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Autore: Seekerofdreams_    30/12/2013    8 recensioni
Questa storia racconta di un amore nato tra baci rubati e sguardi fugaci,
racconta la storia di una ragazza definita strana, con i suoi complessi e le sue particolarità,
come la fissa per le cose brillanti e per i numeri.
Due mesi lontano da suo fratello hanno cambiato la sua vita ma lungo la strada della rinascita incontrerà qualcosa che brillerà più di qualsiasi diamante, un paio di occhi azzurri.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Josh Cuthbert, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ritorni inaspettati




“No!” urlo chiudendomi la porta della stanza dietro.
Sbuffo sedendomi sul mio letto e prendendo il viso tra le mani, com’è possibile?
Come siamo arrivati a questo punto?
Strofino gli occhi impedendo alle lacrime di uscire fuori, mi alzo e mi guardo allo specchio, 
vedo la mia figura esile e piccola riflessa in quel rettangolo appeso alla parete, 
i capelli biondo cenere sembrano usciti da un film dell’orrore, gli occhi verdi spenti 
e senza luce, i segni dei graffi sul collo e sulle braccia.
Non mi riconosco più, dov’è finita la ragazza che amava giocare, leggere, scrivere 
e cantare? Dove sono finita io?
“Elisabeth apri questa porta!” sento bussare alla porta.
Chiudo gli occhi, non mi va di ascoltare niente e nessuno, tantomeno lui.
“Apri questa cazzo di porta!” sbraita.
Mi stringo nella mia felpa troppo grande per il mio busto scheletrico, porto le mani 
alle orecchie e mi donodolo avanti e indietro cercando di non urlare.
“Apri questa porta o la prossima volta finisco di strozzarti!” urla ancora il mostro.
“Vattene!” trovo la forza di urlare.
Sono due mesi che ho perso me stessa, la mia voglia di vivere e il mio sorriso per colpa 
di un uomo, troppo malvagio per essere stato creato da Dio, lo conosco da quando 
ero piccola, abita nella casa accanto alla mia, all’inizio era un vicino come un altro, 
poi da quando mio fratello è partito, si faceva sempre più vivo in casa, faceva 
delle avance a mia madre, fino a quando un giorno mi sono intromessa.
Da quel momento la mia vita è diventata un inferno, non riuscivo a mettere piede 
fuori che mi ritrovavo con le mani di quel verme a picchiarmi, mia madre non riusciva 
a ribellarsi, non riusciva a chiamare nessuno, a denunciare nessuno e ne tantomeno 
a farlo sapere a mio fratello.
Perchè? Perchè mio fratello George, fa parte di una boyband, la sua carriera 
sta prendendo il volo e non vogliamo pesargli sulle spalle, ma non ce la faccio più, 
sono arrivata a limite e con me, anche mia madre.
Torno alla realtà e sento dei rumori provenire dal corridoio, poi riconosco la voce 
di mio fratello.
George? Cosa ci fa qui?
Apro lentamente la porta della stanza per vederlo afferrare l’uomo e tenerlo fermo 
al muro, c’è anche Jaymi con lui, lo vedo prendere un telefono, sicuramente starà chiamando la polizia. 
Resto nascosta dietro la porta, non riuscirò nemmeno a farmi vedere dal mio fratellone,
 mi vergogno troppo. Mia madre lo abbraccia stretto e vedo i ricci ribelli di George infrangersi sul suo viso, 
mamma piange e lui la segue poco dopo, la mano di Jaymi 
corre ad accarezzare la schiena del suo amico per consolarlo mentre il verme è a terra,
 faccio un passo indietro e mi siedo sul letto, le lacrime trattenute per giorni 
finalmente vengono fuori, stringo il mio cuscino al petto e singhiozzo mentre la porta 
si apre e mio fratello senza parlare si siede al mio fianco e mi avvolge tra le sue 
braccia grandi, mi lascio andare e sprofondo nel suo petto.
“Shh, ci sono io qui piccola, è tutto finito, devi scendere giù però, la polizia 
vuole parlarti!” mi dice accarezzando dolcemente la mia schiena.
Annuisco senza proferire parola, lui mi sorregge mentre insieme scendiamo le scale,
 sento le voci provenire dal salotto e appena oltrepassiamo la porta, noto due agenti 
in piedi accanto a mia madre, stanno facendo domande su domande e la mia testa 
già scoppia.
“Dov’è lui?” sussurro.
Uno dei due agenti si gira verso di me e mi sorride, forse per rassicurarmi.
“E’ già nell’auto, tu devi essere Elisabeth, posso farti qualche domanda?” mi chiede gentilmente e io annuisco 
accomodandomi sul grande divano in pelle al centro della stanza, George mi tiene la mano e si siede al mio fianco, 
sposto lo sguardo nella stanza e noto Jaymi all’angolo del salotto, con le braccia incrociate, mi sorride e io ricambio.
Rimango seduta per venti minuti, ho poco da raccontare, i fatti sono quelli, quell’uomo mi ha picchiata per mesi 
e abusava di mia madre, questo è quanto.
Mia madre sembra molto più sconvolta di quello che mi faceva notare, i due poliziotti annotano tutto prima di porgerci 
una penna per firmare la denuncia.
“Vorremmo fare un controllo psicologico ad entrambe, queste sono situazioni che feriscono nel profondo, bisogna 
controllare che vada tutto bene” afferma uno dei due.
Io annuisco mentre mia madre rimane in silenzio, ha una strana convinzione sugli psicologi, come tutte le persone dei 
suoi tempi, per loro andare a farsi visitare da uno psicologo equivale ad essere pazzi, ma non è sempre vero, spesso ci 
si va per evitare di diventarlo!
“Certamente, faremo tutto il necessario” interviene George.
Io mi stringo al suo petto e lui mi tiene stretta lasciandomi un bacio sulla fronte.
“Bene, vi faremo visitare dallo psicologo della centrale, potete seguirci con la vostra auto” dice in tono formale mentre 
George è già in piedi.
Jaymi si muove velocemente e mi raggiunge, mi aiuta ad alzarmi mentre George si occupa di mia madre.
“Devo prendere la borsa di sopra!” dico.
“Vado io, prendo anche quella di mamma” dice George e lo vedo sparire sulle scale.
Mi giro verso mia madre e la vedo con lo sguardo perso nel vuoto, mi avvicino piano a lei e la stringo in un abbraccio, 
sicuramente quella che sta peggio tra le due, è lei.
Mio fratello torna qualche secondo dopo, afferro la borsa e insieme a Jaymi ci aiutano ad uscire, saliamo in macchina e 
seguiamo la sirena della polizia tra le strade di Bristol, diretti alla centrale.



Osservo la città dal finestrino, le persone camminano di corsa da un posto all'altro, dei bambini ridono e giocando con 
una palla, poco più in là una coppia sta discutendo, ho sempre amato guardare le persone intorno a me e costruirci sopra 
delle storie nella mia mente, per poi trascriverle su un computer, ma ormai da due mesi non apro una pagina web, 
non ho voglia di scrivere anche se vorrei farlo, quello è il mio modo per sfogarmi.
Parcheggiamo davanti alla centrale, c’è un via vai di poliziotti, auto con le sirene accese e persone con valigette 
professionali e abiti firmati.
Ci facciamo spazio tra le persone e diamo i nostri nominativi all’entrata, una signora in divisa ci guarda comprensiva 
e ci indica il corridoio in fondo alla stanza.
“Seconda porta a destra, potete accomodarmi insieme!” dice rivolgendosi a me e mia madre.
“Grazie” dico mentre faccio segno a George e Jaymi di aspettarci lì.
Ci avviamo lentamente verso il corridoio e l’odore acre di un detersivo scadente colpisce le mie narici, mia madre 
mi stringe il braccio prima di bussare alla porta.
“Avanti” sentiamo la voce di un uomo provenire dall’interno.
La chioma bruna e i grandi occhi verdi dietro la montatura grande e nera mi fanno sentire subito a mio agio, mi rilasso 
leggermente mentre sento mia madre fare lo stesso.
“Shelley?” chiede dando un’occhiata ad un foglio sulla scrivania.
Annuiamo entrambe mentre ci fa accomodare su due sedie, all’apparenza abbastanza comode davanti a lui.
“Vi farò qualche domanda insieme, poi parlerò singolarmente con ognuna di voi!” inizia a dire il dottore mentre noi 
annuiamo.
Vorrei estraniarmi dalla conversazione e perdermi nei miei pensieri ma so che è importante per me, così presto 
attenzione e rispondo alle domande del dottore.


Mezz’ora dopo mi ritrovo sola in quello studio, mi ha chiesto ancora una volta di spiegargli cos’è successo, 
come mi sentivo quando mi picchiava, mi sfugge un sorriso sarcastico, cosa dovevo provare? Avevo paura.
Il Dottore annuisce e segna tutto, scommetto che sta scrivendo anche quando sospiro, magari è importante!
Dovevo diventare una psicologa, magari così avrei capito tante cose delle persone, solo dal loro modo di parlare, 
posso metterla tra le idee per il mio futuro.
“Come ti senti ora?” mi chiede in fine.
Questa è una bella domanda, in realtà non lo so, come mi sento?
“Non lo so” ammetto.
Lui scrive anche questo e per poco non gli strappo la penna dalle mani e la lancio dalla finestra. 
Mi sta dando sui nervi, mi agito sulla poltroncina e stringo le mani.
Stupida.
Lui noterà anche questo.
“Sei nervosa?” mi chiede.
“In realtà si, può smetterla di scrivere per un istante?” chiedo nervosa.
Lui sgrana gli occhi leggermente, prima di annuire e lasciare la penna sul tavolo.
“Grazie” dico sincera.
“Non c’è di che, ora ti faccio un’ultima domanda” dice con tono formale.
Mi preparo ad ascoltarla mentre lui si prende qualche minuto prima di parlare.
“Credi sia tutto finito?”
Rimango spiazzata dalla sua domanda, è tutto finito?
C’è una possibilità che succeda ancora?
“Io... Io credo, anzi spero di si, lui finirà in galera e io... Io non lo so, voglio solo buttarmi questa storia alle spalle 
e ricominciare a vivere” affermo decisa.
Lui annuisce prima di alzarsi e farmi cenno di seguirlo fuori, raggiungo gli altri in sala d’attesa mentre il Dottore 
si allontana.
“Tutto bene?” mi chiede George.
Annuisco sedendomi sulle sue gambe, proprio come facevamo da piccoli, lascio che mi coccoli e faccio tesoro delle 
sue carezze.
“Come mai sei tornato prima?” chiedo per spezzare il silenzio.
“Abbiamo finito qualche giorno prima e ho deciso di farmi una sorpresa, direi che ho fatto bene!” dice quasi arrabbiato.
“George” dico preoccupata.
“Perchè non me l’avete detto prima?” chiede.
“Noi.... Noi volevamo proteggerti!”
“Rischiando la vostra vita? Siete la cosa più importante della mia vita, cosa farei senza di voi, 
abbiamo già perso papà!” dice con le lacrime agli occhi.
Annuisco e mi sento una stupida, ha ragione, dovevamo parlarne con lui e risolvere la cosa molto tempo fa, 
invece di arrivare a questo punto.
Mia madre sembra impassibile, non parla e fissa il vuoto, ho paura per lei, Jaymi le passa una mano sulla schiena ma lei 
si ritrae scottata.
“Scusa” dice poi.
Jaymi abbassa la testa per poi guardarci, è preoccupato anche lui.
Il Dottore ci richiama e questa volta fa entrare anche George con noi, torno a sedermi nella poltroncina di prima mentre 
mio fratello si siede accanto a mia madre, poco distante da me.
“Mrs Shelley, non farò dei giri di parole, lei ha bisogno d’aiuto, purtroppo ha subito un trauma non indifferente 
e dev’essere seguita” inizia a dire.
“Che vuol dire che dev'essere seguita?” chiede George.
“Vostra madre ha bisogno di rimanere in una clinica e prendere delle medicine” dice serio.
“Come stare in una clinica? Ma siamo la sua famiglia, le dobbiamo stare accanto” dico ansiosa.
“So che è difficile, ma è in uno stato di depressione elevato, che può portare a conseguenze decisamente gravi che non 
sto qui ad elencare” ribatte con tono professionale.
“Ma, mamma...” inizio a dire ma lei poggia una mano sulla mia.
“Devo andare, tu, puoi stare con George” mi dice lei fissando il pavimento.
Tra quattro mesi compirò diciotto anni, per la legge non posso vivere da sola, devo stare con un genitore o un tutore.
“Ma George è in viaggio...” dico facendomi già mille problemi.
“Per me non c’è problema, se mamma ha bisogno di sostegno e cure faremo il possibile, ma Liz? Lei non deve prendere 
nulla?” chiede preoccupato.
“Elisabeth ha subito un trauma, è vero, ha bisogno solo di cambiare vita, ma ha la forza di reagire, questo è molto 
importante!” dice come se io non fossi presente.
“Naturalmente per qualche tempo avrai bisogno di alcune pillole che ti aiuteranno con l’umore, ma credo che ti farà bene cambiare 
aria” dice poi rivolgendosi a me.
“Quando comincerà la cura?” chiede mia madre.
“Anche da ora, dovete dirmi voi, quando vi sentite pronti potete raggiungermi in clinica” dice porgendo un biglietto verso 
di noi.
Lo afferro prontamente e lo rigiro in mano leggendo l’indirizzo e il nome della clinica.
Il Dottore continua a darci dettagli sulla cura e sulle varie carte da riempire, rimango in silenzio ad ascoltare, perdendomi 
a contare le foglie di una pianta all’angolo della stanza.
E’ una cosa che faccio spesso, conto qualsiasi cosa mi capiti a tiro, gli sportelli di un mobile, le piastrelle di un bagno, 
i libri su uno scaffale, conto di tutto.
Mi sfugge una risata, direi che avrei bisogno di qualche curetta anche io!
George mi lancia uno sguardo carico di tenerezza e io abbozzo un sorriso, mi alzo afferrando le ricette delle mie medicine,
 salutiamo il dottore e ci avviamo verso l’uscita con la promessa di sentirci al più presto.
Raggiungiamo Jaymi e usciamo tutti e quattro da quella centrale troppo cupa e troppo asfissiante per i miei gusti.
Salgo in macchina nei sedili posteriori, lasciando a mamma il posto accanto a George.
Il traffico è decisamente più intenso di prima, sono ormai le sette passate e tutti staranno tornando da lavoro, mi appoggio 
con la testa sulla spalla di Jaymi e mi lascio andare ad un sonno, tormentato da incubi ma pur sempre sonno.
“Liz, non piangere” sento dire da Jaymi, apro gli occhi e vedo George guardarmi preoccupato dallo specchietto mentre 
mia madre ha le orecchie tappate per non sentirmi.
Asciugo in fretta le lacrime e chiedo scusa a Jaymi, lui mi sorride abbracciandomi e tirandomi verso di lui.
“Da quando non dormi decentemente?” mi chiede mio fratello.
Scrollo le spalle, ho perso il conto ormai, dormivo qualche ora a notte, sperando di non sentire rumori sospetti provenire 
dalla casa accanto, ma più che dormire, restavo sempre tra veglia e sonno, pronta ad ogni evenienza, ma ora sono stanca.
“Stasera ci siamo noi, non devi preoccuparti” mi dice preoccupato.
“Lo so George, grazie ancora” dico sincera.
Il resto del viaggio prosegue in silenzio, rimango con la testa sulla spalla di Jaymi, però non mi riaddormento, 
non ho intenzione di avere un altro incubo.
Quando entriamo in casa, mi sembra di essere in un posto che non c’entri nulla con me, ogni angolo mi sembra freddo 
e pauroso, ogni posto mi ricorda qualcosa di orrendo, voglio andarmene da qui e non rimetterci più piede.
“Mamma, hai bisogno di aiuto?” le chiedo mentre non riesce a togliersi la giacca.
“No” dice brusca.
Non insisto più di tanto e appendo la mia giacca, mentre George e Jaymi accendono il fuoco e mi sembra impossibile che 
siano qui, il mio cuore è felice di vederli a casa, anche se Jaymi non è mio fratello è parte della famiglia come pure JJ e Josh.
Anche se con quest’ultimo non ho un rapporto intenso, ci limitiamo al minimo indispensabile.
Resto sulla porta a guardare finalmente George sorridere, quando lo fa gli occhi brillano e io mi sento bene, 
Jaymi al suo fianco mordicchia il piercing sotto il labbro.
“Preparo qualcosa?” chiedo.
Annuiscono tutti e tre così mi sposto in cucina, chiudo le ante della finestra, non ho voglia di guardare fuori, prendo 
il telefono dalla tasca e metto a basso volume una canzone dei One Direction, così canticchio mentre metto a bollire l’acqua.


Saliamo al piano di sopra per andare a dormire che sono ormai le due di notte, la serata è passata piuttosto in fretta, 
dopo un momento di silenzio siamo finiti a parlare del tour dei ragazzi e così ci siamo distratti da tutto quello che 
è successo.
Ed ora eccomi qui, apro il cassetto del comodino accanto al mio letto e ci tiro fuori un diario, apro la prima pagina 
e passo un dito sulla scritta.
“Elisabeth Shelley, diario dei sogni” 
Fisso quella scritta per qualche minuto, fino a quando la porta si apre rivelando George in pigiama, ripongo subito 
il diario prima di guardarlo.
“Che ci fai qui?” chiedo.
“Voglio dormire con te” dice sorridendo e gattonando sul mio letto.
“Ma non preoccuparti fratellone, vai a riposarti in camera” dico.
“Come faccio a non preoccuparmi?” dice un pò stizzito.
“Lo so, lo so, come non detto, mettiamoci sotto le coperte” dico facendolo sorridere.
Ci stendiamo l’uno accanto all’altro e mi lascio avvolgere dalle sue mani, mi accarezza i capelli come quando avevamo 
otto anni e io chiudo gli occhi, vorrei tornare indietro nel tempo, eravamo felici, c’era papà con noi ancora e niente andava 
storto.
“Con chi parlavi prima?” chiedo riferendomi alla telefonata che ha ricevuto mezz’ora fa.
“Era Josh, mi ha chiesto come andava qui...”
“E gli hai raccontato tutto?” dico allarmata.
“E’ il mio miglior amico, certo che gli ho raccontato tutto, perchè ti preoccupi?” dice.
“Oh George, ma sono cose mie e di mamma, che ti salta in mente?” dico stizzita.
Mi guarda incuriosito, effettivamente sto reagendo un pò fuori dal normale.
“Jaymi lo sa, perchè Josh e JJ non possono saperlo?” chiede serio.
“Ma Jaymi è qui, si è trovato ad affrontare la cosa con noi!” ribatto.
“Ma stai tranquilla, Josh non dirà niente, mi ha detto di salutarti” dice abbozzando un sorriso.
“Di salutarmi? Ma se mi odia!” dico sarcastica.
“Ma non è vero, lui dice la stessa cosa di te!” ribatte ridendo.
“Io non lo odio!” dico sulla difensiva.
“Appunto, vedi? Non vi odiate, dovreste solo parlare un pò di più!” dice.
Già, io non lo odio, aggiungerei che non lo odio.... per niente!
“Ora dormiamo” continua facendomi sistemare meglio tra le sue braccia.
“Buonanotte fratellone” dico chiudendo gli occhi.
“Anche a te piccola” dice baciandomi una tempia.



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Ciao a tutti,
Non so com’è venuta fuori questa storia, è la prima che scrivo sugli Union J, 
spero che come primo capitoli vi piaccia e vi convinca a continuare a leggere la storia.
Fatemi sapere cosa ne pensate mi raccomando!
Colgo l'occasione per augurarvi uno splendido 2014 e volevo anche farvi sapere che la frequenza degli aggiornamenti  dipenderà molto da come andrà la storia, quindi da voi! :)
A presto,
Serena.

 
   
 
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