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Autore: stellanera9    29/12/2013    1 recensioni
Eloise McKenzie è una ragazza semplice,che vive in un paesino del Texas dalla mentalità ristretta e una profonda credenza religiosa. Un giorno,reduce da un brutto risveglio, posa gli occhi su un ragazzo dall’aria dannatamente misteriosa, con uno sguardo incredibilmente magnetico, che con passo svelto non bada alle varie occhiate stranite che gli altri studenti gli lanciano. Eloise resta a bocca aperta quando una delle sue amiche le rivela che in realtà,quel ragazzo bellissimo, è una ragazza : Mary Walker.
Dal testo :
"Io e te siamo come rose nel deserto : fiori belli,bellissimi,ma inadeguati e circondati dall'arido e dalla desolazione. Sì,siamo fiori belli,ma pur sempre rose nel deserto."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Parte prima

Faccia nuova.

Eloise Mckenzie , quel giorno , si sentiva particolarmente triste. Era persa in un oscuro groviglio di emozioni negative che sembrava la stessero trascinando lentamente sul fondo di un oceano pieno di squali. Ma era inevitabile. Lei era una ragazza particolarmente sensibile (o debole, come preferiva definirsi) e, quando riceveva offese come quelle che le avevano fatto il giorno prima, non poteva che sentirsi giù di morale.

Non c’era difesa che reggesse di fronte al gruppo di bulletti dell’ultimo anno, anche se a dir la verità, lei nemmeno si sforzava di trovare un modo per difendersi dal fastidio di quei soprusi.

Le avevano rubato per l’ennesima volta, dal momento in cui approdò all’Archer City High School, i soldi per il pranzo, e come se non fosse sufficiente per farla sentire una sfigata ed idiota , le avevano lanciato un gavettone all’uscita da scuola, umiliandola davanti a tutti gli studenti.

Eloise era uno dei tanti bersagli di quei ragazzi dannatamente belli e popolari. Beati loro, non faceva altro che ripetersi osservando i giocatori di football e le cheerleader bionde dal corpo perfetto. Quella cerchia così ristretta e potente di persone era il motivo principale per cui gli altri ragazzi di quel liceo sviluppavano paure ed insicurezze infinite. Gli implacabili, erano chiamati, e non c’era altro aggettivo al mondo che potesse definirli.

Maledetto il giorno in cui Eloise decise che avere una buona media a scuola potesse essere un gran motivo di soddisfazione; peccato che, protetta dalla spessa campana di vetro in cui era cresciuta fino alle scuole medie, nessuno l’avesse avvertita che essere secchiona fosse sinonimo di sfigata e che sfigata fosse sinonimo di vittima prescelta.

Eloise si guardò allo specchio e decise che le sue gambe fossero troppo in carne ,che il suo seno fosse invisibile e che i lunghi capelli castani sembrassero sporchi.

 

«Davvero un bel modo di iniziare la giornata», si disse.

 

Non c’era mattina in cui si trovasse almeno un po’ attraente ,o che semplicemente fosse soddisfatta del suo corpo. Eppure era una bella ragazza, da quel che le sue amiche dicevano, ma ogni volta che glielo ripetevano (per convincerla di ciò) , lei non faceva altro che infastidirsi e considerarle delle bugiarde. Sperava che un giorno, non troppo lontano, si sarebbe svegliata e si sarebbe vista carina. Sì, carina proprio come quelle cheerleader che lei tanto ammirava. La notte le avrebbe portato via quei kili che per lei erano di troppo, le avrebbe reso i capelli più lisci e lucenti, le avrebbe ingrandito il seno di una taglia e, magari, le avrebbe trasformato i suoi occhi verdi in due grandi e meravigliosi occhioni blu come l’oceano. In fondo chiedeva poco, no? Soltanto lei sapeva cosa avrebbe dato per essere la ragazza dei suoi tanto agognati sogni, e soltanto lei sapeva quanto triste si sentisse per non essere nata esattamente come desiderava che fosse. Dio le aveva dato l’intelligenza, certo, ma in fondo cosa se ne faceva? Era proprio quello il motivo per cui ogni giorno quella scuola le pareva un inferno; non nascondeva che, senza pensarci due volte, avrebbe dato via quella sua intelligenza per un po’ di bellezza. Forse era esagerata, troppo piena di complessi e di insicurezze, forse non si amava abbastanza, ma perché avrebbe dovuto se non c’era motivo di farlo?

Si vestì in fretta e furia e, con un gran senso di malessere che le riempiva il petto, si diresse a piedi a scuola.

 

***

 

Per tutta la mattinata non aveva fatto altro che evitarlo. Ci girava attorno come una trottola impazzita che sempre più fuori controllo di tanto in tanto lo sfiorava. Il problema diventava insormontabile durante le lezioni; proprio lì, mentre si distraeva guardando fuori dalla finestra ed annoiata da argomenti che già conosceva, tornava quel tormento che la prendeva a pugni nello stomaco.

Aveva chiacchierato con le sue amiche nei minuti tra una lezione e l’altra, aveva disegnato alberi e fiori alla lezione di storia, fingendo di prendere appunti, aveva persino aiutato quel fattone di Jeremy nella lezione di matematica ma era stato tutto una gran perdita di tempo. Quel senso di disagio profondo che la teneva stretta in una morsa soffocante e le inumidiva leggermente gli occhi non aveva intenzione di abbandonarla. Più si perdeva in quel sentimento fastidioso e rattristante, più le sembrava che si espandesse prendendole ogni cellula di quel corpo ingiustamente offeso .Era come un ago; un sottile e piccolo ago che, sottovalutato per le sue dimensioni, premeva sul palmo della mano ogni qual volta che gli occhi si accorgevano che fosse lì, e allora da innocuo passava a dannoso, e quando il cervello si rendeva conto di quanto male potesse fare quella piccola punta, dava l’ordine alle dita di spingerlo ancora più a fondo . E così tra sensi ,sentimenti e movimenti perversi, la mente si perdeva in un circolo vizioso apparentemente senza via di uscita.

Nessuno le aveva detto niente quella mattina . Nonostante si sentisse uno schifo dal momento in cui si era svegliata, nessun individuo degli Implacabili l’aveva infastidita. Era già tanto. Forse quel giorno era talmente persa nei suoi pensieri autolesionisti  che, avvolta da uno strano velo di invisibilità, era passata inosservata o forse aveva una faccia talmente depressa che per un miracolo del cielo era riuscita a suscitare un po’ di compassione. Compassione negli implacabili? Era più probabile che le apparisse in sogno la Madonna.

Accennò un sorriso quando le venne in mente che non sarebbe stata costretta a stuzzicare qualcosina dal vassoio delle sue amiche. Aveva i suoi soldi, suoi e solo suoi.

Si diresse in mensa mentre un entusiasmo appena percettibile prendeva ad alleggerirle il petto da quel grosso peso. I piedi si muovevano svogliatamente, calpestando il pavimento bianco e scivoloso, la testa faceva su e giù seguendo il movimento sussultorio del corpo.

 

« Eccoci Elly! » strillarono le due ragazze che si mischiavano alla solita calca della mensa.

 

Kate ed Emily erano da sempre le sue due migliori amiche; persino le loro madri lo erano. Eloise non ricordava un singolo momento della sua vita in cui quelle due ragazze non le fossero state accanto. Sin dai giorni di cui aveva memoria, loro erano state una presenza fondamentale nella sua vita. C’erano state dei momenti in cui tutto le era parso vuoto e privo di significato e i suoi pensieri si amalgamavano in un vortice oscuro pieno di un odio disarmante e corrosivo. C’erano state quando Elly piangeva come una disgraziata per un compito che sfiorava a malapena la B e c’erano state quando Adam McKenzie aveva abbandonato sua moglie e sua figlia per andare in California con una puttanella più giovane di quindici anni. A quello Elly non voleva proprio pensare; era ancora una ferita ricucita in malo modo, da cui era sgorgato così tanto sangue che credeva che prima o poi le sarebbe scappato via ogni tipo di organo interno.

Katherine Benson ed Emily Hill erano tanto unite quanto allo stesso tempo tanto diverse. Lo si intuiva già dall’aspetto, era facile capirlo, e restare stupiti nel vederle chiacchierare amichevolmente come due migliori amiche in genere fanno.

Kate era bionda, con uno strano viso dalla forma ovale e due soffici guance paffute he la facevano sembrare più piccola dei suoi quindici anni. Aveva il colorito molto chiaro,che d’estate, nonostante il sole violento ed insistente, faticava a vivacizzarsi. I suoi occhi erano piccoli, verde acqua, particolarmente belli e con delle ciglia troppo folte per una ragazza bionda come lei. Il naso era piccolino, alla francese, e davvero molto grazioso. Le labbra piccole e sottili, dalle linee imprecise che sembravano disegnate da un bambino di dieci anni, non erano forse la cosa più bella del suo viso e Kate lo ripeteva sempre. Era alta poco più del metro e sessantacinque, anche se i capelli eccessivamente lunghi, a causa della sua avversione per i parrucchieri, la facevano apparire più bassa. Non era né magra né grassa; si poteva definire la giusta via di mezzo; ma in caso di scelta tra i due estremi, le sue rotondità probabilmente non le avrebbero permesso di essere classificata come magra.

Kate era una tipa tranquilla. Non amava gli eccessi, non amava alcun tipo di originalità, non amava nulla che si distaccasse più di tanto dalla realtà a cui era abituata ,ma soprattutto, cosa non meno essenziale, non amava in nessun modo chiunque non fosse cattolico e chiunque non fosse bianco. Elly ed Emily non avevano alcun tipo di problema con le persone di colore o con chi non professasse la loro stessa religione, ma Kate... Kate era cresciuta diversamente e la cosa si rifletteva sul suo modo di ragionare e sui suoi ideali. Suo padre aveva passato la vita a discernere cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato. Era più giusto un uomo bianco o un uomo negro? Era più giusto inculcare alla figlia i suoi stessi ideali oppure lasciare che se li costruisse da sola? No, su quello non c’era proprio alcun dubbio. Non sia mai che lei un giorno fosse ritornata a casa incinta a sedici anni e magari pure di uno “sporco negro”. All’inseguimento della giustizia, Mark Benson ne aveva fatto la sua ragione di vita e la sua professione, scegliendo di essere un poliziotto (anche se da quel che diceva era stato il Signore ad aver scelto lui per quella missione degna solo degli animi più audaci). Un gran bello spreco di tempo, o meglio, di vita, quella del signor Benson. Aveva buttato via la possibilità di avere un cervello e una persona piuttosto rispettabile per inseguire stupide idee che parevano uscite fuori dalla mente di un pazzo quasi alla portata di Hitler. Non a caso, Mark Benson incuteva abbastanza timore ad Elly; era ‘inquietante’ con i suoi piccoli occhi azzurri e quella sua pelle sempre perfettamente sbarbata, quella sua voce roca, quel suo passo svelto...

ma Elly sapeva che non era certo colpa di Kate se sin da piccola le erano state trasmesse delle idee  così sbagliate e non se la sentiva di metterla a disagio facendoglielo notare; forse un giorno se ne sarebbe accorta da sola. Niente di tutte quelle porcherie influivano davvero sulla buona amica che era Kate e per Eloise ed Emily quella era la cosa più importante.

Tutt’altra storia era invece Emily.

Lei sì che era bellissima. Aveva dei lunghi capelli color cioccolato, sempre così lisci e setosi che ogni volta che qualcuno li notava credeva fosse appena uscita dal parrucchiere. Il viso aveva dei tratti leggeri, delicati, la pelle era pallida, quasi trasparente ; la bocca era grande e carnosa, ben definita e di un rosso debole che creava un piacevole contrasto con il candore del viso. Gli occhi piccoli e color nocciola avevano un qualcosa di particolare e davano un accento esotico e un certo fascino a quel volto che già era bello di per sé .  Emily non era molto alta, ma era magra nell’esatto modo in cui la società richiedeva che le belle ragazze dovessero essere. Non aveva un seno grande, ma compensava il fatto con un sedere praticamente perfetto che molte le invidiavano. Anche Eloise, nonostante si costringesse spesso con tutte le sue forze per evitarlo, ricadeva in quella trappola verde che era chiamata invidia. Era più forte di lei, le bastava guardare Emily con degli occhi oggettivi e non più amichevoli per essere punta da quel sentimento aspro che odiava con tutta se stessa.

Emily era un anno più grande di Kate ed Elly, ma la cosa non faceva molta differenza ; erano pur sempre coetanee, no? Lei era l’amica perfetta, quella che tutti avrebbero voluto avere. Di religione cattolica anche lei,come la maggior parte degli abitanti di Archer City, non pretendeva però che gli altri dovessero credere nel suo stesso Dio; probabilmente era l’unica tra gli abitanti sciocchi di quella piccola cittadina a credere non perché costretta a farlo ma perché ne sentisse davvero il desiderio e la necessità . Aveva confidato ad Eloise che per un periodo si era convinta di essere atea, e la cosa non aveva irritato Elly nel modo in cui probabilmente avrebbe irritato Kate. Aveva avuto bisogno di un po’ di tempo per riflettere e chiedersi i motivi per cui dovesse tenere fede a qualcosa di cui nessuno poteva affermare per certa l’esistenza. Poi una mattina si alzò e dopo mille e mille ragionamenti si rispose dicendo: “senza un Dio che mi dà la speranza di cui ho bisogno, vivo ogni giorno al buio e in un modo che mi rende cupa”. Proprio così, Emily Hill era tornata a credere ed era tornata ad avere la luce di cui aveva bisogno .

Era una persona particolarmente intelligente, Em, ma non tutti se ne rendevano conto. A scuola non eccelleva particolarmente, nonostante se la cavasse abbastanza bene in ogni materia. In quella cittadina c’era la credenza sbagliata che le persone per essere acute e brillanti, dovessero avere all’incirca la stessa media di Eloise McKenzie. Le persone però potevano essere più sveglie ed intelligenti di lei senza magari rendere molto nell’ambito scolastico come lei stessa faceva . Elly infatti era convinta che Emily avesse qualcosa di più di tutti i secchioni con la quale spesso era messa a confronto, che avesse una testa diversa da tutti gli altri e un modo di ragionare che apparteneva solo a lei; non a caso, tra le tre, era Em che dava sempre i consigli migliori.

Quella ragazza che nessuno conosceva davvero, neppure le persone che aveva accanto, aveva dentro di tutto, eppure non lasciava trapelare niente. Era più profonda lei della fossa delle Marianne, era più brillante lei di tutti quegli insulsi insegnanti che le dicevano cosa fare. Un giorno, probabilmente, dal suo grazioso involucro sarebbe traboccato qualcosa che avrebbe fatto riflettere le persone stolte di quel posto e le avrebbe purificate dalle menzogne in cui vivevano.

Em era una persona speciale per Eloise e se n’era resa conto quando l’anno prima suo padre se n’era andato lasciandola sola con sua madre. Il mondo, anzi, l’intero universo le era crollato addosso ed Emily era stata l’infermiera che con pazienza e tanto amore le aveva tamponato il sangue che sgorgando aveva macchiato la sua fragile persona. Quel periodo era stato l’incubo annebbiato che aveva tormentato le giornate di Elly; nemmeno quando dormiva riusciva a trovare pace. Sin dal momento in cui si costringeva ad alzarsi dal letto, malediceva ogni singolo istante in cui il semplice respirare le riportava in mente il dolore che rendeva il suo corpo vuoto e i suoi muscoli tremolanti dalla fatica.

Proprio per questo Eloise odiava quei pensieri sporchi che di tanto in tanto emergevano in superficie e colpivano la sua amica segretamente. Si sentiva in colpa e si odiava fino a quando quella voce odiosa e sommessa scompariva riportando Elly alla solita ed apparente lucidità.

Se solo Emily l’avesse voluto, in quell’esatto istante, si sarebbe potuta sedere al fianco delle belle e popolari cheerleader. Aveva l’aspetto giusto, la media giusta e le occasioni giuste per essere una dei temuti “Implacabili” ma lei non voleva e non aveva mai voluto sentirne parlare. Più volte le era stato detto da Carry Wilson che se avesse voluto sarebbe potuta entrare a far parte delle cheerleader, ma la sua risposta era stata sempre la stessa : “ti ringrazio, ma non mi interessa”.

Non le interessava quel mondo pieno di odio reciproco, di gelosie e di finti sorrisi. Non le interessava essere vista dagli altri come una stronza prepotente ed egocentrica e non le interessava andare alle loro feste piene di alcool e sesso, per poi mascherarsi da puritana ed indossare un crocifisso od un rosario al collo. Era una persona coerente lei, ed un’amica fedele che non si era mai curata di essere quel che invece non era.

In mensa regnava la solita atmosfera caotica ed energica ed Eloise si mise rapidamente in fila con il vassoio in mano; prese un budino ed una pepsi ma si pentì rapidamente di aver usufruito dei suoi soldi per così poco. Quel giorno avrebbe dovuto festeggiare il suo primo vero e proprio pasto a scuola con qualcosa di più abbondante. Si guardò attorno e li vide uno per uno, con gli occhi persi nel loro piccolo mondo pieno di una luce che accecava chiunque non fosse abituato a circondarsene. Eloise, in quell’esatto istante, ne era profondamente accecata; li guardava cercando di vincere la potenza di quel bagliore e desiderava bearsi di quella loro meravigliosa spensieratezza e spavalderia, di quella presunzione che li rendeva delle corazze impenetrabili e macchine da guerra temibili. Desiderava con tutta se stessa sedere al fianco degli “Implacabili”, ma non appena uno di loro alzò gli occhi e li puntò su di lei, abbassò lo sguardo imbarazzata e sperò che nessuno si fosse ricordato che Eloise McKenzie era una delle loro abituali vittime.

Era davvero un meccanismo complesso quello del bullismo. Per esistere i bulli avevano bisogno di persone da poter colpire nel punto più debole; sì, perché ferire e basta non era sufficiente, bisognava distruggere dentro fino a spingere quella persona ad odiare se stessa. Ma non finiva qui, poiché per non perdere il proprio potere i bulli avevano bisogno di continue vittime, e come mostri che succhiano energia vitale, loro dovevano continuare a colpire per poter vivere, per placare la loro malattia e continuare ad essere belli della propria forza che nasceva dalla debolezza altrui. I bulli avevano la capacità speciale di captare la sofferenza nell’animo delle persone e poi trasformarla in forza da spendere per continuare a sfruttare quella loro sadica capacità. Erano come macchine non completamente funzionanti che continuavano il loro sporco lavoro, ma che non sarebbero mai state davvero come nuove.

Elly sedette silenziosamente e con lo sguardo basso, in attesa che qualche cheerleader si alzasse per importunarla. Restò zitta una decina di minuti mentre le chiacchere delle sue amiche fluttuavano nell’aria e si mischiavano al resto delle parole che le altre centinaia di bocche sprigionavano. In quel caos dolce, qualcosa però accadde .

Eloise distolse lo sguardo  dal suo budino; delle risate che aveva già udito milioni di volte in passato, attirarono la sua attenzione altrove. Sentì un tremolio alle gambe e una sensazione pungente allo stomaco quando lo vide.

Il resto del mondo sparì per un istante e si fece silenzioso ed invisibile per lasciare a quella creatura tutto lo spazio di cui aveva bisogno. Elly era in uno stato di più totale meraviglia mentre in un apnea di cui a malapena si accorgeva, passava gli occhi su qualcosa di disumano.

Lui era lì, mentre le sue gambe lunghe si muovevano in passi leggeri e impercettibili, quasi fossero indipendenti dal resto del corpo. Sul viso un’espressione buia, la bocca rosea e carnosa serrata duramente e gli occhi scuri che scivolavano su quelli altrui, fulminandoli uno per uno rapidamente. Eloise percepì qualcosa in quelle grandi pozze nere che la lasciarono completamente persa in un susseguirsi di sensazioni veloci come saette che, cariche di un’energia immensa, la accarezzavano restituendole un po’ di quella che perdeva al sorgere del sole. Avrebbe potuto giurare che quel nero profondo rispecchiasse lo stato dell’anima all’interno, e che quel corpo dannatamente bello fosse stato svuotato dalla cattiveria di un mondo che disprezzava le sue creature migliori perché geloso.

Nell’istante in cui Eloise puntò gli occhi su quelli spenti e color carbone di quel ragazzo dalla bellezza eterea, avvertì una strana sensazione. Era come se le sue iridi avessero assunto lo stesso colore di quelle in cui si erano perse, e come se il suo corpo fosse stato sfiorato dalle stesse emozioni che rendevano l’altro uno scrigno cupo e deturpato dentro.

A distoglierla da quel momento di più totale contemplazione fu una strattonata di Emily che, con uno sguardo incuriosito, cercava di captare inutilmente i pensieri che rendevano Eloise completamente assuefatta.


«Che cosa guardi? Ti vedo persa» chiese la ragazza che la osservava con un lieve sorriso.

Eloise fece un cenno con la testa ad indicare la figura misteriosa che l’aveva rapita.

 Kate sgranò gli occhi e scosse la testa velocemente «No! » .

Elly rimase perplessa. Che problema c’era?

 «Non è un maschio, El. Rimuovi dalla tua mente qualunque cosa ti sia passata su di lei e fallo anche il più veloce che puoi!» .

Eloise spalancò la bocca per lo stupore e sbarrò gli occhi; poi sbatté le palpebre più volte, ancora incredula.

 «Ma state scherzando?!» chiese con la voce più acuta del solito «Non è possibile!» .

 Adesso si aspettava la spiegazione più convincente del mondo, oppure avrebbe continuato a crederla a modo suo.

 «Quella lì è Mary Walker, una maniaca criminale! Girano brutte voci su di lei… roba grossa! »

 Eloise non riusciva ancora a crederci, o meglio, non voleva affatto crederci.

 «Se n’è andata da qui due anni fa, quando era ancora al primo anno, perché circolavano strane voci  sul fatto che facesse la stalker ad una cheerleader e quindi il padre l’ha spedita ad Austin dalla madre»

 Emily fece per interromperla ma la loquace ragazza l’azzittì rapidamente e continuò a raccontare la storia che sembrava uscita dal quotidiano locale di due anni prima.

 «E non è tutto! Dicono che lì ad Austin sia stata anche in riformatorio per rissa e spaccio di droga ma altre fonti invece parlano di rehab » .

 Emily sospirò rumorosamente e scosse la testa «Kate, non ti sembra di esagerare? Sono solo voci!»

 «Perché starei esagerando? È una maledetta lesbica maniaca! Per me è tutto vero» .

 Emily fece la solita espressione di resa che faceva quando cercava di evitare una discussione che con Kate sarebbe stata persa in partenza .

«Dio mio che schifo,» continuò la bionda «ma che cavolo è tornata a fare! È disgustosa, sembra un maschio!» .

 

Se quella mattina Elly aveva l’umore a pezzi, ora era completamente distrutta. Aveva appena avuto una giornata “no” a tutti gli effetti e probabilmente da quel momento in poi le sarebbe sembrata interminabile e straziante.

Lanciò ancora uno sguardo alla ragazza seduta sola qualche tavolo più in là, e nella delusione più totale si alzò  e lasciò la mensa con le sue due amiche al seguito . Kate non la smetteva di parlare e rimuginare sciocchezze, ed Emily taceva intelligentemente lasciando che la sua amica si sfogasse in un dibattito a senso unico. Elly si abbandonò ai suoi pensieri non appena capì che la bionda al suo fianco non avrebbe smesso presto di parlare; tra quei flussi svelti di parole che si intrecciavano in modo sgraziato, risuonava per lei un nome : Mary Walker .


Salve a tutti,il mio nome è Francesca. Sarò sincera con voi,mi ero prefissata di dire qualcosa,qualcosa di intelligente magari per invogliarvi a seguire la storia,però ora come ora ho il vuoto più totale. 'Come rose nel deserto' nasce dalla voglia di scrivere una storia d'amore coinvolgente,con lo scopo di far riflettere le persone. Ho abbozzato una mezza idea un anno fa,ma poi per impegni vari ho smesso di scriverla. Quando il bisogno di comunicare,di esprimere,di perdermi in qualcosa di immaginario è tornato ad esser importante e necessario,ho ripreso l'idea e sono tornata  a scrivere con più voglia di prima. Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto,ma sarebbe scontato dire che è solo l'inizio. Sta a voi decidere se valga la pena o meno continuare a seguire la storia,ma vi posso assicurare che non resterete delusi. Se vi va fatemi sapere le prime impressioni ; fa sempre piacere cogliere i pensieri dei lettori anziché immaginarli.

Al prossimo capitolo,
stellanera9 .
  
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