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Autore: elyxyz    29/12/2013    27 recensioni
RICETTA: Prendete un Asino Pendragon, un cameriere sfrontato e un po’ magico, una manciata di frasi scritte dal Destino, bevande afrodisiache e mescolate il tutto.
Arthur odiava il caffè.
Lui era inglese.
Inglese purosangue.
(…) Arthur era stato allevato con la convinzione che il caffè fosse Il Male Assoluto (come i suoi artificiosi derivati) e che gli Inglesi Veri e Autentici bevessero solo tè.
(…) Eppure, non poteva ignorare le occhiate indulgenti che ogni tanto Zigomi Illegali gli lanciava e, con encomiabile spirito di sacrificio e una punta di sensi di colpa, afferrò il manico di ceramica e si autoconvinse che un sorso – uno solo, per carità! – non avrebbe ucciso nessuno. Preparò quindi le labbra allo sgradevole incontro con l’ignoto sapore e...
E fu un’esplosione di gusto, caldo e avvolgente, una colata schiumosa e ricca sulla lingua, contro il palato e poi giù, giù…
Prima ancora di sapere come, Arthur osservò incredulo il fondo vuoto della tazza, chiedendosi come mai fosse già finito.
Com’era possibile? Perché quell’orgasmo delle papille gustative non era durato qualche istante di più?!
[Modern!AU (e Reincarnation!AU ad interpretazione personale) – Merthur of course!]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Gwen/Lancillotto, Merlino/Artù
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Coffee Shop

Sono in ritardo! In arciritardissimo!” diceva il Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie, e non potrei trovare parole migliori con cui identificarmi. ^^’’

 

Questa fic doveva essere il mio regalo di Natale per tutti voi: per gli amanti di Merlin, del Merthur e (talvolta) delle storie della sottoscritta.

A mia discolpa posso dire che l’ho preparata già a fine settembre ma, come alcuni di voi sanno, il trasloco che ha coinvolto la mia famiglia mi ha rubato tutto il tempo libero, compreso il pre e post Natale.

Oggi, però, sono qui a rimediare con l’ultima fic dell’anno.

Quindi: Buone Feste! (perché vale ancora XD) e Buon Anno Nuovo! (ci si ritroverà di là).

 

 

Modern!AU (e Reincarnation!AU ad interpretazione personale).

Questo è il mio misero contributo alla causa ‘baristi’.

 

Ho letto un post carinissimo in cui matzoballer ha scritto:

“A giudicare dalle fanfiction, gli unici posti di lavoro in tutto il mondo sono stati quelli di insegnante, avvocato, cameriere, o lavorare in un bar”.

 

Aggiungerei, per mia esperienza, CEO e librai-bibliotecari. Il mondo AU sembra girare lì. La cosa è vera. Ma mi fa ridere. XD

 

Premetto che, purtroppo, questa fic non è niente di particolarmente nuovo né originale, guh.

Ma mi sono divertita a scriverla, perciò la condivido. E poi c’è un bel po’ del mio amato cliché.

Ah, e Merlin è un po’ magico (o forse no? ma ognuno può interpretarlo a modo suo). ^^

 

La fraseologia in inglese è fedelmente presa dal telefilm, ma se (come me) siete delle zappe in questa lingua, la traduzione è a fine storia.

 

Infine la dedica. Un anno fa finiva Merlin, e fa ancora male, lo so. Ma, un anno dopo, invece di piangerne la scomparsa, vorrei festeggiare perché Merlin e Arthur sono ancora con noi. Ogni giorno. In ogni fic che leggiamo e scriviamo. Perciò… Buone Feste!

 

 

 

Camelot’s Dragon Coffee Shop

 

 

 

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Arthur odiava il caffè.

 

Lui era inglese. Inglese purosangue.

Ed era cresciuto regolando l’orologio sul Big Ben e alle cinque in punto – da che aveva memoria – pretendeva la sua tazza di tè con latte.

 

Arthur era stato allevato con la convinzione che il caffè fosse Il Male Assoluto (come i suoi artificiosi derivati) e che gli Inglesi Veri e Autentici bevessero solo tè.

Era stato così per suo padre e suo nonno e per tutti i suoi antenati.

Arthur era certo che la famiglia Pendragon bevesse tè ancora prima che la Gran Bretagna si chiamasse Gran Bretagna.

E poteva giurare che i suoi avi, che erano vissuti ad Albion, avevano bevuto il tè (e forse una quantità indecente di birra e sidro, ma su questo preferiva soprassedere...).

 

Del resto, non era certo colpa sua se lo svitato prozio Garreth – che chissà come, si faceva chiamare Kilgharrah – gli aveva infarcito la testa con strambe idee su reincarnazioni e sul leggendario King Arthur – il Re del Passato e del Futuro – che, ovviamente, non poteva essere lui. Che cazzo. Arthur nemmeno credeva nella trasmigrazione delle anime!

L’unica cosa del passato e del futuro era il tè. Punto.

 

Ma allora… perché cavolo era lì?

Arthur fulminò la porta a vetri con un dragone stilizzato disegnato sopra e la maniglia dozzinale che gli trasmetteva un fastidioso senso urticante prima ancora di toccarla.

Oh, certo.

In realtà, lo sapeva perché era lì.

 

Perché quell’imbecille di Mr. Alined aveva scelto il luogo dell’incontro e suo padre aveva mandato lui a concludere l’affare per testare le sue capacità e Arthur era più che intenzionato a strappare a quel viscido idiota la sua dannata firma sul preliminare dell’accordo. Quel contratto valeva un mucchio di soldi e Uther era stato chiaro nell’ordinargli di soddisfare ogni capriccio e bizzarria di Alined pur di ottenere la sua quota di grana.

Quindi Arthur, che non aveva mai messo piede in una caffetteria nei suoi vent’anni di vita, avrebbe fatto un’eccezione, ingoiando il rospo, per compiacere suo padre e il loro investitore.

 

Ma questo non gli impediva di imprecare sottovoce, mentre si stringeva alla gola il colletto del cappotto, per combattere l’aria gelida di novembre, e riprendeva a calpestare un quadrato di cemento che oramai considerava di sua proprietà.

Sbirciò in fretta le lancette del Rolex e bestemmiò sommessamente: venti minuti di ritardo!

Per buona misura controllò anche il cellulare, ma non c’erano né messaggi né chiamate perse.

 

Anche quella poteva essere una mossa astuta, una tattica comprovata: irritare l’avversario rendeva quest’ultimo meno riflessivo ed efficiente.

 

Forse Alined, giusto in quel momento, se ne stava appostato dietro uno dei vicoli laterali, godendosi il suo nervosismo!

 

Ma lui non si sarebbe lasciato cogliere impreparato!, si ripromise, sentendo il naso pizzicare con l’anticipazione di un fastidioso raffreddore.

Aumentò la presa sulla valigetta ventiquattrore, che conteneva gli importanti documenti, e decise che era tempo di entrare nell’antro del drago e quell’idiota di Alined l’avrebbe raggiunto al tavolo. In fondo, era stata solo una gentile cortesia quella di aspettarlo all’esterno.

 

Come varcò la porta di pesante legno, un piacevole tepore gli sbatté contro, riattivandogli la pelle indolenzita dal freddo.

 

Arthur si guardò a malapena intorno, marciando a passo di carica verso il tavolo più discosto e riservato.

Si slacciò il cappotto, sedendosi, avendo cura di mettere la valigetta in posizione comoda, ma non in vista – soprattutto per non dare un’impressione di ansietà.

 

“Salve!” esclamò una voce amichevole, distraendolo dalle sue strategie di attacco.

 

Arthur sollevò lo sguardo dalla ventiquattrore e incontrò gli zigomi più taglienti che avesse mai visto in vita sua. Per un lungo, irrazionale istante, desiderò poter sentire se erano davvero così affilati come apparivano. Sì, un assaggio in punta di dita… o di lingua.

 

Cosa posso portarti?” gli chiese il cameriere, con un sorriso, sfilandosi una penna da dietro l’orecchio più insolito che...

 

Lavoro. Era qui per lavoro. Niente distrazioni. Contegno, eccheccazzo!

 

Arthur deglutì a vuoto, cacciando la sua piccola perversione istantanea. Non aveva avuto modo, non ci aveva pensato proprio a sfogliare il menù, e balbettò un suono inarticolato. “Uhnn…”

Un tè? Avrebbero mai fatto un tè decente lì dentro?

 

“Posso suggerire-”

 

“Quello che vuoi, mi fido di te”, tagliò corto, spazientito. Tanto non se ne intendeva assolutamente di latte macchiato con spezie varie o caffè stravaganti dai nomi impronunciabili. Si sarebbe limitato a lasciare la consumazione intatta. Era lì per un incarico e non per sporcarsi il becco con qualche schifezza.

 

Zigomi Illegali sbuffò a malapena, scegliendo di ignorare la sua maleducazione per fare ritorno dietro al bancone.

 

Arthur inspirò dal naso, osservando il suo culo allontanarsi, stretto in jeans troppo aderenti. Una palpatina… solo una palpatina, per favore?

 

Oh!, che cazzo gli stava succedendo?!

 

Lui non era un satiro o un erotomane. Non gli era mai capitato – prima d’ora – di provare un desiderio così prepotente e viscerale per qualcuno.

Certo, aveva collezionato la sua giusta quota di avventure e rapporti a vario termine, ma questa era un’eccezione bella e buona. Forse c’era dell’afrodisiaco nell’incenso che profumava l’aria lì dentro? Dunque era vero che immischiarsi col caffè portava alla perdizione!

 

Il tintinnio del campanello sulla porta d’ingresso frantumò le sue divagazioni.

Niente distrazioni, niente distrazioni, niente distrazioni!, si rimproverò, meditando se fosse di cattivo gusto farsi pizzicare da Alined mentre ripassava la lezione come un pivellino.

Sì, decisamente lo era. Quindi sfilò dalla valigetta una copia del Financial Times e si mise a sfogliarla, ma si arenò in fretta, incuriosito dalla lista stilata dal celebre quotidiano sui cinquanta manager gay più importanti del mondo. Prima o poi, ci sarebbe stato anche il suo nome, si ripromise. Era solo una questione di tempo.

 

“Giornata difficile?” si sentì chiedere, e sussultò impreparato. Il cameriere era ricomparso con un altro sorriso incoraggiante. Dio, quelle labbra… poteva morderle?

“Non sei un tipo di tante parole tu, eh?” considerò ancora l’ignaro oggetto delle sue riflessioni viziose.

 

Arthur spalancò la bocca per rispondere, per dire qualcosa, qualunque cosa, ma una terza voce s’intromise fra loro: l’altra barista, in guerra contro la macchinetta del caffè, richiedeva rinforzi al suo collega.

 

“Scusa, devo andare”, si giustificò Zigomi Illegali, a malincuore, come se fossero stati nel bel mezzo di una conversazione ben avviata e interrotta anzitempo. “Ma questo ti risolleverà il morale! Garantito!” promise, allungando una tazza fumante verso di lui. Non attese neppure un ringraziamento e si defilò verso il dovere.

 

Arthur spiò dentro la Promessa di Felicità e osservò, stupito, un piccolo smile disegnato con la polvere di cacao che galleggiava sulla schiuma di un… uhmcos’era, esattamente?

Probabilmente un banale cappuccino con qualche nome astruso, esotico e falsamente accattivante. Meglio non rischiare.

 

Mascherandosi con il giornale semiaperto e con un occhio sempre puntato all’entrata del locale, preferì accantonare la bevanda, rimpiangendo un buon Earl Grey ristoratore.

 

Eppure, non poteva ignorare le occhiate indulgenti che ogni tanto Zigomi Illegali gli lanciava e, con encomiabile spirito di sacrificio e una punta di sensi di colpa, afferrò il manico di ceramica e si autoconvinse che un sorso – uno solo, per carità! – non avrebbe ucciso nessuno. Preparò quindi le labbra allo sgradevole incontro con l’ignoto sapore e...

 

E fu un’esplosione di gusto, caldo e avvolgente, una colata schiumosa e ricca sulla lingua, contro il palato e poi giù, giù…

Prima ancora di sapere come, Arthur osservò incredulo il fondo vuoto della tazza, chiedendosi come mai fosse già finito. Com’era possibile? Perché quell’orgasmo delle papille gustative non era durato qualche istante di più?!

 

A mezza strada tra lo sbigottito e il deluso, raccolse il sorriso gioioso del suo barista.

In un impeto di pazzia, ponderò di ordinarne un’altra tazza – qualunque diavoleria fosse –, ma in quel preciso momento il suo cellulare si mise a squillare e un tale di nome Trickler, presentandosi confusamente come il segretario di Mr. Alined, lo informò che il suo capo aveva avuto un impegno imprevisto e che l’incontro era rimandato, scusandosi maldestramente per lo scarso preavviso.

Prima che Arthur potesse anche solo metter bocca sulla faccenda, quel buffone gli aveva riferito tassativamente che l’appuntamento sarebbe slittato – stesso posto, stessa ora – per l’indomani.

 

A malincuore, non poté rifiutare.

 

Fu così che raccolse armi e bagagli (giornale e valigetta), perché non aveva più senso rimanere in attesa di qualcuno che non sarebbe mai arrivato.

Sfilò dal portafogli i soldi dovuti e una mancia, e solo allora, giusto quando li stava per deporre sul piattino, si accorse della salviettina di carta posata sopra, con una piccola stampa.

 

Se sorridi, la vita ti sorride!

 

Ripensando allo smile di cacao e a Zigomi Illegali, Arthur sentì stiracchiare piacevolmente le labbra. D’accordo, anche se l’incontro era stato un flop, non tutto era da buttare, no?

 

Ma poi previde l’inevitabile briefing con suo padre sul niente di fatto. Quel piacevole compito gli aveva di colpo cancellato ogni entusiasmo e, conoscendo già la reazione del vecchio Pendragon, sentì germogliare un retrogusto amaro in bocca.

 

 

***

 

 

Il giorno dopo, Arthur era giunto a destinazione volutamente con dieci minuti d’anticipo e questa volta non attese l’arrivo del suo finanziatore.

Semplicemente, decise di accoglierlo all’interno e, quando varcò la soglia, lo invase un fremito d’aspettativacon incredulità, le sue papille vibrarono ansiose di sperimentare una nuova estasi di piacere. E, cosa ancor più grave, tacitò in fretta la sua coscienza sul suo Credo nel Tè e le tradizioni dei suoi avi.

Arthur era un rinnegatore, ma per una buona causa.

 

Quindi marciò diretto allo stesso tavolo del dì addietro, preparò tutto l’occorrente e, non appena Zigomi Illegali s’era fatto vivo per raccogliere l’ordinazione, aveva esordito con un: “Il solito!” guadagnandosi un sopracciglio alzato con ironia.

 

“Vuoi dire quello che ti ho portato ieri?” domandò il barista, per correttezza.

 

“Sì, esatto”, puntualizzò arrogante. “Come fai ad essere sordo, con le orecchie che ti ritrovi?!”

 

Il cameriere accartocciò il block-notes che teneva in mano e borbottò un “Asino borioso!” tra i denti, mentre si allontanava.

 

“Ehi! Guarda che i clienti hanno sempre ragione!” gli gridò dietro, per avere l’ultima parola.

 

D’accordo. Forse offendere l’oggetto del suo sogno bagnato (perché sì, quegli zigomi – e quegli occhi, e quel culo, e persino quel sorriso! – avevano popolato la sua notte) non era stata una grande idea, ma Arthur non poteva permettersi di perdere la concentrazione semplicemente perché il suo cervello aveva deciso di sua iniziativa di migrare nei pantaloni. No, l’incontro con Mr. Alined era troppo importante!

 

Ma in fondo non era un cretino completo e avrebbe voluto scusarsi, poi, e rimediare alla prima occasione.

 

Purtroppo per lui, quando la sua ordinazione arrivò, fu una mano decisamente meno maschile e meno aggraziata a posarla sul tavolo. Arthur sollevò lo sguardo e incrociò quello della ragazza che il giorno addietro aveva litigato con la macchinetta del caffè.

 

“Buona consumazione”, augurò lei pacatamente, allontanandosi, ma Arthur era certo che suonasse più come uno ‘Strozzati, stronzo! Che ti vada di traverso!’ perché il suo sguardo ammonitore parlava chiaro.

Probabilmente Zigomi Illegali si era sfogato con lei e le aveva riferito cosa si erano detti.

 

Pazienza, si consolò Arthur, cullando la tazza calda fra i palmi con festosa anticipazione, entro qualche minuto, il tizio sarebbe ripassato di lì per soddisfare qualcun altro e lui avrebbe avuto l’opportunità di fare ammenda.

 

Ma Zigomi Illegali pareva aver scelto di complicargli la vita e di fargli sudare quel benedetto perdono.

Nei momenti successivi, in tutti i servizi ai tavoli, era rimasto straordinariamente lontano da lui, compiendo un giro lungo ogni volta che doveva passare per di lì o mandando la sua collega con le ordinazioni.

 

Come se ciò non bastasse, a farlo sentire ulteriormente in colpa s’era aggiunto anche il messaggio che l’altro aveva scelto appositamente per lui. Al posto dello smile di ieri, vi era una chiazza di cacao simile ad uno schizzo d’acqua stilizzato o ad una macchia d’inchiostro, come fosse uno sbaglio su un foglio, e la frasetta sotto la tazza diceva:

 

Tutti commettono errori. È per questo che c'è una gomma per ogni matita.

 

Arthur realizzò che la sua duplice interpretazione del disegno era esatta solo quando si accorse che i sottotazza erano due, incollati uno sull’altro. Il secondo, come una buona predica, recitava:

 

Un bagno nell’umiltà rende tutti più puliti.

 

E lui ripensò istintivamente a quanto fosse così diverso dalla targa motivazionale – una specie di motto che i Pendragon si tramandavano di generazione in generazione – che campeggiava nello studio della casa padronale: “Sii arrogante, sii elegante, sii brillante”, recitò come un mantra interiorizzato nel corso degli anni.

Quand’erano ragazzini, lui e Morgana scherzavano su quest’incisione paragonandola a quella della famiglia BlackToujours Pur” di potteriana memoria.

 

Fu l’arrivo di Alined a interrompere i suoi ricordi, facendogli sudare le sette proverbiali camicie per una buona mezzora, prima di degnarsi – finalmente! – di accettare tutte le clausole dell’accordo.

A cose fatte, Arthur propose di brindare insieme per festeggiare la firma del contratto, ma l’uomo accampò una serie di scuse su impegni urgenti e improrogabili e sgusciò via lasciandolo nuovamente da solo.

 

E così non gli rimase che raccogliere tutta la preziosa documentazione, ponendola in salvo nella valigetta, e arrivare all’ultimo nodo del pettine.

Forte del successo professionale appena ottenuto, avrebbe conseguito anche l’altro proposito, perché in fondo ne andava del suo onore.

 

Pazientando, attese finché non vide che Zigomi Illegali era solo alla cassa e la sua collega si trovava in giro a distribuire bevande fuori dalla loro portata.

 

Non avrebbe potuto sfuggirgli, considerò, alzandosi con una mossa fulminea per raggiungerlo.

L’occhiataccia che ricevette in cambio, però, freddò buona parte della sua baldanza e, una volta allungati i soldi, si ritrovò a corto di parole – a sua discolpa, c’era da dire che raramente Arthur Pendragon si scusava per qualcosa o con qualcuno. E poi, da vicino, quel tizio metteva davvero i suoi istinti a dura prova, ma una denuncia per molestie non era mai un bel modo per fare pace.

 

“Io ehm… non volevo sembrare… prima… così…

 

“Presuntuoso e maleducato?” gli venne incontro l’altro, ghignando per rivincita.

 

“Sì, beh…” temporeggiò. “Ma quella diavoleria che prepari è dannatamente buona…

 

Oh!” Zigomi Illegali parve davvero sorpreso dal complimento. “D’accordo. Allora ti perdono”, lo assolse, regalandogli lo stesso sorriso amichevole che lo aveva corrotto il giorno prima.  

 

Arthur sentì improvvisamente la patta dei pantaloni farsi stretta e arrossì come un pivello alla prima cotta.

 

“Ci vediamo anche domani?” gli domandò il cameriere, allungandogli uno dei cioccolatini in vendita sul bancone a lato della cassa e prendendone uno anche per sé.

 

“Oh, sì. Assolutamente”, ansò Pendragon, afferrandolo di riflesso, mentre ringraziava che la stoffa spessa del cappotto sapesse celare la sua esuberanza.

“Quanto ti devo?”

 

“Omaggio della casa!” rispose l’altro, mentre infilava in bocca la pralina ricoperta di cioccolato.

 

“Ah, beh… grazie…” si ritrovò a dire, imitandolo con un gesto goffo, perché non era un vero amante di bonbon di quel genere.

 

Ma quel cioccolatino era la cosa più buona che avesse mai assaggiato. Era un delirio dei sensi. Un’esperienza dionisiaca.

Arthur si lasciò sfuggire un mugolio assai poco virile, e non se ne curò.

Si rigirò piuttosto fra le mani l’incarto: doveva assolutamente scoprire di che marca era quella meraviglia e poi ne avrebbe acquistata una vagonata!

L’involucro, tuttavia, era abbastanza anonimo e una seconda pellicola, interna, conteneva solo una frase simile a quelle dei tovaglioli; Arthur la lisciò e la lesse in controluce.

 

Fare pace è la cosa più dolce.

 

Voltando una faccia stupita verso la cassa, raccolse l’espressione contenta di Zigomi Illegali.

 

Com’era possibile che ogni messaggio fosse così perfetto per ogni momento… Perfetto per lui?

 

 

***

 

 

Era solo la terza volta che metteva piede lì dentro, ma Arthur percepiva una strana sensazione di calore, come se – in qualche modo – quel posto gli fosse familiare, come se vi fosse appartenuto da sempre. Il che, ovviamente, era una sciocchezza, soprattutto considerando che lui non era incline ai romanticismi.

Probabilmente era solo colpa del calduccio, che coccolava ogni avventore infreddolito, e della stanchezza mentale della sua giornata infinita.

Quest’oggi non aveva potuto abbandonare l’ufficio nel bel mezzo del pomeriggio per un altro rendez-vous con Alined, quindi aveva dovuto attendere la fine del lavoro per raggiungere la caffetteria ed era molto più tardi dei giorni precedenti.

A quell’ora, poi, era più probabile che la gente fosse a cena piuttosto che a sorseggiare bevande schiumose, ma lui aveva promesso a Zigomi Illegali – dannazione, doveva scoprire come si chiamava! – che sarebbe venuto, e lui era un Pendragon, un uomo di parola!

Sì, poteva anche soprassedere al fatto che, egoisticamente, voleva godersi un’altra Tazza delle Meraviglie che lo confortasse un po’, ripagandolo della sua giornata di merda.

 

Arthur sgattaiolò al solito tavolo (che ormai considerava il suo posto) e giocherellò distrattamente col bordo del listino bevande, tracciando col dito l’immagine del drago stilizzato, finché il suo barista preferito non lo raggiunse.

 

“Ehi!” lo salutò, sembrando anch’egli stanco, ma sforzandosi di regalargli un sorriso.

 

“Ciao… ehm…” Arthur si sporse verso di lui, per sbirciare la targhetta sulla pettorina del grembiule, che costituiva la divisa del locale. “Ciao… Gwen?” Ti chiami Gwen?!” rifece, sconcertato.

 

L’altro, idiota!, si mise a ridere. E non importava che avesse un sorriso da far tremare le ginocchia.

 

“Ah, no!” borbottò, seguendo la direzione del suo sguardo, toccandosi il grembiule. “Dovevo essere mezzo addormentato, stamattina, quando l’ho indossato e ho preso quello della mia collega, Gwen, per sbaglio!” si giustificò, arrossendo deliziosamente. (A quel punto, Arthur era pronto a perdonargli qualsiasi cosa).

“Comunque… il mio è Merlin”, si presentò, allungando formalmente una mano. “Piacere”.

 

“Arthur”, rispose, con una solida stretta. Dio… quelle dita!

 

“Arthur?” ripeté il cameriere, rannuvolandosi. “È la solita battuta d’umorismo?”

 

Pendragon sbatté le ciglia, perplesso.

“No, perché?” indagò.

 

“Perché si dà il caso che la tua bevanda fissa sia il King Arthur, io mi chiamo Merlin, e tu dichiari di essere Arthur, Arthur”.

 

“Come Arthur e Merlin”, Arthur ammiccò. “Il Grande Mago e il Re in Eterno! Allora è Destino!” E poi scoppiò a ridere. “Ci manca solo il resto della Tavola Rotonda!”

 

“Non hai mai letto il menù, vero?” gli chiese il cameriere, picchiettando sul piccolo catalogo con un sorriso saputo.

 

“Ehm… no”, ammise lui. “Avrei dovuto?”

 

“Qui al Camelot’s Dragon, ogni bevanda ha il nome di un cavaliere e ogni dolce quello di una dama... ah, per gli infusi usiamo le pozioni delle streghe, però” gli spiegò, scorrendo una lista con Sir Gwaine, Sir Lancelot, Sir Leon, Sir Percival… saltando alla pagina successiva dove Lady of the Lake torreggiava sulla descrizione di una deliziosa torta, seguita da una Fata Morgana e l’immancabile Queen Guinevere.

 

Arthur non se ne curò, tornando piuttosto al primo nome della lista, il suo omonimo.

“Quindi è la mia bevanda! Mia, mia!” gongolò con infantile soddisfazione.

 

“Qualcosa mi dice che ne vorresti una tazza anche oggi…” scherzò Merlin, con un sorriso irriverente, allontanandosi da lui per prepararla.

 

“Perché non c’è il tuo nome nell’elenco?” gli chiese Arthur, una volta che fece ritorno.

 

“Perché Merlin, lo Stregone, non era un cavaliere…

 

“Né una dama, se è per questo!” precisò Pendragon, con una punta di sussiego. “Ma è comunque un personaggio chiave della saga!”

 

“Il nostro Merlin è il Mago dei Dolci!” s’intromise Gwen, passando accanto a loro con un vassoio colmo di tazzine, rallentando un istante. “Pochi lo sanno, ma ogni cibo qui dentro è una sua invenzione!” e saltellò via.

 

“Tua?... Vuoi dire che questo…” e indicò il King Arthur “e anche il cioccolatino di ieri…?”

 

“Beh, sì. Mi piace pasticciare in cucina…” si schermì, grattandosi la nuca in imbarazzo. “Le ricette sono mie, e non si trovano altrove. Le preparo per passione, ecco”.

 

“E le frasette nelle salviettine e negli incarti? Anche quelle sono opera tua?”

 

“Ah, sì… sì, cioè… mi sono sempre piaciuti i biscotti cinesi della fortuna e…

 

“E trovi sempre la citazione migliore. Quindi un po’ magico lo sei davvero”, concluse Arthur per lui, beandosi nel vedere il suo timido sorriso compiaciuto.

 

 

***

 

 

Probabilmente fare tappa fissa ogni sera al Camelot’s Dragon sarebbe stato un toccasana per i suoi nervi, ma Arthur si ritrovava il più delle volte ad uscire dall’ufficio ad orari allucinanti e la caffetteria era sul lato opposto rispetto alla strada verso casa.

 

La decisione più saggia era stata quella di anticipare i tempi al mattino. Se puntava la sveglia un po’ prima, con un buon King Arthur si sarebbe garantito un’iniezione di buonumore che lo avrebbe accompagnato per tutto il giorno.

La sua nuova abitudine, quindi, era diventata quel bivio essenziale due isolati prima del suo ufficio.

Arthur era un tipo estremamente metodico – non amava le deviazioni di percorso, lui per questo non ci aveva mai fatto caso prima. Eppure, chissà da quanto tempo il Camelot’s Dragon esisteva anche se lui ne era ignaro. Pazienza, si disse, avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per recuperare.

 

Quella strana routine, perciò, era diventata una costante.

Lui entrava, salutava, e Merlin gli portava la sua tazza omonima.

Ogni giorno, magicamente, c’era la frase che lui aveva più necessità di sentirsi dire.

 

Quando compariva mezzo assonnato, il motto di Merlin lo incitava: Rise ’n’ shine! 

“È ora di alzarsi, sì…” borbottava lui, di rimando, osservando il suo King Arthur e l’icona al cacao di un cuscino sprimacciato.

 

Nei momenti in cui era di fretta, c’erano sempre due piedi che sgambettavano dentro alla panna, e un divertito: Up ’n’ at ’em!

 

Se Merlin voleva prenderlo un po’ in giro per la sua pigrizia, usava lo stampino di una margherita e, per buona misura, aggiungeva un: Let’s have you, lazy Daisy!

 

Una volta, allorché si era presentato di cattivo umore, perché aveva dovuto rimanere in ufficio tutta la notte, a causa di un’emergenza, e si era addormentato sulla scrivania, risvegliandosi con un mal di schiena colossale, si era ritrovato davanti ad un: Got up on the wrong side of the table?

Merlin, però, si era fatto perdonare con uno dei suoi sorrisi impertinenti che accentuava i suoi zigomi illegali e lui si era ridotto a sbuffare, scusandolo all’istante.

 

Nei giorni di pioggia, Arthur stiracchiava le labbra entrando, scrollando di dosso l’impermeabile fradicio, sapendo che avrebbe trovato un bel sole rotondo della sua tazza e un allegro Good morning, Sunshine!  nella salvietta, oppure un bell’ombrello aperto, stilizzato, e una nuova perla di saggezza che avrebbe raccolto e portato con sé… perché sì – poteva chiamarla pazzia? –, ma aveva preso a collezionare i proverbi, le frasi, gli adagi e gli incoraggiamenti che gli venivano offerti ogni giorno.

Un po’ si dispiaceva, persino, di dover distruggere le nuvole, i soli, le foglie, le note musicali, le stelle e tutta quella serie di immagini di cacao che Merlin sceglieva per lui, azzeccando magnificamente, ogni volta, il suo umore o il suo bisogno.

 

C’erano le occasioni in cui Arthur era troppo di fretta – colpa del traffico bastardo, o di un imprevisto – e allora chiedeva una consumazione d’asporto, ma era una mezza eresia non dare la giusta considerazione a quell’attimo di godimento tutto suo.

E, in ogni caso, per quanto in ritardo fosse, aspettava sempre che fosse Merlin a servirlo. Perché faceva parte del rituale…

Finché, una mattina, Arthur non entrò e vide che Gwen era da sola.

 

Se accadeva, solitamente Merlin spuntava un momento dopo, da sotto il bancone, con in mano uno straccio o un cucchiaio caduto, ma non quel giorno.

Arthur tamburellò brevemente sul ripiano in vana attesa e poi si sporse istintivamente per intravedere l’amata zazzera mora, eppure non c’era niente all’orizzonte.

Sapeva che era quasi infantile, ma sentì la delusione germogliare, perché era più forte di lui.

E, dopotutto, la sua poker face doveva averlo tradito, poiché Guinevere – dopo un saluto e un sorriso – lo aveva avvertito di non preoccuparsi e che Merlin era nel magazzino sul retro.

“Un attimo di pazienza, sta venendo!” gli aveva detto, ammiccando complice, come se sapesse di qualche piccolo, sporco segreto su di loro.

 

Arthur avrebbe dovuto indignarsi e negare – negare fino alla morte – qualsiasi pretestuosa insinuazione stesse covando quella barista impicciona, ma il suo cazzo era stato più veloce del suo cervello e le parole ‘Merlin - magazzino - venendo’ gli avevano sparato in testa l’immagine di un servizietto fra gli scaffali. Purtroppo, giusto sul più bello, come magicamente evocato, Merlin era già lì – col suo sorriso indecente – e la fantasia erotica esplose come una bolla.

I pantaloni che tiravano, invece, no.

 

 

***

 

 

Arthur doveva seriamente correre ai ripari. Fare qualcosa. Trovare una soluzione. Una qualsiasi fottuta soluzione.

Non poteva passare le giornate in attesa di correre alla caffetteria. Semplicemente, non poteva.

Il suo lavoro cominciava a risentirne (eh, Dio non volesse!, suo padre a brontolare…), i suoi amici lo davano per pazzo quando, nel bel mezzo dei loro incontri, lui doveva correre via per un impegno improrogabile.

Persino il sabato (e il sabato era sacro, checcazzo!), aveva preso l’abitudine di fare la spesa in un supermercato diverso da quello che aveva frequentato regolarmente dall’alba dei tempi; adesso andava in uno che – casualmente – era giusto a due passi dal Camelot’s Dragon.

 

Arthur era certo di aver toccato il fondo; sì, l’aveva toccato la notte in cui aveva sognato di aver chiesto delucidazioni a Gwen sui cioccolatini afrodisiaci che Merlin creava.

Anche dopo sveglio, rammentava nitidamente che sul bancone in vendita c’era una nuova qualità, una dall’incarto rosso-oro, bigusto.

Ricordava di averle chiesto se le frasi dentro erano divise per colore dei cioccolatini.

Perché non era possibile che Merlin gli offrisse sempre quello giusto per ogni frangente, dannazione!

Probabilmente quelli rossi erano per l’amore o l’amicizia, quelli blu contenevano battute spiritose, quelli verdi qualche massima spirituale e

E lei gli aveva risposto di no.

 

“Ogni cioccolatino è unico. Non esistono due frasi che si ripetono!” aveva filosofato, ammiccando e sfarfallando le mani. “Merlin è il nostro Mago, ricordi?” come se questo potesse chiarire tutto.

 

Prima di svegliarsi, Arthur era certo di averle proposto uno scambio: avrebbe comprato un intero espositore e avrebbe sostituito i messaggi all’interno con uno suo, uno destinato a Merlin, e poi avrebbe costretto quel barista da strapazzo a mangiarne uno a caso e a leggere l’invito.

 

Un giorno senza un tuo sorriso è un giorno perso.

Usciresti con me? (Non puoi dirmi di no)

 

Certo, da sveglio capiva da sé che un approccio così era (a dir poco) un azzardo, ma Arthur Pendragon non era abituato a perdere, perché suo padre gli aveva sempre insegnato a scegliere con cura le proprie battaglie. La questione era una sola: quante possibilità aveva, realisticamente, di ottenere un sì?

 

Merlin era sempre stato gentile e amichevole con lui (ma lo era con tutti i clienti, quindi non valeva); gli sorrideva in un modo francamente spudorato (ma questa non era una garanzia – il suo amico Gwaine, per esempio, sorrideva in modo spudorato anche ai sassi); conosceva a menadito la sua bevanda preferita (ma, ancora, Arthur si era rifiutato di provare qualcosa di diverso dal suo King Arthur, quindi… non era una prova valida).

 

Il punto era che Merlin era lontano mille miglia dal prototipo di uomo che aveva attratto Arthur fino ad un mese prima, e tutte le strategie che usava di solito, per sondare il terreno, non erano un’appropriata cartina tornasole in questo caso.

O forse Merlin non era veramente interessato a lui.

Cazzo.

 

E allora tanto valeva chiudere tutta la baracca e smettere di venire. Lui aveva un orgoglio e una dignità da difendere e nessuno gli aveva mai rifilato un due di picche. Arthur non aveva intenzione di collezionare il primo proprio adesso.

Avrebbe tastato il polso della faccenda – le reazioni o non-reazioni di Merlin – e avrebbe deciso di conseguenza.

 

Forse… forse doveva essere solo un po’ più sottile. Già. Senza cioccolatini e sogni strani.

 

 

***

 

 

Arthur mise in pratica il suo proposito il giorno seguente, quando – prendendo il coraggio a due mani – aveva ordinato a Merlin “Due solito!” spostando di lato la sedia accanto a lui.

Certo, per sembrare un po’ meno ansioso, s’era ben guardato dall’incrociare lo sguardo del suo cameriere preferito e si era rifugiato dietro al menù; ma se lo avesse fatto, si sarebbe accorto dell’espressione delusa del barista, anche se l’uomo non aveva commentato la sua scelta.

 

“Credo che si raffredderanno”, lo informò al ritorno, in un tono insolitamente mogio. “Forse preferivi che te li preparassi quando arriverà la persona che aspetti?” chiese, posando tuttavia le due tazze sul tavolino.

 

Ma, nel momento in cui stava per togliere il vassoio e andarsene, Arthur catturò il suo polso sottile e, impostando il suo sorriso più affascinante, chiarì: “In realtà, non aspettavo nessuno. Mi sembrava avessi bisogno di una pausa, così… beh… Ti va di farmi compagnia?

 

Per un eterno istante, Merlin boccheggiò a corto di parole, assorbito come Arthur dal calore delle loro pelli a contatto.

 

Volentieri”, si ritrovò a dire, sentendo le guance colorarsi, mentre prendeva posto e poi si girava verso il bancone, urlando un allegro “Gweeeennn! Io stacco!

 

 

***

 

 

D’accordo. Quello pseudo/quasi-ma-forse-no appuntamento coatto era stato piacevole.

Ma non si erano schiodati di un millimetro. Avevano conversato fino a che il negozio non si era riempito di avventori serali e Merlin si era scusato, sgusciando via.

Era stato piacevole chiacchierare insieme, scoprendo cose che condividevano e altre per cui stavano su versanti opposti, la loro chimica era stata innegabile… ma due parole amichevoli potevano significare altro?

 

Era quasi un mese che faceva tappa fissa pressoché ogni giorno lì dentro e Arthur non sapeva più che pesci pigliare.

D’altro canto, neppure Merlin aveva dato indizio di volersi muovere, quindi… quindi che cosa? Cosa voleva dire? Che l’idiota era timido oppure non era interessato a lui?

O, peggio, che il suo gaydar era impazzito per colpa di una qualche tempesta magnetica o una funesta congiunzione astrale?!

 

Arthur credeva di aver trovato la risposta ai suoi tormenti esattamente tre giorni dopo, allorché, entrando, vide Zigomi Illegali (perché poteva ancora chiamarlo così nella sua testa, no?) flirtare spudoratamente con un dio ispanico dall’abbronzatura invidiabile anche se erano in pieno inverno.

Ok, quindi Merlin era gay. E semplicemente non voleva lui.

 

Arthur non sapeva se facesse più male la delusione cocente o la rabbia che sentiva ribollire dentro. Ad ogni buon conto, marciò a passo di carica verso di loro.

 

“Arthur!” lo salutò Il Traditore, smettendo di accarezzare la spalla della sua più recente conquista. “Oggi sei in anticipo!”

 

Sì, ed era per questo che lo aveva beccato sul fatto, il fedifrago!

 

“Pensavo di farti una sorpresa, ma vedo che sei già in buona compagnia!” sputò fuori acido, senza darsi pena di sembrare cortese.

 

“Oh, sì. Questo è Lance!” lo presentò, con affetto. “Il fidanzato-”

 

“Il fi-” esalò Pendragon, interrompendolo, sentendosi crollare addosso il suo castello di congetture e speranze. “Fidanzato?”

 

“…di Gwen!” terminò Merlin, incurante del suo terremoto interiore.

 

“Oh, il fidanzato!” gli fece eco, rianimandosi di colpo, come per miracolo. “Di Gwen! E io, invece, sono Arthur. Non sai quanto sono felice di conoscerti, Fidanzato di Gwen!

 

“Lance, piacere!” ripeté l’uomo, allungando una mano verso di lui, per ricambiare la stretta.

 

“Aspetta… Lance? Lance come… Lancelot?” domandò Arthur, sconcertato.

 

I due uomini davanti a lui scoppiarono a ridere. Poi l’interessato chiarì:

“Sì, pensa! La mia dolce metà ed io ci siamo conosciuti ad una rievocazione storica sulle leggende arturiane...”

 

Lancelot e Guinevere…” s’intromise Gwen, sbucando dal retro per unirsi al suo compagno in un grande abbraccio. “Non lo trovi romantico, Arthur?”

 

Un nome, un perché!” rise Pendragon, convinto che quest’aneddoto avrebbe fatto la felicità di quel pazzo dello zio Kilgharrah. Lancelot e Guinevere, gli eterni amanti che avevano reso cornuto quel- Un nuovo pensiero lo colse, sollevando le mani a mezz’aria come segno di resa. “Ehi, amico! Giuro che non reclamerò nulla!” promise solennemente, il buonumore ritrovato di colpo.

 

“E ci mancherebbe altro!” sbottò Merlin, per finta polemica.

 

“Zitto, tu! Mago da quattro soldi! Porta rispetto al tuo Re in Eterno!” lo ammonì, scatenando un’altra serie di risate.

 

 

***

 

 

Arthur odiava l’inverno. Odiava la neve che cadeva umida e scomoda, rendendo Londra fradicia e scivolosa. Odiava la neve per le seccature che portava, per il traffico congestionato, per i ritardi inevitabili, per i giorni di lavoro ancor più insopportabili.

Ma quel sabato pomeriggio la neve cadeva lieve, azzittendo il mondo, le strade deserte, pochi temerari incontrati prima di rifugiarsi dentro al Camelot’s Dragon.

 

Il locale era quasi vuoto, quindi avrebbe potuto chiacchierare a lungo con Merlin. Peccato che ci fosse solo Gwen, lì.

 

Ancora una volta, Arthur cercò di nascondere la propria delusione, ma Guinevere pareva avere un dono speciale nel capirlo e, con un sorriso indulgente, lo informò che il suo socio si trovava nel laboratorio-cucina, nel bel mezzo di un lungo, complicato incantesimo.

 

“Se hai tempo, vai a raggiungerlo…” gli consigliò, ammiccando.

 

Arthur le sorrise di rimando e scivolò nel retro, chiedendosi però se quell’invasione di territorio non potesse infastidire l’altro. Magie segrete, filtri d’amore, ricette fatali… che fosse geloso del suo lavoro?

Nah, probabilmente, in quel momento, Merlin stava solo mescolando qualche innocuo ingrediente in una ciotola…

Arthur non si aspettava certo di trovarlo chinato a 90°, in cerca di terrine nei ripiani bassi della madia, e la sua mente – sporca, ingegnosa mente – lo aveva immaginato istantaneamente, decisamente più nudo.

Gli sarebbe piaciuto avvicinarsi di soppiatto e spalmarsi su di lui, per fargli capire quanto avesse apprezzato la sorpresa. E poi lo avrebbe assaggiato, finalmente, e baciato e baciato, stordendolo fino a fargli dimenticare il proprio nome.

 

Asciugandosi metaforicamente la bava alla bocca, Pendragon si godè lo spettacolo gratis, rendendosi contro troppo tardi della patta improvvisamente troppo stretta. Grazie al cielo, esistevano i cappotti lunghi!

 

“Arthur!” lo accolse il suo sogno ad occhi aperti, piacevolmente stupito, una volta accortosi di lui.

 

Sistemate in fretta le falde del soprabito, si grattò il fondo della gola, prima di ricambiare. “Ciao…” esitò. “Disturbo?”

 

“Macché disturbo e disturbo! Sei arrivato proprio al momento giusto!” lo corresse Merlin, mostrandogli una piccola torta che stava impiattando e che espandeva un profumo delizioso.

 

“Nuova creazione?”

 

“Sì”, sorrise l’altro, con paterno orgoglio. “Visto che la giornata è brutta e ci sono pochi clienti, ho voluto giocare un po’…”

 

Quindi ti sei sbizzarrito!”

 

“Già... Ti va di farmi da cavia?” gli propose, finendo di spolverare la torta con uno strato di zucchero a velo.

 

“È un onore!” esclamò, e subito si vide porgere una piccola forchettina e una fetta di dolce.

Arthur non perse tempo e la assaggiò, mugolando oscenamente poco dopo.

 

Era una crosta dura sotto la lingua, porosa, a tal punto che bisognava morderla.

E poi il cacao amaro nel pan di spagna.

E un cuore di cioccolato fuso, caldo e colante. Dolce e avvolgente.

Una sensazione dolceamara come di nostalgia.

 

“È… è…” balbettò, mentre Merlin lo guardava in ansia. “È meravigliosa!” decretò poi, solennemente, come il più severo dei giudici, ricevendo in cambio un sorriso spalancato di sollievo.

 

“Che nome le darai?” domandò curioso, approfittando di un secondo boccone.

 

“Non ne ho idea”, confessò l’altro. “Quelli delle dame più famose sono stati già usati. Vuoi… Hai suggerimenti?”

 

Ma lui era nel bel mezzo della degustazione del terzo assaggio, troppo concentrato per parlare mentre assaporava la parte zuccherina che si alternava a quella del cacao amarognolo in modo perfetto, e il centro caldo, liquido, era semplicemente sublime.

Appena dopo averla inghiottita, faceva sentire la nostalgia del suo sapore. Come un affetto mai sopito.

 

Arthur osservò la torta come se fosse stata una cosa preziosa.

Ygraine”, soffiò fuori, avvinto dal dolceamaro della malinconia.

 

“Lady Ygraine è perfetto”, concordò Merlin, dopo aver deciso, finalmente, di assaggiarla impiastricciandosi tutto di polvere bianca.

 

“Ehi…” rise Arthur. “Hai dello zucchero a velo…” E fece un vago gesto in direzione del viso.

 

“Qui?” chiese lui, strofinandosi un orecchio. “Chissà perché, ma finisce sempre per depositarsi dove-

 

“No, non qui”, lo corresse il suo ospite, ridacchiando, allungando d’istinto le mani per spolverargli gli zigomi. Da quanto, buon Dio, voleva toccarlo? E ora, ora… 

Qui”, esalò, sentendo una scossa di corrente attraversarlo da capo a piedi, nel momento in cui avvenne il contatto, e tuttavia rifiutandosi di staccare i palmi dalla sua pelle calda e irresistibile, ritrovandosi di colpo troppo vicino all’altro volto, ben deciso ad annullare le distanze, mentre già i loro respiri si stavano mescolando…

 

Il timer dell’impastatrice risuonò con la forza di una deflagrazione nucleare, spaventandoli a tal punto che entrambi saltarono all’indietro con un ansito strangolato.

 

De-devo occuparmi degli impasti che lieviteranno stanotte”, si scusò Merlin, immediatamente, chinando il capo come se volesse nascondersi, a disagio, mentre si allontanava da lui.

 

“Allora, è meglio che io vada…” farfugliò Arthur, imbarazzato anch’egli, felice di avere almeno una scusa giusta per lasciare.

 

Ma, anche una volta fuori, il freddo che sentiva non era colpa della neve. Se fosse stato onesto, almeno con se stesso, avrebbe riconosciuto che era il calore di Merlin a mancargli, e la fastidiosa sensazione di aver perso un’occasione unica.

 

 

***

 

 

Natale era ormai alle porte, ovunque risuonavano strenne sdolcinate e s’incontravano vecchiacci obesi vestiti di rosso con fasulle promesse di felicità.

Arthur non aveva mai amato questo periodo dell’anno, perché le cene in famiglia – lui e suo padre, con uno stuolo di camerieri che li servivano – non erano esattamente nella sua Top Ten delle cose piacevoli.

Di solito stringeva i denti la sera della Vigilia e si comportava da bravo figlio – giusto per onorare, in qualche modo, la memoria della madre defunta –, poi accampava una serie di impegni (solitamente dei falsi viaggi sulle piste da sci, con gli amici), e si rendeva irreperibile fino a quando le ferie invernali si erano concluse e lui avrebbe rivisto l’amato genitore in ufficio.

 

Quell’anno non faceva eccezione. Ma la cosa era ancor più grave, perché non era ancora arrivato da nessuna parte con Merlin.

Una parte di sé – quella sicura e arrogante – era certa che l’oggetto dei suoi desideri avrebbe ricambiato istantaneamente i suoi sentimenti e accettato un formale invito a cena, e magari avrebbero trascorso assieme ogni momento disponibile di quelle festività.

L’altra metà del suo ego, quella un pochino meno presuntuosa, gli sussurrava che no, forse non sarebbe stato un centro perfetto questa volta, e che un cuore spezzato a Natale era la cosa peggiore del mondo.

Così Arthur aveva messo in stand-by ogni tentativo, ma il suo umore si scuriva a mano a mano che i giorni gocciolavano via verso la fatidica data e non gli importava di sembrare come il Grinch.

 

Una settimana prima del 25 dicembre, Gwen aveva rimpinzato la caffetteria peggio di un tacchino alla festa del Ringraziamento.

Fino a quel momento, le decorazioni erano state sobrie e accettabili, ma ora ogni cosa trasudava di felicità in plastica e – come avrebbe scoperto Arthur, a sue spese – quello era l’unico momento dell’anno in cui Merlin cedeva alla sua collega il timone del locale ed era lei a preparare le frasette – tutte cose dannatamente positive e stucchevoli: ‘Buoni sentimenti per tuttiii!’ – e le immagini nel suo King Arthur erano diventate drammaticamente monotematiche: pacchetti stilizzati, piccole renne, palline decorate, stelle comete… Arthur rimpiangeva le sorprese di Merlin e, a dirla tutta, rimpiangeva anche Merlin.

Il suo cameriere di fiducia, in quei dannati giorni di festa, era troppo impegnato a servire frotte di avventori per degnarlo di qualcosa più di un saluto fugace e un sorriso di scuse.

 

E Arthur si sentiva come un drogato in crisi d’astinenza. D’astinenza da Merlin, sì.

 

Non era mica colpa sua se era stato strappato dalla sua compiacente mediocrità, per finire in una realtà parallela dove comandavano il Caffè e la sua progenie di perdizione. Era stato quell’imbecille di Mr. Alinedche Dio lo fulminasse! – a trascinarlo lì.

E il suo mondo era cambiato. Il suo personale asse terrestre si era spostato. Capovolto.

 

Non era sicuramente nei suoi piani di rimanere invischiato e ritrovarsi di colpo a rinnegare anni di amore virtuoso verso il tè, sentendosi come un peccatore della peggior specie. Ma si era fregato nel momento esatto in cui aveva pensato ‘Questa diavoleria non è mica male’ leccandosi la schiuma dal labbro superiore.

 

E poi sì, poi c’era stato Merlin.

Merlin, col suo sorriso impertinente. Uno sguardo accattivante, l’atteggiamento ammiccante.

E soprattutto coi suoi zigomi taglienti e un desiderio malsano di toccarli, di leccarli, di morderli.

 

Arthur gemette, facendosi violenza per non colpire a testate il tavolo della caffetteria fino a perdere i sensi.

Osservare la sua Ossessione Ambulante svolazzare di qua e di là, senza poterla afferrare, gli stava logorando i nervi.

 

Era il 24 dicembre e lui poteva considerarsi ufficialmente in ferie dalla sera precedente, eppure eccolo lì, di prima mattina, a consumarsi per un sogno irrealizzabile.

Santa Claus – per favore… per favore! – se esisti, esaudiscimi!

 

Giusto in quel momento, Merlin gli si accostò, accarezzandogli una spalla. Arthur, impreparato, sussultò a quel contatto, facendolo indietreggiare.

 

“Scusa, non volevo…” si amareggiò.

 

E Pendragon si rammaricò per la propria stupidità.

“No, è che… mi hai colto di sorpresa…” si giustificò.

 

“Sei di fretta?”

 

N-no... no, perché?” indagò, speranzoso.

 

“Vorrei smaltire un po’ di ordinazioni”, entrambi osservarono le persone chiassose, in giro per gli acquisti dell’ultimo minuto, che non rinunciavano a fare colazione. “E poi preparo il tuo solito con calma, fra qualche minuto, ok?”

 

“Sono a tua completa disposizione anche per tutta l’eternità. Prenditi il tempo che vuoi, io non scappo…” dichiarò, cercando di trasmettergli un valore più profondo come sottotesto.

 

Merlin gli sorrise di rimando.

“Potrei prenderti in parola…” considerò, con uno strano luccichio nello sguardo.

 

Arthur sentì lo stomaco stringere in un eccitante senso di anticipazione.

Dio… stavano flirtando?

 

Ma prima che potesse averne conferma o essere disilluso, Merlin era già volato via, ronzando ordinazioni sottovoce per promemoria, come una laboriosa ape operaia.

 

Quando finalmente fece ritorno con la sua consueta bevanda, gli consegnò anche una fetta di dolce.

Arthur la riconobbe subito. Era la torta che Merlin aveva creato quel giorno di neve e che lui aveva battezzato col nome di sua madre.

 

“Omaggio della casa per farmi perdonare il ritardo”, si sentì dire. “Queen Ygraine è la specialità di queste feste!” gli spiegò, additando il triangolo con sopra lo zucchero a velo come forma di abete decorato. “Buona consumazione!” gli augurò, ammiccando con simpatia.

 

Arthur considerò di rischiare il tutto per tutto e, giusto quando l’altro se ne stava per andare, gli afferrò una mano, trattenendolo.

 

“Merlin, senti… io…” incominciò, incerto. Ma l’espressione ansiosa, che ricevette in cambio, anziché incoraggiarlo, uccise ogni suo slancio di temerarietà. “Per favore… mi porteresti un’altra bustina di zucchero?” domandò, soffocando la domanda reale e ogni chance.

 

Fu Gwen a consegnargli la scatolina con dentro i vari edulcoranti, e Arthur considerò ciò come un avvaloramento del fatto che aveva fatto bene a tacere. Pericolo scampato, dunque. Ma non per questo si sentiva sollevato o contento. Tutt’altro.

 

Accantonò il dolcificante, perché in realtà sapeva che il King Arthur era perfetto così com’era stato creato dalle mani di Merlin, e si rassegnò a sbirciare dentro la tazza, trovando l’ennesima slitta di Babbo Natale o qualche campanaccio stilizzato. Si stupì nel vedere che la sua intuizione era sbagliata.

C’era un cuore spolverato al centro della panna, piccolo e perfetto.

 

Arthur sbatté le palpebre, quasi certo di aver visto male, ma il cuore era ancora lì, davanti a lui.

Chiaramente affettuoso, ma assai poco natalizio.

 

Con le mani tremanti, sollevò lentamente la tazza, per sbirciare il motto augurale della giornata.

Ma non c’era. Al suo posto, trovò un numero di cellulare scritto in fretta e un:

 

Chiamami! 

M.

 

Sollevò gli occhi cercandolo nella sala e, non appena lo vide dietro al bancone, sfoderò un sorriso, annuendo.

 

Per la prima volta in vita sua, Arthur considerò che il Miracolo di Natale, dopotutto, poteva non essere una puttanata completa.

Eh, d’accordo. Forse il caffè era il Male. Ma un cappuccino si poteva salvare...

 

 

 

24 dicembre - Un anno dopo.

 

 

Merlin fece scattare la serratura di casa, scuotendo sul tappeto dell’ingresso la neve accumulata sulle scarpe e sul cappotto.

 

“Sono tornato!” esclamò a gran voce, per farsi riconoscere, ma non ottenne nessuna risposta, così si avventurò verso la camera da letto, dove un Arthur malconcio – nascosto fra strati di coperte – sfogliava lentamente un album.

“Tesoro sono qui”, ritentò, accomodandosi sul materasso. “Come va?”

 

Malhe. Malhissshimo!” latrò lamentoso, col naso tappato. “È il dosdro brimo addibessadio e io sodo ridoddo chosì…” piagnucolò, sfoderando la sua più riuscita espressione da golden retriever maltrattato.

 

Merlin sbuffò, chinandosi a lasciargli un bacio sulla fronte bollente e una carezza sulla guancia.

“Pazienza, ci rifaremo!” promise, ammiccando. “Intanto, guarda cosa ti ho portato?” preannunciò, offrendogli una tazza d’asporto con il marchio del Camelot’s Dragon e Arthur sorrise istantaneamente.

 

“Il bio Ghing Ardhur!” gioì, appropriandosi del dono.

 

“Ci sarebbe anche questo”, chiarì Merlin, allungando un cioccolatino dall’incarto bicolore. Ma potresti mangiarlo anche dopo, mh?” propose, lasciandolo cadere sul comodino accanto e, una volta che il contenitore fu svuotato, liberò Arthur anche da quell’ingombro, per stendersi accanto a lui e stringerlo in un abbraccio.

 

“Ancora a sfogliare quel raccoglitore?” chiese retorico.

 

“Mi manghabi…” ammise l’altro, senza pudore.

 

“Anche tu…” confessò a sua volta, aprendo l’album.

 

C’erano dentro tutte le frasette delle salviettine sottotazze e gli incarti dei cioccolatini che Arthur aveva consumato in quell’anno, fin dalla prima volta, disposti in religioso ordine maniacale, come un collezionista scrupoloso.

 

Berlihn?”

 

Mh?”

 

“Du… dohn de hai?”

 

“Non siamo tutti maniaci nostalgici come te, Amore”, lo prese in giro, con affetto.

 

“Bah… bai bai?” insistette, quasi deluso.

 

E fu allora che Merlin capitolò, con un sospiro, sfilandosi il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans.

“È un segreto fra noi, ok?” ordinò, levando due fogliettini piegati e porgendogli il primo.

 

A volte un semplice errore può essere fonte delle più rosee conseguenze.

 

“Questo lo mangiai al nostro secondo incontro… Litigammo, quella volta, ti ricordi?”

 

, e du mhi regalasdi uhn gioggoladinho…”

 

“Per fare pace, sì”, confermò.

 

 “E l’aldro?”

 

“L’altro lo mangiai esattamente un anno fa, per farmi coraggio prima di scriverti il mio numero…”

 

“E gosa…?”

 

Merlin gli porse il secondo bigliettino.

 

Non c’è giusto o sbagliato. Solo quello che è e quello che non è.

 

“Così mi sono buttato…” ammise, confessando la propria vulnerabilità.

 

Arthur accarezzò la sua mano, dimostrandogli la propria vicinanza. Quindi si allungò, prese il cioccolatino e glielo porse.

 

“A medà…” propose, diventando serio. “Ber doi…”

 

“D’accordo. Ma lo sai c’è la torta migliore del mondo in attesa che tu guarisca, vero?

 

Non aspettandosi una vera risposta, lasciò che il compagno afferrasse l’altro lembo dell’incarto a caramella, srotolandola contemporaneamente, poi afferrò la pralina, se la spinse in bocca per romperla coi denti, e infine si chinò e coinvolse Arthur in un lungo, dolcissimo bacio.

Fra le loro dita intrecciate, vi era ancora l’incarto con la sua sentenza.

 

Nessuno di noi può scegliere il proprio destino, e a nessuno di noi è permesso sfuggirgli.

 

 

 

- Fine -

 

 

 

 

Disclaimers: I personaggi, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro da parte mia.

Idem per il bannerino che ho costruito prendendo varie immagini dal web.

 

Ringraziamenti: Alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

A Laura, per il suo entusiasmo! <3


Note: L’articolo citato da Arthur sul Financial Times è vero, potete leggerlo qui:

http://qn.quotidiano.net/curiosita/2013/10/22/969899-financial-times-50-manager-gay-famosi.shtml

 

 

In Medicina, satiro è colui che è affetto da satiriasi, un disturbo legato all’ipersessualità morbosa, si può anche definire erotomane. Satiro è il corrispettivo maschile di ninfomane.

 

Di seguito le spiegazioni delle frasi. Anche se non ne ho presa nessuna, l’idea è un tributo sia ai biscotti cinesi della fortuna, come dice Merlin, ma soprattutto ai Baci Perugina. XD

 

“Tutti commettono errori. È per questo che c’è una gomma per ogni matita” (proverbio giapponese).

 

“Se sorridi, la vita ti sorride!” (parafrasi della frase di Jim Morrison).

 

“Un bagno nell’umiltà rende tutti più puliti” e “Fare pace è la cosa più dolce” sono frasi di mia invenzione.

 

“Rise ’n’ shine!” è un modo di dire anglosassone, un invito scherzoso, e si può tradurre con: “È ora di alzarsi!”

 

“Upn’ at ’em!” (altra forma inglese colloquiale: “Alzati e datti da fare!”)

 

“Let’s have you, lazy Daisy!” (Muoviti, pigro fiorellino!”)

 

“Got up on the wrong side of the table?” (“Ti sei alzato dalla parte sbagliata del tavolo?”)

 

“Non c’è giusto o sbagliato. Solo quello che è e quello che non è” e “Nessuno di noi può scegliere il proprio destino, e a nessuno di noi è permesso sfuggirgli” sono due frasi del caro vecchio Killy.

Ad onor del vero, la frase completa è: “Nessuno di noi può scegliere il proprio destino, Merlin, e a nessuno di noi è permesso sfuggirgli”. (Kilgharrah)

 

“Un giorno senza un sorriso è un giorno perso” (Charlie Chaplin).

 

“Sii arrogante, sii elegante, sii brillante” è una frase che si trova come adesivo per le auto.

 

“A volte un semplice errore può essere fonte delle più rosee conseguenze” (Giovanni Soriano, Finché c’è vita non c’è speranza, 2010).

 

Il “Toujours Pur” (ovvero: Sempre Puro) di potteriana memoria riguarda il motto della nobile casata dei Black, una stirpe di maghi purosangue che odia chi non ha poteri magici e fa di tutto per preservare pura la razza. Ha idee molto estreme, e direi che, facendo un paragone speculare, i suoi membri sono come Uther contro la magia, ma al contrario: odiano chi non ce l’ha.

I membri, che non abbracciano questa visione, vengono diseredati e marchiati di onta imperitura.

Per ulteriori curiosità, potete leggere qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Black_(famiglia)

 

 

Avviso di servizio (per chi segue le altre mie storie):

Linette cap. 82 è stato aggiornata.

Waiting for you cap. 6 arriverà all’inizio dell’anno prossimo.

 

 

 

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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

   
 
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