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Autore: herescueme    05/01/2014    0 recensioni
Jussara si è dovuta trasferire in Italia dopo aver vissuto 17 anni della sua vita in Brasile. Riuscirà a instaurarsi in quella città dove la mentalità della gente era completamente diversa da quella in cui era abituata lei? Riuscirà a trovare una persona che la farà sentire di nuovo a casa?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo uno

Erano i primi di ottobre. Quei primi di ottobre in cui iniziarono quei giorni piovosi e c’era il vento che era ancora stranamente caldo. Proprio in quel mese lasciai la mia casa e i miei ricordi in Brasile per partire in Italia.
Mio nonno, padre di mio padre, stava male e mia nonna ha chiesto a mio padre se poteva andare a Firenze per aiutarla qualche mese fa. Mio padre era partito e ed era tornato dopo qualche giorno, però passarono poche settimane quando mia nonna lo richiamò di nuovo. Mia mamma non sapeva cosa fare. Mio padre non faceva altro che fare avanti e indietro per l’Italia e per il Brasile. Era sempre stanco e lasciava lei, la mia sorellina e me da sole a casa.
Allora alla fine mio padre ebbe la grande idea di trasferirsi e noi ovviamente con lui. Beh, grande idea. Era difficile da accettare in realtà per me. Dovevo lasciare tutto per ricrearmi tutto da capo. Pareva un po’ un pensiero egoista e un po’ mi dispiace perché i miei nonni ci sono sempre stati per me ed io avrei dovuto fare lo stesso. Quando mia mamma ce l’ha annunciato a me e a mia sorella io sono rimasta impietrita da quella notizia e senza discutere le ho detto che andava bene, ma in realtà stavo pensando a come sarebbe andata, a come sarei riuscita io a sopravvivere lì.
Invece mia sorella si mise a piangere. Lei ha sette anni e aveva appena iniziato il secondo anno di Ensino Fundamental I a San Paolo che equivale alla scuola elementare in Italia. Io le stavo molto accanto dato che i miei genitori lavoravano tutto il giorno. Mia madre fa l’infermiera mentre mio padre è un uomo d’affari che fa parte di un’impresa internazionale.
 
Quando arrivammo davanti alla casa, io e mia sorella eravamo mano nella mano. Non voleva lasciare la mia mano né il suo peluche preferito che era appeso nell’altra mano. Era grande da fuori e aveva pure un grandissimo giardino, ma non era la mia casa. Eravamo in collina, lontani dalla parte urbana della città, e sinceramente non mi dispiaceva. Entrammo in casa. Dafne, mia sorella, mi lasciò la mano per andare a scegliere la sua camera dato che nostro padre ci aveva detto che ognuno di noi aveva una camera tutta per sé, a differenza di quando eravamo in Brasile. Lì noi due dividevamo la camera, e abitavamo in città in un condominio.
Sorrisi a vederla correre su per le scale a cercare le camere. La seguii in tutta fretta, prima che mi rubasse la più grande. C’erano diverse porte. Poi sentii il mio nome.
«Ju! Ju! Io prendo questa» urlò Dafne in una camera. Seguii la sua voce e la ritrovai in una camera piccolina con una grande finestra.
«Hai guardato anche le altre?» Le chiesi.
«In realtà no» dise quasi dispiaciuta. «ma questa mi piace!» risi.
Uscii dalla camera per andare a vedere le altre per poi decidere. Entrai in una camera abbastanza grande, dove c’era una porta finestra. Era completamente bianca. Il parquet era bianco e il soffitto e le pareti pure. Mi piaceva.
«Jussara! Dafne! Scendete e aiutatemi!» questa era la voce di mia madre. Uscii da quella camera dove trovai mia sorella nel corridoio ridere e correre subito dopo giù per le scale, e io la seguii subito dopo.
Aiutammo mia madre e iniziammo pure a mettere in ordine tutte le cose che erano dentro gli scatoloni, mentre mio padre con l’aiuto di alcuni uomini portò i mobili da riassemblare al piano di sopra.
A fine giornata portai gli ultimi scatoloni nella camera che doveva essere mia e la posai per terra insieme alle altre. Ero distrutta e così mi sdraiai sul letto e fissai il soffitto.
Non era passato neanche un giorno e già mi mancava tantissimo. Mi mancava tutto di San Paolo, ma soprattutto mi mancava Keivan, il mio migliore amico. Quando gli ho detto la notizia lui non ci credeva, non credeva che potesse mai succedere. Lui sapeva tutta la situazione di mio nonno e difatti mi è stato accanto tutto il tempo. E ora che mi sento così vuota ho solo bisogno di lui. Ci conosciamo da quanto siamo piccolissimi e abbiamo fatto tutto assieme. Siamo andati in vacanza assieme, andavamo assieme a farci i giri in longboard per le strade ripide e vuote, andavamo insieme a scuola e in più Dafne lo adoravava. Eravamo un po’ come due fratelli, però eravamo completamente diversi. Lui ha gli occhi color nocciola, mentre io ce li ho verdi ma a volte sembrano che diventino gialli miele, io ho le lentiggini presi da mio padre mentre lui non ce li aveva, lui ha la pelle molto più scura della mia. Gli voglio un mondo di bene, però mi sento così in colpa ad averlo lasciato da “solo”. Il giorno della partenza non l’ho neanche salutato perché se l’avessi salutato non mi sarei più staccata da lui. Mi sento così in colpa che pagherei per un altro suo abbraccio. Di quelli che ti fanno sentire davvero a casa.  
 
Il giorno dopo mi svegliai che non sapevo dove mi trovassi, poi mi ricordai. Uscii dalla stanza senza distruggere nulla per il mio cammino e scesi le scale per andare in cucina dove trovai mia mamma e mio padre che stavano preparando la colazione.
«Bom dia» dissi entrando in cucina e mi sedetti su una sedia dell’isola.
«Buongiorno Ju» mi dissero loro.
«Ho preparato del caffè, ne vuoi un po’ anche tu?» mi chiedò mia madre.
«Sì, grazie. Però con un po’ di latte per favore.» le sorrisi.
«Allora, come la trovi questa casa?» mi chiedò mio padre.
«Beh, in realtà non è male. Mi piace.» gli dissi mentendo di essere felice, mentre stavo bevendo il caffè latte caldo.
«Bene! Oggi viene tua nonna a trovarci» disse lui sorridendo.
«Oh, bene!» esultai.
«Amore, digli quella cosa» gli disse mia madre sorridendo. Doveva essere una bella notizia.
«Ah sì, quasi dimenticavo. Ti ho iscritto al liceo artistico, come volevi tu».
Oh. La scuola, già. Bella notizia, oddio.
«Ah. E quando inizio?»
«Fra tre giorni»
Bene, avrei avuto qualche tempo per prepararmi psicologicamente.
Nuova scuola, nuova classe, nuove persone.
Dovevo abituarmi all’idea di essere in una nuova città, in un nuovo stato, in un nuovo continente, purtroppo. In questo momento avevo solo bisogno del sostegno di Keivan. Dio, quanto mi mancava! Oggi volevo cercare di sentirlo, in qualche modo. Non sapevo neanche se volesse sentirmi lui. Dopo come mi ero comportata in quel modo non so, beh ma io ci avrei provato comunque.
Andai in bagno e mi feci una doccia veloce. Poi tornai in camera e misi la musica e iniziai ad aprire gli scatoloni. C’erano foto mie e di Keivan che appesi subito sulla bacheca accanto alla mia scrivania con un po’ di tristezza. Continuavo a guardarle. Mi venivano in mente tutte le nostre giornate assieme a scappare dai nostri genitori perché troppo indaffarati con il lavoro e andavamo in giro per la città a cercare nuove avventure. Non abbiamo mai avuto una storia assieme, eravamo troppo uniti come fratelli. Eravamo.
Prima che arrivasse mia nonna avevo già messo apposto tutta la mia camera. Avevo spostato anche i mobili perché non mi piacevano come li avevano messi. L’armadio era aperto, senza ante e occupava una parete intera, e nella parete di fronte c’era una libreria piena di libri, adoravo leggere. Mi vestii e scesi ad accogliere mia nonna.
Quando scesi la trovai sul divano con i miei genitori.
«Ciao nonna!» dissi correndo da lei abbracciandola.
«Ma ciao nipotina mia! Come stai?»
«Bene, tu nonna?» dissi mentendole.
«Bene, sono contenta di vedervi dopo tanto! Ti va di andare a farci un giro per la città così te la faccio vedere? Va bene Enrico?»
«Beh, sì per me va bene! Basta che me la riporti!» disse mio padre ridendo.
«Va bene se prendiamo anche Dafne con noi?» chiesi io, guardando mia sorella che era seduta in braccio a mia madre.
«Certo. Dai, andate a vestirvi.» presi mia sorella e andammo a vestirci.
 
Eravamo in macchina, io nel posto accanto al guidatore e mia sorella dietro. Guardavo fuori dalla finestra mentre passavano le immagini di case analoghe fra loro, un paesaggio verde, pieno di alberi.
Poi mi girai verso mia nonna. Era una donna bellissima, e non dimostrava neanche di avere i suoi anni. Aveva i capelli lunghi e bianchi che aveva raccolto in una treccia lunghissima, aveva i miei stessi occhi e aveva la pelle chiara con quale ruga. Era vestita anche molto elegantemente.
Ci fermammo e scendemmo dalla macchina. Andammo a farci un giro tra i negozi. Mia sorella più avanti di noi e correva da tutte le parti. L’adoravo, aveva i capelli più belli in assoluto, dei capelli con piccoli riccioli color miele, e poi il suo sorriso ti coinvolgeva. Era una bellissima bambina, sì.
«Allora dimmi, cos’hai?» mi girai di scatto verso mia nonna. Ero sorpresa da quella domanda.
«Nulla, perché?»
«Non mentirmi, Jussara. Capisco quando una persona ha qualcosa che non va e tu hai di sicuro qualcosa che non va»
«Sono stanca per il trasloco, tutto qua.» Non volevo aggiungere i miei a quelli che aveva già lei di suo, tra mio nonno che sta male e tutto il resto non credo che sia proprio il momento giusto per raccontare i miei capricci a mia nonna.
«Tesoro, vedi che a me puoi dirlo. Non preoccuparti della situazione che c’è adesso. Non voglio vederti triste. E poi parlarne con qualcuno ti farà stare molto meglio.»
Mi aveva convinta, forse parlarne con qualcuno mi avrebbe fatto stare meglio.
«Mm, non lo so nonna. E’ stato tutto così affrettato. Lì avevo tutto. Tutto. E per di più ho lasciato il mio migliore amico lì. Ti ricordi Keivan? Te l’avevo presentato qualche anno fa.»
«Oh, sì che me lo ricordo. Sembravate fratelli.»
«Già.» dissi infine con un filo di tristezza.
«Tesoro, lo puoi sentire in qualunque momento. Con la tecnologia che c’è adesso sarà come vedersi tutti i giorni.»
«Sì, beh hai ragione. Ma il punto non è quello. Il giorno che sono partita non sono riuscita a salutarlo. Mi sentivo troppo in colpa.»
«Io credo che se lo chiami e gli dici come sono andate le cose davvero, riuscirà a perdonarti, ma non abbadderti in questo modo.»
«Non è così semplice nonna.» le sorrisi.
 
Continuammo il nostro giro e nostra nonna ci comprò anche molte cose. Dopo un lungo giro entrammo in un bar a prenderci qualcosa da bere. Ci sedemmo in un tavolino da quattro posti quando un ragazzo forse più grande di me si avvicinò al tavolo.
«Buongiorno signora» disse lui sorridendo a mia nonna.
«Oh, ciao Lucas. Lo sai che mi puoi chiamare Camilla.»
«No, preferisco chiamarla signora.» mia nonna rise.
«Sempre la stessa storia. Ti volevo far conoscere le mie due nipotine che si sono appena traferite qui dal Brasile.» Lui guardò mia sorella sorridendole.
«Ciao, io sono Dafne» disse lei, salutandolo con la mano. Poi posò lo sguardo su di me. Aveva degli occhi color nocciola e aveva devi capelli scuri con il ciuffo un po’ scompigliato.
«Lei è Jussara» disse mia nonna al posto mio.
«Piacere, io sono Lucas.» mi disse allungando la mano che strinsi a mia volta.
«Bene, cosa vi porto?» chiese infine lui.
 
Finimmo quello che ci aveva portato e poi uscimmo dal bar e ritornammo a casa.
Appena arrivata a casa si fece tardi e con il fuso orario in Brasile doveva essere giorno. Così provai a chiamare Keivan. Ero ansiosa e facevo avanti e indietro per la camera non sentendo nessuna voce dall’altro capo del telefono. Non mi avrebbe mai risposto, ne ero sicura. Quando avevo perso le speranze sentii la sua voce.
«Pronto?» mi si fermò il cuore. Non ci potevo credere.
«Hey Keivan. Sono Ju» dissi preoccupata.
«Finalmente ti fai sentire eh? Come stai? Come è stato il viaggio?» non ci credevo, non sembrava arrabbiato.
«Scusami ero un po’ indaffarata con il trasloco. Qui è diverso, molto diverso. E sinceramente non vedo l’ora di tornare a San Paolo» dissi facendo una risata quasi isterica cercando di non fare uscire le lacrime che erano lì lì per solcarmi il viso, finalmente.
«Immagino. Mi manchi Jux» era come mi chiamava lui, Jux.
«Anche tu Kei. Scusami, ti prego. Scusami se non ti ho salutato ma non ce l’avrei mai fatta a staccarmi da te» dissi quando ormai le lacrime mi stavano rigando il viso.
«Stai tranquilla, ti conosco abbastanza. Non sono arrabbiato.» sentivo che stava sorridendo. «Non piangere, ti prego.» disse dopo una pausa.
«Scusami, ma finalmente riesco a piangere. Ne avevo bisogno.» dissi sorridendo.
Dopo qualche mezz’ora che eravamo al telefono assieme lui mi diede la buonanotte e riattaccammo. Andai a dormire finalmente senza qualche peso che mi mangiasse lo stomaco.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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