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Autore: Layla    27/12/2013    1 recensioni
In questo abbraccio c’è tutto: affetto, comprensione e il sigillo a una promessa.
Sono solo un’umile tatuatrice, ma mi impegnerò al massimo nel mio compito.
Loro mi hanno regalato un’adolescenza e una giovinezza meravigliosa e io non posso far altro che ricambiare cercando di aiutarli nella loro vita adulta.
Mi sembra un patto equo.
Trav esce e io sorrido.
Forse sotto la cenere cova ancora il fuoco, forse i blink non sono morti come tutti credono.
Devono solo lasciare che il fuoco divampi ancora e io spero che accada molto presto.
Solo insieme quei tre riescono a essere felici e io con loro.
Buona fortuna, blink.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Take care of...

Ci sono momenti della vita in cui particolarmente soddisfatta di quello che hai raggiunto.
Ti sembra di sedere sul trono del tuo personale mondo, sazia e piena come dopo un abbondante banchetto, a osservare benevolmente quello che hai costruito.
Mi chiamo Erin Ferreira , ho trentasette anni e ho raggiunto quello che volevo a vent’anni: un negozio di tatuaggi e un marito che mi ami.
Ho lottato duramente per aprire una mia attività, ai tatuatori maschi non piace avere come collega e rivale una donna, se ne sentono minacciati.
Io ho lentamente fatto gavetta in diversi tattoo store, tenendo da parte i soldi per aprire un’attività mia e finalmente sette anni fa ce l’ho fatta.
Imporsi all’inizio non è stato facile – ma io sono testarda di natura – tenere duro mi è costato molta fatica, alla fine però sono stata ampliamente ricompensata dai risultati.
La mia clientela fissa è soddisfatta e ha sparso la voce che sono brava, così il negozio va abbastanza bene.
In quanto a mio marito – Matt Sullivan, di professione tecnico del suono – ci siamo sposati tardi, dopo un lunghissimo fidanzamento per imparare ad amarci. Entrambi uscivamo da storie pesanti e c’è voluto del tempo per scacciare i fantasmi dei nostri ex e costruire noi come coppia.
Il mio ex si chiama Tom DeLonge, sono stata fidanzata con lui un paio d’anni sufficienti a creare un modello inarrivabile di ragazzo e di primo amore. Sono stata io a lasciarlo perché non eravamo adatti a una relazione seria, a matrimonio e figli, ma non c’è stato giorno in cui non abbia pensato a lui e abbia rimpianto almeno un po’ la mia decisione.
Vederlo mettersi con Jen, poi con Anne Hoppus mi ha fatto sempre sanguinare un po’ il cuore, anche se so che Anne è una persona magnifica.
In quanto a Matt, la sua ex storica è Skye Everly e lui si porta dietro una storia simile alla mia, forse è per questo che alla fine abbiamo imparato ad amarci: ognuno sapeva esattamente come e perché soffriva l’altro.
A coronare il nostro matrimonio sono arrivati due bambini: Lars di sei anni e Marisela di quattro anni.
Guardando a quello che ho posso essere soddisfatta dunque. È in questi pensieri felici e confortevoli che mi sto crogiolando in questa pigra mattinata di San Diego.
A riscuotermi è il suono del campanello del negozio e la persona che torreggia con il suo metro e novanta alla porta è l’ultima che mi sarei aspettata: Tom DeLonge.
“Ciao Tom.”
“Ciao Erin.”
Si siede su una sedia del negozio.
“Vorrei un tatuaggio: il nome di mia moglie di mia moglie dietro l’orecchio.”
Io annuisco e gli faccio cenno di alzarsi. Gli mostro un po’ di caratteri al pc e lui sceglie quello che gli aggrada di più.
Gli fisso un appuntamento e il preventivo per l’opera e glieli consegno, come se lui fosse un cliente normale, ma lui non è un cliente normale e lo sa.
Per questo motivo si siede di nuovo sulla sedia e mi guarda con lo sguardo indecifrabile che gli vedo sfoggiare ultimamente su ogni rivista.
“E così hai ucciso la tua creatura…”
Butto lì con noncuranza. Sono stata presente alla nascita dei blink, a quando ancora non avevano un batterista e hanno trovato Scott per miracolo e so quanto lui tenesse a quel progetto.
“Già.”
Io rimango in silenzio, lui non se ne va e io non capisco il perché di questo comportamento.
Forse sono stati  gli antidolorifici che prende per la schiena a cambiarlo o forse è solo cresciuto, sta di fatto che nell’ uomo spocchioso di cui ho letto le dichiarazione sui giornali e nel tizio che ora si è preso la testa tra le mani non riconosco il mio Tom. Ora è il Tom di qualcun altro – Anne – e di un’altra band, gli Ava.
“Ho fatto un gigantesco casino, Erin.
Ho fatto un gigantesco casino e non so come tornare indietro o forse sono solo troppo arrabbiato per farlo.”
Io mi siedo accanto a lui e gli passo un braccio alle spalle.
“Cosa ti è successo, Tom?
Perché hai fatto finire dopo che hai speso tutto te stesso per portarli al successo?”
Dalle sue labbra esce un sospiro tremulo.
“Ti sei mai sentita con le spalle al muro e senza nessuno attorno dalla tua parte che vuole aiutarti?”
Io annuisco.
“Ecco, io mi sentivo così durante gli ultimi mesi dei blink: accerchiato.
Amo suonare, ma mi mancava la mia famiglia.”
Alzo un sopracciglio, Anne non gli ha mai fatto pressioni in questo senso, l’ha sempre incoraggiato a seguire i suoi sogni, forse Tom è davvero cambiato, dopotutto.
“Ok, mi mancava Ava. Tanto e anche Anne, anche se lei non mi ha mai fatto pressioni, so che le sono mancato.
Ho tenuto Ava tra le braccia troppo poco, mi sono perso tutte le sue prime volte: il suo primo passo, il suo primo pasto, la sua prima parola.
Volevo mia figlia e il management non lo capiva: diceva che eravamo al top, che eravamo riusciti a creare un trend che attirava adolescenti e meno giovani e che avevamo addirittura battuto i nostri rivali storici, i Green Day.
A me non me ne fregava niente di aver battuto la band di Billie Joe, proprio niente, volevo solo una pausa e l’ho fatto presente più volte, anche perché volevo curare come Cristo comanda la mia schiena.
Mi avevano detto che mi avrebbero dato una pausa, Mark aveva addirittura detto che potevano sfruttarla per scrivere nuovo materiale, ma poi è arrivata una doccia fredda. Mi hanno detto che volevano fare un nuovo tour negli States per rilanciare “Always”, io ho accettato e poi mi sono accordato con il manager.
Quel tour era un aut aut: o i blink o la famiglia.
Ho scelto la mia famiglia e quello che più mi ha ferito è che Mark non sia stato dalla mia parte, durante l’ultima riunione.”
“Quella famosa dove non hai aperto bocca e hai lasciato parlare il tuo manager?”
“Quella. Lui ha avuto il coraggio di incazzarsi.
Io non volevo uccidere la mia creatura, non volevo perdere Mark, non volevo che finisse così, ma non avevo scelta. E tutto il casino che ho fatto mi pesa sul cuore in una maniera incredibile.
Vorrei fosse andata diversamente.”
Tom abbassa gli occhi.
“Puoi sempre chiedergli scusa.”
“Lo sai che non lo farò.”
Sì, lo so perfettamente, ma ho dovuto provare a fare quella domanda.
Lui alza lo sguardo da terra e mi guarda, il mio cuore come al solito batte un po’ più velocemente.
“Grazie per avermi ascoltato, ti voglio bene, Erin. Sei un dono del cielo per me.
Ho solo un favore da chiederti: prenditi cura di Mark e Travis, soprattutto di Mark.
So di averlo ferito e si merita una dose extra di affetto.”
Io annuisco e lo accompagno alla porta e ci salutiamo con un amichevole bacio sulla guancia.
Lo guardo allontanarsi – schiena un po’ gobba, sguardo basso e cappellino calato sul volto – e tutto quello che penso è: buon fortuna, Tom. Che Dio ti assista, mio primo ed indimenticato amore e che ti dia la forza di perdonare e chiedere scusa.

 

La sera racconto tutto a Matt mentre siamo abbracciati a letto. Io sono rimasta la solita ragazza con i capelli tinti di colori strani (ora viola) e lui il ragazzo dai capelli verdi che ora sono corti.
Lui sospira.
“Tom è rimasto il solito testardo… che tristezza vederlo dibattersi nella rete di rimorsi e casini che lui stesso ha creato.
La sua nuova band poi non mi piace per niente…”
Io non dico nulla, condivido ogni parola detta da Matt, eccetto il giudizio così negativo sugli Angels and Airwaves, non sono male, ma se queste idee fossero state sviluppate dai blink sarebbero sicuramente suonate meglio.
Il giorno dopo ho una giornata piena di appuntamenti, alle sette non vedo l’ora di andare a casa mia, purtroppo il campanello suona un’ultima volta annunciando un ultimo importuno.
“Mi dispiace, il negozio sta chiudendo.  Torni domani.”
“Non sono qui per un tatuaggio.”
La sua voce profonda è riconoscibile: Mark Hoppus.
Mi giro sorridendo.
“Mark, sono felice di vederti, come mai qui?”
Lui mi mostra un sacchetto di Starbucks.
“Ti va di fare quattro chiacchiere?
Ho bisogno di parlare con qualcuno che si ricordi ancora come erano i blink all’inizio.”
“Hai Ruby.”
“Sì, lo so. Però la gravidanza di tua sorella è a rischio e non mi va di turbarla con queste cose, con i rimpianti di un uomo che non ce l’ha fatta a salvare l’unica cosa che contasse nella sua vita, a parte Ruby.”
Io annuisco e gli faccio cenno di sedersi sulla poltrona su cui solo ieri si era seduto Tom, io prendo una sedia e mi metto davanti a lui. Mark mi passa un frappucino e una ciambella con la glassa rosa e i granellini di zucchero.
Gli do un morso: buona!
“Allora, Mark… dimmi.”
“Non riesco ancora a capacitarmi di come siano precipitati gli eventi e morti i blink. Ti ricordi come ci tenevamo all’inizio?”
“Oh sì! Ricordo tantissimi pomeriggi spesi a provare, altri per stampare magliette e creare demo.”
“Dove diavolo sono finiti quei ragazzini?
Dove è finito quel Tom?”
Io non rispondo.
“Durante l’ultimo periodo era sempre insofferente, diceva che voleva tornare dalla sua famiglia.
Penso gli mancassero Ava e Anne, strano quanto sia ancora innamorato di lei, per lui è sempre come il primo giorno con lei. Non capivo i suoi comportamenti, sembrava un bestia accerchiata e non c’era motivo di sentirsi così, nessuno voleva fargli del male.”
“Forse davvero si sentiva così perché non gli facevate vedere Ava e le medicine che prendeva lo aiutavano. Lo sai che quando di ficca in testa una cosa è praticamente impossibile convincerlo del contrario.”
“Lo so, lo so. Conosco quella testa di cazzo come conosco me stesso!
Non so quante notti mi ha fatto un discorso che somigliava al tuo e diceva che tutti erano contro di lui, che lo consideravano solo una macchina da soldi e che si era rotto i coglioni del tour e di fare il buffone.
Diceva che voleva crescere, voleva curarsi la schiena e godersi Ava. Io gli dicevo che questo era l’ultimo sforzo, fatto questo potevamo riposarci un po’, ma che dovevamo reggere. Il selftitled andava benissimo a livello di vendite, “I miss you” era diventata la canzone trainante insieme a “Feeling this” e se fossimo riusciti a rimanere visibili ancora un po’  non ci avrebbe scalzato nessuno dal “trono” “ Virgoletta l’espressione con le mani. “ del pop-punk, nemmeno i Green Day.
Lui ascoltava e sbuffava.
Pensavo di averlo convinto, aveva accettato l’ultimo tour nordamericano per far pubblicità ad “Always”, insomma pensavo andasse tutti bene, che tra alti e bassi (come in ogni famiglia che si rispetti) avessimo trovato un accordo.
Mi sbagliavo.
Credo che Tom abbia mal interpretato tutto quello che ho fatto perché da allora sono iniziati strani incontri segreti tra il manager e DeLonge. Io a Trav eravamo a  disagio perché pur sapendo che si incontravano non avevamo idea di cosa si dicessero.
La prima cosa che è uscita da questi vertici segreti è stato l’annullamento del tour, io e Trav eravamo più incazzati della crew lasciata a piedi all’ultimo momento.
Nessuno ci aveva consultato, nessuno che aveva lasciato anche solo intendere che l’idea fosse quella. Noi – i membri della band – eravamo all’oscuro di tutto esattamente come i nostri operai.
Già questo bastava a farci saltare i nervi, per di più non riuscivo a  contattare in nessun modo Tom al cellulare, visto che volevo spiegazioni per quello che era successo.
Il manager ci diceva di aspettare, che presto avremmo avuto le nostre spiegazioni.
Beh, le abbiamo avute, ma non da Tom: dal manager che ci ha seccamente detto che Tom era fuori dalla band e di non provare a ricontattarlo visto che aveva cambiato numero.
Detto questo se ne sono andati, Io mi sono messo ad urlare insulti e richieste di spiegazioni, ma non è servito a niente.
Lui non si è voltato, eppure gliel’ho letto in faccia che si sentiva in colpa per la stronzata che stava facendo.
Sarebbe bastata una sola frase uscita dalla sua bocca a farmi dare un senso a questo hiatus, ma lui ha vigliaccamente taciuto.
Finita la riunione ho iniziato a chiamarlo sul cell, pensavo fosse uno scherzo quello del numero cambiato: una delle sue solite sparate.
Era vero invece, me ne sono reso conto dopo mesi di tentativi andati a vuoto, quel numero che tante volte avevo composto era sempre irreperibile.
E quando ho letto della sua nuova band e delle dichiarazioni in cui faceva a pezzi i blink sono morto anche io.
Avevo perso mio fratello, avevo perso il mio sogno e il mio ruolo e per di più senza una spiegazione.
Non posso perdonarlo, Erin, anche se ogni giorno spero che si faccia vivo e mi dica qualcosa, una qualsiasi cosa.
Penso di meritarlo dopo più di dieci anni di amicizia o forse no, dato che lui l’ha buttata giù dal cesso senza pensarci troppo.”
Nel locale si crea un silenzio denso di pensieri e di dolore, la tristezza di Mark la posso toccare con mano e mi sembra di viverla e sentirla in prima persona. Mark sembra un coglione visto da fuori, invece è una di quelle persone che fanno caso a ogni dettaglio e usano questa dote per metterti a tuo agio o a disagio.
Quello che mi ritrovo davanti è l’ombra del ragazzo che conoscevo, è un uomo il cui cuore sta ancora sanguinando per il tradimento di quello che per lui era un fratello.
“Vieni qui.”
Gli dico allargando le braccia, lui mi guarda un po’ perplesso: non sono mai stata una ragazza che abbraccia facilmente, ma questo volta un abbraccio è tutto quello di cui ha bisogno.
Lui si butta addosso a me con tutto il suo peso ed abbracciandolo mi rendo conto di quanto sia dimagrito: la pancia è piatta e posso quasi sentirgli le ossa.
Lui ha la testa infilata nell’incavo del mio collo e a un certo punto lo sento umido, segno che sta piangendo.
Oh, Mark!
Lo abbraccio più forte che posso, accarezzandogli i capelli e la schiena.
Que sera sera
Whatever will be will be
The future's not ours to see
Que sera sera
What will be, will be
Que sera sera...”

Gli canticchio in un orecchio e lo sento sorridere, alla fine finiamo per cantarla tutta insieme, ridendo come scemi, ma con le lacrime agli occhi.
Mangiamo quello che è rimasto di Starbucks e poi lui si alza e mi abbraccia ancora come congedo.
“Grazie mille per tutto, Erin. Sei un tesoro !”
Arrossisce.
“Quando ho abbracciato te mi è sembrato di abbracciare di nuovo Ruby, come ai vecchi tempi.”
Io sorrido e mi metto le dita a croce sulle labbra.
Non voglio che mi sorella pensi male di me e Mark, è gelosa e sarebbe capace di farlo ora che è incinta e instabile.
“Ah, Erin. Lo so che Tom non se lo merita, che è solo uno stronzo presuntuoso ed egoista, ma ti chiedo una cosa:  prenditi cura di lui come non posso più fare io.
Sii la spalla su cui piangerà, la mente lucida che lo tiene a freno nelle sue cazzate megalomani, dagli un po’ di affetto e soprattutto di disciplina, Anne è troppo indulgente con lui.”
Detto questo esce dal negozio, io lo accompagno alla porta e mi perdo per un attimo a guardare il panorama: un cielo lilla, una strada grande, un marciapiede e case bianche e basse dall’altra parte.
Poi seguo con lo sguardo la figura di Mark che si allontana, un po’ gobba e prego Dio di concedergli un po’ di pace e che Tom finalmente si decida a mettere da parte il suo fottuto orgoglio.
Senza quello sarebbero tutti più felici.

 

Due giorni dopo il negozio è ancora relativamente calmo, è l’una e la gente normale mangia non prenota tatuaggi. Così io ne approfitto per mangiarmi un panino, sto per dare il primo morso quando il campanello suona e mi volto verso la porta: è interamente occupata dalla figura mingherlina di Travis.
“Ehi, ciao! Disturbo?”
“No, entra pure. Visto che sei un amico posso chiederti si poter finire il panino prima di poter decidere qualsiasi cosa.”
“Certo, Erin. Credo che approfitterò di questa comoda poltrona, sono stanco morto.
Ho accompagnato i bambini a scuola, poi ho provato e poi ho fatto un po’ di karate.”
Io lo guardi incredula, dopo tutto questo movimento lui non va da Shanna per pranzare, ma viene da me?
“Ma Shanna ha chiuso la cucina?”
Lui sbuffa.
“Io e lei siamo in crisi. Ho come il sospetto di non essere tagliato per le relazioni durature, ma mi piace fare il padre.”
“Capito, come mai da queste parti?
Di solito vai da Franco Vescovi, non vieni da me.”
Lui si stiracchia e si accomoda meglio sulla poltrona.
“Perché questa volta devo farmi tatuare una cosa personale e che solo tu e pochi altri potete capire.”
Io do un ultimo morso al mio panino e lo guardo curiosa.
“Un pezzo dello spartito di “Adam’s Song”.”
Ora capisco perché lo abbia chiesto a me, io c’ero e ci sono sempre stata per i blink e posso capire cosa si provi a vedere un proprio sogno andare a puttane.
“Capisco.”
Ci accordiamo per la grandezza e il posto dove glielo tatuerò, poi passiamo all’appuntamento e gli chiedo una caparra.
Chiusi i rituali lui non se ne va, rimane tranquillamente seduto sulla poltrona.
“Ehi, potresti darmi quella mela per favore?”
Io gliela lancio.
“Cosa c’è, Trav?”
“C’è che va tutto di merda, Erin!
Si è sgretolata piano piano tutta la mia realtà: non sono più il batterista dei blink, tra non molto non sarò più il marito di Shanna.
Tra poco non sarò più nessuno. Lo sai che mi piace suonare, no?”
“Eccome se lo so, quando stavano insieme suonavi persino i bicchieri con i cucchiaini perché non riuscivo a trattenerti!”
Lui annuisce.
“Adesso mi siedo davanti alla batteria e rimango fermo per mezz’ora chiedendomi per chi suono, alla fine mi decido a farlo solo per onorare la memoria di mia madre.
Suonare con i Transplants non è la stessa cosa, i blink sono i blink, con loro ho vissuto gli anni migliori della mia vita e ancora non mi capacito di come sia finito tutto.”
Si prende la testa tra le mani.
“Certo c’erano stati dei problemi prima di quella fatidica riunione, Tom era insofferente, ma sembrava che Mark fosse riuscito a calmarlo. Mark riesce sempre in qualche modo a calmarlo e io calmo Mark quando Tom gli fa saltare i nervi. Eravamo una macchina perfetta che si è inceppata.
Questa volta Tom non ha dato retta a Mark oppure chissà cosa diavolo ha capito in quella zucca dura che si ritrova, fatto sta che è andato tutto a puttane.
È saltato il tour e io e Mark eravamo più incazzati della crew perché è arrivato come una doccia fredda, non ce lo aspettavamo.
Pensavamo che la crisi di Tom fosse come quella che  l’ha portato a creare i Boxcar Racer e ad abbandonarli poi, invece era qualcosa di diverso.
Questa volta era una crisi seria e noi non ce ne siamo accorti.
Come in quelle famiglie dove si finge di ignorare i problemi finché non ti scoppiano in mano come una bomba: lo stesso è successo a noi.
A quella riunione Tom non guardò in faccia nessuno, era ovvio che si vergognava e si sentiva in colpa per quello che stava facendo, dopotutto era stato lui quello che aveva creduto di più nei blink sin dall’inizio quando erano solo una punk band da garage come tante.
Li ha spinti fino in cima, deve essergli costato ucciderli, ma era deciso a farlo e sordo a ogni protesta.
Mark ha urlato, smadonnato, bestemmiato, chiamato invano il vecchio numero di Tom; io non ho fatto niente, sapevo che era inutile farlo e che non scherzava quando diceva di averlo cambiato.
È stato lì che il mio mondo è andato in pezzi, adesso io e Mark vorremmo formare una nostra band, ma non sarà lo stesso senza Tom, saremo l’ombra triste di noi stessi.”
Dopo questo lungo discorso rimane in silenzio.
“La vita è una merda.”
“Sì.”
“La vita ti prende per il culo.”
“Sì.”
“Far ragionare quei due testoni è impossibile perciò ti chiedo una cosa: prenditi cura di loro come puoi, entrambi hanno bisogno di qualcuno che gli voglia bene, le sgridi e li faccia ragionare se necessario.
Te li affido, io ormai sono schierato su un fronte da cui non posso fuggire.
Bene, ci vediamo venerdì prossimo alle tre.”
Lui si alza e si avvia verso la porta, io lo fermo prendendolo per un polso e costringendolo a guardarmi.
“Io mi prenderò cura di loro e mi prenderò cura anche di te. Non sei la roccia che vuoi far credere, anche tu hai bisogno di qualcuno che ti voglia bene, ti sgridi e ti faccia ragionare.”
Lui sorride e mi abbraccia.
In questo abbraccio c’è tutto: affetto, comprensione e il sigillo a una promessa.
Sono solo un’umile tatuatrice, ma mi impegnerò al massimo nel mio compito.
Loro mi hanno regalato un’adolescenza e una giovinezza meravigliosa e io non posso far altro che ricambiare cercando di aiutarli nella loro vita adulta.
Mi sembra un patto equo.
Trav esce e io sorrido.
Forse sotto la cenere cova ancora il fuoco, forse i blink non sono morti come tutti credono.
Devono solo lasciare che il fuoco divampi ancora e io spero che accada molto presto.
Solo insieme quei tre riescono a essere felici e io con loro.
Buona fortuna, blink.

Angolo di Layla

Forse qualcuno se la ricorda, avevo già pubblicato questa fiction, ma dati i cambiamenti di trama che ho apportato a "They came here to conquer San Diego" ho dovuto cambiare leggermente anche questa.

Spero vi piaccia, ringrazio DeliciousApplePie per le recensioni alle altre shot e Nena_69 per la recensione ad "Ava DeLonge (il parto di Anne Hoppus). 

 

 

 

 

   
 
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