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Autore: Francine    29/12/2013    2 recensioni
«Avanti, Semola! Preparati per la gloria!», lo esorta il cavaliere dandogli una gran pacca sulle spalle. «Ti mostrerò come si fa ad affrontare un drago, contento?»
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bedivere, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Trenta Giorni a Camelot'
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3.

«Sono disperato, Ada mia!» 
Nessun uomo, neppure uno scudiero che sarà investito cavaliere la prossima domenica, è bello quando piange. Tutta la loro virile gagliardia svanisce d'un tratto, sciogliendosi come burro sul fuoco. Labbro all'infuori, occhio lacrimevole, spalle incurvate e lamenti degni del peggior bambinone viziato. 
Semola non fa eccezione, purtroppo per lei. Non appena ha saputo del suo ritorno, Ada è corsa nella propria stanza, ha strigliato per bene i capelli, si è lavata il viso, il collo e le mani, i punti dove è solito baciarla, ed è corsa da lui. Ha aspettato un po', sapendo bene che il suo amato non avrebbe potuto mollare sir Bedivere tra il lusco e il brusco per correre da lei, ma quando l'attesa ha cominciato a protrarsi sin oltre la decenza, Ada è andata a cercare il suo Semola, fiutando puzzo di bruciato nell'aria. 
Il fumo c'era, anche se l'arrosto non era quello da lei paventato, ossia che strada facendo un paio di occhi neri avesse fatto girar la testa al suo innamorato. Seduto sul suo giaciglio, le mani in grembo e l'aria afflitta, Semola fissava una gigantesca e puzzolente chiazza gialla ai suoi piedi. 
«Ada, Ada mia! Ho fatto la frittata!», le ha detto vedendola sulla soglia del suo alloggio. 
«Questo lo vedo da me…»
«No, non capisci! Ho rotto l'uovo che sir Bedivere aveva affidato a me! Lo stesso per cui lui ed io ci siamo issati sul Picco Inaccessibile ed abbiamo lottato con sprezzo del pericolo contro il Drago!», e infiocchettando alla bell'e meglio la storia, Semola le ha spiegato come non solo abbia mancato ad un compito assegnatogli da un suo superiore, ma che il destino del mondo sia oramai perduto. 
Ada, stufa degli «Uh,uh» del suo promesso, che lo rendono sin troppo simile ad una civetta, decide che ne ha abbastanza di quella solfa. Guarda il guscio dell'uovo. A giudicare dalla sostanza giallastra che campeggia sul pavimento, doveva essere particolarmente grosso e pesante. E Semola, con quei piedoni e quelle manone che il buon Dio gli ha donato, non è mai stato abile nel maneggiare le cose. 
Però, pensa Ada, se non lo cavo dai pasticci, sir Bedivere lo farà battere per benino, e addio investitura. E addio matrimonio, si dice ripensando al vestito di sua madre, accomodato e in attesa nell'armadio da un anno buono. Addio investitura, addio matrimonio, e addio alloggio all'interno delle mura del castello. 
Eh no!, pensa la ragazza arrotolandosi le maniche della tunica azzurra. «Quanto era grande quest'uovo?», chiede al suo promesso sposo. 
«Quanto la mia testa», risponde l'ammazzadraghi tirando su col naso. 
«E il guscio? Di che colore era?», insiste la ragazza mentre la sua testolina inizia a lavorare. 
«Grigio scuro e con delle chiazze d'oro.»
Ada sospira. «Aspettami qui. Ho io l'uovo che fa al caso tuo», dice a Semola prima di uscire dalla stanza. Sua madre le farà una bella lavata di capo, ma che importa? Piuttosto che rimandare ancora le nozze, e diventare la chiacchiera di tutte le ragazze del castello, questo e altro. 


***



La foresta di Brocelandia è cupa, impenetrabile e i rami degli alberi sono così fitti ed uniti tra loro da formare una cupola verde scura che impedisce al sole di illuminare il bosco. In molti si domandano perché un'anima creata debba vivere in quel castello vegetale, lontano dalla luce e con un'umidità pazzesca, ma nessuno, nemmeno il Re in persona, ha mai avuto l'ardire di domandarlo a Merlino. 
Il perché è presto detto: il Mago di corte nutre un amore sviscerato per funghi e tartufi, e per la buona cucina in generale. A Merlino basta mettere il suo naso impiccione fuori dell'uscio e tornare col cesto ricolmo di funghi, tartufi, noci e altre erbe che donano alle zuppe un sapore delizioso. 
Brocelandia, vista da un certo punto, è un vero paradiso. Silenzio, tranquillità e buone leccornie da cucinare in mille modi differenti. Peccato che questo concetto di paradiso sia distante mille miglia da quello del giovane Semola, che avanza in quell'intrico di rami spingendo una carretta piena di paglia. Dentro, coperto da un drappo scuro che lo celi alla vista del drago, un uovo attende di giungere a destinazione, e il cuore del giovane Semola batte forte, timoroso che il mago gli legga nell'animo e scopra la verità. 

Perché non poteva venirselo a prendere lui stesso? Perché ha chiesto proprio a me, pauroso come sono, di portarglielo?, pensa il ragazzo facendo ben attenzione ad eventuali ostacoli sul suo cammino. Dentro di sé, sa che non avrà mai e poi mai il coraggio di porre quelle domande a chi di dovere: ha ingoiato quelle stesse parole di fronte a sir Bedivere, figuriamoci se avrà mai l'ardire di aprir bocca con Merlino se non lo stretto indispensabile! 
La casa di Merlino, simile a quelle dei pescatori arroccate sugli scogli di Cornovaglia, lo aspetta in fondo al sentiero, proprio al centro di una radura circolare, con tanto di comignolo fumante, pozzo di pietra accanto all'abitazione, ed orto curato che fa capolino dietro il muro di mattoni grigi. 
La porta si apre non appena il carretto attraversa lo spiazzo. Semola procede a testa bassa, le ginocchia e i denti che tremano come se avesse la febbre. 
«Svelto, ragazzo!», l'esorta Merlino con un'espressione grave in viso. I piedi di Semola assecondano gli ampi gesti delle mani ossute, e si ritrova sulla soglia della casa in un battibaleno. Il camino è acceso ed il ragazzo intravede un paiolo fumante appeso sul fuoco. 
«Non cincischiare!», dice Merlino schioccando le dita. Semola lo fissa, terrorizzato. «Non abbiamo molto tempo, accidenti alla mania del tuo signore di aiutare chiunque si getti sotto gli zoccoli del suo palafreno!» 
Il Mago chiude l'uscio con un colpo secco e della paglia cade sulla testa del ragazzo. Un gesto veloce, e il panno scuro è già ad ardere allegro nel camino, mentre gli occhi azzurri di Merlino osservano con cupidigia l'uovo. 
«Dimmi, Semolino…»
«Semola», lo corregge il ragazzo senza sapere dove abbia trovato il coraggio necessario ad aprir bocca. 
«Non metterti a cavillare. Rispondi, piuttosto: hai toccato tu solo quest'uovo?» 
«Sì, signore.»
«Nessun altro? Sei sicuro? Bada, che me ne accorgerò!», tuona il Mago trapassandogli gli occhi con i suoi. 
«Sicuro, signore…»
Merlino lo fissa. Poi scoppia a ridere di cuore, e il povero Semola si chiede il perché. Cos'ha detto mai di così buffo? 
«Ragazzo, io so come sono andate le cose. Tu e sir Bedivere avete preso l'uovo di Kalthu e l'avete portato sino a Camelot, ma una volta nel tuo alloggio sei inciampato ed hai fatto una bella frittata, nevvero?» 
«Come fate a…» saperlo?, dovrebbe terminare la domanda, ma Semola è lesto a tapparsi la bocca e a fissare ad occhi sbarrati Merlino. 
«Ragazzo, io sono figlio di un Incubo, e ciò mi consente di conoscere tutte le cose già avvenute; ma poiché mia madre era innocente all'atto del mio concepimento, Nostro Signore mi concesse di conoscere anche le cose a venire. Quindi so che tu hai rotto l'uovo e che la tua promessa sposa ha pensato bene di sostituirlo con un altro simile, ma avete fatto i conti senza l'oste…»
«Mercé, vostra signoria!», pigola Semola buttandosi ai piedi di Merlino, senza accorgersi del sorriso compiaciuto e divertito che increspa le labbra sottili del Mago.
«Alzati, ora!», tuona questi prendendo il giovane per un braccio. «Proverò lo stesso ad ingannare le Potenze Divine ed Infernali. Bada bene, ragazzo: se qualcosa andrà storto, la colpa di tutto ricadrà su di te e sulla tua goffaggine. E questa maledizione penderà sulla testa della tua prole come la spada di Damocle!» 
Semola non sa chi sia questo Damocle. Un fabbro famoso? Un armaiolo rinomato per la fattura delle sue armi? Un cavaliere? Non osa chiedere lumi a Merlino, limitandosi a deglutire terrorizzato. L'idea di qualcuno che insegue i suoi figli tenendo delle spade sulle loro teste lo terrorizza a sufficienza. E sapere che Ada, in tal caso non gliela farà passare liscia, basta a fargli perdere ogni favella. 
«C'è qualcosa che io…» possa fare per aiutarvi?, ma oggi è giornata di domande troncate a metà. 
Merlino non aspettava altro. «C'è, eccome. Non dovrai far parola ad alcuno di quello che è successo. Ad anima viva, sono stato chiaro? Guai se si sapesse che invio i Cavalieri alla ricerca di ingredienti facilmente rimpiazzabili. Nessuno andrebbe più in missione, tu lo capisci, vero?»
Semola annuisce. Qualsiasi cosa purché i suoi figli non debbano andare in giro minacciati da una spada sulle loro teste, e purché Ada non gli stacchi la sua, di testa. 
«Di te mi fido, ragazzo. È della tua promessa sposa che mi fido poco.» Come di tutte le donne, aggiungo io. Oh, ma arriverà quella che ti farà perdere la testa, caro il mio maestro. Allora si vedrà chi riderà per ultimo… 
«Cosa debbo fare, saggio Merlino?», domanda Semola balbettando. 
«Tieni, scioglilo in un bicchiere d'acqua e dallo da bere alla tua dolce fanciulla. E sarà il caso che ne beva qualche sorso anche tu. Rammenterete di avermi portato un uovo di drago rosso, e nulla del vostro stratagemma. Ingegnoso, devo riconoscerlo, ma pur sempre un giochetto da bambini, se paragonato alla mia saggezza…» 
Semola annuisce. Afferra la boccetta che Merlino ha cavato dalla sua cintura e la stringe in mano come se fosse la cosa più preziosa del mondo intero. 
«E adesso fila diritto a casa, e non voltarti per nessun motivo!», tuona minaccioso il Mago, e il giovane scudiero di sir Bedivere gira sui tacchi e fugge a casa senza nemmeno salutare, o dire «Addio!» o «Sarà fatto, messere!», insomma una di quelle frasi che ci si aspetta da un futuro cavaliere. Semola corre come una lepre inseguita da una muta di cani famelici e Merlino resta sull'uscio di casa a gustarsi la scena. 

Il borbottare del paiolo sul fuoco lo induce a rientrare e a serrare la porta dietro di sé. Spinge la carretta fino al tavolo, che sgombra con una manata dalle mille e mille carte che vi riposavano sopra. Poggia l'uovo con delicatezza, e poi l'osserva, fregandosi le mani. Quindi si volta, afferra uno straccio e pulisce alla bell'e meglio il guscio, poi apre i cassetti alla ricerca di qualcosa che non trova, a giudicare dalla gran copia di oggetti che getta a destra e a manca. 
C'è una gran confusione in quella casa. Avrebbe bisogno di un tocco femminile, o di una brava domestica che la rassetti da cima a fondo, magari scacciando anche la popolazione di ragni che ha creato un vero e proprio maniero nell'angolo in alto a sinistra, subito sopra l'uscio. Uomini… conquistano interi paesi, ma non sono in grado di tenere pulite un paio di stanze! 
Merlino alla fine trova una specie di scalpello, proveniente da chissà quale dei suoi viaggi, e saggia la resistenza dell'uovo. Poi rimesta lo stufato di funghi che sobbolle nel paiolo, regola il sale e lo toglie dal fuoco, mettendolo a riposare sul pavimento. Si frega ancora una volta le mani, poi procede con il suo incantesimo. Cava da una brocca di ceramica della crema biancastra, che versa in gran quantità in una padella di rame, precedentemente appesa al muro. Cerfoglio appena lavato, crescione ed erba cipollina finiscono anche loro a sfrigolare sui ceppi. Poi è la volta delle striscioline di lardo, e di alcuni pezzetti di prosciutto che la cuoca di Camelot gli ha dato il mese avanti. 
Quindi, con solennità, prende l'uovo e lo rompe in padella, gettando il guscio fracassato nel fuoco. Lascia che l'uovo si rapprenda un po', quindi afferra un cucchiaio di legno e strapazza il composto mischiandolo al lardo e ai pezzetti di prosciutto. Un granello di pepe, una presa abbondante di sale, e Mago Merlino ha il tempo sufficiente ad apparecchiare la tavola con uno schiocco delle dita, spolverarsi alla buona la veste azzurra e portare in tavola la sua rinomata frittata alle erbe, la cui ricetta è imitata senza successo dalle cuoche di corte. 
Apre la porta e la bella Viviana, colei che ha educato Lancillotto come se fosse figlio suo, è sulla soglia con un sorriso raggiante, bella come un giglio imperlato di rugiada, pronta ad assaggiare la cucina di Merlino. E qualcosa mi dice che è arrivato, per me, il momento di ridacchiare…
   
 
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