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Autore: summers001    04/01/2014    5 recensioni
[Seguito di Bimbi Sperduti]
"Ci avresti mai creduto che da uno come te ed una come me sarebbe uscito una bellezza simile?" Era più retorica che altro e nonostante questo attese ugualmente la sua risposta, che tardò ad arrivare. Sentì l'urgenza di riempire il vuoto "Io no." continuò allora. Cercò di cambiare posizione aspettando la risposta di lui.
"E' bellissimo." rispose lui alla fine.

Beh da questa intro potrà sembravi molto fluff, ma ho voluto lasciarci un pizzico di angst e beh qualcosina di hot qui e lì, ma molto molto leggeri tutti e tre! Buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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Maggio

"Swan!" la chiamò lui mezzo addormentato, sollevando appena la mano con la faccia affondata nel cuscino, la schiena scoperta per il caldo e la coperta arricciata sulle gambe.
"Tocca a te!" rispose lei, accucciata su un fianco con le gambe allungate per non dover piegare quell'angolo di pelle sul bacino dove la cicatrice del parto bruciava ancora.
"Sono andato meno di un'ora fa!" protestò lui con lo stesso tono.
"Già ed io l'ho sopportato per nove mesi!" Si lamentò Emma, coprendosi la testa con un cuscino per non sentire. Il neonato piangeva in continuazione e sicuramente aveva dei bei polmoni sani! Tuttavia la notte restava comunque difficile dormire. Henry aveva deciso infatti di passare più tempo con l'altra madre o con suo padre; David e Mary Margaret cercavano di accumulare sonno nel pomeriggio e non erano mancate le notti in cui lui aveva deciso di girare in pattuglia. Per dormire in auto, pensavano tutti.
Uncino si alzò mal volentieri. Calciò le coperte che Emma si tenne strette sulle spalle. Si avventurò lungo la culla che tenevano in camera accanto al letto. "Sai che questa scusa non durerà a lungo?" chiese sollevando il bambino con la sola mano, aiutandosi sul gomito.
"Quel giorno sarò diventata sorda!" ironizzò lei mentre lui se lo portava in salotto dove avevano preso a farlo addormentare prima di riportarlo sul piccolo materasso. Sbadigliò e si sedette sul divano, sperando intanto di non addormentarsi per primo.
"Allora ragazzo mio, di cosa hai bisogno questa volta?" gli chiese cullando il piccolo e facendolo saltellare appena sulla spalla. Cercava di tenere l'altro braccio, l'uncino, il più lontano possibile da lui, abbandonandolo sui cuscini di fianco.
Il neonato scosse le manine strette a pugno e gli colpì dolcemente la spalla. "Sei tutto tua madre!" sussurrò in un complimento, completamente innamorato della creatura che teneva tra le braccia. Il bambino fece un verso, gli piazzò le dita in faccia e le agitò mentre Uncino chiudeva gli occhi e sorrideva felice ed intenerito dalla sua espressione divertita, lasciandosi colpire il naso e la bocca. "Ti voglio bene, ragazzo mio!" gli sussurrò. Papà ti vuole bene, pensò intanto.

 

Erano un paio di notti che finalmente tutti dormivano tranquilli. Emma era sveglia però, mentre Uncino le dormiva di fianco. Ogni tanto lo guardava, sperava che non si svegliasse per non dovergli spiegare perché lo faceva e soprattutto per poter continuare a farlo.
Si mise a sedere quando sentì suo figlio agitarsi nella culla. Lo sentì buttar via il ciucciotto ed aprire la bocca impastata.

No, no, no, no!
Accorse da lui, lo prese in braccio e camminò a piedi scalzi verso il salotto.
Fece avanti e dietro cullandolo su una spalla quasi disperata: piangeva, forse a toni moderati ma piangeva. Non sapeva cosa fare, non l'aveva mai fatto e non capiva. Provò a passargli il latte nella sua bottiglina, controllò che fosse pulito, provò a cambiare posizione, niente. Quasi voleva piangere, mentre agitata si diceva che proprio la madre non la sapeva fare.
Si sedette allora un attimo sul divano, lo distese accanto a lei e gli sollevò la maglietta microscopica per controllare che non scottasse. Appena lo fece il bambino le afferrò un dito e lo strinse forte nella sua manina debole e smise di piangere. Emma si sorprese e portò l'altra mano alla bocca. Voleva solo stare con lei? Era perfetto. Perse qualche lacrima emozionata e silenziosa, pensando che fossero un regalo per lui, anche se avrebbe dovuto versarne tante anche in futuro.
Lo sollevò di scatto e se lo tenne tra le braccia e le gambe, mentre stava con i piedi sollevati da terra sul divano e le ginocchia piegate.
"Ti amo immensamente!" gli sussurrò.

 

Giugno:

"Quante volte l'hai già fatto?"
"Abbastanza da farlo meglio di te!"
"Emma," la chiamò lui spiando il pasticcio che stava combinando "forse è meglio se finisco io!" si offrì Uncino, sfilandole da mano il borotalco che stava armeggiando.
"Non se ne parla!" rispose lei orgogliosa, riprendendosi l'oggetto. Pulì per quanto meglio potesse la pelle di suo figlio, sotto gli occhi fastidiosi di lui; lo sollevò e gli infilò il pannolino dietro la schiena. Quando lo ripoggiò sul piano, la carta sotto di lui si arricciò. Emma sbuffò e prese un respiro profondo. Perché doveva agitarsi sempre con lei? Non era giornata. Uncino la guardava invece in posizione di attesa, fremente di intervenire.
Emma era sempre stata una donna pratica, eppure il bambino si agitava, piangeva e le rendeva tutto più difficile. Non sapeva come distrarlo, cosa gli piaceva, cosa gli dava fastidio. E lei voleva imparare, voleva conoscerlo, ma a volte proprio non riusciva a calmarlo! Sempre quando c'era lui di mezzo, sempre quando c'era il pirata dietro di lei, che diamine! Il riposo che s'era presa le aveva impedito di conoscere suo figlio che intanto piangeva ancora. Emma cominciava a corrucciare la fronte, stringere le labbra ed allargare le narici in respiri sempre più profondi. Uncino la scostò delicatamente, mentre lei stringendo una savviettina profumata si portò le mani alle labbra sull'orlo delle lacrime. Era davvero una pessima madre.
Uncino sistemò il bambino, giocò col metallo sul viso di lui, solleticandogli la pelle vicino al naso e si girò verso di lei. "Con una sola mano, Swan!" si vantò poi.
"L'hai solo fatto più di recente!" urlò lei ignorando le lacrime che le colavano su una guancia.
"Sei fastidiosamente orgogliosa, lo sai?" le disse lui, stanco di esser trattato male persino quando la aiutava. Aveva capito che non si era ancora ripresa, aveva notato che era diversa, ma sperava sempre che qualche tempo dopo la nascita del piccolo le cose sarebbero cambiate. In meglio.
"Dio non ti sopporto quando ti permetti di giudicarmi!" fece lei nervosa.
"Oh, io mi permetto di giudicarti?" disse lui sollevando la mano al cielo. "Hai sentito, ometto? Tua madre crede che io la stia giudicando!"
Il bambino cominciò a piangere così che furono costretti ad alzare i torni per potersi sentire a vicenda, creando ancora più confusione ed un circolo vizioso di grida.
"Smettila di parlargli come se ti capisse!" lo aggredì lei.
"Lui ti capisce!"
"Smettila di fingere di conoscerlo meglio di me!" urlò lei puntando il dito verso terra "Sono sua madre!" gli occhi le si erano bagnati completamente ed il suo verde quasi pareva un prato autunnale in tempesta.
Uncino allora si avvicinò già trionfante, armato, avendo colto un'intuizione "Swan," la chiamò abbassando i toni con la sua voce saccente "sei gelosa di me o di lui?"
Le urla del bambino si trasformarono poi anche in lacrime.
"Ragazzi!" li chiamò Mary Margaret che era corsa in salotto allarmata e se n'era stata fino ad allora in disparte.
Emma si voltò allora verso il figlio, ingoiando saliva ed asciugandosi una guancia. "L'hai fatto piangere!" commentò a voce alta, meno però rispetto a prima, rotta. Emma prese in braccio la creatura, che le urlò nell'orecchio. Lei allontanò infastidita il viso, stringendo i denti disturbata da quel suono.
"Swan!" cominciò Uncino, avvicinandosi anche lui al bambino facendole segno di passarglielo, perché sapeva come fare. La sua voce era però diventata minacciosa e questo fece nascondere ad Emma il piccolo contro di lei, voltando a lui invece la schiena.
"Smettila o lo farai continuare per sempre!" ringhiò lei.
"Ragazzi!" urlò infine Mary Margaret per farsi sentire finché fu avvolta dal silenzio "Piange percolpa di entrambi!" sussurrò infine pacata.
Emma si paralizzò allora e capì. Prese un respiro profondo, voltandosi verso Uncino lentamente, schiuse le labbra forse intenzionata a dire qualcosa o chiedere scusa, cosa che non fece, ma si limitò a sorridere debolmente e triste. Sorrise poi anche lui allo stesso modo piegando solo l'angolo della bocca.
Come aveva fatto Emma a dimenticare che lui era suo padre? Che lei era sua madre? Che erano genitori insieme? Sembrava tanto chiaro il giorno in cui lo avevano stretto per la prima volta.
Rivestirono insieme il bambino con la tutina celeste e si sedetterono insieme sul divano. Lei teneva lui, lui accarezzava la schiena di lui. Sorridevano entrambi guardandolo e facevano tenervi versi ogni tanto per coccolarlo.
"Emma," chiese poi lui in tono pacato e dispiaciuto "che sta succedendo?"
Emma scosse il capo. "Non lo so." Sussurrò alzando una mano e sollevando la manina di lui col solo indice, fingendo di stringergliela col pollice "Io..." cominciò ma non sapeva che dire, c'era qualcosa in lei che non si spiegava.
"Lo risolveremo!" sussurrò lui poggiandosi col capo sulla spalla di lei, ancora focalizzato con gli occhi sul figlio.
Emma annuì stringendo le labbra, decisa a non piangere di nuovo.

 

Luglio

"Hey."
"Hey."
"Sei sveglio."
"Sì, io... Stavo solo controllando che..." cercò di inventare lui.
"Lo faccio anch'io." lo bloccò subito veloce, non controllarlo, solo osservarlo nella notte quando lui non poteva vederla. "Controllarlo."
Uncino sorrise. Lo sapeva già, l'aveva vista alcune volte quando fingeva di dormire.
Emma si avvicinò alla culla e vi si appoggiò.
"L'abbiamo fatto noi." sussurrò Uncino provando ad avvicinarsi a lei, poggiando solo la sua mano sulla sua.
Emma si irrigidì, ma non si lasciò distrarre da suo figlio "Già." sussurrò. Ci pensò un attimo, poi sorrise. "Ci avresti mai creduto che da uno come te ed una come me sarebbe uscito una bellezza simile?" Era più retorica che altro e nonostante questo attese ugualmente la sua risposta, che tardò ad arrivare. Sentì l'urgenza di riempire il vuoto "Io no." continuò allora. Cercò di cambiare posizione aspettando la risposta di lui.
"E' bellissimo." rispose lui alla fine. Si avvicinò poi a lei, sentendone l'ansia e l'attesa da come si poggiava prima su un ginocchio poi sull'altro, da come correva con lo sguardo lungo i bordi della culla. Staccò la mano da quella di lei, Emma si allarmò al vuoto ed al freddo che la perdita del contatto la lasciò, ma poi lui le cominciò a carezzare la schiena, disegnando cerchietti su quel punto dove si curvava, dove una volta, mesi prima, le aveva contato le costole lungo il dorso. "No, non ci credo che siamo stati noi." rispose poi a lei calmo.
Emma sorrise. Ricominciò a sentire qualcosa allora, lungo la traccia delle sue dita, dove immaginava che il suo fiato potesse passare sopra di lei, dove il suo corpo era da poco cambiato e non lo sopportava, dove non voleva che le mettesse le mani, la mano, addosso, ma in fin dei conti lo voleva o cominciava a volerlo e sembrava cercare freneticamente il suo contatto, ma non ancora, troppo presto. Come quella volta dell'anno prima, quando tutto era cominciato, quando lo voleva, ma non era disposta ad ammetterlo e cercava qualunque tipo di contatto. Era combattuta, confusa, e si lasciò solo chiudere gli occhi e lasciarsi andare all'indietro, dove trovò il petto di lui a mantenerla. Uncino le circondò allora la vita con le braccia, tenendosela stretta. Poggiò il mento sulla spalla di lei, le lasciò un piccolo bacio su quel punto dove la clavicola faceva capolino sotto la pelle tra i muscoli, e tornò in posizione. Rimasero ancora a guardare quella meraviglia, stupiti minuto dopo minuto da quello che insieme erano riusciti a fare.

 

Agosto

"Arrivo, arrivo, arrivo!" Mary Margaret corse verso Emma che camminava avanti e dietro cullando il piccolo, mentre Henry seduto sul divano li guardava con la testa abbandonata sul cuscino e sbadigliando di tanto in tanto. Emma si girava e gli sorrideva allora, mentre lui chiudeva gli occhi ancora assonnato.
"Ecco prendi!" le disse Mary Margaret passandole un biberon con il latte, controllando prima però che la temperatura fosse adeguata.
"Grazie, mamma!" fece Emma afferrando l'oggetto e poggiando sulle labbra di suo figlio che le spalancò instintivamente. Spiò poi di sguincio la reazione di Mary Margaret, che emozionata si copriva la bocca con le mani.

"Emma!" la chiamò lui, avvicinandosi nel letto. Il bambino dormiva, loro due s'erano messi a letto da poco meno di dieci minuti, ma entrambi non riuscivano a prender sonno. Uncino lo sapeva perché: aveva un pensiero in testa che non si riusciva a levare e la pensava continuamente.
Si girò sul fianco e fece aderire il petto alla schiena di lei che inspirò forte allarmata. Lui premette il pube contro le gambe sottili di lei, spinse perché lo sentisse e cominciò ad accarezzarla con l'unica mano lungo le cosce, il sedere ed il fianco. "E' passato così tanto," cominciò lui a parlarle languido nell'orecchio. Le spostò i capelli e continuò tra una parola e l'altra a tracciarle piccoli baci lungo la curva del collo fin dietro l'orecchio. "sei mesi. Li ho contati tutti," le respirò sulla pelle, incoraggiato dai brividi di lei e dal respiro che le si stava accellerando e da come si stava agitando sotto di lui, forse finalmente nervosa. "giorno dopo giorno, a guardarti senza toccarti." Le succhiò quel punto tra il collo e l'orecchio e le sue labbra sulla pelle erano semplicemente perfette addosso.

Emma non si girò, ma cercò la sua mano, trovandola ancora ad aleggiare su di lei audace e timida insieme. Intrecciò le dita alle sue e se le portò davanti a lei, sul petto, sotto il mento, poggiandovi poi una guancia tenera, tagliando definitivamente i suoi tentativi.
Uncino prese un respiro profondo sconfitto, le lasciò un bacio sulla spalla e la tenne stretta per la notte.

 

Ottobre

"Le sue cose sono sul tavolo, ho riscaldato del latte, ora è caldo, così quando avrà fame non dovrai farlo tu. Se comincia a piangere puoi magari portarlo da Henry, lui riesce a calmarlo, non..." cominciò Emma ad elencare una lista a Mary Margaret mentre le lasciava il bambino in braccio e contava poi sulle dita una serie di cose perché lei non dovesse cercarle da sola. Aveva cominciato con le coperte nel cassetto affianco all'armadio, i giochini a terra forse sotto il letto, i cuscini su cui lo poggiava sempre che aveva lasciato apposta sul letto...
"Emma!" la richiamò sua madre "Credo di potercela fare!" le sorrise. "Ora va'!" le fece segno con la mano di procedere verso la porta, dove Uncino già l'aspettava, vestito di tutto punto in abiti moderni, camicia e pantaloni affusolati. Manteneva il suo stile e non rinunciava al pesante cappotto di pelle nera che si portava dietro dalla Foresta Incantata.
Emma sorrise a sua madre e raggiunse poi il pirata. Scesero le scale, entrarono in auto, lei li guidò fuori città in un locale.
Per tutta la sera lui la colse a guardarlo di nascosto, fingendosi distratta, a tratti pareva quasi timida. Sorrideva spesso ed era nervosa. Lui le spostò la sedia per farla accomodare, le baciò il dorso della mano e le dita, le versò il vino e rise con lei.
"Jones, non osare!" lo minacciò lei quando lui tentò di sollevarla e portarla fuori dal locale, verso l'auto, in braccio.
Uncino le si parò davanti allora sorpreso, era la prima volta che cambiava nomignolo per lui, la prima volta dopo trecento anni che qualcun lo chiamava con un altro nome. "Swan," cominciò lui "non mi permetterei mai!" continuò lui, cercando di nascondere quanto quel piccolo gesto lo colpiva. Poi tornò sui suoi giochi, finalmente poteva ridere di nuovo e godersi la sua Emma. La sollevò con un braccio sotto la piega delle ginocchia e l'altro dietro la schiena. La gonna le si arrotolò sulle gambe e lui apprezzò la vista.
Emma urlò e si coprì, afferrandosi poi al cappotto di lui al bavero e sulle spalle. La depositò in auto, fece il giro ed entrò anche lui.
"Ti odio!" gli sussurrò lei mentre s'infilava la cintura di sicurezza e metteva in moto. Lui copiò i suoi movimenti e rise di lei, per lei. Non stavano così bene da... Da mai!
Quando arrivarono di nuovo sotto casa, lui non perse tempo, le diede appena modo di spegnere l'auto e la mangiò di baci. Emma ne rimase prima sorpresa, ancora con l'anello delle chiavi infilato tra le dita, poi rispose e gli passò una mano tra i capelli e se lo attirò vicino. Uncino cercava di carezzarle le gambe, tra le gambe. Lei le chiudeva e stringeva e si allontanava di qualche millimetro ogni volta che ci provava.
"Hai paura che possa succedere di nuovo?" chiese lui prendendo aria lungo i baci che le stava lasciando ovunque ad occhi chiusi per afferrare al volo qualunque sensazione la pelle di lei volesse regalargli.
"No." rispose subito. A quello almeno aveva provveduto.
"Allora cos'hai, Emma?" le chiese a voce bassa, non interrompendo le sue premure, sollevando appena le labbra dal petto e dal collo di lei, completamente immerso in quello che era il suo odore.
"E' solo che..." cominciò fino a che un gemito cominciò a salirle in gola e morirle lungo le pareti della bocca prima che potesse lasciarlo andare, riducendolo ad un sospiro liberatorio "... mi sento strana. Non..." cercò di spiegarsi tra un respiro e l'altro, profondo e sempre più difficile "Diversa." concluse poi, stanca di parlare.
Uncino sorrise allora ed il piccolo sbuffo d'aria che gli uscì dalle narici riscaldò la pelle di lei, facendola rabbrividire in ogni punto eccento che in quello. Uncino a volte dimenticava che era una donna lei, una donna come le altre, seppur in sé per sé diversa. Era perfetta. "A questo posso provvedere io!" le sussurrò languido in un orecchio, afferrandole il lobo tra i denti, facendola sussultare.
Qualcosa scattò in Emma e sollevò le mani, portandole lungo il collo di lui, immergendone una tra i suoi capelli morbidi e scuri. Lo spinse sul suo collo, dove lui la delizio con tremendi baci che sapevano di caldo e del suo odore che le arrivava dalla sua pelle, troppo vicina da poterlo sentire. Emma fece scivolare una mano tra i loro corpi, si fece strada lungo i bottoni della camicia di lui, trovandogli i pantaloni, afferrandolo con una mano, aspettando la sua reazione, mentre cominciava a spingere il bacino verso di lui.
"Casa?" chiese lui risalendo con la lingua e la bocca lungo mascella di lei fino alle sue labbra, spostando invece la mano sul suo petto, la voce roca e morta per la lussuria.
Emma si trovò senza respiro con la bocca nella sua, costretta a respirare a fatica dal naso. Scosse la testa e si separo da lui solo per rispondergli. "Qui." Si attorcigliò per infilare anche l'altra mano su di lui, tra i bottoni dei pantaloni, per aprirli. Uncino grugnì sulle sue labbra, la issò e se la portò addosso.

 

Novembre

"Hey!" la chiamò lui che la stava guardando dall'alba. Era accucciata accanto a lui, con il viso nascosto in una massa di capelli biondi, accanto al suo braccio. Uncino l'aveva presa ed avvicinata, facendole posare il capo sul suo petto. Emma era troppo stanca per ribellarsi e nel dormiveglia non se n'era neanche resa conto.
"Hey! Come sta?" salutò lei di rimando, con voce impastata e gli occhi nascosti tra i capelli e sulla pelle di lui. Subito i suoi sensi di madre si risvegliarono con lei. Non che suo figlio stesse male o cosa, ma lo controllava sempre ogni mattina appena si svegliava, prima ancora di aprire gli occhi.
"Sta sognando." rispose lui, sorridendo. Raccolse la mano di Emma poi, ancora abbandonata da qualche parte sulla sua pancia, in attesa di riprendere vita. Giocò con le sue dita, le raccolse tra le sue e le intrecciò. Lei si lasciò afferrare ed in un gesto automatico completò il movimento, allacciandosi a lui. Uncino guardò le loro mani, soddisfatto. Non che non avessero intrecciato qualcosa di meglio di recente, ma avvicinarla in un gesto intimo quasi lo commuoveva.
"Te l'ha detto lui?" scherzò lei. Richiuse gli occhi, li strizzò e si rilassò scivolando nel sonno.
"Sorride." disse Uncino piano, sorridendo anche lui. Era bella la sua Emma, persino di primo mattino. Era luminosa come il sole tra i suoi capelli, splendeva alla luce tenue ed azzurrina tra i granelli di polvere che brillavano nel cono di luce che entrava dalla finestra. Era così giusto e così normale averla lì. Era così che doveva essere.
Emma sorrise ad occhi chiusi, immaginandosi il viso di suo figlio in una smorfia allegra. Si strinse a lui poi, si accucciò con le spalle sul petto di Uncino, la fronte nascosta nell'incavo del suo collo. Il ricordo di un bambino che sognava misto all'odore speziato della pelle di lui, scaldata al calore delle coperte. Poteva esserci un risveglio migliore? Era come vivere in una pubblicità.
"Swan?" la chiamò poi lui serio, con voce sottile e catartica.
"Cosa?" chiese lei, mentre il suo sogno ad occhi aperti le si rompeva sotto gli occhi, per un attimo impaurita che qualcosa fosse successa ed andata storta in quei pochi secondi di vita.
"Guardami."
Emma provò ad aprire gli occhi poi li strinse di nuovo, arricciò la fronte e le labbra in una smorfia e si nasconse di nuovo sul suo petto "Troppa luce!"
"E' mattino!" rispose frettoloso prima che la sua decisione andasse scemando "Guardami!"
Emma alzò allora le palpebre, sollevò il mento e si ritrovò faccia a faccia con lui, investita dal blu delle sue iridi, pizzicata dalla barbetta che risplendeva ambrata al sole.
"Ti amo." sussurrò lui, naturale, perfettamente a suo agio. Era normale, era così giusto. Non c'era vergogna o timore. Era come doveva essere, perfettamente naturale.
Emma si paralizzò ed improvvisamente fu ben più che sveglia. Cominciò a respirare veloce come se un macigno le comprimesse il cuore ed i polmoni. Come quando qualcosa ti schiaccia il torace e con fatica devi provare a respirare, più in fretta, più in fretta, prima che tutta l'aria finisca. Si alzò poi e con le lenzuola cercò di coprirsi addosso. Chiuse gli occhi e prese aria.
"Tranquilla," cominciò lui, cercò le sue dita e cominciò a giocherellare con la mano tesa sul materasso "non mi aspetto che tu..."
"Ti amo." disse poi lei di getto. Nascose gli occhi lei invece, provò a guardare oltre. Non l'aveva ancora detto, non così almeno. Si era concessa il lusso però di ammetterlo tra sé e sé.
Uncino sorrise. "Vieni qui." la invitò sollevando di nuovo le braccia ed accogliendola di nuovo. Le cominciò ad accarezzare i capelli in una nenia lenta, poi si sporse e le diede un bacio sulla fronte. Lei chiuse gli occhi ed ingoiò, si nasconde poi di nuovo. Una delle poche cose più difficili che avesse fatto.

 

Un anno dopo

Misero il bambino al centro della stanza e si disposero poi ai due lati opposti. Emma sollevò il piccolo fino a che riuscì a tenersi sulle gambe e poi si allontanò. Scommisero soldi, e qualcos'altro, sulla vittoria di se stessi.
"Tesoro, vieni dalla mamma!" lo chiamò Emma, inginocchiata con le braccia allungate aspettandolo. Sorrideva ed aveva il viso luminoso finalmente.
"No figliolo, vieni da papà!" Uncino rimase in piedi, si piegò giusto leggermente sulle ginocchia perché lo riconoscesse. Il freddo metallo dell'arto sinistro coperto a mala pena dalla manica di una maglia nera che aveva comprato di recente.
Il figlio si girò a destra e sinistra verso i due genitori, indeciso da cosa fare esattamente e dove andare. Il visetto paffutello era corrucciato e triste per esser stato abbandonato a quella scelta.
"Amore, lo sai che la mamma ti vuole più bene?" continuò lei imperterrita, poi si girò e raccolse dal bancone dietro di lei la bottiglina col latte zuccherato ed il cacao che gli aveva preparato. Sorrise e gliela ondeggiò davanti. Il bambino si girò incuriosito allora verso di lei, strabuzzò gli occhi, aprì la boccuccia ed incerto mosse un passo verso di lei.
"Figliolo!" lo richiamò allora Uncino in tono più deciso perché si girasse, cosa che fece. "Siamo tra uomini e un giorno capirai che per quello che la mamma mi ha promesso se vieni da me, vale la pena di fare qualche passetto!"
Emma alzò gli occhi e lo fissò con sguardo di disapprovazione, con le labbra serrate ridotte in un'unica linea. Lo faceva spesso, praticamente sempre.
"Cosa?" fece lui stringendosi nelle spalle "Almeno non lo tratto come un animale da compagnia!" le disse indicandolo con l'unica mano.
Emma si alzò, sbatté il biberon di nuovo sul bancone dietro di lei e si rivolse a lui. "Un animale da compagnia?" chiese ovvia. "Beh," cominciò avvicinandosi a lui decisa a grandi falcate "se non altro non gli parlo di sesso! Diavolo, non ha nemmeno un anno!" gli urlò davanti agli occhi agitata ed infastidita, quasi arrabbiata.
"Ce l'ha!" le rispose Uncino in tono di sfida, basso e perfido, scandendo sillaba per sillaba.
"Sì, c'ero anch'io quel giorno, me lo ricordo, grazie!" gli ringhiò Emma.
"Dei, Emma, sei una tale.."
"No!" lo interruppe lei decisa "Tu sei un tale! Sei un..." Emma si voltò indietro ed in basso dove sentì che insistentemente qualcosa le tirava vicino ai pantaloni, si guardò a destra e sinistra e trovò suo figlio, aggrappato ai vestiti di lei e di lui. "Oh mio dio, tesoro!" fece Emma allarmata o emozionata. Si portò le mani alla bocca e si abbassò subito per abbracciarlo, mentre lui gli scombinava i pochi capelli.
"Ha chiamato prima me!" sottolineò Uncino, impegnato.
"Sta zitto!" rispose lei sollevando il bambino.

 

Tre anni

"Ciao, papà! Ciao, mamma!" il bambino corse verso l'ingresso della scuola e si guarda attorno zampettando e tendosi stretto le cinghie dello zainetto sulle spalle con le manine piccole ed imbranate. Camminava bene finalmente, una gamba ancora paffuta dietro l'altra. Qualcuno aveva insistito che crescesse da uomo sin da subito.
Varcò appena la soglia quando si ricordò qualcosa nascosta nella tasca dei pantaloncini blu. Strinse la catenella nella mano e si guardò indietro. Mamma e papà erano ancora lì. Corse in fretta per raggiungerli, non potevano andare via, non poteva permetterselo, doveva raggiungerli, era vitale.
Emma lo vide tornare indietro come una furia, strinse gli occhi e si coprì con una mano dal sole. Si avvicinò piano e si abbassò per attenderlo, ma lui la superò e corre dietro di lei dove c'era ancora Uncino.
"Papà!" urlò il bambino. Killian lo sapeva, si accucciò ed aspettò. Il bambino arrivò col fiatone, il padre dovette tenerlo e mormorare un "oh oh, piano!" perché non rotolasse in terra.
Il bambino prese aria e con una mano si afferrò a quella di lui con cui lo stava sostenendo, mentre con l'altra gli fece cadere il gingillo davanti agli occhi. "Non te l'avevo ridata!". Stringeva a pugno la catena d'argento con la croce appesa, lavorata, decorata in nero e decisamente vissuta, opaca, mai lucidata.
Emma si alzò e si sporse a guardare cosa avessero da nasconderle quei due.
Gliel'aveva data la notte prima per fargli coraggio, gli aveva dato qualcosa per farlo sembrare un uomo anche a scuola, a dispetto di tutti gli altri, gli altri bambini che il primo giorno di scuola piangevano e chiamavano la mamma. Ma lui no, non l'avrebbe fatto. Un uomo non chiama la mamma!
"Tienila, è tua adesso!" sorrise Uncino e gli strinse una spalla per infodergli fiducia e creare un contatto.
Il bambino lo guardò, poi fissò il gingillo che teneva stretto nel pugno. Lo fissò ancora e corse via, intimitorito che il papà potesse ripensarci da un secondo all'altro. Ora era meglio se fossero andati subito via.
Corse verso la scuola, dove una maestra alta dai capelli scuri lo stava aspettando. La maestra salutò Emma con una mano, che ricambiò. Lo sapeva già che era sua nonna, che era la nonna più giovane da quelle parti, ma a scuola doveva cercare di evitarla s'erano detti, non voleva sembrare il favorito per quello.
"Perché deve andare?" chiese Uncino avvicinandosi ad Emma guardando suo figlio andare via "Non possiamo insegnargli noi tutto quello che deve sapere?"
"No!" rispose lei secca. Una vecchia abitudine di stringersi tra le braccia la travolse. Sollevò le mani, ma lui gliele riportò subito a posto accanto ai fianchi e le si parò poi davanti.
"Non mi piace come posto, potrebbe crollare da un momento all'altro..." ci pensò, cercò argomentazioni sensate, ma lo sguardo severo di lei non cambiava "Io vado a riprenderlo!"
"No!" lo afferrò Emma per il polso "Stai qui!"

 

Quindici anni

Emma stava preparando la colazione per tutti, come le avevano chiesto di fare quella mattina che era di nuovo il primo giorno di scuola per suo figlio, ormai quindicenne. Le somiglianze s'erano fatte chiare, non aveva niente di Emma eccetto qualche sfumatura degli occhi. I contorni della bocca somigliavano a quelli del nonno, il mento della nonna, che poi somigliava anche a quello della mamma a guardarlo meglio. I capelli erano cresciuti lisci e scuri, come suo padre, ma lui li tirava su davanti alla fronte come tutti gli altri della sua età, arruffati invece sul retro dove non riusciva a vedersi, frettoloso e disordinato. Stringeva tra le dita un cellulare sul quale scriveva in maniera incessante, silenzioso però, furbo per non essere beccato. Aveva ancora qualche brufolo sul viso, uno sulla fronte l'altro tra l'orecchio e lo zigomo, nascosto sotto le basette. La barba non cresceva ancora folta, forse un po' a macchie e solo di recente Henry , ventisei-enne, gli aveva insegnato come raderla via nel frattempo, mentre aspettava che sarebbe cresciuta folta. Appesa al collo portava ancora la catena con la croce, nascosta nella T shirt verde scuro. Se la portava dietro da più di dieci anni senza mai separarsene e se non altro l'aveva lasciata a Mary Margaret qualche minuto perché gliela lucidasse.
Emma non ricordava quando quella tradizione era cominciata. Ricordava solo che ogni mattina in quel 10 di settembre un bambino sempre più alto anno dopo anno, veniva a scuoterla chiedendole di cucinare. E si accumulavano persone attorno a quel tavolo: Mary Margaret e David per primi; poi Henry che anche doveva andare a scuola all'epoca, quando non dormiva da Neal o da Regina; Killian solo per ultimo, in tempo sempre però per non perdersi il momento di gloria del suo ragazzo. David non se lo sarebbe mai aspettato che sarebbe stato così bravo!
Emma passò con una pentola in mano, sollevò un pancake con una paletta e si sporse a depositarne uno nei piatti di ogni figlio. Killian le era accanto e con la coda dell'occhio non faceva altro che guardarle i fianchi, il sedere, ancora tonica, ancora bella, memore della notte precedente. Quando lei si voltò e tornò indietro, lui allungò la mano per pizzicarle il sedere. Emma si girò e lo scosse via distratta come con una mosca.
"Che schifo, papà!" fece il ragazzo, staccando gli occhi dal cellulare per un momento.
"Figliolo," cominciò Killian serio, abbassando solo lievemente la voce perché comunque risultasse chiaro. "non credere che non ti abbia visto ieri sera!" fece poi, accennando a quando era passato per errore davanti al bagno e suo figlio era lì dentro da solo.
Emma lo colpì dietro le spalle con un pugno. In tema di discrezione quell'uomo era come un elefante in un negozio di cristalli! Ed in più Emma non voleva saperlo. Era normale, ovvio che era normale, ma non voleva saperne niente.
"Che c'è?" le rispose lui massaggiandosi la spalla, per fortuna quella dove non aveva una mano, rendendogli possibile il movimento "Il ragazzo è grande, presto avrà il piacere di un'esperienza nuova in compagnia!" si giustificò. Poteva reggere i suoi giochi finalmente e non volevano farlo parlare? Che barbaria era mai quella?
"Smettila di parlarne!" fece lei stufa, mettendosi a sedere, evitando però lo sguardo di suo figlio e lui il suo. Era seduta davanti a lui, accanto a Killian che aveva di fronte Henry, un giovanotto vestito in camicia e maglioncino che se la rideva sotto i baffi.
"Grazie, mamma!" sussurrò il ragazzo. Emma gli coprì la mano con la sua in un incoraggiamento e gliela strinse leggermente, sorridendogli mentre voltava di nuovo lo sguardo verso Killian pronto ad affrontarlo.
"E' una fase di passaggio," disse Henry a suo fratello, stanco perché aveva subito anche lui lo stesso trattamento, felice di poter scaricarsi sul più piccolo "e deve ancora venire il bello!"
"Ti sono stato utile!" fece però Killian, indicando Henry e sorridendo soddisfatto. Henry sorrise appena impercettibilmente e nascose poi la bocca dietro un fazzoletto. Beh, sì, gli era stato utile.
"Chiudi quella diavolo di bocca!" sbottò lei stufa. Non aveva neanche avuto il tempo di infilare qualcosa in bocca per ascoltarli.
Henry alzò allora un pugno e Killian fece lo stesso, gesto che gli aveva insegnato anni ed anni prima. Voleva dire intesa, voleva dire "hai ragione, amico". Killian gli aveva insegnato qualcosa. Gli aveva parlato magari di... "Oh mio dio!" Emma fece sconvolta, erano pur sempre i suoi figli. Si alzò e se ne andò, dimenticando anche il piatto lì. Se ne andò diretta in un'altra stanza.
"Grazie ragazzi, è sempre divertente!" ridacchiò Killian con un'espressione divertita e soddisfatta sul volto.

 

Ventidue

Per Emma non era più Uncino, lei non lo chiamava più così da anni. Per Henry era sempre stato solo Killian, da quando si ricordava che gli aveva rivolto la parola, una mattina quando Killian gli chiese di trovare sua madre e non permetterle di buttare via tutto, quando sapeva che solo suo figlio poteva convincerla. E ad anni di distanza era ancora così. Per suo figlio era invece solo papà.
Era così normale essere solo "papà", nonostante l'abitudine, nonostante fosse stato "Uncino" per più di dieci volte il tempo in cui era stato solo "papà".
Era strano guardarlo poi andare via. Lui lì, alto, moro come lui e gli occhi verdi di sua madre, nel giardino di casa mentre scappava via verso il collage e raggiungeva la ragazza che gli aveva presentato. Killian lo sapeva che se s'era spinto a tanto era qualcosa di grosso. E gli aveva stretto la mano e gli aveva dato il benvenuto e non aveva fatto le battutine che suo figlio odiava tanto. Si ricordò della prima volta che lo tenne fra le braccia, di quel momento quando anche lei s'era emozionata a tenerlo tra le braccia, lei tanto stoica ed imperturbabile che poi aveva mosso il mondo, e non solo il loro, per i suoi figli.
Chiamò Emma e spiarono insieme la nuova coppietta, mentre Henry, trent'anni suonati, di sotto in auto suonava il clacson aspettando suo fratello per portarlo lontano, lontano da casa, dove poi avrebbe potuto costruirsi lui un'altra casa.
Killian si poggiò con la fronte sulla nuca di Emma, nascondendo un sorriso triste e felice insieme. Emma si voltò stranita verso di lui e lo punzecchiò con un dito. "Che tenerone!"
Killian sorrise. "Pensa a te!" le disse spiando la lacrima che aveva Emma negli angoli agli occhi.

 

Prima che tutto avesse inizio

"Non per vantarmi, ma è stato magnifico!" disse lui stiracchiandosi e portando le braccia dietro al collo, fissando il soffitto fatto a tegole di legno della Jolly Roger. Quante ne aveva viste quella nave!
Emma roteò gli occhi con disappunto, si alzò e riabbottonò i pantaloni che intanto s'era già rinfilata mentre Uncino perdeva tempo a congratularsi con sé stesso.
"Dove stai andando, Swan?" chiese lui quando sentì la zip dei suoi stivali salire su, poco prima che fuggisse via veloce come un lampo.
"A casa?" chiese lei ironica, dove voleva che andasse? Aggiustò il colletto del cappotto e sfilò i capelli da dietro la schiena.
"Credevo che volessi restare qui!" fece lui indicando il letto con gli occhi, accarezzando con la punta delle dita la forma che aveva lasciato sulle lenzuola col suo corpo. Sì, lì con lui, glielo diceva che voleva con i gesti, con la postura rigida che manteneva accanto a lui, quei tempi infiniti prima che rispondesse, che scegliesse le parole, che accumulasse cattiverie da raccontargli a cui lui non credeva mai.
"Qui? Con te?" rispose lei, ridendo quasi per l'assurdità della cosa.
Uncino si avvicinò, le si portò dietro, le spostò i capelli davanti ad una spalla lasciandole libero il collo ed una clavicola. Le accarezzò la pelle con la punta del naso, fece su e giù lungo il caldo profumo dolce che emanava. "Beh, non ci piove in testa, c'è un letto caldo, ci sono io..." le rispose soffiandole dietro l'orecchio.
"Sì, non è per la nave, è proprio per te." si forzò lei di dire, passando ad appoggiarsi da un ginocchio all'altro in tensione. Scosse la testa appena un po' di lato e sfuggì alla presa di lui, mettendosi al sicuro oltre lo stipite della porta. Si voltò appena per vedere come l'aveva lasciato, nudo in piedi, con un sorriso stampato addosso quasi soddisfatto. E si odiava per averglielo lasciato addosso, per aver reagito così.
Lui sorrise perché sapeva che Emma faceva finta di niente, ma che prima o poi avrebbe capito, che l'avrebbe affrontato, che l'avrebbe voluto più di quanto fosse importante mantenere segrete quelle sue scappatelle, che prima o poi l'avrebbe avuta tutta per sé.
"Ti aspetto, Swan."
Emma ne rimase affetta da quella visione, doveva ammettere che non la lasciava proprio indifferente. Le tremolò il labbro e se lo leccò per mascherarlo, lo fissò e cambiò di nuovo posizione sui piedi. "Non contarci! Faremo finta che questo non sia mai successo!"
"Vedremo!" fece lui scoprendo i denti divertito.
"Vedrai!"

 



Angolo dell'autrice
Salve!
Lo so aspettevate questa ff da moltissimo tempo, spero solo sia all'altezza delle vostre aspettative! L'ho inserita in una serie (spero di riuscire a capire come si crea una serie ma intanto mi anticipo!) perché spero in futuro di inserire qualche altra OS, sentendomi ispirata da una frase che ho inserito nel testo: "(Emma) aveva mosso il mondo, e non solo il loro, per i suoi figli". Se ne parlerà più in là però, abbiate solo fiducia che ci sarà come l'avete avuta per questa ff ;)
Il titolo significa "Sano e salvo", la serie si chiamerà "Home" e come avrete capito sono titoli correlati tra loro, insieme a "bimbi sperduti". Ho cercato di fare riferimento all'evoluzione dei personaggi.

Ps. piccolo avviso per chi segue anche l'altra mia ff long; aggiornerò! Sicuramente lo farò, ho pensato a molte cose ed evoluto e dettagliato la trama, purtroppo ho pochissimo tempo ultimamente per via degli esami e l'unica cosa che ho potuto fare per ora è questa. Spero di riuscire ad aggiornare prima del 20 giorno circa, abbiate fede ancora una volta!

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