Parte prima
Faccia nuova.
Eloise
Mckenzie , quel giorno , si sentiva particolarmente triste. Era persa
in un
oscuro groviglio di emozioni negative che sembrava la
stessero trascinando lentamente
sul fondo di un oceano pieno di squali. Ma era inevitabile. Lei era una
ragazza
particolarmente sensibile (o debole, come preferiva definirsi) e,
quando
riceveva offese
come
quelle che le avevano fatto il giorno prima, non poteva che sentirsi
giù di
morale.
Non
c’era difesa che reggesse di fronte al
gruppo di bulletti dell’ultimo anno, anche se a dir la
verità, lei nemmeno si
sforzava di trovare un modo per difendersi dal fastidio di quei soprusi.
Le
avevano rubato per l’ennesima volta, dal momento in cui
approdò all’Archer City
High School, i soldi per il pranzo, e come se non fosse sufficiente per
farla
sentire una sfigata ed idiota , le avevano lanciato un gavettone
all’uscita da
scuola, umiliandola davanti a tutti gli studenti.
Eloise
era uno dei tanti bersagli di quei ragazzi dannatamente belli e
popolari. Beati loro, non faceva
altro che
ripetersi osservando i giocatori di football e le cheerleader bionde
dal corpo
perfetto. Quella cerchia così ristretta e potente di persone era il
motivo principale per cui gli altri ragazzi di quel
liceo sviluppavano paure ed insicurezze infinite. Gli
implacabili, erano chiamati, e non c’era altro
aggettivo al
mondo che potesse definirli.
Maledetto
il giorno in cui Eloise decise che avere una buona media a scuola
potesse
essere un gran motivo di
soddisfazione; peccato che, protetta dalla spessa campana di vetro in
cui era
cresciuta fino alle scuole medie, nessuno l’avesse avvertita
che essere secchiona
fosse sinonimo di sfigata e che sfigata fosse sinonimo di vittima
prescelta.
Eloise
si guardò allo specchio e decise che le sue gambe fossero
troppo in carne ,che
il suo seno fosse invisibile e che i lunghi capelli castani sembrassero
sporchi.
«Davvero
un bel modo di iniziare la giornata», si disse.
Non
c’era mattina in cui si trovasse almeno un po’
attraente ,o che semplicemente
fosse soddisfatta del suo corpo. Eppure era una bella ragazza, da quel
che le
sue amiche dicevano, ma ogni volta che glielo ripetevano (per
convincerla di
ciò) , lei non faceva altro che infastidirsi e considerarle
delle bugiarde. Sperava
che un giorno, non troppo lontano, si sarebbe svegliata e si sarebbe
vista
carina. Sì, carina proprio come quelle cheerleader che lei
tanto ammirava. La
notte le avrebbe portato via quei kili che per lei erano di troppo, le
avrebbe
reso i capelli più lisci e lucenti, le avrebbe ingrandito il
seno di una taglia
e, magari, le avrebbe trasformato i suoi occhi verdi in due grandi e
meravigliosi occhioni blu come l’oceano. In fondo chiedeva
poco, no? Soltanto
lei sapeva cosa avrebbe dato per essere la ragazza dei suoi tanto
agognati
sogni, e soltanto lei sapeva quanto triste si sentisse per non essere
nata
esattamente come desiderava che fosse. Dio le aveva dato
l’intelligenza, certo,
ma in fondo cosa se ne faceva? Era proprio quello il motivo per cui
ogni giorno
quella scuola le pareva un inferno; non nascondeva che, senza pensarci
due
volte, avrebbe dato via quella sua intelligenza per un po’ di
bellezza. Forse
era esagerata, troppo piena di complessi e di insicurezze, forse non si
amava
abbastanza, ma perché avrebbe dovuto se non c’era
motivo di farlo?
Si
vestì in fretta e furia e, con
un gran senso di malessere che le riempiva il petto, si diresse a piedi
a
scuola.
***
Per
tutta la mattinata non aveva
fatto altro che evitarlo. Ci girava attorno come una trottola impazzita
che
sempre più fuori controllo di tanto in tanto lo sfiorava. Il
problema diventava
insormontabile durante le lezioni; proprio lì, mentre si
distraeva guardando
fuori dalla finestra ed annoiata da argomenti che già
conosceva, tornava quel
tormento che la prendeva a pugni nello stomaco.
Aveva
chiacchierato con le sue
amiche nei minuti tra una lezione e l’altra, aveva disegnato
alberi e fiori
alla lezione di storia, fingendo di prendere appunti, aveva persino
aiutato
quel fattone di Jeremy nella lezione di matematica ma era stato tutto
una gran
perdita di tempo. Quel senso di disagio profondo che la teneva stretta
in una
morsa soffocante e le inumidiva leggermente gli occhi non aveva
intenzione di
abbandonarla. Più si perdeva in quel sentimento fastidioso e
rattristante, più
le sembrava che si espandesse prendendole ogni cellula di quel corpo
ingiustamente offeso .Era come un ago; un sottile e piccolo ago che,
sottovalutato per le sue dimensioni, premeva sul palmo della mano ogni
qual
volta che gli occhi si accorgevano che fosse lì, e allora da
innocuo passava a
dannoso, e quando il cervello si rendeva conto di quanto male potesse
fare
quella piccola punta, dava l’ordine alle dita di spingerlo
ancora più a fondo . E
così
tra sensi ,sentimenti e movimenti perversi, la mente si perdeva in un
circolo
vizioso apparentemente senza via di uscita.
Nessuno
le aveva detto niente
quella mattina . Nonostante
si sentisse uno
schifo dal momento in cui si era svegliata, nessun individuo degli Implacabili l’aveva
infastidita. Era già
tanto. Forse quel giorno era talmente persa nei suoi pensieri
autolesionisti che,
avvolta da uno
strano velo di invisibilità, era passata inosservata o forse
aveva una faccia
talmente depressa che per un miracolo del cielo era riuscita a
suscitare un po’
di compassione. Compassione negli implacabili?
Era più probabile che le apparisse in sogno la Madonna.
Accennò
un sorriso quando le venne
in mente che non sarebbe stata costretta a stuzzicare qualcosina dal
vassoio
delle sue amiche. Aveva i suoi soldi, suoi e solo suoi.
Si
diresse in mensa mentre un
entusiasmo appena percettibile prendeva ad alleggerirle il petto da
quel grosso
peso. I piedi si muovevano svogliatamente, calpestando il pavimento
bianco e
scivoloso, la testa faceva su e giù seguendo il movimento
sussultorio del
corpo.
«
Eccoci Elly! » strillarono le due
ragazze che si mischiavano alla solita calca della mensa.
Kate
ed Emily erano da sempre le
sue due migliori amiche; persino le loro madri lo erano. Eloise non
ricordava
un singolo momento della sua vita in cui quelle due ragazze non le
fossero
state accanto. Sin dai giorni di cui aveva memoria, loro erano state
una
presenza fondamentale nella sua vita. C’erano state dei
momenti in cui tutto le
era parso vuoto e privo di significato e i suoi pensieri si
amalgamavano in un
vortice oscuro pieno di un odio disarmante e corrosivo.
C’erano state quando
Elly piangeva come una disgraziata per un compito che sfiorava a
malapena la B e
c’erano state quando Adam McKenzie aveva abbandonato sua
moglie e sua figlia
per andare in California con una puttanella più giovane di
quindici anni. A
quello Elly non voleva proprio pensare; era ancora una ferita ricucita
in malo
modo, da cui era sgorgato così tanto sangue che credeva che
prima o poi le
sarebbe scappato via ogni tipo di organo interno.
Katherine
Benson ed Emily Hill
erano tanto unite quanto allo stesso tempo tanto diverse. Lo si intuiva
già
dall’aspetto, era facile capirlo, e restare stupiti nel
vederle chiacchierare
amichevolmente come due migliori amiche in genere fanno.
Kate
era bionda, con uno strano
viso dalla forma ovale e due soffici guance paffute he la facevano
sembrare più
piccola dei suoi quindici anni. Aveva il colorito molto chiaro,che
d’estate, nonostante
il sole violento ed insistente, faticava a vivacizzarsi. I suoi occhi
erano
piccoli, verde acqua, particolarmente belli e con delle ciglia troppo
folte per
una ragazza bionda come lei. Il naso era piccolino, alla francese, e
davvero
molto grazioso. Le labbra piccole e sottili, dalle linee imprecise che
sembravano
disegnate da un bambino di dieci anni, non erano forse la cosa
più bella del
suo viso e Kate lo ripeteva sempre. Era alta poco più del
metro e
sessantacinque, anche se i capelli eccessivamente lunghi, a causa della
sua
avversione per i parrucchieri, la facevano apparire più
bassa. Non era né magra
né grassa; si poteva definire la giusta via di mezzo; ma in
caso di scelta tra
i due estremi, le sue rotondità probabilmente non le
avrebbero permesso di
essere classificata come magra.
Kate
era una tipa tranquilla. Non
amava gli eccessi, non amava alcun tipo di originalità, non
amava nulla che si
distaccasse più di tanto dalla realtà a cui era
abituata ,ma soprattutto, cosa
non meno essenziale, non amava in nessun modo chiunque non fosse
cattolico e
chiunque non fosse bianco. Elly ed Emily non avevano alcun tipo di
problema con
le persone di colore o con chi non professasse la loro stessa
religione, ma
Kate... Kate era cresciuta diversamente e la cosa si rifletteva sul suo
modo di
ragionare e sui suoi ideali. Suo padre aveva passato la vita a
discernere cosa
fosse giusto e cosa fosse sbagliato. Era più giusto un uomo
bianco o un uomo
negro? Era più giusto inculcare alla figlia i suoi stessi
ideali oppure
lasciare che se li costruisse da sola? No, su quello non
c’era proprio alcun
dubbio. Non sia mai che lei un giorno fosse ritornata a casa incinta a
sedici
anni e magari pure di uno “sporco negro”. All’inseguimento
della giustizia, Mark Benson ne aveva fatto la sua ragione di vita e la
sua
professione, scegliendo di essere un poliziotto (anche se da quel che
diceva
era stato il Signore ad aver scelto lui per quella missione degna solo
degli
animi più audaci). Un gran bello spreco di tempo, o meglio,
di vita, quella del
signor Benson. Aveva buttato via la possibilità di avere un
cervello e una
persona piuttosto rispettabile per inseguire stupide idee che parevano
uscite
fuori dalla mente di un pazzo quasi alla portata di Hitler. Non a caso,
Mark
Benson incuteva abbastanza timore ad Elly; era
‘inquietante’ con i suoi piccoli
occhi azzurri e quella sua pelle sempre perfettamente sbarbata, quella
sua voce
roca, quel suo passo svelto...
ma
Elly sapeva che non era certo
colpa di Kate se sin da piccola le erano state trasmesse delle idee così sbagliate
e non se la sentiva di metterla
a disagio facendoglielo notare; forse un giorno se ne sarebbe accorta
da sola.
Niente di tutte quelle porcherie influivano davvero sulla buona amica
che era
Kate e per Eloise ed Emily quella era la cosa più importante.
Tutt’altra
storia era invece Emily.
Lei
sì che era
bellissima. Aveva dei lunghi capelli color cioccolato, sempre
così lisci e
setosi che ogni volta che qualcuno li notava credeva fosse appena
uscita dal
parrucchiere. Il viso aveva dei tratti leggeri, delicati, la pelle era
pallida,
quasi trasparente
; la bocca era grande e carnosa, ben definita e
di un rosso
debole che creava un piacevole contrasto con il candore del viso. Gli
occhi
piccoli e color nocciola avevano un qualcosa di particolare e davano un
accento
esotico e un certo fascino a quel volto che già era bello di
per sé . Emily
non era molto alta, ma era magra
nell’esatto modo in cui la società richiedeva che
le belle ragazze dovessero
essere. Non aveva un seno grande, ma compensava il fatto con un sedere
praticamente perfetto che molte le invidiavano. Anche Eloise,
nonostante si
costringesse spesso con tutte le sue forze per evitarlo, ricadeva in
quella
trappola verde che era chiamata invidia. Era più forte di
lei, le bastava
guardare Emily con degli occhi oggettivi e non più
amichevoli per essere punta
da quel sentimento aspro che odiava con tutta se stessa.
Emily
era un
anno più grande di Kate ed Elly, ma la cosa non faceva molta
differenza ;
erano pur sempre coetanee, no? Lei era l’amica
perfetta, quella che tutti avrebbero voluto avere. Di religione cattolica
anche lei,come la maggior parte degli abitanti di Archer City, non
pretendeva
però che gli altri dovessero credere nel suo stesso Dio;
probabilmente era
l’unica tra gli abitanti sciocchi di quella piccola cittadina
a credere non
perché costretta a farlo ma perché ne sentisse
davvero il desiderio e la
necessità . Aveva confidato ad Eloise che per un periodo si
era convinta di
essere atea, e la cosa non aveva irritato Elly nel modo in cui
probabilmente
avrebbe irritato Kate. Aveva avuto bisogno di un po’ di tempo
per riflettere e
chiedersi i motivi per cui dovesse tenere fede a qualcosa di cui
nessuno poteva
affermare per certa l’esistenza.
Poi una mattina
si alzò e dopo mille e
mille
ragionamenti si rispose dicendo: “senza un Dio che mi
dà la speranza di cui ho
bisogno, vivo ogni giorno al buio e
in un modo che mi rende cupa”. Proprio così,
Emily Hill era tornata a credere ed era tornata ad avere la luce di cui
aveva
bisogno .
Era
una persona particolarmente
intelligente, Em, ma non tutti se ne rendevano conto. A scuola non
eccelleva
particolarmente, nonostante se la cavasse abbastanza bene in ogni
materia. In
quella cittadina c’era la credenza sbagliata che le persone
per essere acute e
brillanti, dovessero avere all’incirca la stessa media di
Eloise McKenzie. Le
persone però potevano essere più sveglie ed
intelligenti di lei senza magari
rendere molto nell’ambito scolastico come lei stessa faceva .
Elly infatti era
convinta che Emily avesse qualcosa di più di tutti i
secchioni con la quale
spesso era messa a confronto, che avesse una testa diversa da tutti gli
altri e
un modo di ragionare che apparteneva solo a lei; non a caso, tra le
tre, era Em
che dava sempre i consigli migliori.
Quella
ragazza che
nessuno conosceva davvero, neppure le persone che aveva accanto, aveva
dentro di
tutto, eppure non lasciava trapelare niente. Era più
profonda lei della fossa
delle Marianne, era più brillante lei di tutti quegli
insulsi insegnanti che le
dicevano cosa fare. Un giorno, probabilmente, dal suo grazioso
involucro
sarebbe traboccato qualcosa che avrebbe fatto riflettere le persone
stolte di
quel posto e le avrebbe purificate dalle menzogne in cui vivevano.
Em
era una
persona speciale per Eloise e se n’era resa conto quando
l’anno prima suo padre
se n’era andato lasciandola sola con sua madre. Il mondo, anzi,
l’intero universo le era
crollato addosso ed Emily era stata l’infermiera che con
pazienza e tanto amore
le aveva tamponato il sangue che sgorgando aveva macchiato la sua
fragile
persona.
Quel periodo era stato l’incubo annebbiato che
aveva tormentato le
giornate di Elly; nemmeno quando dormiva
riusciva a
trovare pace. Sin dal momento in cui si costringeva ad alzarsi dal
letto, malediceva
ogni singolo istante in cui il semplice respirare le riportava in mente
il
dolore che rendeva il suo corpo vuoto e i suoi muscoli tremolanti dalla
fatica.
Proprio
per
questo Eloise odiava quei pensieri sporchi che di tanto in tanto
emergevano in
superficie e colpivano la sua amica segretamente. Si sentiva in colpa e
si
odiava fino a quando quella voce odiosa e sommessa scompariva
riportando Elly
alla solita ed apparente lucidità.
Se
solo Emily
l’avesse voluto, in quell’esatto istante, si
sarebbe potuta sedere al fianco
delle belle e popolari cheerleader. Aveva l’aspetto giusto,
la media giusta e
le occasioni giuste per essere una dei temuti
“Implacabili” ma lei non voleva e
non aveva mai voluto sentirne parlare. Più volte le era
stato detto da Carry
Wilson che se avesse voluto sarebbe potuta entrare a far parte delle
cheerleader, ma la sua risposta era stata sempre la stessa :
“ti ringrazio, ma
non mi interessa”.
Non
le
interessava quel mondo pieno di odio reciproco, di gelosie e di finti
sorrisi.
Non le interessava essere vista dagli altri come una stronza prepotente
ed
egocentrica e non le interessava andare alle loro feste piene di alcool
e
sesso, per poi mascherarsi da puritana ed indossare un crocifisso od un
rosario
al collo. Era una persona coerente lei, ed un’amica fedele
che non si era mai
curata di essere quel che invece non era.
In
mensa regnava
la solita atmosfera caotica ed energica ed Eloise si mise rapidamente
in fila
con il vassoio in mano; prese un budino ed una pepsi ma si
pentì rapidamente di
aver usufruito dei suoi soldi per così poco. Quel giorno
avrebbe dovuto
festeggiare il suo primo vero e proprio pasto a scuola con qualcosa di
più
abbondante. Si guardò attorno e li vide uno per uno, con gli
occhi persi nel
loro piccolo mondo pieno di una luce che accecava chiunque non fosse
abituato a
circondarsene. Eloise, in quell’esatto istante, ne era
profondamente accecata;
li guardava cercando di vincere la potenza di quel bagliore e
desiderava bearsi
di quella loro meravigliosa spensieratezza e spavalderia, di quella
presunzione
che li rendeva delle corazze impenetrabili e macchine da guerra
temibili.
Desiderava con tutta se stessa sedere al fianco degli
“Implacabili”, ma non
appena uno di loro alzò gli occhi e li puntò su
di lei, abbassò lo sguardo
imbarazzata e sperò che nessuno si fosse ricordato che
Eloise McKenzie era una
delle loro abituali vittime.
Era
davvero un
meccanismo complesso quello del bullismo. Per esistere i bulli avevano
bisogno di persone da poter colpire nel punto più debole;
sì, perché ferire e
basta non era sufficiente, bisognava distruggere dentro fino a spingere
quella persona
ad odiare se stessa. Ma non finiva qui, poiché per non
perdere il proprio
potere i bulli avevano bisogno di continue vittime, e come mostri che
succhiano
energia vitale, loro dovevano continuare a colpire per poter vivere,
per
placare la loro malattia e continuare ad essere belli della propria
forza che
nasceva dalla debolezza altrui. I bulli avevano la capacità
speciale di captare
la sofferenza nell’animo delle persone e poi trasformarla in
forza da spendere
per continuare a sfruttare quella loro sadica capacità.
Erano come macchine non
completamente funzionanti che continuavano il loro sporco lavoro, ma
che non
sarebbero mai state davvero come nuove.
Elly
sedette
silenziosamente e con lo sguardo basso, in attesa che qualche
cheerleader si
alzasse per importunarla. Restò zitta una decina di minuti
mentre le chiacchere
delle sue amiche fluttuavano nell’aria e si mischiavano al
resto delle parole
che le altre centinaia di bocche sprigionavano. In quel caos dolce,
qualcosa
però accadde .
Eloise
distolse
lo sguardo dal suo
budino; delle risate
che aveva già udito milioni di volte in passato, attirarono
la sua attenzione
altrove. Sentì un tremolio alle gambe e una sensazione
pungente allo stomaco quando
lo vide.
Il
resto del
mondo sparì per un istante e si fece silenzioso ed
invisibile per lasciare a
quella creatura tutto lo spazio di cui aveva bisogno. Elly era in uno
stato di
più totale meraviglia mentre in un apnea di cui a malapena
si accorgeva, passava
gli occhi su qualcosa di disumano.
Lui
era lì, mentre
le sue gambe lunghe si muovevano in passi leggeri e impercettibili,
quasi
fossero indipendenti dal resto del corpo. Sul viso
un’espressione buia, la
bocca rosea e carnosa serrata duramente e gli occhi scuri che
scivolavano su
quelli altrui, fulminandoli uno per uno rapidamente. Eloise
percepì qualcosa in
quelle grandi pozze nere che la lasciarono completamente persa in un
susseguirsi di sensazioni veloci come saette che, cariche di
un’energia
immensa, la accarezzavano restituendole un po’ di quella che
perdeva al sorgere
del sole. Avrebbe potuto giurare che quel nero profondo rispecchiasse
lo stato
dell’anima all’interno, e che quel corpo
dannatamente bello fosse stato
svuotato dalla cattiveria di un mondo che disprezzava le sue creature
migliori perché
geloso.
Nell’istante
in
cui Eloise puntò gli occhi su quelli spenti e color carbone
di quel ragazzo
dalla bellezza eterea, avvertì una strana sensazione. Era
come se le sue iridi
avessero assunto lo stesso colore di quelle in cui si erano perse, e
come se il
suo corpo fosse stato sfiorato dalle stesse emozioni che rendevano
l’altro uno
scrigno cupo e deturpato dentro.
A
distoglierla
da quel momento di più totale contemplazione fu una
strattonata di Emily che,
con uno sguardo incuriosito, cercava di captare inutilmente i pensieri
che
rendevano Eloise completamente assuefatta.
«Che cosa
guardi? Ti vedo persa» chiese la ragazza che la osservava con
un lieve sorriso.
Eloise
fece un
cenno con la testa ad indicare la figura misteriosa che
l’aveva rapita.
«Dio mio che schifo,» continuò la bionda «ma che cavolo è tornata a fare! È disgustosa, sembra un maschio!» .
Se
quella
mattina Elly aveva l’umore a pezzi, ora era completamente
distrutta. Aveva
appena avuto una giornata “no” a tutti gli effetti
e probabilmente da quel
momento in poi le sarebbe sembrata interminabile e straziante.
Lanciò ancora uno sguardo alla ragazza seduta sola qualche tavolo più in là, e nella delusione più totale si alzò e lasciò la mensa con le sue due amiche al seguito . Kate non la smetteva di parlare e rimuginare sciocchezze, ed Emily taceva intelligentemente lasciando che la sua amica si sfogasse in un dibattito a senso unico. Elly si abbandonò ai suoi pensieri non appena capì che la bionda al suo fianco non avrebbe smesso presto di parlare; tra quei flussi svelti di parole che si intrecciavano in modo sgraziato, risuonava per lei un nome : Mary Walker .
Salve a tutti,il mio nome è Francesca. Sarò sincera con voi,mi ero prefissata di dire qualcosa,qualcosa di intelligente magari per invogliarvi a seguire la storia,però ora come ora ho il vuoto più totale. 'Come rose nel deserto' nasce dalla voglia di scrivere una storia d'amore coinvolgente,con lo scopo di far riflettere le persone. Ho abbozzato una mezza idea un anno fa,ma poi per impegni vari ho smesso di scriverla. Quando il bisogno di comunicare,di esprimere,di perdermi in qualcosa di immaginario è tornato ad esser importante e necessario,ho ripreso l'idea e sono tornata a scrivere con più voglia di prima. Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto,ma sarebbe scontato dire che è solo l'inizio. Sta a voi decidere se valga la pena o meno continuare a seguire la storia,ma vi posso assicurare che non resterete delusi. Se vi va fatemi sapere le prime impressioni ; fa sempre piacere cogliere i pensieri dei lettori anziché immaginarli.
Al prossimo capitolo,stellanera9 .