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Autore: Rowena    29/12/2013    1 recensioni
La battaglia di New York è finita, Tony ha avuto il suo shawarma ma ancora non è soddisfatto... Ci vuole un drink per concludere una pessima giornata. Nel frattempo, Barton, Natasha e Banner si assicurano che Loki sia comodo e non si annoi nella sua cella temporanea.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La battaglia di New York era finita e sorprendentemente la neonata formazione degli Avengers aveva vinto. Nessuno vi avrebbe scommesso, dati i pronostici, eppure Fury aveva dimostrato di ragione a puntare su di loro, confidando nelle loro capacità.
Certo, New York avrebbe impiegato del tempo per riprendersi, com'era stato un decennio prima con gli attentati, eppure questa volta gli eroi – e così la popolazione – avevano la certezza che il nemico era sconfitto. Quanto meno l'esecutore pratico, Loki: riguardo alle entità che lo avevano mandato a svolgere il lavoro sporco, solo il tempo avrebbe saputo dire se le loro mire sulla Terra fossero sopite.
Il gruppo aveva estratto il Dio dell'Inganno dal pavimento del superattico di Stark, in cui era stato incastrato da Hulk e l'aveva portato in un vecchio nascondiglio del dottor Banner, dove era stato realizzato il prototipo della capsula di vetro sull'eliveivolo dello S.H.I.E.L.D. Il dottore si era dichiarato un po' infastidito a doveri rinunciare anche a quell'ultima possibilità di contenere l'Altro – notizia che aveva fatto rabbrividire tutti, viste le potenziali conseguenze, soprattutto Loki – ma aveva riattivato quell'enorme barattolo per la marmellata, come lo chiamava Stark, in modo da rinchiudervi il nemico per la notte.
Erano infatti tutti stanchi e bisognosi di riposo, tanto che Thor non si sentiva di affrontare il viaggio con il Tesseract fino ad Asgard, e visto che lo S.H.I.E.L.D. non sapeva dove si fossero nascosti, per il momento, potevano concedersi qualche ora di tregua.
Tony aveva insistito poi per portare tutti a mangiare quel benedetto shawarma di cui aveva sentito il bisogno riprendendosi dall'ennesima morte scampata per un soffio, ma nessuno sembrava averne beneficiato particolarmente, perché erano ancora in condizioni pietose: poiché i bagni del suo povero superattico erano ancora funzionanti, malgrado i danni subiti, Stark aveva insistito per riportare lì i compagni, per offrire a tutti una doccia e un po' di tregua prima di tornare ciascuno alle proprie mansioni. Il gruppo dunque era tornato a quel che rimaneva della Stark Tower per lavarsi di dosso la polvere e medicarsi le ferite, mentre il proprietario spiegava alla sua fidanzata che stava bene.
«Sì, Pepper, ho volato in un altro mondo per lanciarci un missile nucleare e salvare Manhattan… No, non sono morto, ho solo smesso di respirare per qualche minuto, ma sto bene. Jarvis, Jarvis dille che sto bene», si lamentò al telefono Iron Man, chiedendo l'aiuto del suo maggiordomo digitale. «Lo so che non ho risposto, ma per quanto sia avanzata neanche la mia tecnologia può funzionare nel mondo dei Chitauri, Pepper!»
Gli altri supereroi guardavano il miliardario, genio, filantropo, playboy eccetera eccetera di sottecchi, ridendo sotto i baffi: poteva salvare il mondo, ma non sostenere una ramanzina della sua fidanzata.
Stark intanto continuava la telefonata: «A conti fatti, Pepper, sei TU quella che non ha risposto al telefono per prima! Io avevo un meraviglioso addio strappalacrime in serbo per te, ma tu non hai preso la chiamata e…»
Perfino dalla stanza accanto fu possibile udire le grida infuriate della donna che si scusava, molto ironicamente, se in quel momento era stata così spaventata per lui nel vedere le notizie da non controllare il cellulare. I guai del padrone di casa diventavano sempre più gravi di minuto in minuto, ma come al solito lui non sembrava rendersene conto.
«Scuse accettate, sono un capo e un fidanzato molto magnanimo. Forse questa volta accetterai quell'invito a Venezia… Pepper? Pronto, Pepper?»
«Ha riattaccato, signore», chiarificò Jarvis col solito aplomb. Ben educato com'era, glissò anche sul lungo elenco di epiteti poco gentili che aveva decifrato dalla voce isterica della signorina Pepper, non ritenendoli informazioni utili da inoltrare al suo inventore.
«Lady Pepper sembra una dama energica e combattiva», commentò Thor scrollando i capelli appena lavati con movimenti fin troppo energici. «Sarebbe un onore incontrarla».
«Non in questo momento, non è consigliabile», rispose Tony con voce piatta, osservando il quadro dal valore inestimabile su cui il dio del tuono aveva appena sgocciolato. «E, non per distruggere le tue convinzioni semimedievali, ma io possiedo un fon. Anzi, anche più d'uno. Potrei anche costruirtene uno con qualche rottame, se proprio è necessario. Saresti estasiato nel vedere in quanti modi abbiamo saputo imbrigliare l'energia del fulmine».
Stark non capiva nulla d'arte e aveva accettato di acquistare la tela semplicemente perché era incredibilmente costosa e perché l'aveva soffiata sotto al naso di un suo concorrente, ma un capolavoro come quello rovinato con i residui del balsamo per capelli fluenti e setosi sarebbe stata la goccia che avrebbe mandato Pepper davvero su tutte le furie.
«Qualcuno con una minima dimestichezza della tecnologia sviluppata negli ultimi cinquant'anni lo aiuti, vi prego», sospirò gettando la spugna, con una chiara frecciatina tutta rivolta a Captain America, che gli scoccò un'occhiata torva.
Tony lo ignorò per guardarsi intorno: il suo bellissimo salotto era improvvisamente una terrazza scoperta, per non parlare di tutto il lavoro che sarebbe servito per riattivare il modulo che garantiva l'efficienza energetica del suo palazzo. In più era quasi morto, di nuovo. Maledizione, aveva davvero bisogno di un altro kebab. E di qualcosa di forte…
Non necessariamente in questo ordine.
Nell'altra stanza, intanto, Natasha stava cercando di tenere a bada Fury. «Signore, le garantisco che Loki è in un posto sicuro e che presto Thor lo riporterà nel loro mondo».
Come Pepper, nemmeno il direttore dello S.H.I.E.L.D. sembrava disposto ad ascoltare le sue giustificazioni. Comprensibile, visto che gli Avengers avevano disubbidito agli ordini ricevuti dal consiglio e che lo stesso Fury si era esposto in materia notevole.
«Suvvia, signore, non lascerebbe mai il fratello sulla Terra… E poi quale tribunale terrestre potrebbe giudicarlo, e con che imputazioni? Terrorismo interplanetario? No, non sto facendo la spiritosa, signore», si moderò subito la Vedova Nera, sentendo improvvisamente la mancanza di Phil. Era molto più semplice discutere con lui, si disse sentendo più potente che mai il dolore per la perdita. Gli operativi dell'organizzazione segreta non si raccontavano la favoletta dell'essere tutti una famiglia affettuosa e unita, ma era un momento davvero terribile quando il proprio referente perdeva la vita. E Phil era un uomo speciale, non un semplice operativo. Era un amico.
Natasha si riscosse, sentendo che dall'altra parte Fury faceva pressioni per ottenere una sua risposta: «Ad ogni modo, signore, Thor domani riporterà suo fratello nel suo mondo a qualunque costo. A meno che lei non voglia far scoppiare una guerra con Asgard…»
L'agente Romanoff aveva giocato la carta giusta, a cui neanche il potente Nick Fury avrebbe potuto controbattere, e nel sentire il disappunto del suo superiore trattenne a stento il suo compiacimento, sapendo che il capo gliel'avrebbe fatta pagare cara se si fosse reso conto che si stava prendendo gioco di lui. Quello poteva anche avere un occhio solo, ma sapeva sempre tutto.
Del resto, il responsabile dello S.H.I.E.L.D. poteva anche far finta di avere le mani legate, ma tutti sapevano perfettamente che faceva girare la giostra a suo piacimento, l'aveva dimostrato quel giorno stesso. Il consiglio poteva minacciare ciò che desiderava, ma erano gli operativi a contare davvero, Fury in testa.
«D'accordo, capo, ovviamente è stata una nostra idea, riferirò», concluse la donna prima di porre fine alla comunicazione. Il boss poteva sbraitare, ma si sarebbe battuto fino alla morte per salvaguardare la sua squadra… O quanto ne rimaneva. Avevano già dovuto affrontare troppe perdite, per cui non avrebbe permesso che qualcuno dei suoi fosse estromesso dal programma.
«Il nostro ottico amico si è arreso?», le domandò Stark per il gusto di dare fastidio. Il metodo migliore per farsi passare la rabbia, oltre a bere, era infierire su qualcuno che si trovava in una posizione peggiore.
Natasha, tuttavia, aveva ormai imparato come zittirlo da Pepper e fece spallucce: «Dovresti ringraziarlo, sarà lui a impedire che un altro missile nucleare punti dritto su casa tua… Non sei contento?»
In attesa di una sfuriata della propria donna e in debito con Nick Fury. Poteva essere così sfortunato?!
«Beh, Loki è in trappola e domani Thor lo riporta a casa… Che si fa?», domandò con aria un po' annoiata Steve, che incredibilmente si era sistemato in un paio di secondi, come se a differenza degli altri non fosse appena uscito da uno scontro apocalittico. Era lindo e pinto, anche il suo ridicolo costume… Roba da odiare.
Stark si fece forza per reprimere una battuta cattiva e gli batté una pacca fin troppo energica sulla spalla: «Che domande, mio caro Cap, si beve!»
«Ma veramente…»
«Andiamo», si mise quasi a pregarlo l'altro, «hanno chiuso lo spazio aereo su Manhattan, per cui Pepper tornerà soltanto domani. Questo vuol dire che ho ancora qualche ora di tempo prima che si renda conto che l'attico è stato devastato in questa maniera barbara».
L'agente Romanoff si accoccolò come un felino sul bracciolo del divano, guardandosi le unghie e maledicendo per aver rinunciato a portare una limetta per fare posto a un taser di scorta.
«Sarà una bella giornata domani, visto che è ancora alterata per come hai ridotto la villa in California…»
Offeso oltre ogni misura, Stark le riservò la peggiore delle sue occhiatacce: perché bisognava rimarcare l'ovvio? E poi stava morendo, non si poteva concedere un po' di tregua a un uomo che ogni mese rischiava di crepare per cause sempre più assurde?
«Natasha, cara, non hai niente di meglio da fare?», le chiese con astio cercando di trattenersi. «Suvvia, sono già passati sei mesi… Credi sul serio che possa tenermi il broncio tanto a lungo per una simile sciocchezza?»
La donna roteò gli occhi al cielo, preferendo non rispondere. Non aveva lavorato poi così a lungo con Pepper Potts, ma sapeva benissimo che la fidanzata di Tony Stark non era così docile e ritrosa come poteva apparire a una prima occhiata. E Stark in particolare non avrebbe dovuto sottovalutarla, non se teneva a mantenere un certo status quo nella camera da letto.
«Io non ho voglia di bere», disse infine Natasha, «ed è meglio che qualcuno del gruppo rimanga sobrio e faccia la guardia a Loki».
«Paura di perdere e dover pagare pegno, eh?», la canzonò Stark con uno sguardo malizioso.
«Sono russa, credi davvero di reggere meglio di me?», rispose lei con lo stesso tono. «Ti ricordo inoltre che hai una fidanzata».
«Guastafeste…»
«Apprezzo il tuo interessamento, milady, ma mio fratello è insidioso e manipolatore», s'interpose Thor, finalmente con i capelli asciutti, grazie all'intervento di Bruce. «Se c'è qualcuno che deve badare a controllarlo, quello sono io».
«Perché, tu credi seriamente che possa manipolare me, dopo avermi chiamato con quell'insulto così ridicolo?», continuò Natasha, rabbrividendo al ricordo del vulvetta lamentosa pronunciato da Loki sull'eliveivolo. «E poi l'agente Barton mi farà compagnia, ha tanta voglia di fare due chiacchiere col tuo fratellino!»
Se la donna non avesse avuto un tono così divertito, i suoi compagni Avengers forse sarebbero anche potuti andare tranquilli, ma un dubbio pervase tutti i presenti nella stanza: Vedova Nera sarebbe stata davvero capace di aizzare Barton contro Loki?
Steve la fissò con attenzione, chiedendosi quanto facesse sul serio: «Tu sai che quello è un prigioniero di guerra e che come tale va trattato con rispetto, non è vero?»
Natasha sbatté le palpebre e le sue lunghe ciglia. «Ma certo, credi che non conosca le leggi più elementari, forse?»
Nessuno osò dire che non si metteva in dubbio la sua consapevolezza, ma piuttosto la sua capacità di essere critica ed evitare che Occhio di Falco usasse il dio dell'inganno come un puntaspilli. Sentendosi interpellare, Barton si palesò dall'altra stanza senza dire una parola.
Non ce n'era bisogno: era chiaro come il sole che non attendeva altro che trovarsi da solo con Loki, così da fargli pagare l'avergli scombussolato il cervello per usarlo per i propri piani.
«Ho capito», sbuffò Bruce, «li terrò d'occhio io. Tanto non è consigliabile che io mi dia all'alcool».
La defezione del dottor Banner fu accolta tiepidamente: Tony era dispiaciuto che il suo nuovo amico – come l'aveva subito soprannominato, gradendo di essere in presenza di una mente al suo stesso livello – non andasse con lui, abbandonandolo con i due soggetti più tonti della loro piccola compagnia, ma l'idea di scatenare Hulk in un locale in mezzo ai civili lo terrorizzava alquanto. Anche perché desiderava lasciare l'armatura a casa, almeno per quella sera. E il Mac7 era ridotto in condizioni pietose, dopo il viaggio intergalattico e la conseguente caduta.
«Peccato, ci tenevo tanto a discutere di quel nuovo trattato di elettrochimica…» si arrese col tono di un bambino viziato e deluso.
Rimasto solo con i due alti e biondi della compagnia – una situazione che a Stark non piacque affatto, poiché detestava mettere in evidenza quanto fosse basso e normale, senza armatura – il padrone di casa fece strada verso uno dei suoi locali preferiti.
New York si stava lentamente riprendendo: sarebbero serviti mesi per porre rimedio a tutti i danni provati dai Chitauri, ma le tavole calde e i fast food avevano subito riaperto l'attività e così gli altri negozi. C'era chi spazzava il marciapiede davanti alle proprie vetrine per togliere i vetri e i calcinacci, chi dava una mano ai vicini… E anche chi già smaniava perché voleva un panino che non veniva servito con la solita velocità.
«Questa città è sempre stata pazza», borbottò Rogers, «mi chiedo perché alieni e superfurfanti la prendano così spesso di mira, se stessero qui due settimane cambierebbero idea all'istante».
Stark respirava la quiete dopo il caos con un atteggiamento diverso: anche se si era stabilito a Los Angeles per seguire più da vicino le sue attività, New York aveva un fascino speciale su di lui: era un festaiolo, amava il rumore e la musica a tutto volume, la vita mondana… Non esisteva posto migliore al mondo per lui.
Ma il casino che asserragliava la città quel giorno era tutt'altro, ed era difficile sopportarne la vista. Approfittando dell'ignoranza di Thor in merito al luogo ed evitando le lamentele di Cap, che proponeva di tagliare nel reticolo di strade che componeva Manhattan, obbligò i due a fare un giro di due isolati in più per evitare il punto in cui era caduto ed era quasi morto, di nuovo. Rischiava la morte un po' troppo spesso, come Jarvis gli aveva già fatto notare con i suoi freddi calcoli statistici, e la caduta libera dal mondo dei Chitauri lo aveva lasciato con una sensazione sgradevole addosso. Un'impotenza che non era abituato ad affrontare.
«Va tutto bene, Uomo di Metallo?», domandò alle sue spalle Thor, sorpreso dal suo insolito silenzio.
Per qualche motivo neanche troppo strano da capire, Tony improvvisamente si dispiacque di non aver indossato almeno uno dei guanti dell'armatura, con il propulsore e lanciarazzi incluso. Aveva ragione Hulk, pensò: il loro nuovo divino amico ogni tanto meritava una bella botta in testa.
«Come no, figlio di Odino, sono quasi morto…»
«Comprendo la tua angoscia, anch'io quand'ero diventato mortale ho perduto la vita, ma poi mio padre mi ha salvato restituendomi i poteri», rispose lui fissando in una posa enfatica un punto imprecisato del cielo. «Ho accettato serenamente la morte, sapendo che con il mio sacrificio avrei salvato molte vite e placato l'ira di mio fratello».
L'altro lo osservò per un momento con odio, chiedendosi se non si fosse alleato con l'asgardiano sbagliato. Se Loki non avesse ucciso Phil e minacciato un genocidio, sarebbe stato un personaggio interessante da conoscere e di certo avrebbe potuto intavolare con lui una conversazione ben più elevata di quanto Thor si potesse anche solo sognare, malgrado la quantità di paroloni con cui infarciva ogni frase… Era quasi surreale come ognuno di quei vocaboli apparisse ridicolo e fuori posto ogni volta che il dio del tuono apriva bocca, eppure Stark non riusciva ancora a capacitarsene.
Anche il terzo della brigata, il buon capitano, era rimasto silente, forse senza avere idea di cosa aggiungere a un discorso così poco allegro.
Prima che chiunque fosse obbligato dall'educazione ad aggiungere qualcosa, l'insegna del bar comparve di fronte a loro. Tony sorrise notando che miracolosamente il locale sembrava essere scampato alla devastazione di quel locale e fece strada: davanti a un buon bicchiere di scotch, tutto sarebbe apparso di certo più chiaro.

*

Bruce Banner era a dir poco incredulo a quanto stava accadendo: se avesse saputo che per tenere l'altro tranquillo servivano un dio in barattolo e due agenti dello S.H.I.E.L.D. mezzi matti, si sarebbe messo in contatto con Nick Fury molto prima che Natasha Romanoff lo rintracciasse in uno slum di Calcutta.
Ufficialmente, la sua presenza lì doveva servire a tenere le due teste calde sotto controllo, ma il dottore si era sistemato al suo vecchio computer fingendo di ignorare cosa stava succedendo a qualche metro da lui. Era stato emotivamente provante rientrare nel suo vecchio laboratorio… Ma cosa per lui non era emotivamente provante, in fondo?
Era un enorme seminterrato con le parete rinforzate, dove spiccava la grande struttura di vetro mischiato a polvere di diamanti in cui era stato rinchiuso Loki. Era il prototipo da cui lo S.H.I.E.L.D. aveva ricavato il modello sull'eliveivolo, ma Banner non era mai riuscito a provarlo: aveva perso il controllo prima di attivare gli ultimi congegni, quella volta in cui aveva buttato giù qualche grattacielo… Era un peccato che il sindaco di New York non volesse riorganizzare lo skyline di Manhattan ogni due o tre anni, perché altrimenti l'altro avrebbe finalmente avuto una sua utilità sociale.
In quel momento, il dio dell'inganno si stava impegnando a mantenere una parvenza di dignità, per quanto fosse cocente la sua sconfitta: camminava su e giù nel poco spazio che aveva, nel futile tentativo di non reagire alle sciocche provocazioni dei due agenti che lo fissavano dall'altro lato del vetro.
Banner continuò a verificare i file che stavano nel suo computer, fingendo di non sentire e cercando di non ridere a ogni parola: probabilmente tutti i dati che erano rimasti nel suo hard disk erano già di proprietà dello S.H.I.E.L.D., ma non aveva intenzione di abbandonare lì anni di ricerche a marcire solo perché aveva un problema di gestione della rabbia. Alzò per un attimo lo sguardo e vide che Natasha si era accoccolata su una scrivania: stava seduta a gambe incrociate, eppure Bruce non riusciva a non pensare che sembrasse una tigre pronta a dilaniare un'inconsapevole preda.
Barton invece rimaneva un po' in disparte, appoggiato alla parete e a braccia conserte: era molto più preoccupato della sua partner, era palese, ma dopo essere stato a servizio del loro prigioniero la cosa non avrebbe sorpreso nessuno. La donna invece sembrava più divertita dalla situazione: aveva già giocato con Loki e aveva vinto la sua partita, anche se il risultato era servito agli scopi del nemico, per cui sentiva che non aveva nulla da temere. E il numero personale di Iron Man in memoria per le chiamate di pronto intervento, oltre alla sua segretissima organizzazione, doveva darle una gran tranquillità.
I due avevano voluto fermarsi a tutti i costi a un fast food, Banner immaginava più per schernire Loki che per fame, vista la quantità disumana di kebab che Stark aveva ordinato per tutti loro poco più di un'ora prima. In quel momento Natasha stava sventolando una patatina fritta intinta nel ketchup davanti agli occhi del dio, che si sarebbe probabilmente sventrato con le proprie mani piuttosto che ammettere che quel disgustoso cibo mortale lo attraeva.
Saggio, pensò il dottore, anche se di certo il prigioniero non poteva neanche avere idea di quanto fosse pericoloso il junk food americano. Chissà se gli dei potevano morire per il troppo colesterolo nelle arterie, si domandò prima di copiare su una chiavetta USB i suoi risultati sulle radiazioni gamma, ignorando quanto l'altro avrebbe desiderato un cheeseburger con pancetta, sottaceti e formaggio extra. E gli anelli di cipolla, ovviamente, tanto nessuno si sarebbe mai permesso di far notare a un colosso verde alto due metri e mezzo che aveva l'alito cattivo.
«Sai, l'agente Barton ci teneva tanto a scambiare due chiacchiere con te in privato, prima che il tuo fratellone ti riportasse a casa…»
Strano a dirsi, visto che Occhio di Falco non aveva aperto bocca da quando avevano lasciato la Stark Tower, ma Natasha sapeva come far infuriare un prigioniero al momento giusto.
Loki avrebbe avuto bisogno di un medico – un altro medico, Banner non aveva intenzione di lasciarsi manipolare ancora una volta – con il suo aspetto deperito ed esausto, senza contare le molteplici ferite ed escoriazioni che mostrava quasi con orgoglio.
Probabilmente gli asgardiani guarivano rapidamente senza bisogno di tante medicine, ma il prigioniero doveva aver passato giorni migliori. Le vene sulla sua fronte, messe ancora più in risalto dai capelli girati all'indietro, pulsavano a dimostrare la sua rabbia crescente.
Bruce lo capiva, sentiva l'altro tentarlo perché perdesse il controllo in ogni momento in cui era sveglio… E anche nei sogni, sì. Quando dormiva, la sua parte mostruosa era libera di distruggere ogni cosa. E tuttavia, non avrebbe mostrato empatia per Loki. Né avrebbe impedito ai suoi compagni di giocare con lui, se questi non avessero oltrepassato il limite.
Ognuno doveva trovare il modo per convivere con la propria ira un giorno dopo l'altro, senza tentare il genocidio una volta ogni sei mesi, o almeno così la vedeva lui.
Nell'enorme barattolo di vetro, intanto, il prigioniero cercava di ignorare i commenti ironici della donna che non lo perdeva di vista. Nonostante fosse furente, si era accorto che qualcuno stava perfino peggio di lui: Barton.
Clint era un uomo di poche parole, per cui tutti erano rimasti sorpresi quando aveva espresso il desiderio di fare una chiacchierata col nemico – un codice tra lui e Natasha che indicava un omicidio cruento, lungo e che comportasse molto dolore alla vittima – ma la situazione non era a suo favore. Si era illuso di poter strapazzare almeno un po' il dio dell'inganno, ma la sua compagna gli aveva fatto notare quanto sarebbero state nefaste le conseguenze di un simile gesto: normalmente, Occhio di Falco avrebbe convenuto che erano più pericolose le manipolazioni psicologiche e mentali, ma aveva visto Thor in azione e non aveva la minima intenzione di dare a quei due metri per tre di dio con martello un'occasione per prenderlo a pugni. Non ora che era sostanzialmente impossibile da uccidere, almeno.
«E quindi secondo te non lo posso torturare neanche un po'?», domandò Clint con il tono di un bambino a cui era stato negato un dolce.
Natasha continuò a guardarsi le unghie senza scomporsi: «Non fisicamente almeno».
«Odio quando fai la voce della mia coscienza».
«Funziona meglio quando ti prendo a botte in testa».
«Ecco, e se tentassimo di ricalibrare anche lui? Thor non se la prenderebbe a male, gli risparmieremmo una scocciatura… E non puoi negare che ne ha bisogno».
«E chi vi dice che il risultato sarebbe migliore, almeno per i vostri canoni?», s'intromise con un ghigno Loki, che era rimasto in silenzio fino ad allora.
«Peggio del casino che hai combinato negli ultimi giorni? La vedo difficile perfino per te».
Natasha aveva preso gusto a punzecchiare la divinità nordica rispondendo a tono alle sue frecciatine, anche se aveva notato che Loki s'innervosiva di più quando non era coinvolto direttamente nella conversazione.
Oltre alle parole non gli rimanevano molte altre armi, del resto, dato che Thor lo aveva legato con manette provenienti da Asgard che inibivano i suoi poteri. Dove il loro elettrico amico riuscisse a nascondere tutto il suo armamentario in quell'aderente cotta di maglia che indossava era un vero mistero, ma aveva tirato fuori dal nulla anche il contenitore per trasferire il Tesseract da un mondo all'altro, quasi per magia
Ad ogni modo, probabilmente Loki sarebbe stato innocuo anche senza manette, perché i suoi poteri naturali sembravano rimasti a secco da quando aveva perso il controllo dello scettro e con esso ogni legame con la misteriosa entità che controllava i Chitauri e che lo aveva mandato sulla Terra a causare un genocidio.
Clint sembrava ancora insoddisfatto e tornò a rivolgersi alla sua partner: «Comunque non è giusto che siano solo gli asgardiani a divertirsi con lui. Sai, dopo il passaggio di Thor in New Mexico ho letto un compendio di mitologia nordica per completare la preparazione in caso di sviluppi imprevisti; sai che hanno un sacco di punizioni meravigliosamente cruente? Ad esempio, in una storia Odino ordinò che a Loki fosse cucita la bocca per impedirgli di raccontare ulteriori menzogne», spiegò con un tono affascinato, senza mai perdere di vista con la coda dell'occhio il prigioniero. «Un'altra volta è stato incatenato a una montagna, e c'era un serpente che colava veleno su di lui e… Non ricordo bene, ma mi sembra che ci fosse di mezzo una moglie».
«Nessuna di queste storie è mai accaduta!», tuonò Loki, pallido perfino più del solito. «Noi asgardiani siamo un popolo civile, queste sono leggende di un mondo barbaro e crudele come solo il vostro può essere».
«Sconvolgente come torni a definirti un asgardiano quando ti fa comodo, non è vero? Eppure mi pareva di capire che hai un tantino rinnegato la tua gente».
«Mio padre mi ha rifiutato perché sono un mostro ai suoi occhi. Mi ha negato il trono che era mio di diritto».
«E aver tentato di distruggere un intero mondo non c'entra nulla con il suo diniego, ho ragione?»
«Non vi darò ulteriori soddisfazioni, siete troppo inferiori a me perché vi faccia da trastullo», sbottò il prigioniero, deciso di rimanere in silenzio piuttosto che ammettere di aver fatto male i propri conti.
Bruce, che aveva smesso di digitare i dati che gli avevano permesso di localizzare il Tesseract per utilizzarli nella sua ricerca sulle onde gamma, alzò la testa dal monitor per comprendere dove volessero andare a parare i due agenti S.H.I.E.L.D. con quella prima donna offesa.
Anche se le smanie di superiorità del presunto dio erano ridicole, infatti, capiva bene che Loki rimaneva in gabbia solo perché non aveva altro posto dove andare. Fuggire e nascondersi sulla Terra, dove non avrebbe avuto occasioni per allearsi con altre entità malvagie con un esercito da affidargli, sarebbe stata una condanna assai peggiore di qualunque cosa avessero in serbo per lui ad Asgard.
«Ehi, Clint, c'è una coca anche per me? Quel dannato shawarma era davvero troppo salato, disse alzandosi e raggiungendo i due… colleghi.
«Ma certo, dottor Banner, qualunque cosa per lei», rispose Occhio di Falco ponendo particolare enfasi sulle ultime parole.
«È strano essere in presenza di qualcuno perfino più indesiderabile di me», commentò lo scienziato aprendosi la lattina rossa con una risatina. «Una volta l'altro si è scatenato perché mi è rimasta la linguetta in mano, quando ancora non riuscivo a controllarmi».
Loki impercettibilmente rabbrividì: se era stato il trastullo di qualcuno, in quella orribile giornata, era stato con Hulk, e non aveva alcun desiderio di rivederlo tanto presto dopo la strapazzata subita nel pomeriggio. «Trattieni la bestia, altrimenti…»
Ma un prigioniero senza poteri non faceva più paura.
«Altrimenti cosa? Sei un po' troppo inerme al momento per fare minacce, dio gracilino».
«Nat, guarda cosa ho trovato! Com'è finita qui?»
Clint, stufo di fare le linguacce e lanciare frecciatine verbali, aveva cominciato a mettere le mani in uno dei vari cumuli di macerie e rottami rimasti nello studio dopo l'ultimo passaggio di Hulk a New York, e in quel momento sventolava un oggetto che assomigliava a una museruola per cani. Solo molto più grande.
Bruce sbuffò, passandosi una mano sugli occhi: «L'ho progettata io, era uno dei primi tentativi per tenere l'altro sotto controllo».
«E ha funzionato su di lei?»
Bella domanda, pensò Banner scuotendo il capo. Era stata una gita complicata, ed era difficile spiegare agli altri cosa fosse successo… Più che altro perché nemmeno lui si ricordava cosa lo avesse fatto scattare trasformandosi in Hulk.
«Non lo so, mi sono lanciato all'assalto di Harlem prima di poterla sperimentare, come la gabbia di vetro. Era solo un prototipo».
«Quelle che usiamo per i supercriminali non sono male, anche se vanno adattate di volta in volta a seconda dei poteri specifici del nemico in questione. Se non altro si ha un po' di silenzio», spiegò l'agente lanciando un'occhiataccia al dio prigioniero. «Che dite … E se la provassimo adesso
Loki arretrò nella sua cella, deciso a non rendere le cose facili anche senza magia e con le mani legate. Incredibile a dirsi, ma non vedeva l'ora di essere di nuovo ad Asgard.

*

«Chiariamoci, Stark, tu sei sicuro di voler continuare? Perché il mio metabolismo m'impedisce di ubriacarmi, e Thor a quanto pare è anche il dio dei beoni, oltre che del tuono».
Steve alzò lo sguardo sull'asgardiano, che aveva un sorriso trionfale da un orecchio all'altro dopo aver finito la ventesima pinta di birra. «Come si chiede un altro boccale al desco? Durante la mia prima visita mi hanno spiegato che non è più d'uopo infrangere il calice a terra, ma non sono stato informato bene sui costumi attuali».
Se fosse stato chiunque altro a dire una simile assurdità, Rogers avrebbe pensato che il siero del dottor Erskine avesse finalmente terminato l'effetto sul suo fisico e fosse finalmente tornato a sbronzarsi come i normali umani. Senza rispondere al divino compagno, il soldato fece segno al barman di fare un altro giro con un cenno della mano e tornò a concentrarsi sull'altro membro del terzetto.
Stark era stato avvisato che non gli conveniva sfidare i suoi alleati a una gara di bevute, ma con la sua solita boria aveva preteso di giocare ugualmente ed era ormai su di giri… No, era del tutto sbronzo.
«Non… non m'interessa che problemi hai tu con l'alcool, fidanzatino d'America», borbottò con voce impastata Iron Man ondeggiando pericolosamente sul suo sgabello. «Sono ferpettamente in grado di andare avanti, anche Jarvis sarebbe d'accordo…»
«Ne dubito, anche se ancora non conosco bene il tuo maggiordomo virtuale» rispose lui alzando le spalle, prima di voltarsi per guardare l'intero salone.
Quando il trendy milionario aveva proposto di andare a bere qualcosa, Steve aveva temuto di finire in uno di quei locali superchic che, pareva, andassero tanto di moda in quel periodo, stando a quello che aveva letto sui giornali: non aveva neanche idea di cosa avrebbe potuto ordinare in un white minimal bar, ad esempio, dove si serviva solo cibi e bevande bianche, o in uno di quei posti macrobiotici… Già andava in crisi nei ristoranti per le porzioni minuscoli che gli venivano poste davanti, quantità ridicole che neanche in piena guerra mondiale sarebbero state tollerate, figuriamoci a capire che assurdi cocktail avessero inventato nel ventunesimo secolo!
Ma Stark, anche se era sempre aggiornatissimo sulle ultime tendenze, quando si trattava di bere preferiva andare sul tradizionale. Specie in una simile occasione, una serata tra amici da passare lontano dalle telecamere e dai media, niente era meglio del classico bar americano, con le pareti rivestite di legno, le insegne di neon colorati, la musica country, il flipper e il biliardo. Forse Tony avrebbe preferito un sottofondo meno melenso, come Bruce Springsteen ad esempio, ma dopo venti birre con cicchetto incluso non ci faceva ormai più caso.
Era un posto molto più rassicurante dei locali in centro, freddi e impersonali. Lì perfino un miliardario con manie di autodistruzione, un novantenne moralmente bloccato e un dio scappato da un festival shakespeariano potevano sentirsi a casa.
«Un… Un… Un altro giro, ho detto!» gridò Stark senza rendersi conto della birra che gli stava già davanti.
«Bel modo di conoscere la tua fidanzata, riportarti a casa ubriaco… La signorina Pepper sarà entusiasta di trovarti in queste condizioni al suo ritorno».
«Almeno questa volta non posso fare pipì nell'armatura», replicò ridacchiando Iron Man, «ti assicuro che apprezzerà».
Doveva essere divertente? Steve preferì soprassedere e non fare altre domande, perché sapeva già che non avrebbe gradito le risposte. Continuava a rimanere incredulo che un uomo con simili mezzi e risorse, sia personali che economiche, si rivelasse poi una simile delusione.
Era chiaramente il figlio di Howard, su questo non aveva dubbi, eppure…
«Te l'ho mai detto che sono cresciuto con le tue storie, Capitano? Mio padre preferiva raccontarmi di te e della tua impresa contro Teschio Rosso, piuttosto che le favole che sentivano tutti gli altri bambini», continuò Stark tenendosi al bancone per non cadere, con la testa sorretta precariamente con una mano. 

«Davvero?»

«Diceva che averti trovato ma non essere riuscito a salvarti era il suo fallimento più grande, anche se non credevo mi avesse raccontato la tua vera storia. Era davvero più pazzo di me».
Beh, la parentela tra i due era palese, come le loro somiglianze, su questo Rogers non aveva dubbi.

Era il resto che gli riusciva difficile da credere: se Howard Stark avesse accettato il suo sacrificio, l'avrebbe lasciato in fondo al mare con il Tesseract. I file che aveva letto allo S.H.I.E.L.D. riportavano che il suo ritrovamento era stato considerato di buon auspicio nelle ricerche del cubo misterioso, ma che Howard non era riuscito a trovarlo e che era morto con il rimpianto di non aver messo al sicuro un simile potere… E nonostante questo, aveva trovato sull'eliveivolo tante armi simili a quelle dell'H.Y.D.R.A. da mettere in crisi ogni sua convinzione. A chi doveva credere?
Certo Iron Man non parlava per parare l'operato di Fury, era stato proprio lui a insistere perché si rendesse conto di come stessero le cose: eppure una storia era difendere un personaggio come il direttore dell'organizzazione segreta, un'altra era parlare a nome del proprio padre.
«Scusate, signori, sapreste spiegarmi come funziona codesta macchina?»
La voce di Thor distrasse per un attimo il Capitano dalle sue elucubrazioni: il dio del tuono si era avvicinato al flipper, trovando le chiacchiere degli altri due abbastanza noiose, e aveva fissato per qualche minuto il gioco ormai vintage, senza però capire quale diavoleria lo facesse funzionare.

«Amico, ma da dove vieni?» rispose ilare il giocatore prima di imprecare quando la pallina cadde tra le due leve senza che potesse prenderla. «Com'è possibile che tu non abbia mai visto un flipper?»

«Sono un po' lontano da casa», commentò l'altro con un possente rutto, prima di vuotare l'ennesimo boccale, «ma mi sembra divertente e mi piacerebbe provare».

Come fosse possibile che non l'avesse riconosciuto, Rogers non sapeva dirlo: erano riusciti a togliere il mantello a Thor per miracolo, eppure rimaneva inconfondibile per il modo strano di parlare e lo sguardo curioso e divertito con cui fissava ogni cosa.
Divertito dal suo atteggiamento, l'avventore gli offrì un dollaro in quartini e gli spiegò come lanciare la pallina e come far continuare il gioco evitando di farla cadere. Il primo tentativo fu pessimo: prima che Thor premesse uno dei pulsanti, sullo schermo sopra il gioco apparve la scritta GAME OVER a lettere luminose. Il dio imprecò in una lingua incomprensibile che fece sghignazzare il suo improvvisato maestro, che buttò dentro un'altra monetina e lo invitò a riprovare. Questa volta i riflessi allenati del guerriero scattarono e la pallina cominciò a rimbalzare tra i vari elementi del flipper, con tanti effetti sonori che divertirono da morire il neofita.
Steve si permise appena un sorriso, troppo educato per ridere di un compagno che gli aveva salvato la vita in plurime occasioni solo quel pomeriggio.
«Quando perde gli facciamo vedere il biliardo», riuscì a bofonchiare Stark accanto a lui, «voglio vedere se riesce a mandare in buca almeno una palla, o se spazientito spezzerà la stecca in due».
«Beh, si orienta in questo mondo meglio di me. E io sono di Brooklyn», rispose il Capitano, una volta di più molto frustrato per tutte le piccole difficoltà che riscontrava quotidianamente. Nella sua epoca si stava bene se ci si poteva permettere una radio in casa e un film al cinematografo ogni settimana, qui tutti smanettavano con almeno tre o quattro dispositivi che sfuggivano alla sua comprensione. Stark era particolarmente maniaco di ogni forma di tecnologia, non solo delle sue mirabolanti invenzioni, ma il resto di Manhattan non sembrava messo meglio di lui.
«Tuo padre deve aver adorato quest'epoca», disse ad alta voce continuando la sua digressione, «non desiderava altro che avere i giocattoli adatti per realizzare le idee che aveva in mente».
Tony bevve un altro sorso: era ormai vicino a quello stadio in cui era così ubriaco da diventare sensibile e lucido come mai sarebbe potuto essere da sobrio.
«Non ha fatto in tempo a vederla, ha vissuto decenni nella frustrazione sapendo che i materiali di cui aveva bisogno non sarebbero stati disponibili per lui, ma per la mia generazione... Ed è stato ucciso prima che potesse vedere questa condizione si verificasse. Il suo socio», aggiunse con voce amara per prevenire la domanda seguente, «voleva tutta la torta per sé. Ha provato a sbarazzarsi anche di me, più volte. È indirettamente merito suo anche questo gioiellino che mi brilla in mezzo al petto».
Fissando il reattore arc miniaturizzato che s'intravedeva sotto la maglietta dell'amico: «Beh, oggi è stato merito di quell'aggeggio se Loki non ti ha fatto suo».
«Non ho intenzione di essere grato all'assassino dei miei genitori per questo: io ho reso realtà il reattore disegnato da mio padre, io ho creato l'armatura, in quel bunker in Afghanistan in cui sarei dovuto morire come un topo».
«Ho letto i file su di te», disse Steve in imbarazzo. «E non era ciò che intendevo. Però, a volte, la vita ci porta a percorrere strade inaspettate. Io volevo entrare nell'esercito settant'anni fa e guarda dove sono finito».
«Troppa filosofia spicciola richiede altro alcol», tagliò corto l'altro facendo di nuovo cenno al barista perché rabboccasse il suo bicchiere.
Vita, morte e destino erano questioni troppo delicate per Tony perché ne parlasse con Rogers, sapendo come lui avrebbe disapprovato ogni suo pensiero a riguardo.
Dal canto suo, Steve ruotò sullo sgabello per poter osservare Thor proprio mentre questo polverizzava il record del flipper tra gli applausi degli altri avventori, chiedendosi come poteva introdurre la vera questione che lo aveva convinto ad andare a bere con Stark. I file relativi all'H.Y.D.R.A. e alle persone coinvolte erano spariti, ad eccezioni di quelli che riguardavano il suo recupero e il lungo coma in cui era rimasto sospeso per più di mezzo secolo. E lui da molto tempo, a dire il vero dalla prima occasione in cui aveva visto Tony all'opera, era divorato da un dubbio che lo faceva star male.
«Sei silenzioso, capitano. Finalmente l'alcol comincia a fare effetto?»
«Oh no, mi stavo chiedendo che razza di santa dev'essere la signorina Potts per sopportarti».
«È un bel peperino, in tutti i sensi», rispose Stark ridacchiando per la pessima battuta sul nome della sua ragazza. «Cerca di tenermi in riga, ma non sempre le riesce».
«Anche tua madre dev'essere stata così, Howard non era meno ingestibile di te. Come si chiamava? Margaret?»
«Maria. No, era diversa, più remissiva in certo senso. Sapeva che alcuni tratti di mio padre non erano gestibili, nella sua frustrazione per i limiti che la scienza gli poneva, e non s'intrometteva. Perché ti interessa?»
«Mah, ero solo curioso di sapere chi fosse la donna che è riuscita di fare di Howard Stark un uomo onesto. Quando lo conobbi era un gran dongiovanni, sai», si giustificò il capitano con un'alzata di spalle. «Volevo sapere se era una persona che ho fatto in tempo a conoscere ai miei tempi, e la M. puntata nei tuoi file…»
«Hai pensato che avesse sposato zia Peg», concluse per lui Tony con un barlume d'improvvisa lucidità.
Steve rimase a bocca aperta: «Zia Peg?»
«Sì, ha smesso di farsi chiamare Peggy quando si è sposata, credo. Io l'ho sempre conosciuta come zia Peg, immagino lo ritenesse più maturo. Una bella famiglia, messa su con un altro ufficiale dei servizi segreti, mi pare. Li incontravamo quasi tutti gli anni per Natale».
L'idea che Peggy fosse andata avanti senza di lui ferì Steve, ma allo stesso tempo tempo seppe che sarebbe stato egoista pretendere che lei attendesse un risveglio dato dai medici per impossibile. L'importante ai suoi occhi era che non si fosse consolata con Howard. Non avrebbe sopportato un minuto di più la vicinanza con Tony, se fosse stato figlio dell'unica donna che aveva amato nella sua lunga e ormai innaturale vita.
«Sono felice di sapere che ha avuto una vita piena e felice, è niente di meno di quanto meritasse», concluse perciò con un tono di voce terribile, cercando di convincere per primo se stesso.
Tony mandò giù un ultimo sorso di birra con cicchetto, prima di borbottare un assenso a denti stetti. Se non fosse stato tanto ubriaco, probabilmente avrebbe spiattellato a Rogers la verità su Peggy solo che effetto gli avrebbe fatto. Da sobrio, forse, avrebbe rivelato che la donna era caduta in uno stato di apatia irreversibile, dopo che i medici avevano negato ogni possibile ripresa del suo amato. Chiusa in se stessa, la donna non era in grado né desiderava comunicare con nessuno, e procedeva in una grigia esistenza da larva in un ospedale militare neanche troppo lontano da New York. Tony lo sapeva bene, ma la quantità di alcol che aveva in corpo gli impedì di parlare di quella storia triste e crudele. A che scopo, poi?
Perché il redivivo capitano si sentisse mortalmente in colpa? Non era preferibile amare un ricordo, piuttosto che scontrarsi con una realtà tanto terribile?
Stark non andava a trovare Peggy da una vita, anche se suo padre aveva lasciato scritto che si prendesse cura delle sue necessità. L'ultima occasione in cui l'aveva vista era stata una visita motlo fastidiosa, per lui. Howard l'aveva trascinato con sé al manicomio, quando aveva diciassette anni, sperando che un nuovo stimolo riuscisse a scatenare una qualche reazione nella sua amica… Ma Peggy sembrava vagamente animarsi solo a sentir parlare di Rogers. E Tony, adolescente annoiato e poco sensibile, spaventato per di più da altri pazienti ospitati nella struttura, aveva odiato quella vecchia catatonica, incolpandola di quella gita lugubre.
A pensarci a posteriori, il miliardario si considerava odioso e crudele, ma non aveva comunque la forza di tornare a trovarla. Sapeva che la donna era ancora viva perché la Fondazione Maria Stark provvedeva alle sue spese mediche, per cui sarebbe stato avvisato se fosse accaduto qualcosa di grave, ma per il resto non aveva idea delle condizioni attuali della vecchia fiamma di Rogers.
Meglio tacere, dunque, almeno dopo una giornata abbastanza dannata come quella che avevano appena vissuto.
E se la verità fosse mai mai a galla, avrebbe sempre potuto giustificarsi che era ubriaco perso e che si era confuso.
«Allora, questa partita a biliardo?», propose invece per cambiare argomento.
«Ma dai, se ti puoi reggere a malapena in piedi!», gli fece notare Steve, tornando al suo ruolo di responsabile della compagnia. «Torniamo a casa tua, domani sarà una giornata pesante».
«Dopo quella di oggi? Ne dubito», biascicò Tony prima di stendersi sul bancone per impedirgli di portarlo via. «Sei il solito guastafeste!»
«Non sei il primo a dirmelo».
Il ricordo di Bucky gli morse l'anima, doloroso e vivido come se si fossero salutati il giorno prima, ma Steve non vi badò. Con qualche lusinga e un po' di forza bruta, alla fine riuscì a staccare Tony e ad allontanarlo dall'ennesimo bicchiere.
«Hai i soldi per pagare?»
«Ti prego, ho almeno otto carte di credito, e… Oh no, ho lasciato il portafogli nell'armatura!»
«Come sarebbe a dire? L'armatura non ha mica le tasche».
Tony fece spallucce: «Allora è rimasto negli altri pantaloni quando ho fatto la doccia. Strano che Jarvis non mi abbia ricordato di prenderlo».
Ma probabilmente in quel momento il maggiordomo elettronico era troppo preso a quantificare i danni subiti dalla Stark Tower, quando i tre uomini erano usciti.
Fu complicato spiegare la situazione al barista, identificarsi senza suscitare troppo clamore – l'ultima cosa che gli Avengers desideravano in quel momento – e promettere che sarebbero passati a pagare il giorno seguente, ma la faccia da bravo ragazzo di Rogers ebbe successo alla fine.
«Ma lui vuole offrirci tutto», si lagnò Star, «perché non possiamo accettare?»
«Dopo che in tre gli abbiamo svuotato le scorte di birra per un mese? Non se ne parla».
«Quanto sei noioso… Ehi, Thor, un passaggio col martello? Effettivamente non sono sicuro di riuscire a tornare a casa sulle mie gambe».
«Ma come, andiamo già via? Mi stavo divertendo».
«Immagino, ma ha ragione il nonnino, per quanto mi dispiaccia ammetterlo. Io sono sbronzo, e tutti abbiamo bisogno di riposo».
Il trio uscì dal bar e scivolò nel vicolo sul retro, dove l'asgardiano richiamò il suo martello semplicemente stendendo la mano davanti a sé.
«Ehi, sembra quasi che tu faccia l'autostop!»
«E cosa sarebbe?»
«Lascia stare», s'intromise Steve, che iniziava ad averne abbastanza. «Andiamo?»
Un giro di martello o due, e in pochi secondi si ritrovarono sulla terrazza semidistrutta della Stark Tower. Lì la devastazione era evidente, e i ricordi della battaglia appena vissuta erano vividi e fastidiosi, al punto che neanche un'autocisterna di birra sarebbe servita a migliorare la situazione.
Effettivamente, quella giornata era durata anche troppo.






Angoletto dell'Autrice: Buonsalve a tutti! ^^
Ho iniziato questa storia praticamente subito dopo aver visto il film, visto che oltre allo shawarma secondo me ci voleva qualcosa di forte per chiudere la giornata. Le idee che mi hanno ispirato erano due: da un lato la museruola di Loki, perché secondo me visto come Natasha e Clint confabulano nella scena finale doveva essere una loro idea, e dall'altro il dubbio di Steve, che avevo già affrontato in una doubledrabble secoli fa e che finalmente si risolve. È una storia molto più incasinata del previsto (strano), ma a me piace un sacco. La dedico a Emme, a cui l'ho regalata per Natale, anche se Lokino non ha tutta la libertà di movimento che vorrebbe lui. Peccato, sarà per la prossima storia! E... niente, se vi è piaciuta, o se non vi è piaciuta, fatemelo sapere! È un periodo che non riesco a scrivere come vorrei essendo impegnata su un orrore chiamato tesi, ma sono contenta di aver finito questa, finalmente! E... alla prossima, quando sarà :)

Rowi
   
 
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