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Autore: SayItToTheMoon    05/01/2014    3 recensioni
Le fresche giornate autunnali di Novembre avevano lasciato il posto al freddo pungente di Dicembre. New York era sempre la solita caotica città di sempre. Era tutto uguale, tutto immutato. Nessuno poteva immaginare l’incombente pericolo che minacciava quel quotidiano caos cittadino.
Il destino di milioni di persone era appeso ad un filo talmente fragile che anche un soffio lo avrebbe spezzato. Un gruppo ignoto di persone avrebbe sacrificato la propria vita senza che tutti quegli umani potessero saperlo.
Eppure c’era tra loro chi, in quel momento, aveva messo da parte quel clima di tensione e stava affrontando i demoni che aveva dentro .
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Le fresche giornate autunnali avevano di Novembre avevano lasciato il posto al freddo pungente di Dicembre.  New York era sempre la solita caotica città di sempre. Era tutto uguale, tutto immutato. Nessuno poteva immaginare l’incombente pericolo che minacciava quel quotidiano caos cittadino.
Il destino di milioni di persone era appeso ad un filo talmente fragile che anche un soffio lo avrebbe spezzato. Un gruppo ignoto di persone avrebbe sacrificato la propria vita senza che tutti quegli umani potessero saperlo.
Eppure c’era  tra loro chi, in quel momento, aveva messo da parte quel clima di tensione e stava affrontando i demoni che aveva dentro .

 
Il ristorante al lato della 34esima strada era stranamente pieno di gente ed in mezzo a tutta quella calca riuscì a confondersi anche un ragazzo alto, capelli neri e occhi blu.
Si era insinuato in quel locale, lontano dalle vie principali, e si era seduto in un angolo remoto  e aveva ordinato un caffe macchiato, senza zucchero.
Non aveva affatto fame  e non c’era nulla di dolce, nemmeno lo zucchero, che potesse migliorare il suo umore grigio.

Aveva ancora quelle immagini davanti agli occhi, quegli ultimi momenti in cui lo aveva visto voltarsi e andare via, per sempre.  Lo aveva perso e tutto per uno stupido errore, per una stupida bugia, per una stupida idea che gli era passata per la mente. Si sentiva uno stupido ma ammetterlo non lo faceva di certo stare meglio. Ciò che lo avrebbe fatto stare meglio era un abbraccio del suo ragazzo che lo guardava con i suoi occhi felini ma profondi, quegli occhi che celavano un passato che a lui non era dato conoscere e che aveva portato alla rottura del loro rapporto. Sapeva che non era stato solo quello a fare infuriare lo stregone. Era stato un insieme di cose che Alec sapeva di aver fatto e che avevano ferito il suo amante.
Avrebbe dato qualunque cosa pur di tornare indietro e rimediare agli errori che aveva commesso nelle ultime settimane. Era stato testardo, freddo e scostante; era stato bugiardo e manipolatore e aveva tradito la fiducia dell’unica persona che lo amava veramente e incondizionatamente.
Ma non aveva solo questo a cui pensare, purtroppo. Jace si stava riprendendo da poco dopo la battaglia sul Burren ed era suo dovere di fratello e Parabatai stare al suo fianco, senza fargli mancare nulla; suo padre sarebbe tornato a giorni da Idris e lo avrebbe nuovamente coinvolto negli affari del Conclave e nelle nuove direttive da stabilire per evitare che quella guerra incombente potesse diventare un massacro vero e proprio. Eppure nessuna di queste preoccupazioni aveva lo stesso peso della sua rottura con Magnus. Si sentiva uno sciocco e si era sempre ripromesso che non si sarebbe mai fatto coinvolgere in storie simili, che avrebbero intaccato il suo carattere così calmo e freddo; eppure, nonostante il suo orgoglio da Shadowhunter glielo imponesse, si era lasciato abbandonare a quella tipica tristezza che avvolge una persona alla fine di una storia di amore. Ma nel suo cuore sentiva che non era ancora finita. Magnus gli aveva detto che lo amava e almeno qualcosa doveva contare, gli aveva detto di mettersi in salvo prima che  quella sciagura si abbattesse sul loro futuro, sulle loro vite. Sapeva che lo aveva allontanato per puro orgoglio e sperava che un giorno, una volta che le ferite si fossero rimarginate, avrebbe potuto tornare da lui e parlargli col cuore in mano per fargli capire quanto lo amasse e che sarebbe stato disposto ad invecchiare con lui, accettando la propria mortalità e allo stesso tempo l’immortalità dell’altro. Niente tranelli, niente domande sul suo passato. Il presente e il futuro erano ciò che contava e,anche se lo aveva capito in quel momento, aveva delle basi da cui poter ripartire se l’altro era disposto a dargli un’altra possibilità.

Bevve il suo caffè, ormai freddo , e lasciò i soldi, con mancia annessa, sul tavolo del bar per poi uscire indisturbato dal locale affollato.
Una folata di vento freddo gli sferzò sulla faccia e gli smosse i lucidi capelli neri. Si mise le mani in tasca per cercare calore ma perse un battito quando fra le sue dita scivolò un oggetto fin troppo familiare. Erano le chiavi di casa di Magnus. Doveva ancora portar via la roba da casa sua, come lo stregone gli aveva ordinato di fare, solo che ancora non aveva trovato il coraggio di farlo. Portare le sue cose via da quella casa era come ammettere che davvero era tutto finito e non voleva accettare questa ipotesi nemmeno per un attimo. Tuttavia sentiva di dovere almeno questo al ragazzo; assecondare una sua richiesta, sebbene andasse contro la sua volontà, era un primo passo per  riconquistare un po’ di credibilità e rispetto da parte dell’altro.
Gli ci vollero circa 20 minuti a piedi per arrivare a casa dello stregone. Con gesto veloce prese le chiavi e aprì la porta di casa ma non appena  varcò la soglia una paura lo attanaglio all’ingresso : e se se lo fosse trovato davanti? Come avrebbe dovuto reagire? Avrebbe dovuto parlargli o avrebbe dovuto fare finta di nulla e andare via con la coda fra le gambe.
Una vocina da dentro gli disse che non poteva e non doveva essere questo a fermarlo. Doveva essere uomo e doveva subire le conseguenze di tutte le sue scelte, inclusa quella.
Si avviò con passo più o meno deciso verso la sua camera, verso la loro camera. Aprì la porta con cauta lentezza e prima di entrare fece capolino per controllare che all’interno non ci fosse nessuno. Tirò un sospiro di sollievo quando trovò la camera vuota; era tutto in perfetto ordine, come sempre.  Il suo sguardo ricadde immediatamente sul letto, ovviamente sistemato , dove erano piegati e pronti per essere via tutti i suoi abiti e le sue cianfrusaglie. Sentì un groppo alla gola e roteò gli occhi per impedire alle sue lacrime di scendere. Non doveva piangere, non lì, non in quel momento.  Se Magnus fosse improvvisamente entrato e lo avesse visto avrebbe potuto pensare e dire qualcosa sulla sua fragilità da ragazzo mortale qual’era e come questa fosse proprio una delle ragioni che lo avevano indotto a lasciarlo. Invece no, se lo avesse dovuto incontrare, anche in mezzo al corridoio, gli avrebbe dimostrato che era capace di affrontare quella situazione perché non era debole e sapeva controllare le sue emozioni, anche davanti a lui.

Non appena ebbe finito di  sistemare tutto nel suo borsone, se lo mise in spalla e uscì dalla stanza richiudendosi lentamente la porta alle spalle. Chiuse gli occhi e sospirò, era tremendamente stanco e aveva solo voglia di tornare all’Istituto e buttarsi a capofitto nelle prossime missioni per poter svuotare la sua mente da tutti quei pensieri. Un rumore, tuttavia, lo distrasse dal suo flusso di coscienza e lo riportò alla realtà. Si guardò intorno furtivamente e lanciò uno sbuffo, sia di sollievo che di delusione, quando vide Chairman Meow che si rotolava sul pavimento per attirare la sua attenzione. Era abituato ad ogni atteggiamento di quella bestiola e col tempo aveva imparato ad affezionarsi anche a quel gatto.  Mosse qualche passo in direzione dell’animale, si abbassò a grattargli la pancia per qualche istante e con riluttanza si alzò e si avvicinò alla porta. Prima di uscire guardò per l’ultima l’abitazione per qualche tempo aveva considerato casa sua. Sarebbe mai tornato lì? Avrebbe mai rivisto Magnus? Non aveva nemmeno saputo se in quello stesso momento lui fosse in casa, non aveva voluto indagare e sentiva che era giusto così, per entrambi.  Dopo qualche istante si avviò fuori da quella casa e passò velocemente sul vialetto senza voltarsi nemmeno un secondo a fissare dietro di se.
Se solo lo avesse fatto, avrebbe visto un’esile figura che dalla finestra , con aria sconfitta, lo vedeva scomparire nel caos della Grande Mela.

  
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