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Autore: Tamar10    06/01/2014    7 recensioni
Col tempo le cose avevano ricominciarono ad andare nel verso giusto – o più probabilmente in quello totalmente sbagliato – indagini, serial killer psicopatici, Sherlock nel suo laboratorio sempre preso ad analizzare qualcosa, John che lo seguiva stravolto ma felice. Ogni tanto vedeva anche Lastrade. E poi ancora casi, indagini, omicidi e Sherlock.
Sherlock coi suoi commenti demolitori e la sua mancanza di tatto, Sherlock con i suoi riccioli scuri e gli occhi chiarissimi.

[Molly/Sherlock] [Non tiene conto degli eventi della terza stagione]
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Molly ci aveva messo anni per scoprire quando Sherlock fosse nato. Nei primi tempi in cui lo conosceva – ed era già cotta di lui – non aveva neanche pensato che potesse avere un compleanno.
Sherlock aveva quel modo di fare, con assoluta sicurezza e arroganza, tale che non riusciva neanche immaginare un tempo in cui fosse stato un neonato. Sembrava essere sempre esistito così, con i suoi occhi glaciali e indosso il cappotto nero, eterno.
Poi Molly aveva realizzato che in fondo – molto in fondo – anche Sherlock era umano e quindi doveva esserci un giorno in cui fosse nato. Era andata a controllare in tutti i registri, tutti i documenti burocratici, tutto ciò che riguardasse Sherlock. Alla fine l'aveva trovato.
In realtà era stato relativamente semplice visto che aveva analizzato lei il suo finto cadavere all'obitorio.
La data di nascita era scritta di fianco a quella di morte. Molly aveva cercato di ignorare la seconda perché, nonostante sapesse che Sherlock era ancora vivo da qualche parte, faceva ancora troppo male pensare all'accaduto. Si era invece soffermata sulla prima.
Il 6 Gennaio 1981, pensandoci quella data calzava a pennello per Sherlock. Un giorno freddo, grigio; una festa, ma la più triste di tutte perché appena prima della riapertura delle scuole.
Molly Hooper aveva aspettato pazientemente che Sherlock tornasse. C'erano stati dei momenti in cui aveva pensato non l'avrebbe mai più rivisto, ma poi un giorno si era presentato in laboratorio così di punto in bianco.
Lì Molly commise il suo primo grande errore.

 

“Molly,” stava dicendo Sherlock come se non fossero passati due anni dall'ultima volta che si erano visti, “ho bisogno di un...”
Lo abbracciò. Non poté resistere. Non poté vedendolo entrare nel laboratorio dopo così tanto tempo, non dopo aver sentito la sua voce chiamare il suo nome, non dopo aver sentito il suo profumo – un indefinibile misto di odori che lei aveva ribattezzato “Essenza di Sherlock” – riempire la stanza. Semplicemente non poté non farlo.
Questo fu il primo grande errore di Molly Hooper, perché c'erano migliaia di cose che Sherlock non sopportava – cose assurde come pensare troppo rumorosamente mentre lavorava su un caso o la gente che metteva troppo zucchero nel tè – ma sopra ogni altra cosa Sherlock non sopportava essere toccato, nello specifico caso abbracciato, senza il suo permesso.
Sentì il suo corpo irrigidirsi al contatto, poi molto lentamente percepì un braccio di Sherlock spostarsi e la sua mano gli sfiorò i capelli. Una carezza timorosa, ma dolcissima che le fermò il cuore.
Per quelli che sembrarono secoli Molly rimase a bearsi di quel tocco, ma improvvisamente Sherlock si scostò. Le lanciò uno sguardo indecifrabile e Molly si maledisse per la sua stupidità.
Temeva che se ne sarebbe andato di nuovo così come era venuto. Invece Sherlock riprese la sua solita maschera di indifferenza verso di lei e proseguì come se non fosse accaduto niente.
“Molly ho bisogno di fare delle analisi su dei campioni trovati sulla scena del delitto”
Le ci volle un po' prima che le parole di Sherlock raggiungessero il suo cervello e ancora di più perché assumessero un senso. Ma in fondo non le importava, era solo una la sua preoccupazione in quel momento.
“Sei davvero tornato?” fu l'unica cosa che riuscì a dire.
“Evidente, Molly. Adesso però l'urgenza è il caso da risolvere, altrimenti non sarei qui”
Pronunciò il suo nome con quel tono scostante che era solito usare con lei. Per un attimo Molly fu catapultata indietro nel tempo, prima del salto, e il suo corpo si mosse automaticamente andando a prendere gli strumenti necessari.
Era sempre andata così. Lei che aiutava Sherlock nelle analisi, che gli passava i cadaveri di nascosto, che si faceva in quattro per lui. Non aveva mai preteso di essere ringraziata, mai. Eppure quando l'aveva aiutato a inscenare la propria morte aveva sperato che lui si sarebbe fatto sentire. Anche solo un SMS con su scritto “Starò via per un po'. Tornerò fra un paio d'anni. SH
Si sarebbe accontentata anche solo delle sue iniziali.
Invece niente, come al solito, perché era quello che Sherlock la considerava veramente. Zero.
Aveva cercato di convincersi che non ne valeva la pena struggersi per lui. Aveva avuto relazioni più o meno stabili e aveva cercato di dimenticare Sherlock. Pensava di esserci riuscita in quei due anni, ma ritrovandoselo nel suo laboratorio così all'improvviso aveva capito che in fondo non era cambiato niente.
Amava ancora Sherlock, era la fottuta realtà.

 

Col tempo le cose avevano ricominciarono ad andare nel verso giusto – o più probabilmente in quello totalmente sbagliato – indagini, serial killer psicopatici, Sherlock nel suo laboratorio sempre preso ad analizzare qualcosa, John che lo seguiva stravolto ma felice. Ogni tanto vedeva anche Lastrade. E poi ancora casi, indagini, omicidi e Sherlock.
Sherlock coi suoi commenti demolitori e la sua mancanza di tatto, Sherlock con i suoi riccioli scuri e gli occhi chiarissimi. Sherlock che era diventato una presenza costante, come prima, più di prima. Ma se possibile era anche diventato più freddo e distante e Molly era sicura fosse a causa dell'abbraccio, di quello strano momento di vulnerabilità che aveva condiviso con lei.
C'erano momenti in cui sentiva il suo sguardo addosso e si girava. Spesso Sherlock la fissava senza vederla davvero, perso in chissà quali ragionamenti, eppure lei poteva sentire i suoi occhi attraversarle l'anima e pesare come un macigno sul suo petto.

 

“Dove sei stato per tutto questo tempo?” domandò una volta per spezzare la tensione e l'imbarazzo che le provocava il suo sguardo.
Non si aspettava che le avrebbe risposto davvero.
Sherlock si riscosse dalla sua trance e la guardò come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza fisica nella stanza.
“Stati Uniti” disse dopo un attimo di pausa, “Accadono un mucchio di cose interessanti lì e l'F.B.I. è quasi più incompetente di Scotland Yard”

 

Una sera si stava preparando per un appuntamento, mentre Sherlock esaminava la composizione di un qualche tipo di terra.
“Io non lo farei fossi in te”
Molly si fermò a metà nel gesto di allacciarsi una collana di perle piuttosto vecchia.
“Cosa?” chiese timorosa.
“L'appuntamento. Devi uscire con quell'infermiere che sta al terzo piano”
“Sì” rispose Molly anche se quella di Sherlock non era una domanda, “Cosa c'è di male?”
“Ti porterà in un ristorante cinese da quattro soldi e non farà altro che parlare della sua mammina. Non penso neanche che sia eterosessuale”
Molly rimase qualche secondo ammutolita davanti alle dichiarazioni ciniche di Sherlock.
“Beh,” riuscì a dire infine, “i biscotti della fortuna sono simpatici”
Sherlock sbuffò.
“Quelli sono solo comunissimi biscotti con delle frasi all'interno che dovrebbero predire il futuro. Ridicolo! Credono a questo genere di cose solo le persone tristi e pigre che pensano di poter migliorare la loro inutile esistenza attraverso eventi soprannaturali e si affidano alla preghiera o alla fortuna. Quindi, Molly Hooper, non capisco davvero cosa ci sia di tanto simpatico in quei biscotti. Non sono neanche davvero di origine cinese, è una tradizione occidentale”
Molly cercò di fare un sorriso tirato.
“Scusa Sherlock, adesso devo proprio andare” disse scostante.
Poi abbandonò il laboratorio, lasciando Sherlock da solo a chiedersi cosa avesse detto di male.

 

Molte sere dopo – o forse notti, visto che quando Sherlock era in laboratorio Molly si tratteneva fino a orari improbabili per fargli compagnia – lei trovò il coraggio di chiedergli per quale motivo fosse tornato.
“Sono innamorato”
Molly si sentì sprofondare.
Per anni si era convinta che Sherlock fosse semplicemente incapace di amare qualcuno, quella era sempre stata la sua consolazione. Non avrebbe mai potuto avere il suo amore, ma non avrebbe nemmeno potuto averlo qualcun'altra.
Si immaginò quell'Irene Adler che abbracciava il suo Sherlock, che lo baciava e lui che le accarezzava dolcemente i capelli, come aveva fatto con lei un giorno di troppo tempo prima.
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime e la gola pizzicarle.
“Sono innamorato di Londra” riprese a dire Sherlock, “Delle sue vie secondarie, degli edifici più antichi e dei grattacieli ultramoderni della City, delle cabine telefoniche rosse e dei taxi neri, del London Eye e del Tamigi, di Baker Street e del Barts”
Sorrise, un sorriso vero e anche se un po' malinconico, e - Molly ne era certa - non era mai stato così bello come in quel momento.

 

Il secondo grande errore di Molly fu proprio a causa di questo.
Si era illusa che Sherlock fosse cambiato dopo la caduta, che essere andato così vicino alla morte gli avesse fatto comprendere che anche lui era umano.
In verità era rimasto lo stronzo sociopatico e saputello di sempre.
Lo comprese appieno una sera, stava facendo gli straordinari al Barts e Sherlock entrò in laboratorio come una furia.
“Devo fare degli esperimenti” sentenziò scorbutico, poi le lanciò uno sguardo di sfida. Molly non osò contraddirlo.
Quindi il detective cominciò ad afferrare con rabbia gli strumenti necessari. Quando lei ricominciò ad esaminare il cadavere steso sul tavolo da lavoro Sherlock scattò.
“Cosa pensi di fare?!” urlò, “Non puoi lavorare, mi servi per l'esperimento”
Era abituata al caratteraccio di Sherlock, a volte si arrabbiava per un nonnulla o restava sdraiato per giorni in vestaglia sul divano oppure non toccava cibo e non dormiva.
Molly aveva ribattezzato questi i suoi “Momenti Mestruali”, più comunemente M.M.
Quella sera però Sherlock era completamente fuori di sé. L'ultima volta che l'aveva visto così era quando avevano parlato poco prima che inscenasse la sua morte, ma neanche allora c'era quella rabbia nei suoi gesti.
“Molly!” la richiamò, “Ho detto che mi servi”
Lei si morse un labbro. Era quello l'unico modo in cui Sherlock la vedeva: uno strumento come tanti altri di cui disporre a suo piacimento. Si avvicinò a lui spaventata dal suo comportamento.
Lei conosceva bene Sherlock. Non una conoscenza diretta – anche se in quegli ultimi mesi c'erano stati dei momenti che Molly conservava con cura nella sua memoria in cui Sherlock si era leggermente aperto con lei rispondendo ad alcune sue domande – ma più che altro le sue conoscenze si basavano sull'osservazione. Quell'arte tanto cara al suddetto detective.
Aveva passato ore ad osservare di nascosto Sherlock lavorare. All'inizio l'aveva fatto solamente perché lo trovava incredibilmente affascinante, ma poi aveva iniziato a comprendere i suoi comportamenti. Quando arricciava le labbra era infastidito e quando affrontava un caso abbastanza emozionante tormentava il polsino sinistro della sua camicia, la maggior parte delle volte in cui sorrideva era perché voleva ottenere qualcosa e quando c'era John era più rilassato.
Aveva cominciato a studiare Sherlock proprio come si studia una materia particolarmente difficile, ma appassionante. In tutti quegli anni aveva imparato a distinguere migliaia sfaccettature di Sherlock e ad associare ognuna di esse a uno stato d'animo, ma nonostante tutto questo non riusciva ancora a capire cosa gli passasse per la testa.
Molly iniziò a mangiarsi le unghie, nervosa. Sherlock sembrava incapace di concentrarsi su qualsiasi cosa stesse facendo, continuava a camminare avanti e indietro borbottando quelli che le sembravano elementi della tavola periodica.
“Sherlock...?” sussurrò timorosa della sua reazione.
“...cloro, argon, potassio...”
“Sherlock?!”
“...calcio, scandio...COSA DIAVOLO VUOI?!”
Sherlock le era talmente vicino da sovrastarla completamente. In un'altra occasione Molly avrebbe gioito o almeno sarebbe stata emozionata, invece in quel momento aveva solo una gran voglia di scappare.
“Pensavo...solo...stai bene? Sembri...” si trattenne dal dire strano, “...agitato”
Sherlock si allontanò di qualche passo e Molly trasse un piccolo sospiro di sollievo.
“Non ho bisogno della tua preoccupazione, Molly Hooper” disse pronunciando il suo nome con asprezza, “Davvero pensi che tu, una semplice dottoressa che non ha nessuna ambizione né soddisfazione nella sua patetica vita, possa aiutare me? Forse stamattina il tuo oroscopo diceva: non farti gli affari tuoi e segui sempre i tuoi sogni? Lascia che ti dica una cosa, Molly Hooper, cresci! Non puoi continuare a credere in queste patetiche fantasie. Non ci sarà alcun principe azzurro alla fine dell'arcobaleno, non un lieto fine. Non hai più dodici anni, dovresti aver imparato che i sogni restano sempre tali”
Molly chiuse gli occhi, lacrime calde cominciarono a scorrerle inarrestabili sul viso. Non avrebbe voluto piangere davanti a Sherlock, ma aveva avvertito un disprezzo profondo nella sua voce. Forse era dettato solo dalla rabbia del momento, ma Molly sapeva che ciò che aveva detto lo pensava davvero.
Sentì i suoi passi avvicinarsi. Serrò gli occhi quando l'estremità della sua giacca le sfiorò la mano. Poi la porta dell'obitorio si chiuse sbattendo e quando Molly si guardò intorno era sola nella stanza.

 

Quando aveva visto il nome JOHN lampeggiare sul display del suo cellulare aveva pensato di mettere giù la chiamata. Non aveva bisogno di compassione né voleva sentirsi dire che Sherlock era molto dispiaciuto quando sapeva che in realtà non era affatto vero.
Alla fine aveva risposto, intenzionata di dire a John che non avrebbe tentato il suicidio o pianto in silenzio per tutta la notte – anche se su quest'ultimo punto non ne era per niente sicura – e poi avrebbe spento il telefono.
“Pronto?”
Molly! Lui è con te?”
La voce di John sembrava preoccupata.
“Sherlock se n'è appena andato” solo in quel momento le ritornò in mente la sua rabbia inspiegabile, “Gli è successo qualcosa?”
Dall'altro capo del telefono ci fu un crepitio.
Gli ho detto...” si interruppe Ha scoperto che Irene Adler è morta
Molly era confusa.
Irene Adler era la donna bellissima e pericolosa per cui Sherlock provava una sorta di ossessione – si rifiutò di pensare la parola amore –, il cadavere della quale lui aveva riconosciuto senza vestiti.
“Ma non era già morta un paio di volte?”
A quanto pare no...cioè ora sì. È morta. Per davvero.
E improvvisamente la rabbia di Sherlock assunse un senso.

 

La pioggia confondeva ogni cosa. Non era la solita pioggerella sottile tipica di Londra, era un violento acquazzone come non se ne vedevano da anni. Folate di vento gelido le scompigliavano i capelli e le mandavano la pioggia negli occhi.
Molly rabbrividì stringendosi nella giacca, quella pioggia le metteva addosso una strana angoscia. Si avvicinò al bordo della strada cercando di fermare un taxi. L'acqua cadeva talmente fitta che tutto quello che riusciva a distinguere era la luce sfuocata dei fari delle macchine.
Finalmente un tassista misericordioso si fermò. Molly entrò in auto, riparandosi dalla pioggia. Mentre la macchina ripartiva le sembrò di scorgere una figura ferma poco più avanti.
Sherlock sembrava non accorgersi del freddo e dell'acqua. Stava ritto sul margine della strada a fissare il nulla. Sospirò e una nuvola di fumo si mischiò al suo respiro.
Il taxi gli sfrecciò di fianco mentre buttava la sigaretta per terra.
Molly lo intravide appena, i ricci bagnati appiccicati al viso e gli occhi pieni di dolore.
Distolse subito gli occhi dal finestrino. Aveva la sensazione che quella scena sarebbe dovuta rimanere privata.

 

“Sei mai stata innamorata di qualcuno?”
Molly fece quasi cadere la provetta che teneva in mano per la sorpresa.
Era uno di quei pomeriggi d'inverno in cui il tempo sembrava fermarsi. Una spessa coltre di neve ricopriva i tetti londinesi e la capitale inglese solitamente colma di gente sembrava essersi svuotata. Le persone erano chiuse in casa, a rilassarsi e trascorrere le vacanze natalizie con la propria famiglia. Persino i pazienti del Barts erano diminuiti e ovunque si respirava un'aria di festa. Ma Sherlock no, lui non riposava mai.
In qualche modo era riuscito a convincerla – in realtà Molly non riusciva mia a dirgli di no – quindi aveva sfidato il freddo e la neve e si era diretta all'obitorio, completamente vuoto ad eccezione di lei, Sherlock e un paio di cadaveri.
Il pomeriggio stava proseguendo serenamente, Sherlock era stato perfino gentile con lei – cosa che accadeva con la stessa frequenza di una tormenta di neve nel deserto – ma poi l'aveva spiazzato con quella domanda.
“Cosa?” riuscì finalmente a dire Molly girandosi a guardarlo.
Sherlock la fissava incuriosito.
“Sei mai stata innamorata di qualcuno?” ripeté, “Intendo non solo attrazione fisica, ma anche coinvolgimento sentimentale”
Molly sbatté un paio di volte le palpebre cercando di convincersi che quella conversazione stesse avvenendo davvero. Sherlock era l'uomo più intelligente che avesse mai conosciuto, eppure su certe cose sembrava proprio stupido. Nonostante la sua perenne attenzione a ogni dettaglio e le sue capacità deduttive non si accorgeva di quanto lei lo amasse.
“Sì” rispose infine.
“Ah, e com'è?”
“Beh...” gli lanciò un'occhiata di soppiatto “Alto, moro, affascinante...”
“Non lui, Molly!” la interruppe Sherlock seccato, “Essere innamorati: com'è?”
Per la prima volta nella sua vita era Sherlock a non capire qualcosa e lei a doverglielo spiegare, era una situazione strana.
In realtà neanche lei avrebbe saputo cosa dire, c'erano volte in cui l'amore per Sherlock la faceva stare al settimo cielo e volte – la maggior parte delle volte – in cui avrebbe voluto rannicchiarsi sul divano a mangiare gelato per il resto dei suoi giorni. Senza contare che tutte le volte che lo vedeva sentiva il cuore accelerare e il cervello andare in tilt, provava paura di dire qualcosa di stupido e gioia di saperlo vicino.
Alla fine decise di dire la verità.
“È un casino”
Il tono suo tono fu più amaro di quanto avrebbe voluto e Sherlock le rivolse uno sguardo leggermente sorpreso.
“È un caso talmente complesso che neanche tu sapresti risolverlo”
Sherlock sembrava leggermente deluso dalla sua risposta.
“Mi sottovaluti” disse prima di rimettersi al lavoro.
Molly si tormentò l'interno della guancia, indecisa se parlare. Alla fine racimolò tutto il suo coraggio e fece un passo avanti.
“Tu lo sei mai stato?” domandò con un filo di voce, “Innamorato?”
Sherlock alzò gli occhi Dio quanto erano belli! dal microscopio. Le sorrise e Molly si sentì avvampare. Per la prima volta non riuscì a capire se era uno dei suoi soliti sorrisi ironici o uno vero. Poi senza dire una parola chinò di nuovo la testa tornando a lavorare, l'ombra del sorriso ancora visibile sul suo volto.

 

Era stato John a far sorgere la questione.
In realtà lui sosteneva che la colpa fosse tutta di un composto di sodio e ossigeno che gli aveva dato l'idea che aveva scatenato quel...delirio era l'unico termine appropriato.
Erano secoli che Molly non rideva tanto. Le facevano male le guance e gli addominali e le lacrimavano gli occhi, ma non riusciva a fermarsi.
Era partito tutto quella mattina, quando Sherlock aveva dato a John il compito di analizzare delle prove per conto suo perché il grandioso detective non voleva scomodarsi dal divano. Un tipico comportamento sherlockiano.
John non l'aveva presa bene, ma aveva eseguito gli ordini, perché lui era John – a breve San John da Beker Street – e Sherlock era Sherlock.
Quindi probabilmente per vendetta a un certo punto – mentre studiava il suddetto composto – aveva domandato:
“Secondo te Sherlock è mai stato una persona normale?” Molly gli aveva rifilato un'occhiata piuttosto eloquente, ma lui aveva continuato imperterrito, “Insomma tu te lo immagini da piccolo, mentre tutti i bambini vogliono fare i calciatori o gli astronauti, un mini-Sherlock che con una vocetta stridula declama di voler fare il consulente investigativo
Era stato l'inizio della fine.
Avevano passato la seguente mezz'ora a ridere a crepapelle pensando a tutte le strane passioni e sogni che poteva coltivare Sherlock da piccolo.
“Te lo vedi,” stava dicendo John cercando di prendere aria fra un eccesso di risa e l'altro, “giocare a nascondino e scoprire tutti gli altri bambini seguendo le impronte o analizzando una foglia sospetta o calcolando il probabile nascondiglio in base all'inclinazione del sole e la forza del vento”
In quel momento la porta del laboratorio sbatté e le loro risate cessarono all'improvviso.
“Sono felice che vi stiate divertendo” disse Sherlock entrando, anche se sembrava tutt'altro che felice. Molly decretò che doveva essere in un M.M. “Ora se non vi dispiace, ma anche se vi dispiace non mi importa, sono certo che avete un lavoro da compiere”
“Sherlock!” esclamò John con un tono a metà fra il sorpreso e l'allarmato, “Come mai sei qui?”
“Mi stavo annoiando” rispose con una smorfia, “E poi diciamo che mi fischiavano le orecchie”
John stava per ribattere, ma venne anticipato dallo squillo del cellulare di Sherlock. L'espressione del detective si fece di colpo interessata.
“Vengo subito” disse chiudendo la chiamata, “Era Lestrade” li informò contento.
Molly era sempre strabiliata da quanto Sherlock fosse lunatico durante i suoi M.M.
Lui osservò Molly e John divertito.
“Pirata” annunciò in fine.
“Come?” ebbe il coraggio di chiedere Molly.
“Da piccolo volevo fare il pirata”
Si voltò senza neanche salutarli e lasciò il laboratorio così come era venuto.
Dal canto loro Molly e John aspettarono che il rumore dei suoi passi si fosse infievolito lungo il corridoio del Barts prima di scoppiare di nuovo a ridere.

 

“Lo sai che la fortuna non esiste, vero?”
“Mia nonna ha sognato dei numeri e il giorno dopo ha vinto la lotteria” tentò di protestare Molly “Non può essere una coincidenza. Perfino tu sostieni che le coincidenze non esistono”
“Infatti non è una coincidenza” replicò il detective in tono affabile “È una bugia. I vecchi mentono per attirare attenzione, è risaputo”
“Il mio oroscopo di oggi diceva che avrei avuto un'ottima giornata e per adesso sta andando tutto liscio” ribatté Molly..
Sherlock le rivolse un sorriso pericoloso. Nonostante tutto si divertiva a discutere con lei, a confutare ogni sua tesi e la fortuna era l'argomento su cui adorava di più tormentarla.
“Il giorno è ancora lungo” disse e a Molly suonò proprio come una minaccia.

 

“Non ti preoccupare. Questo non vuol dire necessariamente che le cose non potranno più andare come prima”
Parole vuote, Sherlock lo sapeva bene tanto quanto lei.
Non sembrava neanche arrabbiato per la notizia del matrimonio di John. Molto peggio, era deluso.
“Grazie” disse comunque e Molly pensò che era la prima volta che glielo sentiva dire. Dopo tutti quegli anni, tutti i favori che gli aveva fatto, bastavano solo quelle poche parole vuote per avere la sua gratitudine.
“Molly” disse ancora Sherlock e lei si sentì improvvisamente la bocca secca.
Era dritto davanti a lei, con il viso pallido e la camicia nera sembrava quasi un fantasma. I suoi occhi la attirarono magnetici.
“S-si?”
“Anche tu te ne andrai un giorno? Arriverà quello giusto e te ne andrai via con lui?” pronunciò quelle parole con amarezza.
Molly avrebbe tanto voluto dirgli che era lui quello giusto, che lo era sempre stato. Ma la lingua sembrava essersi impastata e il cervello non rispondeva più.
Scosse la testa, sperando solo di non avere un'aria troppo stupida.
In seguito Molly ripensò molto a quel momento. Non ne era sicura, ma le era sembrato di scorgere un'ombra di soddisfazione negli occhi di Sherlock.

 

Molly Hooper aveva imparato a non credere alle superstizioni. Non si faceva problemi quando un gatto nero le attraversava la strada o quando rompeva uno specchio – cosa che accadeva una mattina sì e una no vista la sua goffaggine –, eppure non poté fare a meno di incrociare le dita quella mattina pregando che la Dea Bendata fosse dalla sua parte.
Quello era il gran giorno e, nonostante avesse ripromesso a sé stessa che non si sarebbe comportata come una ragazzina di tredici anni, era esattamente quello che stava facendo. Si era svegliata un'ora prima del solito per farsi la doccia, pettinarsi i capelli in modo che venissero morbidi e voluminosi e non il solito disastro che aveva in testa e truccarsi stando attenta a non esagerare.
Per concludere incrociò le dita davanti allo specchio, esprimendo il desiderio più irrealizzabile di tutti.
Fa' che gli piaccia. Fa' che gli piaccia. Fa' che gli piaccia.
Come se non lo conoscesse abbastanza bene. Per Sherlock i numeri erano interessanti solo ai fini di qualche indagine o per quantificare lo scorrere del tempo. Non avevano alcuna importanza per lui feste come Natale, Pasqua, Capodanno o qualsiasi compleanno.
Neanche nel caso fosse il suo.
Ma quel giorno Molly era decisa a festeggiare – Sherlock volente o nolente –, non che avesse in mente chissà cosa. In realtà voleva solo riuscire a dargli il regalo.
Si recò in ospedale, agitata. Quel momento era finalmente arrivato.

 

“Un libro?” domandò lui scettico quando vide il pacchetto che teneva in mano “Dovevi parlarmi di un libro?”
Molly si diede della stupida, di nuovo.
“Oggi è il tuo compleanno”
“Ovvia quanto inutile osservazione, Molly Hooper”
Molly odiava quando pronunciava il suo nome come se fosse una bambina particolarmente fastidiosa e odiava ancora di più quando la fissava con quell'espressione di totale disapprovazione.
“Pensavo ti potesse far piacere ricevere questo libro. Come regalo”
“Da cosa l'hai dedotto precisamente? Ti ho forse invitato a una festa di compleanno? O fatto intendere che ricevere regali mi avrebbe fatto piacere?”
Molly aprì la bocca, ma Sherlock la precedette.
“No! Io non mi sento in alcun modo diverso da ieri e il fatto che molti anni fa, in questa stessa data, io sia nato non fa nessuna differenza per me. Cosa dovremmo festeggiare?! Il fatto che io stia diventando più vecchio e che col tempo inizierò a perdere i capelli, la vista, l'udito e la capacità di movimento?!”
“Apri almeno il regalo” sussurrò Molly.
Lei era abituata a questo genere di risposte. Mai, neanche per un secondo, aveva pensato che Sherlock sarebbe stato felice del suo regalo o che l'avrebbe ringraziata. Eppure, per quanto potesse essere abituata, le sue parole avevano sempre il potere di ferirla.

 

Uno avrebbe dovuto imparare, si disse Sherlock.
Soprattutto se questo individuo in particolare possiede un quoziente intellettivo di gran lunga superiore alla media. Ma lui no, non imparava mai.
Quando, durante la peggior vigilia di Natale di sempre, aveva psicoanalizzato Molly prendendo in giro un suo particolare regalo per poi scoprire che era per lui, beh...non si era sentito affatto bene.
E adesso aveva fatto lo stesso errore.
Aveva scartato il regalo rabbiosamente. Ne era uscito fuori un libro intitolato “Le avventure di Sherlock Holmes”. Lo sfogliò, riconobbe dei pezzi del blog di John, realzioni di esperimenti che lui stesso aveva condotto e altri che potevano sempre essere utili per le indagini. C'erano interviste a John, Lestrade, alla Signora Hudson e a qualsiasi altro suo conoscente. Perfino Anderson aveva detto qualcosa di apparentemente gentile su di lui.
In una pagina era presente una cartina del 221B con elencati di fianco gli oggetti più strani presenti nell'appartamento e ovunque ritagli di giornali inneggiavano il suo nome a caratteri cubitali.
E poi c'erano foto, sue foto ovunque.
Lui che sorrideva, lui che beveva il caffè, lui al microscopio, lui che parlava al cellulare, lui con il famoso cappello da caccia.
In quel libro era presente la sua vita.
“Perché?” domandò Sherlock confuso.
“Pensavo ti sarebbe piaciuto” disse con voce esitante “Sai, sei sempre così orgoglioso di essere...te”
Sherlock continuò a sfogliare il libro. Improvvisamente vide due pagine bianche e si irrigidì di scatto, erano totalmente immacolate eccezion fatta per le scritte poste esattamente al centro.
Primo anno senza Sherlock” , nella pagina di sinistra e “Secondo anno senza Sherlock” nella pagina di destra. C'erano dei cerchi di carta secca e raggrinzita sulle pagine.
Segni di lacrime.
Chiuse il libro di scattò. Per la prima volta in vita sua sentiva di dover fare un gesto non per interesse o per mettersi in mostra o perché fosse la “cosa giusta da fare”, ma semplicemente perché qualcun altro aveva bisogno.
Si avvicinò a Molly agganciando il suo sguardo. Sempre più vicino, i loro volti si sfiorarono.
“Sherlock?” sussurrò Molly e lui sentì l'odore del muffin ai mirtilli che aveva mangiato per pranzo.
Non le rispose neanche. Semplicemente la baciò.

 

Molly aveva capito che la vita intera era un paradosso.
Erano anni che immaginava come sarebbe stato baciare Sherlock. Aveva pensato che avrebbe conservato il ricordo di quell'attimo glorioso per sempre nella sua mente. Invece il suo cervello sembrava aver completamente rimosso ogni cosa, ricordava solo vagamente il volto di Sherlock che si avvicinava e la percezione delle loro labbra che si toccavano.
Credeva che una volta baciato Sherlock sarebbe stata la persona più felice del mondo. Paradossalmente in quel momento si sentiva uno schifo.
Era consapevole che quello era stato solo un episodio – che con ogni probabilità non si sarebbe ripetuto mai più – ed era ancora più consapevole che era nato tutto per colpa sua e del suo stupido regalo.
Provava una forte frustrazione, ma era anche un po' dispiaciuta; era confusa, eppure capiva perfettamente la situazione; in realtà si sentiva uno schifo, ma nonostante tutto in fondo era davvero contenta.
In quel momento pensò di aver trovato la risposta perfetta alla domanda che Sherlock le aveva posto tempo prima. Essere innamorati è provare contemporaneamente sia dolore che gioia, ed apprezzare entrambi.

 

John era stato chiaro con Sherlock. Anche se quest'ultimo non capiva davvero il motivo di tanta agitazione, era stato un incidente. Neanche troppo grave in realtà.
Era stato solo un bacio.
E poi in realtà era stata tutta colpa di Molly – più o meno –, ma ovviamente John non aveva voluto sentire ragioni. In questo genere di situazioni Sherlock era convinto che il suo coinquilino si comportasse esattamente come una madre apprensiva. La cosa era piuttosto fastidiosa, però l'unico modo per farlo smettere era assecondarlo.
Era solo per questo che il detective aveva deciso di recarsi al Barts, per fare pace con Molly. Sherlock sbuffò, neanche avessero veramente litigato.
In realtà non avevano fatto altro che evitarsi reciprocamente e, quando proprio dovevano vedersi, cercare di far rimanere i loro discorsi sul più formale possibile. Non che Sherlock si sentisse veramente a disagio, solo capiva che sarebbe dovuto trascorrere del tempo prima che le cose tornassero normali. Era sicuro che un giorno sarebbe successo.
Ma a John il tempo non bastava, aveva voluto che chiarissero le cose. Come se non fossero abbastanza chiare.
Sherlock entrò nell'obitorio con passo felpato. Non che ce ne fosse bisogno, era buio e vuoto.
Non se lo aspettava, ma si sentì incredibilmente sollevato. Non aveva voglia di parlare con Molly e per “chiarire” – a modo suo ovviamente – un discorso faccia a faccia era superfluo.
Lasciò una cosa sul tavolo, poi se ne andò il più silenziosamente possibile.

 

La prima cosa che pensò Molly quella mattina in cui trovò uno strano pacchetto sul tavolo del laboratorio fu “Oddio, è una bomba!”. Comprensibile visto il tipo di gente che frequentava.
Poi notò che la “bomba” non sembrava veramente una bomba. Sembrava più un regalo impacchettato da un bimbo di cinque anni, quindi o i terroristi avevano uno strano senso dell'umorismo o quella roba non sarebbe esplosa.
Decise che la seconda ipotesi fosse più probabile e si avvicinò per analizzare meglio il pacchetto. Era conciato davvero male, avvolto in più punti da una marea di scotch inutile, sembrava essere stato sballottato senza ritegno finché non aveva assunto una forma scomposta e indefinita.
Sopra vi era posato un biglietto scritto da una vecchia macchina da scrivere che diceva: “ Per Molly”. Senza pensare iniziò a scartare il regalo. La carta si strappò di colpo e un biscotto della fortuna cadde sul tavolo, non un granché come regalo.
Lo spezzò a metà e ne uscì fuori un bigliettino. Non c'erano scritte le solite perle di saggezza con gli ideogrammi cinesi, ma solo poche parole in inglese.
Molly sorrise e in quel momento fu certa che quella sarebbe stata una giornata fantastica.
Mise il foglietto in tasca e iniziò a lavorare canticchiando. La mente concentrata solo su quelle parole.
 
Be lucky. With love SH

 

 

 

 

Note:
Questa storia è stata scritta quasi totalmente prima di aver visto il 3x01 quindi gli eventi mostrati in quell'episodio non sono presenti né influiscono in questa storia. (SPOILER: anche se questo https://31.media.tumblr.com/3a24ce4e6137a09ab8c707a801e3e7cc/tumblr_myr5pcanqc1qbenfqo2_250.gif è qualcosa di *^*)
Ho scelto il 1981 come anno di nascita di Sherlock perché dice di aver risolto il suo primo caso nel 1989 quando era ancora piccolo, otto anni penso possano bastare. E poi il 1981 è l'anno in cui è nato Tom :3
Mentre il 6 gennaio, stando a quello che mi dice internet, dovrebbe essere la data di compleanno dello Sherlock Holmes di Conan Doyle.
I biscotti della fortuna non sono veramente cinesi, ma sono stati inventati in California (l'avevo letto da qualche parte)
Spero che i fatti narrati siano perlomeno plausibili (anche se Molly in versione stalker che fa le foto a Sherlock non mi convince) Ho fatto morire Irene Adler perché 1) è un personaggio che non mi sta particolarmente simparico 2) era ora che morisse
Spero che i personaggi siano IC, ma non mi illudo.
A presto <3
P.s. Visto che una volta tanto riesco a rispettare le scadenze che mi auto-impongo facciamo tutti gli auguri a Sherlock che oggi fa gli anni!
  
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