Take care of...
Ci
sono momenti della vita
in cui particolarmente soddisfatta di quello che hai raggiunto.
Ti sembra di sedere sul
trono del tuo personale mondo, sazia e piena come dopo un abbondante
banchetto,
a osservare benevolmente quello che hai costruito.
Mi chiamo Erin Ferreira ,
ho trentasette anni e ho raggiunto quello che volevo a
vent’anni: un negozio di
tatuaggi e un marito che mi ami.
Ho lottato duramente per
aprire una mia attività, ai tatuatori maschi non piace avere
come collega e
rivale una donna, se ne sentono minacciati.
Io ho lentamente fatto
gavetta in diversi tattoo store, tenendo da parte i soldi per aprire
un’attività mia e finalmente sette anni fa ce
l’ho fatta.
Imporsi all’inizio non è
stato facile – ma io sono testarda di natura –
tenere duro mi è costato molta
fatica, alla fine però sono stata ampliamente ricompensata
dai risultati.
La mia clientela fissa è
soddisfatta e ha sparso la voce che sono brava, così il
negozio va abbastanza
bene.
In quanto a mio marito –
Matt Sullivan, di professione tecnico del suono – ci siamo
sposati tardi, dopo
un lunghissimo fidanzamento per imparare ad amarci. Entrambi uscivamo
da storie
pesanti e c’è voluto del tempo per scacciare i
fantasmi dei nostri ex e
costruire noi come coppia.
Il mio ex si chiama Tom
DeLonge, sono stata fidanzata con lui un paio d’anni
sufficienti a creare un
modello inarrivabile di ragazzo e di primo amore. Sono stata io a
lasciarlo
perché non eravamo adatti a una relazione seria, a
matrimonio e figli, ma non
c’è stato giorno in cui non abbia pensato a lui e
abbia rimpianto almeno un po’
la mia decisione.
Vederlo mettersi con Jen,
poi con Anne Hoppus mi ha fatto sempre sanguinare un po’ il
cuore, anche se so
che Anne è una persona magnifica.
In quanto a Matt, la sua
ex storica è Skye Everly e lui si porta dietro una storia
simile alla mia,
forse è per questo che alla fine abbiamo imparato ad amarci:
ognuno sapeva
esattamente come e perché soffriva l’altro.
A coronare il nostro
matrimonio sono arrivati due bambini: Lars di sei anni e Marisela di
quattro
anni.
Guardando a quello che ho
posso essere soddisfatta dunque. È in questi pensieri felici
e confortevoli che
mi sto crogiolando in questa pigra mattinata di San Diego.
A riscuotermi è il suono
del campanello del negozio e la persona che torreggia con il suo metro
e
novanta alla porta è l’ultima che mi sarei
aspettata: Tom DeLonge.
“Ciao Tom.”
“Ciao Erin.”
Si siede su una sedia del
negozio.
“Vorrei un tatuaggio: il
nome di mia moglie di mia moglie dietro l’orecchio.”
Io annuisco e gli faccio
cenno di alzarsi. Gli mostro un po’ di caratteri al pc e lui
sceglie quello che
gli aggrada di più.
Gli fisso un appuntamento
e il preventivo per l’opera e glieli consegno, come se lui
fosse un cliente
normale, ma lui non è un cliente normale e lo sa.
Per questo motivo si siede
di nuovo sulla sedia e mi guarda con lo sguardo indecifrabile che gli
vedo
sfoggiare ultimamente su ogni rivista.
“E così hai ucciso la tua
creatura…”
Butto lì con noncuranza.
Sono stata presente alla nascita dei blink, a quando ancora non avevano
un
batterista e hanno trovato Scott per miracolo e so quanto lui tenesse a
quel
progetto.
“Già.”
Io rimango in silenzio,
lui non se ne va e io non capisco il perché di questo
comportamento.
Forse sono stati gli
antidolorifici che prende per la schiena
a cambiarlo o forse è solo cresciuto, sta di fatto che
nell’ uomo spocchioso di
cui ho letto le dichiarazione sui giornali e nel tizio che ora si
è preso la
testa tra le mani non riconosco il mio Tom. Ora è il Tom di
qualcun altro – Anne
– e di un’altra band, gli Ava.
“Ho fatto un gigantesco
casino, Erin.
Ho fatto un gigantesco
casino e non so come tornare indietro o forse sono solo troppo
arrabbiato per
farlo.”
Io mi siedo accanto a lui
e gli passo un braccio alle spalle.
“Cosa ti è successo, Tom?
Perché hai fatto finire
dopo che hai speso tutto te stesso per portarli al successo?”
Dalle sue labbra esce un
sospiro tremulo.
“Ti sei mai sentita con le
spalle al muro e senza nessuno attorno dalla tua parte che vuole
aiutarti?”
Io annuisco.
“Ecco, io mi sentivo così
durante gli ultimi mesi dei blink: accerchiato.
Amo suonare, ma mi mancava
la mia famiglia.”
Alzo un sopracciglio, Anne
non gli ha mai fatto pressioni in questo senso, l’ha sempre
incoraggiato a
seguire i suoi sogni, forse Tom è davvero cambiato,
dopotutto.
“Ok, mi mancava Ava. Tanto
e anche Anne, anche se lei non mi ha mai fatto pressioni, so che le
sono
mancato.
Ho tenuto Ava tra le
braccia troppo poco, mi sono perso tutte le sue prime volte: il suo
primo
passo, il suo primo pasto, la sua prima parola.
Volevo mia figlia e il
management non lo capiva: diceva che eravamo al top, che eravamo
riusciti a
creare un trend che attirava adolescenti e meno giovani e che avevamo
addirittura
battuto i nostri rivali storici, i Green Day.
A me non me ne fregava
niente di aver battuto la band di Billie Joe, proprio niente, volevo
solo una
pausa e l’ho fatto presente più volte, anche
perché volevo curare come Cristo
comanda la mia schiena.
Mi avevano detto che mi
avrebbero dato una pausa, Mark aveva addirittura detto che potevano
sfruttarla
per scrivere nuovo materiale, ma poi è arrivata una doccia
fredda. Mi hanno
detto che volevano fare un nuovo tour negli States per rilanciare
“Always”, io
ho accettato e poi mi sono accordato con il manager.
Quel tour era un aut aut:
o i blink o la famiglia.
Ho scelto la mia famiglia
e quello che più mi ha ferito è che Mark non sia
stato dalla mia parte, durante
l’ultima riunione.”
“Quella famosa dove non hai
aperto bocca e hai lasciato parlare il tuo manager?”
“Quella. Lui ha avuto il
coraggio di incazzarsi.
Io non volevo uccidere la
mia creatura, non volevo perdere Mark, non volevo che finisse
così, ma non
avevo scelta. E tutto il casino che ho fatto mi pesa sul cuore in una
maniera
incredibile.
Vorrei fosse andata
diversamente.”
Tom abbassa gli occhi.
“Puoi sempre chiedergli
scusa.”
“Lo sai che non lo farò.”
Sì, lo so
perfettamente, ma ho dovuto provare a fare quella domanda.
Lui alza lo sguardo da terra
e mi guarda, il mio cuore come al solito batte un po’
più velocemente.
“Grazie per avermi
ascoltato, ti voglio bene, Erin. Sei un dono del cielo per me.
Ho solo un favore da
chiederti: prenditi cura di Mark e Travis, soprattutto di Mark.
So di averlo ferito e si
merita una dose extra di affetto.”
Io annuisco e lo
accompagno alla porta e ci salutiamo con un amichevole bacio sulla
guancia.
Lo guardo allontanarsi –
schiena un po’ gobba, sguardo basso e cappellino calato sul
volto – e tutto
quello che penso è: buon fortuna, Tom. Che Dio ti assista,
mio primo ed
indimenticato amore e che ti dia la forza di perdonare e chiedere scusa.
La sera
racconto tutto a
Matt mentre siamo abbracciati a letto. Io sono rimasta la solita
ragazza con i
capelli tinti di colori strani (ora viola) e lui il ragazzo dai capelli
verdi
che ora sono corti.
Lui sospira.
“Tom è rimasto il solito
testardo… che tristezza vederlo dibattersi nella rete di
rimorsi e casini che
lui stesso ha creato.
La sua nuova band poi non
mi piace per niente…”
Io non dico nulla,
condivido ogni parola detta da Matt, eccetto il giudizio
così negativo sugli
Angels and Airwaves, non sono male, ma se queste idee fossero state
sviluppate
dai blink sarebbero sicuramente suonate meglio.
Il giorno dopo ho una giornata
piena di appuntamenti, alle sette non vedo l’ora di andare a
casa mia,
purtroppo il campanello suona un’ultima volta annunciando un
ultimo importuno.
“Mi dispiace, il negozio
sta chiudendo. Torni
domani.”
“Non sono qui per un
tatuaggio.”
La sua voce profonda è
riconoscibile: Mark Hoppus.
Mi giro sorridendo.
“Mark, sono felice di
vederti, come mai qui?”
Lui mi mostra un sacchetto
di Starbucks.
“Ti va di fare quattro
chiacchiere?
Ho bisogno di parlare con
qualcuno che si ricordi ancora come erano i blink
all’inizio.”
“Hai Ruby.”
“Sì, lo so. Però la
gravidanza di tua sorella è a rischio e non mi va di
turbarla con queste cose,
con i rimpianti di un uomo che non ce l’ha fatta a salvare
l’unica cosa che
contasse nella sua vita, a parte Ruby.”
Io annuisco e gli faccio
cenno di sedersi sulla poltrona su cui solo ieri si era seduto Tom, io
prendo
una sedia e mi metto davanti a lui. Mark mi passa un frappucino e una
ciambella
con la glassa rosa e i granellini di zucchero.
Gli do un morso: buona!
“Allora, Mark… dimmi.”
“Non riesco ancora a
capacitarmi di come siano precipitati gli eventi e morti i blink. Ti
ricordi
come ci tenevamo all’inizio?”
“Oh sì! Ricordo tantissimi
pomeriggi spesi a provare, altri per stampare magliette e creare
demo.”
“Dove diavolo sono finiti
quei ragazzini?
Dove è finito quel Tom?”
Io non rispondo.
“Durante l’ultimo periodo
era sempre insofferente, diceva che voleva tornare dalla sua famiglia.
Penso gli mancassero Ava e
Anne, strano quanto sia ancora innamorato di lei, per lui è
sempre come il primo
giorno con lei. Non capivo i suoi comportamenti, sembrava un bestia
accerchiata
e non c’era motivo di sentirsi così, nessuno
voleva fargli del male.”
“Forse davvero si sentiva
così perché non gli facevate vedere Ava e le
medicine che prendeva lo
aiutavano. Lo sai che quando di ficca in testa una cosa è
praticamente
impossibile convincerlo del contrario.”
“Lo so, lo so. Conosco
quella testa di cazzo come conosco me stesso!
Non so quante notti mi ha
fatto un discorso che somigliava al tuo e diceva che tutti erano contro
di lui,
che lo consideravano solo una macchina da soldi e che si era rotto i
coglioni
del tour e di fare il buffone.
Diceva che voleva
crescere, voleva curarsi la schiena e godersi Ava. Io gli dicevo che
questo era
l’ultimo sforzo, fatto questo potevamo riposarci un
po’, ma che dovevamo
reggere. Il selftitled andava benissimo a livello di vendite,
“I miss you” era
diventata la canzone trainante insieme a “Feeling
this” e se fossimo riusciti a
rimanere visibili ancora un po’
non ci
avrebbe scalzato nessuno dal “trono” “
Virgoletta l’espressione con le mani. “
del pop-punk, nemmeno i Green Day.
Lui ascoltava e sbuffava.
Pensavo di averlo
convinto, aveva accettato l’ultimo tour nordamericano per far
pubblicità ad
“Always”, insomma pensavo andasse tutti bene, che
tra alti e bassi (come in
ogni famiglia che si rispetti) avessimo trovato un accordo.
Mi sbagliavo.
Credo che Tom abbia mal
interpretato tutto quello che ho fatto perché da allora sono
iniziati strani
incontri segreti tra il manager e DeLonge. Io a Trav eravamo a disagio perché
pur sapendo che si
incontravano non avevamo idea di cosa si dicessero.
La prima cosa che è uscita
da questi vertici segreti è stato l’annullamento
del tour, io e Trav eravamo
più incazzati della crew lasciata a piedi
all’ultimo momento.
Nessuno ci aveva
consultato, nessuno che aveva lasciato anche solo intendere che
l’idea fosse
quella. Noi – i membri della band – eravamo
all’oscuro di tutto esattamente
come i nostri operai.
Già questo bastava a farci
saltare i nervi, per di più non riuscivo a
contattare in nessun modo Tom al cellulare, visto che
volevo spiegazioni
per quello che era successo.
Il manager ci diceva di
aspettare, che presto avremmo avuto le nostre spiegazioni.
Beh, le abbiamo avute, ma non
da Tom: dal manager che ci ha seccamente detto che Tom era fuori dalla
band e
di non provare a ricontattarlo visto che aveva cambiato numero.
Detto questo se ne sono
andati, Io mi sono messo ad urlare insulti e richieste di spiegazioni,
ma non è
servito a niente.
Lui non si è voltato,
eppure gliel’ho letto in faccia che si sentiva in colpa per
la stronzata che
stava facendo.
Sarebbe bastata una sola
frase uscita dalla sua bocca a farmi dare un senso a questo hiatus, ma
lui ha
vigliaccamente taciuto.
Finita la riunione ho
iniziato a chiamarlo sul cell, pensavo fosse uno scherzo quello del
numero
cambiato: una delle sue solite sparate.
Era vero invece, me ne
sono reso conto dopo mesi di tentativi andati a vuoto, quel numero che
tante
volte avevo composto era sempre irreperibile.
E quando ho letto della
sua nuova band e delle dichiarazioni in cui faceva a pezzi i blink sono
morto
anche io.
Avevo perso mio fratello,
avevo perso il mio sogno e il mio ruolo e per di più senza
una spiegazione.
Non posso perdonarlo,
Erin, anche se ogni giorno spero che si faccia vivo e mi dica qualcosa,
una
qualsiasi cosa.
Penso di meritarlo dopo
più di dieci anni di amicizia o forse no, dato che lui
l’ha buttata giù dal
cesso senza pensarci troppo.”
Nel locale si crea un
silenzio denso di pensieri e di dolore, la tristezza di Mark la posso
toccare
con mano e mi sembra di viverla e sentirla in prima persona. Mark
sembra un
coglione visto da fuori, invece è una di quelle persone che
fanno caso a ogni
dettaglio e usano questa dote per metterti a tuo agio o a disagio.
Quello che mi ritrovo
davanti è l’ombra del ragazzo che conoscevo,
è un uomo il cui cuore sta ancora
sanguinando per il tradimento di quello che per lui era un fratello.
“Vieni qui.”
Gli dico allargando le
braccia, lui mi guarda un po’ perplesso: non sono mai stata
una ragazza che
abbraccia facilmente, ma questo volta un abbraccio è tutto
quello di cui ha
bisogno.
Lui si butta addosso a me
con tutto il suo peso ed abbracciandolo mi rendo conto di quanto sia
dimagrito:
la pancia è piatta e posso quasi sentirgli le ossa.
Lui ha la testa infilata
nell’incavo del mio collo e a un certo punto lo sento umido,
segno che sta
piangendo.
Oh, Mark!
Lo abbraccio più forte che
posso, accarezzandogli i capelli e la schiena.
“Que
sera sera
Whatever will be will be
The future's not ours to see
Que sera sera
What will be, will be
Que sera sera...”
Gli
canticchio in un orecchio e lo sento sorridere, alla fine finiamo per
cantarla
tutta insieme, ridendo come scemi, ma con le lacrime agli occhi.
Mangiamo
quello che è rimasto di Starbucks e poi lui si alza e mi
abbraccia ancora come
congedo.
“Grazie
mille per tutto, Erin. Sei un tesoro !”
Arrossisce.
“Quando
ho abbracciato te mi è sembrato di abbracciare di nuovo
Ruby, come ai vecchi
tempi.”
Io
sorrido e mi metto le dita a croce sulle labbra.
Non
voglio che mi sorella pensi male di me e Mark, è gelosa e
sarebbe capace di
farlo ora che è incinta e instabile.
“Ah,
Erin. Lo so che Tom non se lo merita, che è solo uno stronzo
presuntuoso ed
egoista, ma ti chiedo una cosa: prenditi
cura di lui come non posso più fare io.
Sii
la spalla su cui piangerà, la mente lucida che lo tiene a
freno nelle sue
cazzate megalomani, dagli un po’ di affetto e soprattutto di
disciplina, Anne è
troppo indulgente con lui.”
Detto
questo esce dal negozio, io lo accompagno alla porta e mi perdo per un
attimo a
guardare il panorama: un cielo lilla, una strada grande, un marciapiede
e case
bianche e basse dall’altra parte.
Poi
seguo con lo sguardo la figura di Mark che si allontana, un
po’ gobba e prego
Dio di concedergli un po’ di pace e che Tom finalmente si
decida a mettere da
parte il suo fottuto orgoglio.
Senza
quello sarebbero tutti più felici.
Due
giorni dopo il negozio è ancora relativamente calmo,
è l’una e la gente normale
mangia non prenota tatuaggi. Così io ne approfitto per
mangiarmi un panino, sto
per dare il primo morso quando il campanello suona e mi volto verso la
porta: è
interamente occupata dalla figura mingherlina di Travis.
“Ehi, ciao! Disturbo?”
“No,
entra pure. Visto che sei un amico posso chiederti si poter finire il
panino
prima di poter decidere qualsiasi cosa.”
“Certo,
Erin. Credo che approfitterò di questa comoda poltrona, sono
stanco morto.
Ho
accompagnato i bambini a scuola, poi ho provato e poi ho fatto un
po’ di
karate.”
Io
lo guardi incredula, dopo tutto questo movimento lui non va da Shanna
per
pranzare, ma viene da me?
“Ma
Shanna ha chiuso la cucina?”
Lui
sbuffa.
“Io
e lei siamo in crisi. Ho come il sospetto di non essere tagliato per le
relazioni
durature, ma mi piace fare il padre.”
“Capito,
come mai da queste parti?
Di
solito vai da Franco Vescovi, non vieni da me.”
Lui
si stiracchia e si accomoda meglio sulla poltrona.
“Perché
questa volta devo farmi tatuare una cosa personale e che solo tu e
pochi altri
potete capire.”
Io
do un ultimo morso al mio panino e lo guardo curiosa.
“Un
pezzo dello spartito di “Adam’s
Song”.”
Ora
capisco perché lo abbia chiesto a me, io c’ero e
ci sono sempre stata per i
blink e posso capire cosa si provi a vedere un proprio sogno andare a
puttane.
“Capisco.”
Ci
accordiamo per la grandezza e il posto dove glielo tatuerò,
poi passiamo
all’appuntamento e gli chiedo una caparra.
Chiusi
i rituali lui non se ne va, rimane tranquillamente seduto sulla
poltrona.
“Ehi,
potresti darmi quella mela per favore?”
Io
gliela lancio.
“Cosa
c’è, Trav?”
“C’è
che va tutto di merda, Erin!
Si
è sgretolata piano piano tutta la mia realtà: non
sono più il batterista dei
blink, tra non molto non sarò più il marito di
Shanna.
Tra
poco non sarò più nessuno. Lo sai che mi piace
suonare, no?”
“Eccome
se lo so, quando stavano insieme suonavi persino i bicchieri con i
cucchiaini
perché non riuscivo a trattenerti!”
Lui
annuisce.
“Adesso
mi siedo davanti alla batteria e rimango fermo per mezz’ora
chiedendomi per chi
suono, alla fine mi decido a farlo solo per onorare la memoria di mia
madre.
Suonare
con i Transplants non è la stessa cosa, i blink sono i
blink, con loro ho
vissuto gli anni migliori della mia vita e ancora non mi capacito di
come sia
finito tutto.”
Si
prende la testa tra le mani.
“Certo
c’erano stati dei problemi prima di quella fatidica riunione,
Tom era
insofferente, ma sembrava che Mark fosse riuscito a calmarlo. Mark
riesce
sempre in qualche modo a calmarlo e io calmo Mark quando Tom gli fa
saltare i
nervi. Eravamo una macchina perfetta che si è inceppata.
Questa
volta Tom non ha dato retta a Mark oppure chissà cosa
diavolo ha capito in
quella zucca dura che si ritrova, fatto sta che è andato
tutto a puttane.
È
saltato il tour e io e Mark eravamo più incazzati della crew
perché è arrivato
come una doccia fredda, non ce lo aspettavamo.
Pensavamo
che la crisi di Tom fosse come quella che
l’ha portato a creare i Boxcar Racer e ad
abbandonarli poi, invece era
qualcosa di diverso.
Questa
volta era una crisi seria e noi non ce ne siamo accorti.
Come
in quelle famiglie dove si finge di ignorare i problemi
finché non ti scoppiano
in mano come una bomba: lo stesso è successo a noi.
A
quella riunione Tom non guardò in faccia nessuno, era ovvio
che si vergognava e
si sentiva in colpa per quello che stava facendo, dopotutto era stato
lui
quello che aveva creduto di più nei blink sin
dall’inizio quando erano solo una
punk band da garage come tante.
Li
ha spinti fino in cima, deve essergli costato ucciderli, ma era deciso
a farlo
e sordo a ogni protesta.
Mark
ha urlato, smadonnato, bestemmiato, chiamato invano il vecchio numero
di Tom;
io non ho fatto niente, sapevo che era inutile farlo e che non
scherzava quando
diceva di averlo cambiato.
È
stato lì che il mio mondo è andato in pezzi,
adesso io e Mark vorremmo formare
una nostra band, ma non sarà lo stesso senza Tom, saremo
l’ombra triste di noi
stessi.”
Dopo
questo lungo discorso rimane in silenzio.
“La
vita è una merda.”
“Sì.”
“La
vita ti prende per il culo.”
“Sì.”
“Far
ragionare quei due testoni è impossibile perciò
ti chiedo una cosa: prenditi
cura di loro come puoi, entrambi hanno bisogno di qualcuno che gli
voglia bene,
le sgridi e li faccia ragionare se necessario.
Te
li affido, io ormai sono schierato su un fronte da cui non posso
fuggire.
Bene,
ci vediamo venerdì prossimo alle tre.”
Lui
si alza e si avvia verso la porta, io lo fermo prendendolo per un polso
e
costringendolo a guardarmi.
“Io
mi prenderò cura di loro e mi prenderò cura anche
di te. Non sei la roccia che
vuoi far credere, anche tu hai bisogno di qualcuno che ti voglia bene,
ti
sgridi e ti faccia ragionare.”
Lui
sorride e mi abbraccia.
In
questo abbraccio c’è tutto: affetto, comprensione
e il sigillo a una promessa.
Sono
solo un’umile tatuatrice, ma mi impegnerò al
massimo nel mio compito.
Loro
mi hanno regalato un’adolescenza e una giovinezza
meravigliosa e io non posso
far altro che ricambiare cercando di aiutarli nella loro vita adulta.
Mi
sembra un patto equo.
Trav
esce e io sorrido.
Forse
sotto la cenere cova ancora il fuoco, forse i blink non sono morti come
tutti
credono.
Devono
solo lasciare che il fuoco divampi ancora e io spero che accada molto
presto.
Solo
insieme quei tre riescono a essere felici e io con loro.
Buona
fortuna, blink.