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Autore: nightswimming    29/12/2013    7 recensioni
“Da uno alle trattative per terminare la guerra delle Falkland, quanto sarà complicato porre fine a questa inciviltà?”
Mycroft Holmes finse di pensarci per un attimo.
“Direi che siamo al livello dell’organizzazione delle Olimpiadi” replicò laconico.
Sherlock alzò gli occhi al cielo.
“Ridicolo.”

(established!Johnlock + lievissimo established!Mystrade)
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice: buonasera a tutti! Scritta per la lotteria di Natale del TCATH, con prompt dell’altissima levissima purissima Macaron, amatela <3 Il prompt (dal quale mi sono presa qualche libertà) era il seguente:
John va sempre a vedere le partite dell'Arsenal al pub con Lestrade ma prima della finale di Champions/coppa d'Inghilterra/salcazzo succede qualche imprevisto per cui devono rimanere a guardarla a Baker street. L'Arsenal, essendo l'Arsenal, perde in modo rocambolesco ed estremamente deprimente. Mycroft e Sherlock tornano a casa e trovano quelle che dovrebbero essere le loro dolci metà in uno stato drammatico per loro assolutamente immotivato. Andate a sentimento ma a me fa proprio ridere l'idea di questi due Holmes che si trovano davanti due uomini distrutti dal risultato calcistico e semplicemente non capiscono quale sia il motivo di tanta lagna, non ci arrivano. (Bonus per Sherlock che consola John in qualsiasi modo o per John che si fa passare il nervoso in qualsiasi modo, “compresa una partita a carte” cit.)
 
 
 
 
 
 
 
 
Notte a rischio, caro fratello. MH
 
Smetti di bere, Mycroft. Stai vaneggiando. SH
 
Come preferisci. Io ti ho avvertito. MH
 
*
 
“ARBITRO, OCCHIALI!”
Sherlock Holmes poteva definirsi un uomo difficile da stupire. Il suo sovrumano spirito di osservazione raramente gli lasciava spazio per le sorprese. Aveva cominciato a dedurre i suoi regali di Natale a tre anni (persino il treno giocattolo che Mycroft gli aveva donato quando era partito per Cambridge in un impeto, mai più ripetutosi, di affetto fraterno) e da là allo scoprire altarini vari ed eventuali sulla scena del crimine, era stato un battito di ciglia.
Detto ciò, nulla avrebbe potuto prepararlo allo spettacolo che gli si parò davanti agli occhi quando varcò la soglia del 221B di Baker Street.
“Mia nonna sarebbe più brava nei calci piazzati. Ha ottant’anni. E l’artrite.”
“Non me lo dire, Greg. Non so cosa diavolo passasse nella testa di Wenger quando decise di comprare questo brocco, questo-”
“-questa patetica caricatura di- MA NO, CHE ERI SOLO DAVANTI AL PORTIERE! MA NO! SII UOMO!”
“John” disse Sherlock, frastornato. Il suo sguardo si spostò sull’altro occupante del suo divano. “Lestrade” constatò con oltraggio a malapena contenuto. “Cosa diavolo ci fai qui?”
Il DI alzò in segno di saluto la bottiglia di birra che aveva in mano.
“Sherlock” disse con un sorriso distratto e gli occhi incollati allo schermo. “Grazie dell’ospitalità. Al pub dove andiamo di solito c’era un addio al nubilato, così…”
Sherlock si sfilò la sciarpa con un gesto secco.
“Così cosa? Non vedo nessuna consequenzialità in quello che-”
Il campanello squillò. Sherlock lanciò un’occhiata penetrante al proprio compagno, che in quel momento nulla aveva della sua solita, rassicurante, pacata aria di buon senso. Al contrario: era paonazzo in viso ed alternava grugniti senza senso a urla belluine di puro odio. La tv sembrava averlo completamente lobotomizzato.
“John, vai ad aprire” disse con aria imperiosa e, sperava, definitiva. Si avviò in cucina a marce forzate e ingollò d’un colpo un bicchiere d’acqua gelida riempito al lavandino.
Trenta secondi dopo il campanello squillò di nuovo.
“JOHN!”
“Vai tu ad aprire, per favore.”
“Cos- No!” sbraitò sporgendo la testa oltre il muro della cucina. “Perché mai dovrei? Non l’ho mai fatto e non intendo certo-”
“C’è sempre una prima volta” fu l’assente risposta. “Eh, ma non si fa così! Non si fa così! Se quello si butta in quel modo anche in Champions e pensa di farla franca, si sbaglia di grosso! Gli arbitri europei non sono certo permissivi come i nostri.”
“Ben detto” fu l’entusiastica risposta di Lestrade. “Il ragazzo promette bene, ma ha bisogno di maturare. Questi sono trucchi da pivelli.”
Il campanello riprese a suonare, questa volta per – Sherlock non poté fare a meno di contare – dieci secondi filati.
“Se speri di farla franca” sibilò attraversando il salotto con tre rabbiose falcate, il dito indice puntato petulantemente contro John che lo ignorò a bella posta, “se speri di continuare a sprecare il mio tempo in questo modo-”
“NO NO NO QUALCUNO LO FERMI-”
“SPACCAGLI LE GAMBE! MIRA AGLI STINCHI! BUTTALO GIU’!”
“Chi diavolò è?” urlò Sherlock socchiudendo la porta fermata dalla catenella.
“Buonasera, caro fratello” gli giunse un’odiosamente famigliare voce unta. “Spero di non disturbare.”
“No, no, noooo…”
“Ecco, lo sapevo. Difesa di merda! Di merda!”
“E siamo solo al trentesimo del primo tempo” sospirò John passandosi le mani fra i capelli con aria affranta.
Sherlock li guardò con sommo disprezzo e un pizzico di sbigottimento. Poi infilò un occhio azzurissimo nella fessura della porta e, fulminato Mycroft con lo sguardo, sibilò: “Da uno alle trattative per terminare la guerra delle Falkland, quanto sarà complicato porre fine a questa inciviltà?”
Mycroft Holmes finse di pensarci per un attimo.
“Direi che siamo al livello dell’organizzazione delle Olimpiadi” replicò laconico.
Sherlock alzò gli occhi al cielo.
“Ridicolo.”
 
*
 
“Arsenal Football Club” declamò poco dopo Mycroft in piedi nella cucina di Baker Street, con la voce grave che riservava ai processi per alto tradimento e lesa maestà. “Fondato nel 1886. Vincitore di tredici titoli di Premier League guadagnati in tempi gloriosi e molto, molto lontani.” Fece rintoccare l’ombrello a terra con un sospiro. “Tragicamente, colleziona una serie di sconfitte nazionali e internazionali da dieci anni filati.”
Sherlock tamburellò nervosamente le dita sul lavello. Dal salotto si udivano continui gemiti sconfortati, come di qualcuno che stesse morendo di colite.
“Beh, quanto ci vuole prima che perdano di nuovo e io possa riavere John in condizioni umane?” domandò seccato.
Sherlock fece schioccare le labbra.
“Tatto, Sherlock. Tatto e diplomazia” disse con aria fastidiosamente genitoriale. “Non sono il nome di due malattie mortali, checchè tu ne pensi.”
Il detective sbuffò dalle narici come un cavallo imbizzarritò.
“Mio caro fratello” disse con un sorriso assassino, “graziosamente, dal profondo del mio cuore vorrei congedare la tua solenne persona e quell’indegna imitazione di ufficiale pubblico il prima possibile. A lui intendo mandare un invito scritto, sbalzato nell’argento, mentre a te, conscio del profondo legame che ci unisce, dico subito fuori dai co-
Mycroft alzò un sopracciglio.
“La vita coniugale non ha migliorato il tuo senso dell’umorismo” disse lanciando uno sguardo tutto sommato intenerito alla fede che brillava al suo anulare sinistro.
“E tu da quando hai impalmato quello sbirro di mezza tacca sei ancora più indegnamente grasso, se possibile.”
“Tatto” ripetè Mycroft senza far una piega, avviandosi fuori dalla cucina. “Tatto e diplomazia. Tra un’ora sarà tutto finito.”
 
*
 
Trenta minuti dopo, l’Arsenal perdeva il North London Derby contro il Tottenham tre a uno, John e Lestrade avevano le guance scavate dalle unghie come due eroine tragiche e i fratelli Holmes si trovavano, impotenti, ad assistere ai prodromi di un inevitabile tracollo psicofisico delle loro dolci metà.
Dopo l’ennesimo sospiro da martire cattolico di John, Sherlock sentì di aver raggiunto il limite.
“Questa insensatezza è snervante” ringhiò lanciando occhiate di fuoco agli occupanti del divano, stravaccati senza, all’apparenza, più voglia di vivere in corpo. “Andiamo, John, non affondare oltre in questa spirale di demenza! Questa patetica squadruccia perde da anni? Cambiala! Aspetta la fine di ogni ridicolo campionato e poi, quando mancano poche partite, salta sul carro del vincitore così festeggi e sei felice e-”
Sulla stanza calò un silenzio pesante come Guerra e Pace.
Sentendosi osservato – no, sentendosi giudicato con sconvolta gravità da tutti gli occupanti della stanza, Sherlock increspò le labbra e disse: “Non… Commento socialmente inappropriato?”
Lestrade scosse la testa con aria sconsolata. Mycroft si schiarì la voce e guardò altrove.
John invece sussurrò, con il tono apparentemente calmo che usava quando Sherlock l’aveva deluso così tanto che non riusciva subito ad arrabbiarsi per l’entità del danno inflittogli: “Tifo questa squadra da quando avevo sei anni. E’ forse l’unica cosa che davvero mi unisca a mio padre. So che ti sembra stupido, tutto questo, questo… Affanno, ma speravo capissi che per me non si tratta solo di calcio. All’Arsenal sono legati alcuni dei più bei ricordi della mia vita. E fidati: prima di incontrare te, non è che avessi avuto tanto di bello né da vivere, né da ricordare.”
Dopodiché si alzò e, dopo aver salutato Mycroft con un cenno del capo e Lestrade con una pacca solidale sulla spalla, salì le scale e sparì al piano di sopra.
Calò un altro silenzio. Lentamente, Mycroft si alzò in piedi e si posizionò davanti all’ispettore, che sembrava imbarazzato.
“Hai mangiato solo patatine, immagino” disse il maggiore degli Holmes con una voce sinceramente premurosa che Sherlock ricordava vagamente aver abitato la propria infanzia. Lestrade annuì con un sorriso forzato. “Bene” proseguì Mycroft carezzandogli una guancia. Sherlock strabuzzò gli occhi e arricciò il naso con un’aria tra lo spiazzato e il disgustato, come un bambino piccolo che guardi un bacio alla televisione. “Credo sia opportuno un qualche tipo di distrazione da questa triste, sebbene dignitosissima, sconfitta.”
“Fuori di qui, per carità di Dio” gemette Sherlock. “Qualunque tipo di distrazione abbiate in mente.”
 
*
 
Mezz’ora dopo, sebbene fosse ancora combattuto fra il lasciar sbollire John e il correre nella loro stanza per accertarsi di non aver rovinato le cose in maniera più grave di quanto pensasse, Sherlock si decise a salire le scale a sua volta e affrontare il suo destino.
Indugiò davanti alla porta chiusa per qualche secondo, poi, scuotendo la testa e dandosi del vigliacco e dell’irragionevole, bussò.
“Avanti.” Sherlock tirò un sospiro di sollievo: John aveva risposto subito. Buon segno.
Entrò con passo cauto, strizzando gli occhi per fendere la semi-oscurità che invadeva la camera.
John era seduto sul letto e teneva una cornice fra le mani. Sherlock la conosceva bene. Compariva solo in quelle rare occasioni in cui John si sentiva nostaligico del passato – del tempo trascorso prima del loro incontro.
“Non ci capivamo per nulla, sai” sussurrò il dottore con una punta di triste ironia nella voce. “Eravamo completamente diversi. Da bambino me lo ricordò come un papà fantastico, ma poi, crescendo…” Sospirò.
Sherlock gli si sedette accanto in silenzio e guardò oltre la sua spalla. Nella foto, un John decenne e un uomo da cui aveva preso i capelli biondi e la forma della mascella sorridevano da un pontile, le canne da pesca in mano.
“Ci vediamo solo alle feste, per il compleanno mio e di Harry e per andare allo stadio, quelle rare volte in cui l’Arsenal passa gli ottavi di finale.” John scosse la testa e rimise la foto nel cassetto del comodino. Tacque per alcuni secondi, poi unì le mani a penzoloni fra le proprie ginocchia e disse: “Amo mio padre, ma non mi piace. Come persona, intendo. Non abbiamo niente in comune. E’ lo stesso con Harry. Solo che con Harry non ho nemmeno il calcio, come estremo punto di contatto.”
Voltò la testa e gli sorrise. Sembrava più vecchio di dieci anni. “Non ti chiedo di capire. Ti chiedo solo di non fare ostruzionismo, di non… deridere questo mio salvagente emotivo. Puoi fare questo per me?”
Sherlock sentì le guance bruciargli di vergogna e annuì. Dopo qualche secondo di teso silenzio, mormorò con una delicatezza che sorprese persino sé stesso: “Posso baciarti?”
John lo guardò lievemente sorpreso.
“Certo” disse, un sorriso incredulo. “Non hai bisogno di chiederlo, Sherlock. Mai.”
Sherlock sentì le gambe tremargli per il sollievo. Si schiarì la voce, poi disse: “Avrai notato che la comunicazione verbale non è il mio forte. Temo di peggiorare la situazione se provo a consolarti a parole.”
John rise di gusto, inaspettatamente, meravigliosamente. Sherlock lo guardò permettendosi per la prima volta di sorridere.
“Sta cercando di sedurmi, signor Holmes?” mormorò John con una stupida, stupidamente splendida espressione finto-maliziosa in volto.
Sherlock si guardò intorno e alzò un sopracciglio.
“Le circostanze vogliono che ci troviamo su un letto.”
John gli prese il viso fra le mani e lo baciò, piano, dolcemente, a lungo. Sherlock sospirò di piacere e se lo tirò vicino con un abbraccio.
“Non hai colto la citazione, vero?” sussurrò senza fiato John sulle sue labbra.
Sherlock batté le palpebre. Non si poteva permettere un altro passo falso; non in un momento così delicato di riappacificazione.
“Certo che l’ho colta.”
John sorrise con aria scettica.
“Ma davvero.”
“Ovvio.”
“Bene. Allora non avrai problemi a indossare quello che indossava il personaggio a cui era rivolta quella battuta.” Un altro bacio, più languido, più passionale. “E poi a togliertelo per me.”
Sherlock sentì come una premonizione funesta pizzicargli il collo, ma, dato che si considerava un essere del tutto razionale che disprezzava quel genere di segnali, decise di ignorarla del tutto.
“Certo che no.”
 
*
 
La mattina dopo Sherlock si svegliò distrutto, sudato e con le braccia squassate dai crampi. Vaghi ricordi di una lunga, adorante, sentitissima riappacificazione gli invasero la mente; fu solo quando il cellulare squillò e lui fece per raggiungerlo che si rese conto di essere legato alla testiera del letto con un paio di collant da donna.
Dopo un minuto di maledizioni indirizzate al solo soffitto (John era uscito presto per andare in clinica, il maledetto bastardo) riuscì a districarsi e raggiunse il telefono.
C’era un messaggio.
Così impari a mentire. Stasera comunque guardiamo Il Laureato. E’ inconcepibile che tu sia riuscito a vivere senza vederlo fino a questo momento. JW
Scordatelo. Non sento più le spalle. E’ stato un colpo basso. Non te lo meriti. SH
Al contrario: credo di avere ancora un gran numero di punti-perdono da sfruttare. JW
 
Sherlock scagliò infastidito il cellulare sul cuscino e tentò del suo meglio per non sorridere e per non essere felice della propria vita, ma non ci riuscì.
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: “Febbre a 90°” è un bellissimo libro di Nick Hornby, anche lui grande tifoso dell’Arsenal. :D
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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