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Autore: TheMask    02/01/2014    0 recensioni
“E allora perché stai qui? Perché non vai altrove?”
Matt fu quasi ferito da quella domanda.
“Beh… cosa dovrei fare fuori da qui? Trovarmi un lavoro del cazzo?”
“Si esatto. Trovarti un lavoro del cazzo, come tutti. Farti una famiglia del cazzo. Voglio dire, il fatto di essere qui ti darebbe comunque molte possibilità di avere un buon lavoro del cazzo e una buona famiglia del cazzo. Perché no? Non saresti più felice, scusa?”
“Mello, non me ne frega niente di avere un lavoro e una famiglia. Del cazzo.”
“E di cosa te ne frega?”
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“Matt, non devi venire per forza. Non sentirti obbligato.” ringhiò.
Aveva notato lo sguardo che gli era passato sul volto quando si era reso conto che facevano sul serio. Che stavano abbandonando il poco che avevano.
“Non mi sento obbligato.”
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Matt, Mello
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buon giorno ragazzi! Come va?
Vi avverto prima che leggiate che questa one shot è stata scritta in gran parte ieri notte, mentre mi contorcevo dal mal di pancia. Ma spero che comunque sia uscito, dal mio delirio notturno, qualcosa che riteniate legno di una lettura e di un'opinione.
Se poi mi voleste far sapere che ne pensate, vi ringrazio in anticipo per il disturbo: mi è sempre molto utile l'impressione che qualcosa che ho scritto dà, per capire se sono andata nella giusta direzione, se sono riuscita a trasmettere ciò che volevo.
Matt e Mello sono due personaggi complicati, anche perchè non conosciamo molto di loro. Mi auguro che questo mio tentativo di ricstruirli vi piaccia!
Buona lettura e buona giornata a tutti! 

Mina



Matt era sdraiato sul letto, svogliato e stanco.
Erano giorni che studiavano come matti per quel test, la cui data si avvicinava veloce.
Come al solito Mello era diventato isterico e a ogni parola gli veniva una mezza crisi di nervi.
Ancora si chiedeva perché doveva stargli dietro come una bambinaia. Cioè, lo sapeva il perché, ma se lo chiedeva lo stesso, tanto per ricordarlo di tanto in tanto.
Le uniche cose positive di quei giorni erano che stavano sempre insieme, nella stessa stanza, nella stessa aria. In qualche modo, vicini.
Come se fosse facile essere vicini a Mello. Era sfuggente, gli parlavi e tutto andava bene. E il giorno dopo ti ignorava. E quello dopo ancora era lui a cercarti.
Non era mai totalmente amichevole, mai totalmente distaccato con Matt. Insomma, non si capiva mai niente di quel ragazzo.
Eppure continuavano a stare insieme, quasi ogni giorno.
E in quei giorni ancora di più accadeva che si trovassero a studiare fino a ore così tarde che sentivano le chiavi girare nella serratura della porta e Matt si trovava a dormire con il biondo.
Come in quel preciso momento, per altro.
Erano magri e il letto era largo, nessuno si era fatto alcun problema a usarlo in due. Ci stavano comodamente.
Non a caso Mello era uno dei possibili successori di L, lo trattavano bene li dentro.
La finestra aperta lasciava entrare un po’ della fredda brezza notturna, che, trapassando la stanza, muoveva le tendine bianche come vele di una nave.
Matt se ne stava lì, senza riuscire a prendere sonno, immerso nei suoi pensieri più strani, quelli che vengono ampliati dall’insonnia. Il biondo, al contrario, dormiva tranquillamente, a pancia in su. Il viso rilassato, i capelli lisci e pieni di riflessi, le palpebre ferme.
Chissà cosa gli passava per la testa in quel momento. Magari si ripeteva ancora le nozioni appena imparate, nel sonno, così come Matt non riusciva a fare nella veglia involontaria.  Non si stufava di ripercorrere i lineamenti dell’amico, di accompagnare il fluttuare della tenda con il fluttuare dei suoi pensieri.
E se quei pezzi di stoffa erano vele che stavano ferme, senza riuscire a trainare via tutto quell’enorme edificio, i pensieri di Matt trascinavano la sua mente lontano, tanto quanto si poteva nella linea dell’astrazione. Immaginava cosa sarebbe potuto essere molti anni a venire, e cosa sarebbe potuto essere Mello.
Ci avrebbe scommesso, il posto di L sarebbe stato occupato da quella ragazzina, almeno in parte. Ma sapeva che Near non sarebbe stato facilmente messo in secondo piano.
Forse quelli erano gli unici anni in cui sarebbero potuti rimanere uniti, insieme. Forse ancora, fra poco si sarebbero dovuti separare.
Matt non poteva pensare a quando, inevitabilmente, Mello avrebbe preso la sua strada lasciandolo con il culo per terra.
Abbandonandolo, insomma. Perché l’avrebbe fatto.
Il rosso sbuffò, passandosi una mano fra i capelli. Per quanto ancora avrebbe avuto la possibilità di vederlo così? Fra quanto avrebbe dovuto dirgli addio per sempre?
Non poteva che immaginare quel momento, ossessivamente. Non credeva che Mello sarebbe stato molto espansivo, neanche allora, ma nelle sue fantasie amava immaginarlo più socievole con lui.
Aveva paura di essere abbandonato, lasciato indietro. Ma perché il biondo si ostinava a stare con lui pur sapendo che si sarebbero dovuti lasciare? Cosa credeva, di poterlo usare come passatempo fino a che non ne avrebbe più avuto la necessità? Voleva solo un orecchio che lo ascoltasse e una bocca che rispondesse come voleva lui, non c’era davvero nulla di più?
Matt si fermava sempre, a questo punto dei suoi pensieri, senza riuscire a trovare risposta, e senza cercarla troppo, spaventato da quello che avrebbe potuto trovare.
Il biondo si muoveva spesso nel sonno, ma a lui non dava mai fastidio. Aveva imparato a spostarsi con precisione e sincronia in modo da non svegliarlo e da non finire incastrato nelle coperte. Ormai non ci doveva neanche pensare, si muoveva esattamente nel momento in cui l’amico si spostava, senza distogliere i pensieri da ciò su cui vertevano in quel momento.
Sbuffò, immerso nella sensazione che non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi in quel modo. E più tentava di non pensare, più la sua mente si ancorava ostinatamente agli argomenti che lo avrebbero tenuto sveglio.
Le aveva provate tutte con Mello, pur di fargli capire per prima cosa quanto tenesse a lui e in secondo luogo quanto avesse bisogno di certezze. Aveva anche tentato di fargli capire che l’avrebbe potuto abbandonare prima di essere abbandonato a sua volta. Anche se naturalmente non sarebbe mai stato realmente capace di farlo. Si sentiva una ragazzina, ma non aveva potuto fare a meno di assumere quegli atteggiamenti tipicamente idioti che invece avrebbe dovuto evitare.
Lo continuava a frequentare ma ostentava noncuranza, spiando le reazioni dell’altro, senza interessarsi più a lui. E Mello non lo considerava per niente, oppure opponeva alla sua resistenza quelle richieste che non poteva ignorare.
Come: “ti va di andare a fumare una sigaretta di nascosto?” Oppure “andiamo a giocare a calcio, che mi manca un attaccante?”
Matt non poteva rifiutare. Insomma, succedeva già raramente, figuriamoci se si lasciava sfuggire quelle poche occasioni!
Tentava poi di essere socievole e amichevole con Mello, tentava di capire se a lui facesse piacere o meno. Il vuoto, da parte dell’altro. O peggio, quando lo riteneva troppo affettuoso generalmente tendeva a respingerlo anche più, prendendolo in giro con una punta di cattiveria o sminuendo i suoi sforzi. Ma Matt non si era mai sognato neanche per un attimo di ribattere, riconoscendo perfettamente la ragione del biondo e condividendola: sembrava davvero una ragazzina.
Se, desolatamente, si ritirava nella sua stanza senza più rivolgere neanche una parola all’amico, convinto di non essere nulla per lui, Mello trovava sempre il modo di raggiungerlo di nuovo. Gli sorrideva in mensa con ironia, come si fa con un bambino che si ostina in un comportamento da adulto, incoerente e stupido. Oppure lo prendeva in giro, quando gli capitava sotto tiro, dicendogli che sembrava una di quelle bambinette che minacciano il suicidio quando le molla il ragazzo.
Lui sbuffava, rispondeva a monosillabi e tornava a frequentarlo nel giro di un giorno o due.
Essere sé stesso era un’idea estrema che non aveva mai neanche pensato di adottare. Non voleva che il biondo distruggesse la sua poca autostima con le sue piccate frecciatine, che colpivano sempre nel punto peggiore. Intuiva che non lo faceva con cattiveria, ma spesso si chiedeva se Mello valesse la pena.
Poi lo guardava studiare, fumare di nascosto come un ragazzino, difenderlo da qualcuno dei più grandi con la forza di una tigre, lasciarsi al contrario insultare, senza mai esigere da lui un aiuto che non sarebbe stato capace di dare e capiva che, in effetti, valeva la pena eccome.
Spesso era preso di mira da un gruppo di ragazzi più grandi, che forse invidiavano il suo secondo posto in classifica e non perdevano occasione per deriderlo e umiliarlo, bloccandolo nei corridoi.
Matt non sapeva aiutare l’amico, così come non difendeva se stesso quando capitava a lui.
Non ne era proprio capace. Preferiva aspettare che passasse senza reagire, evitando quello che si poteva evitare, senza raccogliere le provocazioni, e poi andarsene per la sua strada.
Mello invece era il contrario. Non appena qualcuno gli lanciava anche solo un’occhiata storta di sfuggita, lo fulminava repentinamente con quel suo sguardo di ghiaccio che sapeva tirare fuori senza sforzo. E se qualcuno si azzardava a prenderlo in giro, reagiva con forza, difendendosi rabbiosamente e aprendosi a pugni e calci la strafa quando i vari bulli osavano sbarrargliela.
Non che ne uscisse sempre vincitore, s’intende. Più volte, Matt si era trovato a osservarlo nel letto dell’infermeria, con uno straccio bagnato sulla fronte e qualche fasciatura.
A Mello dava fastidio essere guardato in quelle condizioni e quando si svegliava era intrattabile. Scacciava Matt e tentava di rialzarsi il prima possibile, senza badare a nessun consiglio gli venisse dato.
Non aveva mai paura, agli occhi del rosso. Era una cosa che lo stupiva.
Qualsiasi cosa accadesse, Mello non mostrava mai di essere spaventato, così come neanche una volta aveva visto dell’affetto o della commozione in quei suoi occhi, che usava come spade.
Matt invece lo era spesso. Anche lui cercava di nasconderlo, ma il biondo lo smascherava sempre, senza bisogno di una singola parola.
Lo affascinava quasi, osservare la sua vitalità in tutto quello che faceva, la sua meticolosità. Era così sicuro di sé, di quello che voleva, di quello che non poteva accettare…
Sembrava che non ci fosse mai stato un momento nella sua vita in cui avesse dubitato di se stesso. Mentre il rosso riconosceva di essere una persona contraddittoria fino all’incoerenza.
In quel momento Mello, da raggomitolato che era, si girò sulla schiena, con un breve fruscio di lenzuola, accompagnato dai movimenti lenti e cauti di Matt volti a non svegliarlo.
Si ritrovava a guardarlo di profilo ora. Se solo avesse potuto non vederlo, si disse, di certo si sarebbe addormentato. Ma anche chiudendo gli occhi aveva la sua immagine stampata nel cervello, non poteva farci niente.
Il  tempo passava e più le ore svanivano, vuote e fredde, più Matt si sentiva sveglio e lucido. Non un velo di stanchezza gli offuscava le palpebre, né la mente.
All’improvviso si chiese come sarebbero stati lui e Mello all’infuori dell’istituto nel quale si trovavano, come intrappolati. Immaginò di potersi vedere in una strada all’aperto, in un parco, in una biblioteca. Sotto il cielo, di notte, di giorno, all’alba o di sera.
Gli sarebbe piaciuto uscire di lì con Mello, almeno una volta nella sua vita. Ma sapeva che non sarebbe mai stato possibile. Mai.
Gli sarebbe piaciuto viaggiare.
Fare uno di quei viaggi all’americana, una macchina, due o tre persone, una larga strada vuota in mezzo al deserto e il cielo enorme e imponente sopra tutto. Immaginava già le dinamiche che avrebbero avuto gli spostamenti. Le lamentele di Mello, le sue risposte ironiche. Immaginava momenti di quiete, la sera. Semplicemente con una sigaretta in bocca a guardare le stelle infinitamente numerose e infinitamente lontane.
Immaginava di chiacchierare schiettamente, per una volta, di non pensare a tutti quei test, allo studio, a quella prigione di regole, a quella rete di controllo, a quel continuo reprimere gli istinti.
Immaginava di poterli seguire, i suoi istinti, senza pensare per una volta a tutte le conseguenze possibili, immaginava di essere coraggioso per una volta, senza lasciar andare avanti sempre Mello, di guidare per ore e ore mentre il biondo sarebbe stato addormentato al suo fianco. Poteva vedere con colori vividi i suoi capelli scompigliati dal vento e le sue mani dietro alla testa.
Ma scacciò presto quei pensieri, irrazionali e irrealizzabili. Come pensava di poter sopravvivere lì se si lasciava andare a fantasie così belle? Era meglio pensare che quella situazione era ciò che voleva davvero.
Non credeva sarebbe stato difficile scappare, volendolo. Ma non lo voleva.
Non avrebbe comunque mai osato chiedere a Mello di fuggire con lui, probabilmente il biondo gli avrebbe solo riso in faccia, senza prenderlo su serio nemmeno per un secondo.
Ma perché, continuava a domandarsi, perché non riusciva a staccarsi da quel concentrato di autodistruzione?
Perché avrebbe dovuto?, si rispondeva.
Quanto avrebbe desiderato accendersi una sigaretta, in quel momento. Ma l’avrebbe svegliato subito, e lui l’avrebbe cazziato alla grande per la puzza e l’imprudenza. Anche a finestra aperta era sciocco fumare, in effetti: era molto facile essere scoperti.
Sbuffò per l’ennesima volta, troppo rumorosamente, e non riuscì a spostarsi quando Mello allungò un bracciò. Appena lo sfiorò, il biondo aprì gli occhi, assonnato.
“Scusa… ti ho svegliato?” farfugliò, trovandosi lo sguardo lucido del rosso davanti.
“No, ero già sveglio, tranquillo.” rispose sussurrando l’amico.
“E… che cavolo hai?” borbottò incuriosito Mello, ancora addormentato a metà.
“Niente, solo un po’ d’insonnia. Non ti preoccupare.”
Il viso del biondo non era totalmente convinto e, dopo avergli lanciato un’occhiata penetrante, si stiracchiò e si tirò a sedere.
“Che fai?”
Mello non rispose, passandosi una mano fra i capelli perfettamente lisci e sbuffando, per poi scendere da letto evitando agilmente Matt. Dandogli le spalle si stiracchiò di nuovo, alzando le braccia per qualche secondo, e infine si avvicinò alla finestra.
Sotto lo sguardo di Matt, che aveva appoggiato i piedi a terra ed era pronto ad alzarsi anche lui, Mello la spalancò ancora di più e  frugò per un po’ nel secondo cassetto.
Quando tornò ad avvicinarsi, stringeva nelle mani un accendino verde e un pacchetto di sigarette, già aperto.
“Ma che fai?” domandò di nuovo Matt, stupito.
Mello sbuffò e si riprese il suo posto nel letto e attendendo che lo stesso facesse l’amico.
“Allora, ne vuoi una o no?” gli chiese alla fine, già irritato. Il rosso annuì, girandosi a guardarlo, puntellato sui gomiti.
Lo osservò accendere la prima sigaretta e porgergliela con quei gesti precisi e calcolati che ammirava, beccandosi per questo un’occhiataccia. Mello odiava essere osservato così. La prese e aspirò una prima boccata, lasciandosi cadere sul cuscino. Mello emise presto la sua nuvoletta di fumo, guardando il soffitto senza dire nulla.
“Sognavi?” gli domandò Matt.
“Lo sai che non sogno mai. O comunque non mi ricordo di averlo fatto.”
Già, infatti lo sapeva benissimo. Chissà che cosa gliel’aveva chiesto a fare.
“Tu piuttosto? Ma non dormi mai?” gli chiese, con un qualcosa di difensivo nella voce, come se stesse controbattendo a una critica, ma al contempo risultando freddamente interessato.
“Mai, adesso… non succede spesso.”
“Ogni volta che vieni qui, Matt. Guarda che me ne accorgo. E poi la mattina sembri un panda, generalmente. Che cazzo hai?” incalzò, strascicando qualche parola, ancora un po’ insonnolito.
Matt tirò una boccata di fumo, senza rispondere che con quella.
“Allora?”
Non gli bastava evidentemente. Perché lui non lasciava mai cadere le questioni, mentre il rosso mollava non appena trovava resistenza da parte sua?
“Ma che ne so… ”
Mello si alzò su un gomito a guardarlo, portandosi la sigaretta alla bocca con un vago sorriso appena approssimato sul volto.
“A che cosa pensi per tutta la fottuta notte?”
Matt si sentiva sotto interrogatorio. Quanto il biondo voleva andare in fondo a una questione ci arrivava, ma quella volta avrebbe davvero preferito che lasciasse perdere. Cosa gli avrebbe dovuto rispondere, poi? Penso a fare stupidi viaggi con te in un deserto? Fantastico sul fatto che presto rimarrò da solo? Ti guardo? Mi ingegno su come fumarmi una sigaretta senza farti arrabbiare e poi tu me ne offri una?
Mello continuava a fissarlo.
“A quello che capita… ”
“E prima a cosa pensavi?”
“Nulla in particolare…”
“A qualcosa dovrai pur pensare, no? Che fai, ti ripeti fisica?” continuò ironicamente Mello, lasciando cadere la cenere per terra con un movimento del braccio, che passò sopra l’amico e si sporse al di là del bordo del letto.
“Dai Mello, a cosa vuoi che pensi…” eluse il rosso.
L’amico emise uno sbuffo insoddisfatto e tirò una boccata di fumo.
“A me farebbe solo piacere che tu ti decidessi a dormire”
“Ti do fastidio?”
“No”
Per un po’ nessuno dei due tentò di continuare la conversazione. Matt adorava fumare, seppur conoscendo i danni che il fumo gli arrecava. La sua voce era sempre più bassa e roca, come Mello non mancava di fargli notare, e certe volte, d’inverno, la tosse per cui già aveva una predisposizione lo rendeva uno straccio.
Ma continuava a rimanere dipendente dal fumo, quasi per scelta. Diciamo che non voleva smettere.
Mello invece era per la sigaretta occasionale, e spesso rimproverava all’amico il consumo così alto che faceva di quei tubicini, anche perché non era facile procurarseli di nascosto.
Ma finché il rosso trovava qualche pacchetto di sigarette anche per lui non gli imponeva certo di smettere.
E poi quello che il biondo pensava, o almeno così diceva, era che chiunque aveva la libertà di vivere come voleva, senza limiti imposti da altri. L’importante per lui era che nessuno gli rompesse le scatole.
Quando finirono di fumare fu il rosso a spezzettare ciò che restava delle sigarette e a disperderle nel vento.
“A volte mi chiedo che cosa ci fai qua, Matt” sospirò pensosamente Mello, le mani sotto la testa.
“Perché?”
“Perché sei diverso”
Matt non seppe rispondere e si limito a tornarsene a letto, socchiudendo gli occhi verso il soffitto.
“Sei diverso da chi si vede in questo posto del cazzo. Davvero, sembra che non te ne freghi niente di tutto quello che fai. Perché stai qui?”
“Perché mi fai queste domande?” rispose il rosso sussurrando con qualcosa di stanco nella voce.
“Perché mi va. Tanto non mi rispondi” sbadigliò Mello.
“Non è vero che non mi interesso a nulla. Semplicemente non ho voglia di ossessionarmi a L come fai tu o come fa Near, tutto qua. Non mi interessa diventare il detective migliore del mondo, che male c’è?”
“Che la gente che sta qui è cresciuta solo per volerlo, non trovi?”
“Io non sarei comunque la persona giusta, lo sai benissimo.”
“E allora perché stai qui? Perché non vai altrove?”
Matt fu quasi ferito da quella domanda.
“Beh… cosa dovrei fare fuori da qui? Trovarmi un lavoro del cazzo?”
“Si esatto. Trovarti un lavoro del cazzo, come tutti. Farti una famiglia del cazzo. Voglio dire, il fatto di essere qui ti darebbe comunque molte possibilità di avere un buon lavoro del cazzo e una buona famiglia del cazzo. Perché no? Non saresti più felice, scusa?”
“Mello, non me ne frega niente di avere un lavoro e una famiglia. Del cazzo.”
“E di cosa te ne frega?”
Silenzio. Le tende continuavano a veleggiare, tirando un muro troppo grande per essere spostato. L’aria continuava a ricambiarsi, e l’odore del fumo si disperdeva in fretta.
“Un giorno L morirà, o se ne andrà. Lo sai, no? Uno di noi tre verrà scelto come suo successore.”
“Uno di voi due, Mello. Io non sono la persona giusta, te l’ho già detto e lo sanno tutti qui dentro.”
“Beh, comunque, ci separeremo. Lo sai, no?”
“Si, ovvio che lo so.” rispose Matt alzando gli occhi al cielo.
“Cosa farai allora?”
“Se scegliessero te, probabilmente me ne andrei a cercare un posto dal quale poter continuare a comunicare con te. Una posizione abbastanza alta per interessarti. Una cosa del genere. Se scegliessero Near, probabilmente dovrei aspettare anni e anni che tu ti riprenda dalla crisi di nervi. ”
Mello accennò un sorriso ironico e mezzo rassegnato.
“Ma perché? Perché stare con me?” domandò, incredulo.
“Ti interessa davvero?”
“Sì, te lo sto chiedendo, no?”
Matt notò che continuavano a comunicare a domande.
“Beh, perché mi va è una risposta sufficiente?”
“No” sussurrò Mello nel buio, allungandosi nel letto.
“Tu che ne pensi?”
Il biondo si strinse nelle spalle e sorrise di nuovo, con quell’ironia dissacrante.
“Stiamo bene insieme. Oggettivamente dico. Facci caso. Se tu non esistessi io sarei ancora peggio. Viceversa, se io non esistessi tu saresti ancora più inerme.”
Matt non si aspettava che l’amico fosse capace di ragionamenti così relativamente umani.
“Dici che ci equilibriamo?”
“Perché no?”
“E quindi è per questo che ci frequentiamo?”
“Si”
“Beh, però non funziona completamente. Voglio dire, io continuo a fregarmene di tutto e tu continui a pestare quelli più grandi ,a farti ammazzare di botte e a rispondere male a tutti. Senza offesa, eh.”
“Mica dobbiamo annullarci a vicenda, semplicemente dico che sarebbe peggio se non ci conoscessimo, no?”
“Non pensavo che tu preferissi avere qualcuno che ti controlla all’essere totalmente libero di fare quello che ti passa per la testa” ridacchiò Matt, continuando a fissare il soffitto.
“Già, neanche io lo pensavo. E tu stai qui solo per questo?”
“Non ho nient’altro, Mello”
Il biondo rifletté un attimo. Poi si girò verso Matt, muovendo le lenzuola e osservandolo, non ricambiato. Ora il rosso capiva perché l’amico considerasse fastidioso essere osservato continuamente. Sentire quello sguardo su di lui, pesante e indagatore, era una delle peggiori torture che gli fosse stato dato di subire. Non tentò di spostare i suoi occhi dal soffitto.
“Se tu avessi qualcos’altro te ne potresti andare. Vero?”
“Non lo farei. E poi che altro dovrei avere? Che altro dovremmo avere? Siamo orfani, Mello. Rinchiusi qui da anni. Credi che uscire e farsi una vita sia così facile?”
“No. Però si può. ”
“Volendo… Mello, io voglio stare qui. Perché mi fai queste domande?”
Il biondo abbassò lo sguardo dal  volto di Matt, pensosamente.
“Grazie” sussurrò alla fine, pur senza abbandonare completamente il suo tono arrogante.
“Di cosa?” domandò stupito Matt.
“Di sopportarmi, immagino”
Dette queste parole, Mello si allungò verso l’amico e lo abbracciò, facendogli spalancare gli occhi e perdere un battito.
La mattina successiva, Matt si svegliò per primo, trovandosi ancora Mello addosso. Non gli dava fastidio, le sue braccia erano esili e leggere. Osservò come si muoveva al ritmo del lento respiro, immerso nel sonno.
Studiò i suoi lineamenti da vicino, nel dettaglio.
Non poteva ancora credere a ciò che era successo la sera precedente. Cos’era successo, poi? aveva avuto una prova che anche Mello aveva sentimenti umani verso di lui?
Il biondo aprì gli occhi di ghiaccio e li fissò su di lui. Non si mosse di un millimetro.
“Hai dormito bene?” gli sussurrò Matt.
Lui annuì.
“Sognato qualcosa?”
“Sì”


Il giorno dopo a Mello e Matt venne tolto il permesso di vedersi, secondo precisi ordini di L a quanto pareva. Furono affidati a due diversi insegnanti che attraverso un computer e una voce camuffata davano loro l’istruzione di cui necessitavano. Le lezioni stesse erano strutturate da L, pareva. Anche per Near fu così.
Erano ancora e sempre nello stesso edificio, ma imprigionati nella solitudine più completa, nel silenzio. Non avevano discorsi all’infuori di quelli inerenti alla didattica da tempo che pareva troppo lungo.
Matt non smetteva di pensare per un secondo a ciò che aveva detto Mello quella notte. E si rendeva conto che era vero: senza l’amico a incitarlo di tanto in tanto, a stimolarlo senza apparentemente accorgersene, si sentiva svogliato e gli pareva fosse inutile studiare così tanto e migliorare con tanta ossessione di andare avanti fino alla perfezione.
E Mello, dall’altro lato, diventava sempre più ingestibile. Al solo sentire nominare il suo grande rivale andava in escandescenze. Si arrabbiava senza controllo, sfuggendo ai limiti imposti dal suo istruttore, che gli parlava solo da un computer, senza mai farsi vedere. Senza interazione umana, Mello sentiva di impazzire.
Di notte si rigirava nel letto senza prendere sonno, inconsapevole che lo stesso faceva il suo amico, distante.
Passarono i mesi. E più il tempo pareva rallentare, più Matt e Mello sentivano di svuotarsi.
Un giorno, L morì, come aveva predetto il biondo tempo prima. Quel giorno, lo stallo si scosse, il tempo riprese il normale ritmo. E tutto ciò accadde nel preciso momento in cui Mello, correndo nei corridoi che ben conosceva, sfondò la porta del rosso con una spallata e si fermò a fissarlo per qualche secondo, sdraiato sul letto a giocare con una console di cui non ricordava il nome.
Matt si ghiacciò sotto il suo sguardo, spalancando gli occhi e lasciando perdere il gioco, che cadde sul materasso senza rumore.
“Che cazzo fai?”
“Andiamocene Matt. ”
“Mello, che cazzo è successo?” si riprese il rosso, alzandosi e venendogli vicino in un attimo.
“L è morto.”
“C-cosa? L è morto?!”
Mello annuì silenziosamente, abbassando lo sguardo per un secondo.
“Non ha fatto in tempo a scegliere uno di noi. Ma io non posso collaborare con quello stronzo!” esclamò poi con rabbia.
In quel momento Matt ebbe la chiara impressione di quanto quei mesi avessero cambiato entrambi. Forse all’apparenza erano gli stessi, ma avvertiva perfettamente come l’amico avesse accumulato rabbia e frustrazione dentro di sé fino a non avere più il controllo di esse. Il tono della sua voce era diverso.
“Non posso collaborare con lui, Matt. Io devo andare via. Voglio andare via.”
“Certo. Andiamocene.”
Quando, poco dopo, si ritrovarono a camminare nella strada che si apriva al di là del cancello dell’orfanotrofio, stretti nelle giacche a causa del freddo invernale, con il poco bagaglio che si erano presi, Matt non sapeva dove stavano andando, ma Mello sì.
Continuava a guardare il rosso, senza capire come avesse potuto assecondarlo così.
“Matt, non devi venire per forza. Non sentirti obbligato.”  ringhiò.
Aveva notato lo sguardo che gli era passato sul volto quando si era reso conto che facevano sul serio. Che stavano abbandonando il poco che avevano.
“Non mi sento obbligato.”
Mello lasciò andare la piccola valigia per terra e si voltò verso di lui.
“Che c’è?”
“Grazie, Matt”
Un fiocco di neve separò i due, infilandosi poi in una fessura del terreno. Ne seguirono altri, sempre più grossi, che si posarono sulla scena come a volerla nascondere.
Matt allungò una mano e la posò sulla spalla dell’amico.
“Perché mi segui?” domandò Mello a bassa voce.
“Perché non ho nient’altro.”
“Beh, neanche io”
“Vorresti qualcos’altro?”
“No”
“Neanche io”
La neve continuò a scendere, ma i due non si voltarono più indietro e le loro impronte furono presto nascoste e cancellate dal bianco manto gelato che si adagiò su quella parte di mondo.
  
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