Fanfic su artisti musicali > VIXX
Segui la storia  |      
Autore: Love_My_Spotless_Mind    29/12/2013    1 recensioni
Hakyeon vive una vita semplice senza sconvolgimenti nell'orfanotrofio nel quale è vissuto fin da bambino. L'arrivo di Leo, però, potrebbe sconvolgere la sua vita fatta di regole.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Leo, N
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ricordo vagamente il primo giorno in cui entrai in orfanotrofio. Ero un bambino molto piccolo e quel luogo mi appariva gigantesco. Non ricordo chi fu ad accompagnarmi, ero troppo rapito dall’ampiezza del corridoio e dalle tante scale che conducevano alle camere per far caso a lui.
Non so se i primi tempi furono difficili per me, se chiedessi dei miei genitori, se volessi tornare da dove ero venuto, so solo che iniziai fin dal primo giorno a fare amicizia con gli altri bambini. Avevo quattro anni quando arrivai ma era come se prima di entrare in istituto non avessi vissuto. Della vita che conducevo prima, se era stata felice o meno, non possedevo assolutamente nulla.
Molti dei bambini erano più grandi di me. Indossavamo tutti la divisa, sia per i maschi che per le femmine era di un marrone scuro particolarmente triste. La giornata era divisa per orari molto rigidi che bisognava rispettare senza obbiezioni. La mattina studiavamo tutti insieme, divisi per fasce d’età, nelle aule al piano inferiore. Pranzavamo nella mensa e fino alle tre del pomeriggio potevamo giocare in giardino. Dopo ognuno di noi faceva attività diverse: musica, sport, disegno e , dopo la cena alle sei del pomeriggio, si andava tutti in camera.
La routine non mi dispiaceva, non sapevo come fosse vivere in modo diverso quindi non potevo fare paragoni, e poi, molti bambini mi erano simpatici e giocavo insieme a loro divertendomi molto. Il pomeriggio facevo i compiti, studiavo pianoforte, sistemavo la mia stanza.
Il sabato e la domenica venivano a trovarci i “genitori”. Erano delle persone che cercavano bambini da adottare. Ci guardavano pranzare, provavano a giocare con noi nel pomeriggio e, durante l’ora delle attività, ne sceglievano uno con cui parlare.
Nel corso degli anni avevo visto molti amici andare via a seguito di questo meccanismo. Venivano scelti, convocati nell’aula della direttrice, parlavano con gli adulti e le visite iniziavano a ripetersi sempre più spesso fino a quando venivano portati via.
I genitori dicevano sempre, mentre li facevano salire sulla loro macchina : “Tranquillo, tornerai a trovare i tuoi amichetti.” Ma poi quei bambini non tornavano più.
Chiesi più volte alla maestra perché i bambini non tornassero anche se lo avevano promesso e lei mi rispondeva “ È perché hanno una famiglia, ora. Di questo posto se ne saranno già dimenticati, non pensarci più.”
Fu così che i bambini pian piano diminuirono. I nuovi erano per lo più neonati e con nessuno di loro potevo giocare.
Passarono altri anni ed io arrivai a compierne quindici. Ormai nessuno mi avrebbe più scelto, ero il più grande e nessuna famiglia avrebbe mai voluto un ragazzo così vicino alla maggiore età.
Una domenica mattina, mentre ero solo nell’aula a fare i compiti, affacciandomi alla finestra, vidi arrivare un ragazzo. Era accompagnato da un’assistente sociale, una signora che accompagnava spesso i nuovi arrivati e con la quale avevo avuto un paio di colloqui.
Restai meravigliato a fissare l’arrivo di quel ragazzo misterioso. Aveva i capelli nerissimi, più lunghi di quanto li lasciassero tenere a noialtri. Aveva la pelle molto pallida e l’espressione del viso sembrava contrariata.
“Chi mai vorrebbe venire, alla sua età, in un posto come questo?” pensai.
Mi affrettai a salire le scale per raggiungere l’atrio, volevo saperne di più di quel nuovo arrivo.
L’assistente sociale stava parlando con la direttrice e lui era seduto sulla vecchia poltrona vicino al camino. Il calore del fuoco sembrava starlo rincuorando un po’.
La direttrice fece il suo solito discorso, né una virgola in più, né una in meno. Spiegò le regole, gli orari, le attività, il programma scolastico. Avevo sentito quel discorso almeno un centinaio di volte, avevo sempre pensato che ce l’avesse scritto da qualche parte e che ogni sera lo rileggesse per non dimenticare nessun punto.
-Non è mai capitato che un ragazzo arrivasse alla tua età.  –spiegò –Ma, per fortuna, è rimasto un ragazzo con qualche mese in più di te. Almeno potrò mettervi in stanza insieme. Il suo nome è Hakyeon, è un bravo alunno e ti spiegherà lui nel dettaglio come funzionano le cose qui. –
Il ragazzo annuì debolmente.
Gli venne data la sua divisa, già cucita della sua misura.
-A quest’ora i ragazzi stanno facendo attività individuale. – disse – È meglio che tu vada a sistemare le tue cose nella tua stanza. Penserò io ad avvertire il tuo coinquilino. –
In quel momento la direttrice notò la mia presenza. si era anche risparmiata la fatica di dovermi spiegare la situazione. 
Condussi il ragazzo verso la nuova stanza che ci era stata assegnata. Per mia fortuna non avrei più dovuto dormire con i piccoli. La nostra camera era solitaria, alla fine del corridoio del terzo piano. Le altre stanze erano sgabuzzini e ripostigli.
Il ragazzo mi seguì silenzioso. Sembrava intimorito dalla situazione. I suoi occhi nerissimi scrutarono il corridoio impolverato, il suo passo era lento ed incerto.
-Questo piano è in condizioni pessime. – spiegai. – Qui non dorme nessuno e, quindi, nessuno se ne occupa. Mentre tu sistemi le tue cose, io passerò lo straccio al corridoio e molta di questa polvere andrà via. –
La nostra stanza era stretta ma, almeno, aveva una finestra. Lui posò la valigia su uno dei vecchi letti, che scricchiolò rumorosamente. Si diresse verso il gigantesco armadio di legno massiccio ed aprì le ante. Altra polvere gli cadde addosso, facendolo tossire.
Se mi fossi trovato nella sua situazione sarei stato molto confuso. La vita reale è molto diversa da quella del luogo dove vivevo, me ne rendevo perfettamente conto. Doveva essergli successo qualcosa di terribile, per arrivare in un orfanotrofio a quattordici anni.  In effetti, sembrava molto provato.
-Il mio nome è Hakyeon. – dissi.
Lui non rispose.
-Qual è il tuo? – chiesi allora.
-Leo –
-Ohh…è un bel nome, non l’ho mai sentito. –
Iniziò a disfare la sua valigia. Non vedo a cosa potessero servirgli altri vestiti, visto che, ormai, aveva la divisa. Nessuno di noi aveva altri vestiti oltre quella. Ogni sera la si lavava e al mattino era perfettamente asciutta. Presto, quando sarebbe cresciuto, con la scusa che quei vestiti erano troppo piccoli, le maestre li avrebbero portati via e lui avrebbe posseduto solo la divisa, come tutti gli altri.
Iniziammo a pulire, cambiare le coperte, spolverare e lavare il pavimento. Ci vollero più di due ore per tornare a respirare aria pulita  e non più polvere su polvere.
Durante le pulizie Leo non mi rivolse la parola. Era concentrato a spolverare, lucidare e pulire, tanto che non mi rivolse nemmeno uno sguardo. Non mi dispiacque, lo capivo. Finire in un posto come quello doveva essere scioccante, io non l’avrei sopportato.
All’ora di cena scendemmo in mensa e prese posto di fianco a me. Non mangiò niente e tornò in camera con lo stomaco completamente vuoto.
La notte sentivo il rumore del suo stomaco affamato, non riuscii quasi a dormire. Pensai al fatto che avesse una fame tremenda e che non aveva mangiato nulla. Era un pensiero strano. Avevo visto molti bambini comportarsi così, i primi giorni. Ma lui aveva la mia età, eppure, aveva reagito in un modo così infantile.
Passò del tempo e Leo si abituò in fretta a quello stile di vita super programmato. Eravamo vicini di banco e a scuola era bravo, anche se particolarmente taciturno. Non aveva parlato con nessuno oltre che con me e mi trattava come una specie di punto di riferimento. A colazione, pranzo e cena, sedevamo vicini e così anche in classe e nelle attività pomeridiane. Questo suo comportamento mi lusingò.
Aveva un carattere molto timido, era di poche parole e di sé aveva preferito non raccontarmi nulla, ma ero felice che fosse arrivato qualcuno come lui. Con il tempo, magari, si sarebbe abituato al nostro tipo di vita ed avrebbe iniziato a comportarsi in modo diverso.
Una mattina faceva così freddo che la direttrice aveva concesso che l’inizio delle lezioni fosse ritardato d’un paio d’ore. Io e Leo eravamo svegli, stretti tra le nostre coperte.
-Hakyeon – mi chiamò.
-Si? –
-Chi sono quelle persone che vengono la domenica? – la sua domanda era inaspettata. Ormai aveva trascorso quasi due domeniche in istituito e non mi era mai sembrato che avesse questo tipo di dubbio. Le cose ai miei occhi apparivano così meccaniche che non ci facevo neppure più caso.
-La domenica vengono le persone a scegliere i bambini che vogliono adottare. – gli spiegai.
-Come li scelgono? –
-Stanno in mensa con noi e ci guardano mangiare. Vedono se c’è qualcosa di noi che gli piace e nel pomeriggio, dopo averci visto passare il tempo, decidono se parlarci o no. –
Sembrò sorpreso da quel che gli dicevo.
-Quando ero più piccolo mi hanno chiamato più volte. Ero molto emozionato quando succedeva. Mi facevano qualche domanda, mi parlavano della loro casa, se avevano qualche animale domestico, che lavoro facevano. Era interessante ascoltare persone adulte come loro. Però, poi, nessuno di loro mi ha mai scelto.–
-Perché? –
-Non so da cosa dipenda, semplicemente non l’hanno fatto. Quelli che sarebbero dovuti essere i miei genitori hanno scelto altri bambini. Ero davvero triste quando accadeva e passavo intere giornate a piangere e a domandarmi perché nessuno mi volesse. –
Leo si mise a sedere sul suo letto.
-Poi cosa è successo? –
-Poi sono cresciuto e ho capito che forse non fa per me avere una famiglia.-
Il viso di Leo non lasciò trasparire nessuna emozione particolare. Avrei voluto sapere a cosa pensava quando restava in silenzio e guardava nel vuoto. Avrei voluto sapere se i suoi erano pensieri allegri o tristi, se erano ricordi nostalgici o dolorosi. Ma il suo silenzio era una barriera invalicabile che non mi permetteva di conoscere certe cose.
Era giusto così, forse. Voleva conservare i pensieri soltanto per sé e come dargli torto? Forse ero io a parlare troppo. Forse eravamo semplicemente diversi.
-Leo, lo so che forse è una domanda stupida e che non ci conosciamo abbastanza, ma ti piacerebbe chiamarmi “hyung”? Qui tutti i miei amici lo fanno, perché sono più grande di tutti. –
Leo ci pensò un po’.
-Hyung. – disse – Va bene. –
Quando feci ascoltare a Leo quanto fossi diventato bravo a suonare il pianoforte lui rimase molto colpito. Si mise a sedere sullo sgabello di fianco a me ed iniziò a suonare una melodia che ricordava. Il suo modo di suonare era sorprendente. Sembrava che le sue dita fossero fatte per suonare quella canzone e che non ci fosse nulla al mondo che lo gratificasse più di quel gesto.
-Leo sei bravissimo! –
Lui si fermò. Sul suo viso nacque un timido sorriso, il primo che avessi mai visto.
-Non ricordavo di saperlo fare. –
-Non suonavi da molto tempo? –
-Da tantissimo. –
Iniziò a suonare qualcos’altro, con la stessa grazia di prima. Le sue dita affusolate sfioravano i tasti con una delicatezza che non avevo mai visto. Sembrava che il pianoforte facesse un suono più dolce se suonato da lui.
Così, senza nemmeno pensarci, iniziò a cantare. Non la conoscevo, ma mi emozionai tantissimo. La sua voce era stupenda, non l’avrei mai immaginato. Rimasi davvero esterrefatto. In quel momento compresi che c’era molto che dovevo ancora conoscere di Leo. Il suo modo di cantare fece nascere in me un brivido che non avevo mai provato e che solo lui aveva creato.  Ero felice che Leo fosse arrivato nella mia vita.
Ero il suo unico amico e standomi sempre vicino me lo dimostrava ogni giorno. Era una conquista aver raggiunto questo risultato. Volevo che capisse che poteva fidarsi di me e che gli volevo davvero bene.
Era il dieci novembre ed avevamo finito di cenare molto prima del previsto. Avevo promesso a Leo che avremmo passato la serata a parlare di vecchie canzoni ma, subito dopo cena, venne a trovarmi un vecchio amico. Erano anni che non lo vedevo, io e Ken eravamo cresciuti insieme ed ero felicissimo di vederlo. Dimenticai la promessa che avevo fatto a Leo e mi intrattenni nel cortile a parlare con il mio vecchio amico. Era quasi mezzanotte quando mi ricordai che Leo mi stava aspettando e corsi in camera.
Quando aprii la porta Leo era sdraiato sul letto e sembrava essersi addormentato.
-Scusami se sono arrivato tardi, ma è venuto a trovarmi un vecchio amico. –
Leo non disse niente.
Mi sdraiai sul suo letto e gli sfiorai la spalla.
-Ehi, sei sveglio? –
-Lasciami in pace! –
Non mi aveva mai risposto in quel modo, rimasi colpito.
-Leo, scusami. –
Si alzò dal letto ed iniziò ad urlarmi contro.
-Ti ho aspettato per tre interminabili ore,  te ne rendi conto? –
-Mi dispiace! Ma cosa dovevo fare? Non lo vedevo da tantissimo tempo. –
-Ti sei dimenticato di me! –
-Leo, calmati. –
-Ti lamenti perché gli altri hanno deluso le tue promesse e poi ti comporti così? –
-Cosa c’entra adesso? –
-Mi avevi promesso che avremmo passato la serata insieme –
-Bhe, guardami, sono qui –
-È troppo tardi! –
Non lo avevo mai visto così arrabbiato e non sapevo come comportarmi.  Non credevo di aver fatto qualcosa di così grave.
-Leo, per favore, parliamone con calma. Non credevo di aver fatto qualcosa di così grave, credimi. –
-Non è grave dimenticarsi di qualcuno? –
-Mi dispiace. –
-Cosa me ne faccio delle scuse? –
-Potremmo farlo domani sera. –
-Hyung! Perché non capisci? –
-Perché tu non mi spieghi? –
Leo cercò di aprire la porta per andarsene ma io lo bloccai, lo feci cadere sul letto e lo avvolsi con le mie braccia.
Iniziò ad agitarsi e a sudare a freddo. Lo strinsi più forte, nonostante lui cercasse di staccarmi.
-Leo, ti sto abbracciando. –
Pian piano si calmò e si abbandonò al mio abbraccio. Iniziò a piangere.
-Nessuno ti ha mai abbracciato così, non è vero? –
Chiesi con voce calma, stringendolo forte a me.
-Mi dispiace per quello che ho fatto, Leo, ma non trattarmi più così. Mi fa male, lo capisci? –
Lui annuì e pian piano il suo pianto rallentò.
-Oggi era il mio compleanno e volevo passarlo con te. –
Mi sentii terribilmente in colpa per quello che avevo fatto.
-Tanti auguri, Leo. Ti voglio bene. –
 A quel punto anche Leo mi abbracciò, circondò con le sue braccia la mia vita e nel mio corpo si diffuse un dolce calore. Era una sensazione che in un orfanotrofio nessuno vive, quella dolcezza mi faceva pensare alla parola “famiglia”.  Proprio come se Leo mi avesse scelto e mi avesse condotto nella sua casa per vivere una vita migliore. Mi sentivo esattamente così, come non mi era mai successo.
Ci addormentammo così, abbracciati l’uno all’altro.
Per natale io e Leo volevamo un piccolo albero nella nostra stanza. Ce n’era uno enorme nell’atrio che tutti gli anni i bambini decoravano con delle palline fatte da loro. Ma non era qualcosa che si può definire personale, tutti mettevano del proprio e quell’albero, in fondo, non era di nessuno.
Così trovai nel cortile una piccola piantina di abete che stava nascendo. La estirpai facendo attenzione a non danneggiare le radici e la sistemai in un vasetto con un po’ di terra. Io e Leo ritagliammo qualche pallina con della carta colorata e decorammo l’alberello.  A natale, dopo la cena con tutti gli altri, andammo in camera e ci scambiammo i nostri regali. Avevo preparato per lui dei biscotti e lui aveva impacchettato un suo maglione. Era di lana blu, caldissimo.
-Così anche tu non hai più solo la divisa – disse
-Grazie, lo conserverò per sempre. –
Mangiò i miei biscotti con espressione felice.
-Nessuno aveva mai preparato qualcosa per me. –
-Davvero? Mai nessuno? –
-No, solo tu, hyung. –
Il pensiero mi rattristò molto. Ma, in effetti, neanche per me nessuno aveva mai preparato qualcosa. E nessuno mi aveva mai regalato qualcosa di suo. Quel maglione faceva parte di un periodo della sua vita di cui non conoscevo assolutamente nulla, collegava me al suo passato.
-Grazie, Leo, questo è il mio primo vero natale. –
-Questo è il primo natale che sono felice di passare. –
Dalla nostra stanza si sentivano i bambini cantare le canzoni di natale. Anch’io e Leo, seduti sul nostro letto, iniziammo a cantarle, trasportati da quella strana malinconia che ha il natale per le persone che non hanno nessuno. Quand’ero bambino quello era il giorno più triste dell’anno perché era quello che più mi rendeva diverso da tutti gli altri, ma quell’anno fu diverso, perché avevo qualcuno con cui condividere la mia solitudine.
Due persone sole, insieme, non lo sono più, è questa la vera magia.
Arrivò anche l’anno nuovo e si festeggiò con una semplice cena con qualche portata in più. C’erano tutti i tipici dolci di quel periodo e tantissima cioccolata. Attendemmo tutti insieme che l’anno nuovo arrivasse, e , dopo il conto alla rovescia, ci scambiammo tutti gli auguri.
Io e Leo, ormai, avevamo preso l’abitudine di dormire nello stesso letto, forse perché al nostro piano il riscaldamento non funzionava, forse perché quella stanza mi faceva davvero paura o forse perché semplicemente lo volevamo.
In quei giorni passavamo tutto il tempo a giocare sulla neve e costruimmo un pupazzo bellissimo. Leo era particolarmente bravo in queste cose e mi divertiva vederlo costruire piccoli pupazzi di neve, con il corpo e la testa perfettamente tondi.
Iniziavo a capire il suo carattere ed amarlo così com’era, senza più volere che cambiasse. Si, finalmente avevo capito di essermi innamorato del mio migliore amico e di aver lasciato perdere tutto il resto. Non sapevo nulla dell’amore, ma sapevo che era lui, perché dentro di me non c’era mai stato qualcosa di così forte e prezioso come in quel periodo.
Stare vicino a lui ,però, iniziò a diventare strano. Non riuscivo a comportami normalmente nei suoi confronti, avevo sempre bisogno che mi dicesse qualcosa di dolce, che mi stringesse, desideravo più di altra cosa al mondo che mi baciasse.
Ma Leo non era abituato a questo tipo di effusioni e riusciva a tenermi sempre ad una debita distanza. Questo comportamento iniziò a farmi soffrire. Quello di cui avevo bisogno e che avevo iniziato tanto ardentemente a desiderare, non c’entrava più nulla con l’amicizia.
Avevo bisogno che il mio amore venisse ricambiato e volevo essere amato per davvero, cosa che Leo sembrava non voler fare.
Quello che sentivo era difficilissimo da controllare. Avevo bisogno di essere amato. Forse la soluzione migliore era quella di allontanarmi un po’ da lui.
Leo era sdraiato sul suo letto ed io lo osservavo, fingendo di star leggendo un libro. Magari avrei dovuto dirgli che volevo cambiare stanza e fingere di essere arrabbiato con lui per qualche motivo, ma a cosa sarebbe servito? Non mi sarebbe passato quello che provavo per lui.
-Cos’hai hyung? – mi chiese avvicinandosi a me.
-Niente, perché? –
-Sembri strano,  sicuro che non sia successo niente? –
Forse era l’occasione giusta per dirgli quello che mi tormentava. Forse avrei combinato un disastro, ma l’indifferenza non mi avrebbe portato a niente.
-Leo è un po’ che penso a qualcosa. – spiegai. – La verità è che noi due siamo molto diversi, abbiamo un modo completamente diverso di affrontare le cose. Io analizzo i problemi fino allo sfinimento e parlo tanto, davvero troppo, alcune volte. Mi faccio tante domande e mi tormento con tantissimi dubbi infiniti e non credo sia il modo giusto di affrontare le cose, ma è il mio. –
-Si, lo so. –
-Bene… - mi stava guardando, ascoltava con attenzione il mio discorso. – Se tu mi chiedessi se ti voglio bene, farei un discorso lunghissimo e ti spiegherei tantissime cose anche se tu avresti bisogno soltanto di un “si”. Ma vedi, io non le so dare delle risposte così semplici, proprio come non so spiegarmi con poche parole. –
-Hyung, lo so come sei. –
-E sono felice che tu lo sappia. – era così carino – Leo, se ti chiedessi cosa provi per me…cosa risponderesti? –
Restò in silenzio per qualche secondo, per me interminabile. Nella mia mente si era creato il vuoto, avrei soltanto voluto ricevere una risposta.
Chiusi gli occhi, trattenendo il respiro. Quando gli riaprii la stanza era completamente al buio.
Pensai che Leo se ne fosse andato, quando, le sue labbra toccarono le mie.
Totalmente confuso, iniziai a tremare. Le sue labbra si mossero sulle mie, formando dei disegni circolari. Aveva delle labbra davvero morbide e  sapevano di lui. Non avevo mai baciato nessuno, restai immobile, congelato dal suo bacio meraviglioso.
Quando Leo si divise mi aggrappai alla sua maglia.
Lui mi baciò ancora, mi lasciò sdraiare sul letto e si sdraiò su di me. Il suo corpo era davvero magro, potevo sentire lo spazio tra le sue costole, toccandolo.
-Leo, lo sai che hai un profumo buonissimo? –
Leo annuì ed iniziò a baciarmi il collo.
-Hai capito cosa provo per te? –
-Credo di si. –
Mi accarezzò il viso.
-Se vuoi, adesso, ti racconterò la mia storia. –
-Si, potrei ascoltarti anche tutta la vita. – 

Grazie per aver letto la mia Fanfiction :3 Spero vi sia piaciuta** Pubblicherò al più presto l'ultimo capitolo u_u 
-Autrice

 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > VIXX / Vai alla pagina dell'autore: Love_My_Spotless_Mind