Quando l’amore chiama,
non lo ferma neanche un funerale!
Sediamo alla stessa tavola per la prima volta dopo anni,
così vicini eppure così lontani.
Quando ti vidi per l’ultima volta più di un anno fa eri
diverso, più magro, più atletico. Ora sei ingrassato di almeno dieci chili,
appesantito direbbe mia madre, ma ai miei occhi resti sempre stupendo.
Come fai a farmi pensare queste cose? Nessuno ci era mai
riuscito prima d’ora “Riccardo, puoi passare i tovaglioli a Mia? Mi piace
quando crea le conchiglie” tua madre, santa donna, ti risveglia dal tuo stato
di trance provocato dalla tv, facendoti posare gli occhi su di me. Quegli occhi
così profondi e a volte così luminosi nei miei confronti.. ti osservo mentre ti
pieghi verso il tavolino accanto alla tv e la tua felpa viola si alza,
bastarda, mostrandomi la panoramica della tua schiena, cosa che avrei fatto a
meno di osservare, perché non provoca
altro che farmi desiderare di più di stringerti tra le braccia.
È inutile, penso, mentre mi offri il pacco con un sorriso
gentile, niente di ciò che farai potrà mai farti sembrare meno perfetto ai miei
occhi.
Un anno prima
“Riccardo, porta Mia su e falle vedere le tende nuove” tua
madre, Caterina ti aveva spedito al piano superiore, con quel preciso compito,
e avevo capito che per te era una grande seccatura “Ehi” avevo detto “So dove
è, posso anche andare da sola, se ti dà fastidio fare le scale” tu mi guardasti
“Perché tu dovresti essere un
fastidio?” mi chiedesti ovvio, corrugando le tue sopracciglia scolpite in un
modo adorabile, che mi fece incantare a guardarle forse per un secondo di
troppo, perché tu mi guardasti in modo strano e fu allora che capii.
Sai, avevo passato
anni pensando a te come ad un essere inarrivabile e sempre impegnato, ma per la
prima volta mi sembravi molto più reale e possibile, molto più vicino a me. È
durato un attimo, il tempo esatto per te di allontanarti e riprendere a salire
quelle maledette scale.
Qualcosa era cambiato, ma non capivo cosa, mentre mi
mostravi i tendaggi di cui ormai non mi importava più niente e rispondevi alle mie domande buttate a
casaccio, trovandoti in difficoltà, perché le cose ‘da donne’ non facevano per
te.
Mentre mangiavamo ti osservai, beandomi del fatto di essere
seduta trasversalmente, non proprio di fronte a te, ma abbastanza da riuscire a
catturare ogni più piccolo particolare, sorridere e osservare con un’attenzione
quasi morbosa le tue labbra piene, gli angoli della tua bocca tesi a sorridere,
i tuoi occhi che già mi facevano sciogliere sotto il loro sguardo indagatore.
Mi sedetti vicino a te su quel divano striminzito, mentre i
nostri genitori prendevano il caffè, e iniziammo a parlare, della musica e dei
programmi in tv, e indirettamente di noi
“Vai in piscina?” mi chiedesti “Ehi, si ogni lunedì e
giovedì” risposi, pensando che era un miracolo che tu lo ricordassi “E da
quanto?” continuasti “Da quanto tempo? Sono quasi otto anni” feci un
sorrisetto, osservando i tuoi occhi
spalancarsi per lo stupore “Otto anni? Cavoli, si vede! Guarda che spalle che
hai!” eri davvero sorpreso “Beh sono immense!” risi, un po’ a disagio. Da quando
ti interessavi così tanto a quello che facevo? “Nah, stai bene” dicesti, voltandoti e
sorridendomi.
Ricambiai il sorriso, imponendomi di guardarti negli occhi. E
fu così che accadde. Eravamo in un angolino buio del salotto, e nessuno stava
pensando a noi. Ti chinasti, annullando le distanze e posando un piccolo bacio
sulle mie labbra. Ebbi solo il tempo di schiudere le mie per rispondere a quel
contatto, che ti eri già staccato.
Ora avevi una luce diversa negli occhi, ma non la luce di
chi ama ed è amato, no. Era la luce di chi sta scappando, spaventato dal gesto
che aveva appena compiuto e dalle conseguenze.
E così ti alzasti in tutta fretta, scusandoti e correndo di
sopra, i tuoi occhi che ancora bruciavano nei miei. Quella sera, non scendesti
neanche a salutare. Quella sera fu l’ultima volta in cui ci parlammo, prima di
oggi ovviamente.
E ora sembra che non sia successo niente, ti comporti come
se il pensiero di noi due non ti abbia neanche sfiorato. È davvero così? Sono l’unica
tra noi due ad aver perso inutilmente un anno della mia vita pensando a te
senza conoscere qualcun altro? No, io ti conosco, e non ci credo. Anche tu stai
vivendo il mio stesso inferno.
Un mese dopo
Sorrido falsamente tra
la folla, cercandoti con lo sguardo e contemporaneamente decisa a non farmi
notare da te. Siamo alla festa di pensionamento di tuo padre, finalmente ti
lascia il comando dell’officina e si ritira a vita privata, anche se sia io che
te sappiamo bene che sarà sempre li a controllarti.
Ti vedo che ti aggiri tra la folla nel tuo completo blu, e
cavoli, ti sta da dio. Sorridi a gente che non hai mai visto prima d’ora, ai
vecchi clienti di tuo padre, ai parenti e agli amici. I miei si stanno
sbracciando per farsi vedere, e non c’è niente di male, davvero, solo che non
ho voglia di guardarti in faccia. Non so neanche il perché io sia qui stasera! Forse
volevo solo vederti sotto le luci della ribalta, tu che le hai sempre sfuggite.
Forse volevo vederti e basta. Forse mi nasconderò dal mondo
e ti osserverò dal mio angolino. Si, è proprio quello che farò.
Sono passate delle ore da quando sono qui, ma nessuno ha
ancora accennato a volersene andare, tutti si divertono e la band che hai
chiamato è fenomenale, tutti le cover che cantano sono adattissime all’atmosfera.
Siamo al quarto lento della serata, quando all’improvviso
eccoti davanti ai miei occhi “è un peccato non far ballare una dama graziosa
come te” mi dici, offrendomi la mano. Potrei rifiutare, DOVREI rifiutare. Ma allora
perché mi alzo, accettando la tua offerta? “Ma che dici, non sono così bella”
mi schermisco “No, hai ragione, non sei bella sei stupenda” ribatti,
sorridendomi e cingendomi i fianchi, guidandomi in quel lento “Ma dai” lo
provoco. Ok, ci stavo prendendo gusto. Vedete? Parlare con lui è così, ti tira
su e poi ti ributta giù in un attimo “Beh.. hai un vestitino viola che è un
amore, poi il viola è il mio colore preferito.. e se non fossimo in così tanta
compagnia…” lasciò la frase in sospeso, girando la testa, seguendo il movimento
di altre due signore “Oh, Mia.. ci sono le signore Russo… vado a salutarle” mi
dicesti, e andasti via, così come eri venuto, lasciandomi come una cogliona in
mezzo alla sala.
Bene, perfetto, cosa vi avevo detto? Si, si vai pure a fare
il cascamorto con quelle due, non starò certo qui ad aspettarti!
Tornai al tavolo, prendendo nervosamente la borsetta ed il
cardigan, pronta ad andarmene di lì “Ehi? Dove vai?” ti sento dietro di me “Oh,
vado a cercare qualcuno che non sia interessato alle donne-bancomat!” ribatto,
andandomene per davvero e lasciandoti con un palmo di naso.
L’ho fatto davvero! Dio!
Non ci credo, quasi mi metto a cantare mentre arrivo alla mia macchina. Basta ragazzi,
basta stronzate, basta Riccardo. E improvvisamente
Mia la stronza torna in sé, ridiventando quella di cui tutti hanno paura,
quella che si era persa per colpa tua. L’adrenalina pura si impossessa di me. Ho
finito di essere il tuo zerbino, sempre ad aspettarti!
Anzi! Aspetta, devo fare le cose per bene. Inchiodo, torno
indietro, col mio ritrovato sorrisetto stronzo. Sei ancora sulle scale che mi
guardi con una faccia da ebete.
Salgo rapidamente i pochi scalini, e ti afferro per la nuca,
baciandoti, imprimendo il rossetto sulle tue labbra. Poi mi stacco “Giusto per
ricordarti chi comanda qui” sussurro, ammiccando e salendo in macchina, sgommando.
E per la prima volta da quando ci conosciamo, sono io quella che se ne va e tu
quello che ne vorrebbe ancora.
Due anni dopo
“Caterina? Cosa è
successo? Arrivo subito”
“Mamma, papà non può essere morto ed averci lasciato in un
mare di debiti, non può!” parcheggiai fuori casa di Caterina, mentre le urla
del figlio arrivavano fino alla strada.
Avevo appena saputo la notizia perché Caterina aveva
telefonato a casa dei miei, ed ero l’unica che era lì al momento.
Avevo preso la macchina e guidato come una pazza fino alla
loro villa. Credo di aver anche preso un paio di semafori rossi, giusto tutti
quelli che mettevano sul mio cammino.
Ma per quanto io fossi toccata dalla vicenda, ero ancora
incazzata con Riccardo. Certo quella storia andava avanti da un paio di anni,
ma io avevo la capacità di portar rancore per decenni, cosa me ne facevo di due
miseri anni??
Solo che avrei dovuto aspettarmelo. Riccardo era sconvolto: i
capelli disordinati, gli occhi lucidi e gonfi dal pianto, come se avesse
versato lacrime per tutta la notte. Come se non sapesse come fermarsi. Vedere qualcuno
in quelle condizioni era disastroso, ti distruggeva dentro.
E così vi spiegherete la mia sorpresa, quando posai gli
occhi su Caterina e notai che lei non stava piangendo, niente affatto. Era seduta
sul divano del loro elegantissimo salotto, diritta come un fuso, e continuava a
guardare il figlio con occhi di fuoco “Tuo padre non era proprio uno stinco di
santo, lo sai. Con tutti i debiti di gioco che ha lasciato, se saremo
fortunati, riusciremo a pagare a malapena il funerale, cosa che il signore qui
presente ha voluto fare in grande!” aveva finito per urlare, il sarcasmo evidente
nella sua voce.
Mi misi in mezzo ai due prima che passassero alle mani “Fermi
tutti! Cosa sta succedendo qui?” chiesi
“Mia? Cosa ci fai qui?” mi chiese lui “Arrivo appena in
tempo per impedirvi di scannarvi. Se no poi chi li paga due funerali?” cercai
di minimizzare il fatto di essere corsa lì per loro.
Abbracciai prima Caterina e poi lui, mentre gli sussurravo “Non
ti illudere, sono ancora arrabbiata con te” e lui mi lanciava uno sguardo
spaventato.
“Bene! Ammesso che siete al verde, cosa posso fare per voi?”
chiesi guardandomi intorno.
“Sai che sei una stronza, vero?” le parole di Riccardo mi
fecero alzare la testa dai vasi di fiori su cui stavo lavorando. Dai crisantemi, per la precisione.
“Moi? Perché?” chiesi fintamente innocente “Lo sai perché. Solo..
vorrei capire. Mi ricordo di te, eri così dolce. Perché sei diventata una
stronza?” mi chiese
“La colpa è tua” sospirai, decisa a dire la verità. Tanto valeva,
ormai non avevo niente da perdere “Con il tuo menefreghismo mi hai cambiata,
prima in meglio, poi in peggio. Ero così anche prima, solo che mi sforzavo di
non farlo uscire fuori” spiegai “Perché? Io ti ho cambiata?” non stavi capendo
vero?
“Mi piacevi. Mi sforzavo di piacerti a mia volta, ma tu non
collaboravi, ricordi? Non era colpa tua, eri carino con tutte. Troppo, a volte.
O devo ricordarti della festa?” ribattei. Eri ammutolito “Ma non fa niente, c’est
la vie! Ora potremmo continuare a preparare questo stramaledettissimo funerale?” chiesi, voltandomi un attimo per
prendere altri fiori.
Rigirandomi, per poco non mi caddero, ti eri avvicinato e
non me n’ero accorta.
“Scusa” mi dicesti, ed io non capii “Scusa per cosa?” chiesi
“Scusa per essere stato così stupido” ribattesti, tutto d’un fiato “Ric.. non
fa niente, davvero” provai a finirla lì “No, Mia, invece fa. Non avrei dovuto
illuderti così per tutti questi anni, tu non meriti questo. Tu meriti qualcuno
che ti sappia amare davvero.
Io ti amo, ma non ti merito. Pensa, non ero neanche sicuro
fino a quando tu non mi hai detto queste cose, come posso essere quello giusto
per te??” ti eri avvicinato ulteriormente mentre parlavi, esternando i pensieri
accumulati dentro da chissà quanti anni.
Sorrisi, guardandoti maliziosa, prima di saltarti al collo
ed impossessarmi delle tue labbra. Mi rispondesti e io sorrisi ancora di più
nel bacio “Ti amo” sospirai “Anche se sono egocentrico, stupido e superficiale?”
mi domandasti “Soprattutto perché sei egoista, stupido e superficiale” risposi,
ridendo “Ah, grazie, eh!! Mi aspettavo qualcosa tipo ‘ma no amore, non lo sei’
e invece..” si impuntò, ma rideva “Ma no amore non lo sei..” risi io “Beh, ti
amo” tagliò corto lui, riprendendo a baciarmi.
E lì rimanemmo, tra crisantemi e bare foderate di viola, a
dichiararci amore, ehm… eterno.
Angolo dell’autrice
Devo sputtanarmi? E vabbè, mi sputtano. Questa one shot mi è
venuta in mente dopo aver ricevuto un trattamento simile un paio di sere fa,
con un benservito totalmente inaspettato, tipo la scena del divano. Perdonatemi
se non capirete niente, avevo solo bisogno di sfogarmi, di liberare la testa da
troppe brutte sensazioni. Grazie se leggerete silenziosamente, grazie se
recensirete!
Bea