Serie TV > Shameless US
Ricorda la storia  |      
Autore: Ale HP    27/12/2013    2 recensioni
Mickey Milkovich era quel genere di ragazzo che partecipa ad una rissa un giorno sì e l'altro pure; era abituato, ormai, a trovarsi ferite senza nemmeno ricordare come le avesse ricevute, ed era ancora più abituato a guarire in meno tempo del possibile.
Eppure, ci vollero tre mesi, cinque giorni e nove ore perché guarisse dalla ferita che gli aveva aperto la partenza di Ian. Era turbato da tutto questo, gli sembrava difficile persino ammettere di avere un problema, di stare realmente soffrendo per colpa dell'amore, per colpa di un Gallagher.
Una oneshot su come, in una sera di angst a palla, mi sono immaginata la situazione riguardante Ian e Mickey dopo la terza stagione. Niente di che, 2000 parole fitte fitte di angst.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Debbie Gallagher, Ian Gallagher, Mandy Milkovich, Mickey Milkovich, Phillip 'Lip' Gallagher
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Giusto una cosina che mi è uscita tutto di un botto, un piccolo sfogo di una fangirl. Spero vi piaccia ^^
 
 

Only miss the sun when it starts to snow.

Mickey Milkovich era quel genere di ragazzo che partecipa ad una rissa un giorno sì e l'altro pure; era abituato, ormai, a trovarsi ferite senza nemmeno ricordare come le avesse ricevute, ed era ancora più abituato a guarire in meno tempo del possibile.

Eppure, ci vollero tre mesi, cinque giorni e nove ore perché guarisse dalla ferita che gli aveva aperto la partenza di Ian. Era turbato da tutto questo, gli sembrava difficile persino ammettere di avere un problema, di stare realmente soffrendo per colpa dell'amore, per colpa di un Gallagher.  

Ma dopo un po' capì che non poteva far a meno di starci male per davvero. Ian l'aveva cambiato, aveva fatto uscire il Mickey umano che era in lui, aveva imparato a scherzare, a gioire, a soffrire; aveva imparato, seppur in un modo tutto suo, ad amare.

Ci avrebbe messo anche meno tempo a guarire, ne era assolutamente convinto, se non fosse stato per quella notizia.

Fu Lip a venire da lui, quattro settimane e mezzo dalla partenza di Ian. Aveva gli occhi arrossati, forse per la prima volta non per colpa dell'erba. 

Mickey non aveva voluto crederci in un primo momento, si era rifiutato di assimilare l'idea che Ian fosse morto.

"È scomparso" gli aveva detto Lip, in realtà. "Il pullman che ha preso per partire non è mai arrivato a destinazione."

Mickey si era sfogato, aveva preso a pugni tutto e tutti, aveva persino versato qualche piccola e solitaria lacrima. Perché lui non credeva alla faccenda dello scomparso, non credeva che Ian potesse ancora essere vivo, per quanto lo sperasse con tutto se stesso. 

Mickey si sentiva terribilmente in colpa, non passava secondo in cui non pensava al fatto che davvero avrebbe dovuto dirgli di non andarsene perché lo amava. Ma lui era pur sempre fatto così, le cose se le teneva dentro, tutte per sé. 

Come quando Mandy gli chiedeva come le cose fossero andate per davvero, quando insisteva ed insisteva senza mai smettere. Aveva più volte iniziato il suo racconto, tralasciando infiniti dettagli, ma ogni volta che arrivava al momento in cui i loro problemi erano realmente iniziati, si fermava, perché non voleva ripensare a suo padre che picchiava lui e specialmente Ian, non riusciva a pensare a cosa l'avesse costretto a fare.

"Mi dispiace" era arrivata a dire Mandy, un giorno. Glielo disse all'improvviso e di sfuggita, come se non glielo volesse far sapere per davvero. 

Era anche troppo per Mickey tutto quello: non era lui la vittima, lì, non era di certo lui quello morto.

"La parte più difficile spetta ai sopravvissuti" aveva detto un giorno Lip, con tutta la sua naturalezza. "Noi siamo quelli seduti qui a soffrire.”

Mickey non sapeva se essere d'accordo con lui, sapeva soltanto che si sentiva in colpa e che voleva di nuovo Ian al suo fianco.

"Mi manca" aveva poi detto.

Lip ne fu sorpreso, questo è certo, non si aspettava che uno come Mickey ammettesse cose del genere. Aveva capito da abbastanza tempo che Mickey un cuore ce l'aveva, ma non era sicuro che fosse pronto per dirlo ad alta voce.

"Tornerà" disse poi, mettendogli una mano sulla spalla. "Debbie ci crede, e lei ha sempre ragione su queste cose".

 

Accadde un giorno di maggio, quando tutto stava diventando afoso. Arrivò un soldato ad annunciarlo, dritto e composto. Era stato trovato il pullman, ma era completamente vuoto.

Erano tutti vivi, supponevano, perché altrimenti avrebbero dovuto trovare i corpi.

Mickey avrebbe voluto mandarlo a quel paese, come se fosse tanto difficile nascondere per bene dei fottuti corpi; persino Frank Gallagher ci era riuscito.

Debbie si era illuminata, ed aveva aggiunto altre foto al suo altarino, scrivendo dappertutto "Torna presto" e "Noi ti aspettiamo". Era carina come cosa secondo Mickey, ma era anche abbastanza imbarazzante: ogni volta che passava davanti casa Gallagher non riusciva a non arrossire guardando le foto di Ian, non riusciva quasi a trattenere le lacrime.
 



Mickey scriveva ogni giorno. Prendeva un figlio a caso, una penna e scriveva qualche parola per Gallagher, scriveva tutto ciò che non era mai stato capace di dirgli.

L'ultima lettera che scrisse fu a luglio, quando persino quello sfogo era diventato un peso.

"Sei un fottuto stronzo," cosi iniziava, "perché ci metti tanto a tornare?"

A quel punto, c'erano cosi tante cancellature che non si vedeva più il foglio dietro. 

"Sapevi cosa volevo dirti quel giorno, sapevi che volevo dirti che ti amo. Ian Gallgher, l'ho detto, io ti amo. E non ho mai ammesso nessun sentimento prima d'ora, mai. Ho sempre finto di non importarmene. Ma sai cosa? Sono stanco di essere un coglione, sono stanco di comportarmi da stronzo coi fiocchi. Ti amo e mi manchi.
Torna.”
 

Ian non tornò, erano otto mesi che lui era partito, e anche se Mickey diceva di essere guarito da mesi scoprì che non era affatto così, quando si trovò faccia a faccia con suo figlio appena nato.

Era un bambino curioso, ingenuo e buono, un bambino estremamente buono.

Non piangeva quasi mai, nonostante fosse costretto a vivere con Mickey e Mandy, che non erano esattamente due modelli di comportamento. Svetlana se ne era andata appena partorito, aveva preso un aereo ed era tornata in Russia; Mickey non era nemmeno tanto sicuro che fosse ancora viva. 

Mandy aveva pregato Mickey di chiamarlo Ian, l'aveva quasi supplicato in ginocchio. Non ce ne era stato bisogno solo ed esclusivamente perché Mickey era il primo a volerlo chiamare così, per quanto Ian Milkovich suonasse male nella sua testa.
 


"Ti immagini se un giorno ci sposassimo?" gli aveva chiesto in giorno Ian.

"Ma vai a farti fottere da qualcun’altro, Gallagher.”

"Ian Milkovich" aveva sussurrato, nel suo orecchio, e a Mickey era sembrato il suono più bello del mondo, soltanto che non era capace nemmeno di accettarlo nella sua testa.

"Un'altra scopata, ti va?" chiese lui, per cambiare argomento come sempre.



Mickey era pieno di sensi di colpa per tutte le volte che aveva agito in quel modo; mandava a quel paese Ian quasi sempre e lui non faceva altro che sorridergli. Era convinto di non meritare tutto quello.

Ed era anche per quello che capiva Ian in quel momento, capiva perché se ne fosse andato e capiva che era stata colpa sua.

Sarebbe voluto tornare indietro a quella sera, quando gli aveva chiesto come sarebbe stato se si fossero mai potuti sposare. Quella, probabilmente, era stata la sera più bella della sua vita.

Era stato quando Ian e Lip erano nella casa famiglia e lui aveva invitato Ian per una notte. Quando aveva cucinato per lui e avevano visto un film. Quando poi avevano fatto sesso e si erano baciati milioni di volte.

Quando si erano fermati, distesi sul suo letto, e avevano iniziato a parlare del più e del meno e Ian se ne era uscito con quella frase.

Mickey si odiava per avergli risposto in quel modo.

                                                                                                                     •••


 
 
Alla fine, Ian tornò per davvero.

Era sera, a casa c'era solo Debbie che si occupava di Liam e del piccolo Ian. Ormai anche lui faceva parte della famiglia. Fiona era a lavoro, quella sera, aveva ricominciato a lavorare per la discoteca, per arrotondare. Lip era in giro, a scroccare qualcosa e a cercare lavoro, come sempre. Ormai tutti avevano capito che non avrebbe concluso nulla nella sua vita finché non si fosse deciso ad andare alla MIT.  Anche Carl lavorava ora, aveva preso il posto di Ian da Kash, e a Mickey questa cosa aveva fatto ridere, perché ovunque si voltava si ritrovava un Gallagher tra i piedi.

Era quasi arrivato alla conclusione che non gli dispiaceva affatto.
 

Bussò alla porta, e quando Debbie aprì per poco non le cadde il piccolo Ian dalle braccia.

Ian aveva la divisa addosso, era dritto e composto come sempre. Sembrava lontano, però, e Debbie si chiedeva perché ancora dovesse abbracciarla.

"Ian?" chiese Debbie, non sapendo che altro dire o fare.
 


Si scoprì, giorni più tardi, che dopo che un pazzo terrorista li aveva fatti scendere dall'autobus,  erano stati imbavagliati e messi su un aereo da trasporto merci. Nessuno di loro capì perfettamente dove li avessero portati, Ian pensava fosse in Afganistan. In ogni caso, furono costretti a combattere dalla parte di quei pazzi terroristi. Li drogavano, aveva detto Ian, affinché non potessero ribellarsi.

Ian era uno di quelli che erano riusciti a scappare, alla fine. Erano riusciti ad evitare la loro porzione di droga giornaliera, ed era bastato tanto per riuscire a fuggire. I loro rapitori non erano molto agili e loro erano pur sempre addestrati. Ian da quel punto in poi non ricordava molto, sapeva solo che vennero attaccati e che lui venne ferito.

Aveva cicatrici sparse per tutto il torace, una più profonda dietro il collo, e aveva diverse ossa rotte o come minimo fratturate.

Mickey lo guardava di sottecchi mentre diceva quelle cose; avrebbe solo voluto alzarsi, prendere la sua testa fra le mani, dirgli che gli dispiaceva, che era tutta colpa sua, e poi avrebbe voluto baciarlo.

Aveva passato cosi tante notti a sognare di avere di nuovo Ian lì con lui, e vederlo seduto sul divano di casa Gallagher era come un miraggio per lui.

"Siamo arrivati in Europa" disse poi. Parlava come un automa, come se la cosa che stesse raccontando non lo riguardasse minimamente. "Siamo andati alla prima ambasciata americana che trovammo, non ricordo nemmeno dove fosse. Ci hanno curato, ma io non riuscivo a parlare".

Mickey non ce la faceva più, stava arrivando al limite della sua sopportazione.

"Dicevano fosse per lo shock, poi si accorsero della ferita dietro al collo e lungo tutta la schiena".

Disse ancora che dopo quello lo sedarono e che si risvegliò un giorno in Inghilterra, vestito con la sua divisa da militare. "Mi hanno messo su un aereo con un mio compagno, Jack, e sono venuto qui".
 



 
Mickey aveva provato più volte a parlarci, ma non aveva mai avuto il coraggio necessario, tanto per cambiare. Aveva tentato, sul serio, ma quando si trovava davanti allo sguardo vacuo di Ian tutto quello che gli usciva era un indecifrabile balbettio. Non gli era mai risultato facile parlare, non era una di quelle persone brave con le parole come poteva esserlo Lip, e di certo il volto inespressivo di Ian non lo aiutava.

“Come si chiama?” chiese poi un giorno quest’ultimo, indicando il piccolo Ian che era bellamente seduto a terra, a guardarsi intorno.

C’erano solo loro tre in casa, erano tutti ai propri lavori, tranne Debbie che era a scuola e Liam che, ovviamente, era da Sheila. Avevano concordato che ci sarebbe sempre dovuto essere qualcuno in casa, per evitare che Ian facesse qualche stronzata delle sue, dato che uno di quei giorni, per mezz’ora che era rimasto solo aveva tentato di affogarsi nella doccia.

“Ian” aveva risposto, alzando finalmente lo sguardo verso l’altro ragazzo.

Si era improvvisamente illuminato, il suo sguardo – quello che aveva sempre conosciuto, quello che all’inizio aveva odiato con tutto il cuore ma che alla fine non aveva potuto fare a meno di amare – era di nuovo acceso, come se con quel nome gli avesse dato una nuova linfa.

“Davvero?” aveva chiesto, con voce strozzata, incredulo.

Mickey aveva annuito, sorridente. “Mi eri mancato”.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Shameless US / Vai alla pagina dell'autore: Ale HP