangio, forse dovrei scoparmi qualcuno.
Forse, Ian, ti dispiacerebbe.
Forse, Gallagher, farebbe male tanto quanto sta facendo male a me.
Un Milkovich ridotto in questo stato, davvero, dovresti andarne fiero. Fiero di avermi fatto a pezzi, di avermi distrutto e, ridottomi a nient'altro che un fantasma che vaga, sorpreso di essere ancora in vita.
Sposato con una troia comunista, innamorato di un Gallagher.
Forse sarebbe potuta andarmi peggio.
Ma, in ogni caso, non avrei mai immaginato che avrei fatto questa fine.
 
 
 
Mi hanno tirato fuori da lì, credo che sia stata Mandy a pagare la cauzione, perché adesso è qui al mio fianco e “hai bisogno di una canna”, mi dice.
Ho bisogno di Ian, stronza, è quello che penso ma che non dico, perché lo sai che non sono mai stato un tipo di molte parole, un tipo sentimentale e non ti darò anche questo, non mi trasformerai in un fantasma che si umilia.
“Ti manca, eh? Manca anche a me.” Mandy me lo chiede, me lo dice con la stessa leggerezza di quando mi domanda che fine abbia fatto quell'alcolizzato di mio padre, come se fosse una cosa di poco conto, come se fosse normale che io senta la mancanza di qualcuno.
Stringo le labbra e caccio fuori una sigaretta, ma c'è aria fredda e troppo vento, e tutto mi impedisce persino di accendere un cazzo di accendino.
“Vaffanculo”, dico e lo lancio nella neve, insieme a tutto il pacco di sigarette. Quelle si disintegrano, l'interno si riversa all'interno ed è assurdo, perché mi rivedo in quel filtro distrutto.
Ed è assurdo, perché avrei dovuto essere io, a ridurti così, ma le cose si sono capovolte nello stesso momento in cui io, con le lacrime agli occhi, ti ho chiesto di restare e tu, con gli occhi di ghiaccio, mi hai guardato e mi hai voltato le spalle. Non una parola, non un bacio.
Mi mancano le tue labbra, ma questo non uscirà mai dalle mie.
Mandy ridacchia, “che cazzo hai da ridere?” ed io, porca miseria, lo dico con la voce che trema mentre mi allontano da lei.
Ogni giorno più irato, ogni giorno meno forte.
 
 
 
 
E' sabato, c'è mio padre in cucina che sta urlando e credo che se la stia prendendo con mia sorella, la tua migliore amica, Ian, quella che hai abbandonato insieme a me, insieme alla tua famiglia, insieme a quello che stavamo costruendo.
Mi alzo e apro la porta, faccio qualche passo attraversando il minuscolo corridoio e arrivo nel salotto, pieno di scatole ribaltate e bottiglie di vetro rotte sul pavimento, Mandy è in un angolo con la mascella contratta e i pugni stretti, lui la guarda e prima che possa fare qualcosa, “non muovere un dito, testa di cazzo”, gli sto dicendo.
E' un secondo e la sua testa scatta nella mia direzione, ha una pistola in mano ed è un classico, lo sai meglio di me di quanto pazzo sia; è mentre il suo pugno si abbatte sulla mia faccia, insieme al sapore metallico del sangue sulla lingua e della sua frase urlata - “come mi hai chiamato?” - che rido.
“Testa di cazzo, ecco come, testa di cazzo”.
E lui mi colpisce, Ian, ma più i pugni aumentano, più Mandy prende la bottiglia e la rompe sulla schiena di mio padre, più le schegge mi graffiano, più è il dolore fisico, meno penso a te.
Guarda a cosa mi hai ridotto.
 
 
 
Oggi ho visto Lip, Ian. Non so perché, forse sono diventato troppo paranoico, ma mi sembrava stanco, molto più stanco del solito. E non ti parlo della stanchezza da sbronza, o da una notte insonne, era solo... stanco.
Le rughe sulla fronte molto più pronunciate, camminava a passo svelto e poi, quando mi è passato accanto si è fermato e ci siamo guardati, io ho spostato la sigaretta dalle labbra, espirato il fumo ed aspettato che parlasse.
Lip ha aperto la bocca, la fronte ancora più corrucciata, poi ha sospirato forte e “Mickey”, ha detto, a mo' di saluto.
E' andato via.
Che cosa cazzo hai combinato, Ian?
 
 
Siamo di nuovo a Lunedì, è passata una settimana dal giorno in cui ti ho detto che non contavo il tempo che passa senza te qui intorno, ed inizio a pensare che tu fossi l'unica cosa bella del quartiere. Ho rinunciato ad entrare nel negozio, non scendo più negli spalti della scuola e non bevo più lattine di birra.
Credo di star per fare la cosa più assurda che io abbia mai fatto da quando sono nato e c'entri nuovamente tu, Ian.
Ti penso mentre busso alla porta dei Gallagher, ammetto di star sperando che sarai tu ad aprirmi, ma ora c'è solo tua sorella, la più grande. Fiona?
Ha gli occhi pieni di lacrime e il telefono stretto tra le mani magre, quando mi vede chiude per un secondo gli occhi e poi, “che ci fai qui?”
Io la guardo, mi accendo una sigaretta e la mastico piano tra le due estremità delle labbra, impegnato a cercare un accendino.
“Che ci fai qui?”, ripete.
“Che è successo ad Ian?”
Io non sono sicuro che ti sia successo qualcosa, non sono sicuro che tu stia male, o che tu stia bene, magari ti stanno rimandando a calci qui, magari hai fatto qualche casino. Magari non stanno piangendo a causa tua.
Fiona mi guarda, “non... non è successo nulla.”
Riderei se ne avessi la forza, così, con la sigaretta incastrata tra la pelle della bocca, sollevo solo un lato della bocca, “sai che sarei capace di accamparmi qui fino a quando non dirai la verità, Gallagher.”
Ed io non so di cosa stia parlando, non so nulla, mi aspetto che tua sorella mi mandi al diavolo, dicendomi che non c'entro nulla con il motivo per cui è così sconvolta, che Ian è in guerra e che non c'è nient'altro che le tue riviste porno, in casa, ma.
Ma lei apre la porta e mi dice di entrare.
Dove cazzo sei, Ian?
 
 
 
Sto contando i giorni, adesso, Ian. Ne sono passate due, di settimane, da quando sono uscito dalla tua casa di merda, ma che cazzo pensavi di fare? Di poter sopravvivere? Che sarebbe stato facile?
Vaffanculo, Ian, ben ti sta.
Ho la barba incolta e non ci sarai più tu a dirmi, in quelle poche volte che cerchi di baciarmi e in quelle volte in cui te lo permetto, che ti faccio male, non ci sarai più tu a ridere, non ci sarai più tu a chiedermi che cosa siamo.
Lo vuoi sapere, ora, che cosa siamo, Ian? Fantasmi fatti di polvere.
Siamo polvere.
La polvere che si è sollevata in quel campo di merda in cui sei morto, ecco cosa siamo.
Alzo la cornetta di una cabina diversa, l'altra, quella che ho rotto, in questo quartiere del cazzo non l'hanno aggiustata.
“Ventinovesimo messaggio che non ascolterai, testa di cazzo. Non... Ian. Non ne avevi il diritto, chi ti ha dato il permesso di andare via? Sei morto. Morto, merda. Spero che all'Inferno tu possa ascoltare, possa ascoltarmi, perché...” mi si spezza la voce, Ian.
Mi si è spezzata la voce, la forza, l'anima.
Mi hai spezzato.
Non sentirò più il sapore delle tue labbra, perché non hai lasciato che ti baciassi, quando ti ho chiesto di restare? Perché non sei tornato indietro? Perché non mi hai detto che saresti tornato? Perché mi hai lasciato solo come un cane, senza dirmi che ti sarei mancato? Io ti sono mancato, Ian.
Lo so.
E so anche che, mentre ti allenavi e non c'ero io a darti la carica con gli spari di una pistola che sapevo fin troppo bene come maneggiare, hai pensato a me.
Alle mie mani, alle mie parole e alle frasi che non ti ho mai detto e che non ti dirò più.
Lo so, Ian, che eri a conoscenza del fatto che non eri solo una bocca calda per me, che eri tutto, eri l'unica cosa che mi tenesse a galla.
Riprendo la cornetta, “io... Ian...” e mi do dello stupido, perché anche mentre registro un messaggio per una persona morta, e spero che arrivi ad un telefono ormai polverizzato, non riesco a parlare.
Non riesco a dirti quello che avrei dovuto sussurrarti ogni volta in cui mi sorridevi. Tu non lo sai, ma ogni volta che andavo via, mi rimaneva il calore dei tuoi tocchi lungo tutta la pelle.
Pelle dello stesso corpo, Ian, che ora hai distrutto.
 
 
 
 
Sono tre settimane, ora, ed è notte fonda. Mandy è nella sua stanza e finge di dormire, in realtà sta piangendo, perché oggi c'è stato il tuo funerale, Ian.
Ti hanno messo in una cazzo di barra e impiantato sottoterra, che fine degna di un eroe. Spero solo che tu ne sia soddisfatto.
Mia sorella mi ha detto che la bara era aperta, tutti, anche chi non ti conosceva, hanno potuto guardarti ancora una volta, hanno guardato la tua pelle bianca e i tuoi capelli rossi, credo ti abbiano fatto indossare lo stesso vestito con cui ti hanno steso in guerra.
Sei morto da soldato, ma che cazzo me ne faccio io?
Che cazzo faccio io, adesso?
Mi avevi lasciato con un'altra delle tue speranze, ed hai distrutto anche quelle. Ma adesso hai finito, adesso sei andato via. Per sempre.
La porta si apre, io rimango fermo sul letto e non mi muovo, mi hai levato anche quella poca forza. Il materasso si piega, sotto il peso del corpo di Mandy, che si stende vicino a me e mi abbraccia.
Credo che sia la seconda volta da che mi ricordi, che mi tocchi se non per spingermi o tirarmi schiaffi scherzosi sulla testa, e credo che mi vada bene così.
“E' sempre stato un coglione”, dice, ed ha la voce piegata dal dolore.
Ti ucciderei, Ian, perché mia sorella non la devi far soffrire, ma sei già morto e, ancora una volta, mi hai sottratto di qualcosa.
Prendo, usando solo una mano, il pacchetto di sigarette e ne tiro fuori una; lascio che Mandy la accenda per me e ne tiri via un'altra per sé stessa.
“Lo so”, è tutto quello che le rispondo.
“Ti mancherà?”
Mi mancherai, Ian? Mi mancherà il tuo sorriso, le tue camicie, la vena sul collo che si gonfiava quando urlavi contro di me, le lentiggini sparse sul viso, gli occhi verdi, la voce calda, le tue mani sulle mie, le tue labbra, sulle mie?
Mi mancherai?
“Da morire.”
E sto già morendo.
 
 
 
 
Mandy si è addormentata, credo che la tristezza abbia avuto la meglio, ma lei è forte, quindi, Ian, se ha pianto per te ne devi essere proprio onorato. Ma io, la voglia di chiudere gli occhi, non ce l'ho.
Perché so che vedrei te, te e tutte le cose che abbiamo passato assieme, e tutto quello che abbiamo avuto, ma forse ho sbagliato a pensare che tu sia mai stato mio.
Io l’ho creduto da sempre, l'ho pensato quando mi guardavi come se fossi la cosa che più ti importava, quando mi stringevi le mani ed io le districavo quando il tuo contatto non era altro che l’unica cosa che bramassi davvero.
Non eri altro che tutto ciò che io abbia mai voluto.
Soprattutto, Ian, lo pensavo quando mi amavi per quello che ero, non penso che nessun altro lo abbia mai fatto. E questo mi ha spaventato, quindi, magari, non mi amavi così tanto.
E dunque, ho pensato che mi appartenessi, ma mio, beh, quello non lo sei mai stato.
Sposto piano la testa di Mandy dal mio petto e l'adagio al cuscino, io non ci credo che sto per dartela vinta, piccola testa di cazzo dai capelli rossi, ma credo che sia proprio quello che sto per fare.
La consapevolezza cresce nel momento esatto in cui prendo una penna e scarabocchio sopra uno “Scusa, combatti questa merda anche per me, stronza di una sorella.”
Lo rileggo e mi verrebbe da strapparlo, Ian, perché ho appena ricordato il giorno in cui mi avevi detto che avevo la scrittura da pittore.
“Che cazzo dici?”
E tu avevi riso, perché tu ridevi sempre quando eri con me.
Ti rendevo felice?
“Chi scrive poco - avevi iniziato - tende a scrivere come se stesse dipingendo, lascia che le mani scorrano sul foglio come i pittori schizzano i colori sulla tela.”
Io ti avevo guardato solo per un secondo, perché i tuoi occhi non gli ho mai saputi leggere, “stronzate.”
Ora che osservo meglio, Ian, avevi ragione ed ogni cosa, adesso, sa ancora più di te.
Sapevi come prendermi meglio di chiunque altro.
 
 
 
 
“Forse dovrei anche passare a salutare quella troia comunista, non pensi, Ian?”
Sto urlando, sono sul ciglio di una strada, la terza bottiglia di birra ormai finita e le pillole che rimbalzano all'interno della giacca ad ogni movimento che faccio.
“Forse dovrei scoparmela? Mi guarderai dall'alto dei cieli e ne soffrirai, proprio come sto soffrendo io?” e adesso rido, rido forte perché sembra che faccia meno male.
Una macchina mi sfreccia al fianco, mi urla un “coglione!” e per tutta risposta io gli faccio vedere il dito medio, ma ha ragione.
“Sono un coglione, Ian, guardami - spalanco le braccia -, sono un coglione, un frocio che si è innamorato di un Gallagher, ma cosa vuoi che sia? Tu sei solo morto!”
Rido ancora, ma ho le guance bagnate e mi piego in due. Credo di star vomitando, Ian, perché sento un sapore di merda incastrato tra la gola e la lingua e lo stomaco mi fa male.
Sto vomitando, decisamente, perché uno spasmo più violento mi fa finire a carponi sull'erba fredda e la birra che ho bevuto si sparge per tutto il prato.
Passa qualche altro secondo, spero di sentire le tue mani sulle mie spalle che mi tirano su e mi dicono che va tutto bene, come quando quella volta in cui Kash mi ha sparato.
Mi dicevi che andava tutto bene.
Ma tutto bene un cazzo, Ian.
Sono le cinque del pomeriggio, ho passato due ore e mezzo a vomitare tutto quello che era rimasto dentro di me, persino l'anima, ma non mi sento ancora vuoto, perché ci sei tu dentro di me e non ne vuoi sapere di andare via.
Continuerai a tormentarmi?
Sei il fantasma dentro di me.
 
 
 
 
Sono le cinque del mattino e continuo a torturarmi pensando che non tornerai più da me, che adesso saprò per certo che i messaggi inviati non verranno mai recapitati e che non saprò mai se lì hai ascoltato la mia voce ed hai sorriso.
Se lo hai fatto e non mi hai risposto, allora sei davvero uno stronzo.
Sono le cinque del mattino, Ian, ed il mio mal di testa è così forte che sento quasi come se ci fossero dei martelli a colpire ripetutamente lo stesso punto, ma quello che mi hai fatto tu è dieci volte peggio.
Se ti raggiungessi, Ian, cosa succederebbe?
Potrei rivederti? O sarebbe questa la mia punizione per aver fatto così tanto male in tutta la mia vita? Ho ferito persino te, ed è per questo che credo di meritarmi un posto assieme a Lucifero.
Ma se potessi toccarti, baciarti, amarti, ancora un'altra volta?
Perché ti amo, Ian, e non te l'ho mai detto ed ora è troppo tardi e mi odio così tanto.
Credo che, nello stesso momento in cui tiro fuori la boccetta delle pillole, so cosa sto facendo, e so che lo sto facendo per te, perché questo è esattamente tutto quello che ti meriti e forse sono ubriaco marcio ma non mi importa, perché domani sarà già troppo tardi.
Credo che, Ian, non appena tiro fuori tutte le capsule e cerco quel poco di birra vicino a me, è il momento in cui più desidero che tu sia qui.
“Guardami” ti parlo come se fossi qui. Ma tanto non ricordo nemmeno come mi chiamo, posso permettermelo.
“Guarda quello che sto facendo per te. Pensi ancora che non ti ami? Sei solo un frocio ed io ti odio da morire”.
Sono patetico, Ian, perché hai scelto me?
Perché, Ian, ti sto chiedendo mentre le pillole scorrono lungo la gola una dietro l'altra, come una catena fatta di spilli, se non ti meritavo?
Mi stendo sull'erba ed è congelata, ma non ho paura.
Perché, Ian, e questa volta non è una domanda, se ci sei tu dall'altra parte allora non ho paura di niente.
Perché, Ian, “ti amo”.
E lo dico ad alta voce, sperando che tu possa sentirmi, lo dico ad alta voce, sperando che ora, il tuo fantasma possa materializzarsi vicino a me.
Aspettami come io ho aspettato te, Ian.
Aspettami, perché questa pelle ormai ghiacciata, questi miei occhi ormai chiusi, queste mie mani che si stringono sull'erba come se ci fossi tu, vicino a me, sono sempre state destinate a te.
Aspettami, perché sei stato la mia ancora, ed ora mi stai facendo affondare.
Aspettami perché ti costerà salvarmi anche dall'altra parte, quando noi fantasmi di polvere, torneremo ad essere fatti di me e di te.
Saremo fatti di noi, Ian.
Aspettami
 
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Note:
Io non sono brava con le presentazioni e sono molto, e con molto intendo dire veramente troppo imbarazzata, perché è la prima volta che a) scrivo qualcosa sui Gallavich e b) posto in questa sezione.
E' una one shot senza troppe pretese, ma a cui tengo molto, non capisco perché ma mi sono affezionata veramente tanto sia a Ian e Mickey come personaggi del telefilm, sia a Cameron e Noel come persone, quindi ho cercato, per quanto possibile, di immedesimarmici al massimo.
Nulla da dire, se siete arrivate qui vi meritate veramente un biscotto, *porge biscotto a chi sta leggendo*, spero vi sia piaciuta e alla prossima! (Sì, ci sarà una prossima volta, suppongo...)
Un bacione,
chilometri!<33
 

 

  
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