Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Ely79    06/01/2014    2 recensioni
Vorreste trasformare la vostra ridicola Urbanhare in un mostro capace di far sfigurare le ammiraglie del Golden Ring? Cercate più spinta per i vostri propulsori a vapore compresso? Spoiler e mascherine su disegno per regalare una linea più aggressiva al vostro mezzo da lavoro? Una livrea che faccia voltare ogni testa lungo le strade che percorrete? Interni degni di una airship da corsa, con quel tocco chic unico ed inimitabile?
Se cercate tutto questo, grande professionalità ed un pizzico di avventura, allora siete nel posto giusto: benvenuti alla "Legendary Customs".
[Ambientazione Steampunk]
Genere: Avventura, Commedia, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L.C. - Cap. 27
27

Ozone lo fermò dopo pranzo, mentre stava per imboccare la scala. Lasciò che gli altri li superassero, mettendoli al riparo da orecchie indiscrete e, soprattutto, boccacce confusionarie. Non era la prima volta che il motorista lo interpellava per qualche nebulosa richiesta: il più delle volte riguardavano parti del suo vestiario o il rivestimento della seduta del suo trabiccolo, e Odrin si divertiva parecchio nell’assecondare le sue richieste che spesso comprendevano l’inserimento di catene, borchie, maglie metalliche e altre cianfrusaglie tintinnanti.
«Che c’è?»
Lui sollevò l’indice, facendo cenno di aspettare mentre Charlotte passava loro accanto. Ozone studiò entrambe le espressioni titillando le trecce grigie con aria pensierosa. Notò il breve volgersi della donna e l’assoluta indifferenza di Odrin, che attendeva di conoscere il motivo della sosta.
L’attempato tecnico era tutt’altro che interessato a conoscere cosa passasse nelle menti altrui, sebbene di quei tempi sarebbe risultato utile: la presenza dei ficcanaso della carta stampata stava mettendo alla prova la risicata pazienza del suo discepolo e persino la sua, notoriamente sconfinata. Era anche a causa di tutto quell’inaspettato clamore che aveva bisogno dei servigi dell’Andull.
Indicò la faccia nera del collega, i cui tatuaggi erano velati di polvere.
«Sto facendo qualche lavoretto in magazzino. Ho deciso di mettere mano a un po’ di cose» spiegò, ripulendosi alla buona. «Cosa ti serve, Ozone? Fodere? Cinture? Una rattoppata ai guanti?» buttò lì indicando il paio logoro che gli pendeva da una tasca.
Il vecchio scosse il capo e portò le mani alla gola, mimando una fascia, pizzicando l’aria per segnare alcuni punti precisi. Odrin osservò con attenzione, cominciando a ridacchiare.
«Vuoi che strozzi Boy? Anche subito!» gridò, sporgendosi un poco perché le parole arrivassero fino ai banchi sotto di loro.
«Ah-ah. Io muore di ridere, Aha-antruk!» replicò Boy, tirandogli un tubetto di mastice che andò a sbattere rumorosamente contro la vetrata in alto, facendo scattare l’istantaneo richiamo di Clay.
I due sul ballatoio risero mentre il ragazzo se la svignava di gran carriera nel magazzino ricambi.
«Allora, vuoi che ti faccia un collare come il mio?» riprese Odrin, mettendosi comodo contro la balaustra.
Seguì le mani del motorista tracciare linee attorno a sé, addensando i segni ai lati del collo e sulla gola, abbozzandoli altrove. Voleva che la gorgiera fosse priva del sostegno cervicale e lasciasse libera la parte alta delle spalle, mentre davanti doveva scendere fino al centro del petto, consentendogli però di muovere liberamente la testa. Inoltre, era fondamentale che barba e capigliatura non s’impigliassero nel cuoio.
Valutati tutti gli elementi, l’artigiano cercò di visualizzare l’oggetto, ogni curva e piano.
«È abbastanza semplice. Dovrò usare pellami con diversi spessori, inserire degli irrigidimenti o fare dei doppi strati, così potrò darti il sostegno che ti occorre. Vieni da me stasera, alla fine del turno, così prendo le misure. Però ti dico subito che per finirlo mi serviranno un paio di settimane o giù di lì» precisò subito.
L’altro non parve soddisfatto dalla risposta, facendogli cenno di stringere i tempi con una certa urgenza, cosa insolita per uno come lui, sempre molto pacato e flemmatico. Persino alcune ciocche della barba e dei capelli tradivano un discreto nervosismo con il loro andamento crespo e  cespuglioso.
Sebbene fosse piuttosto sorpreso dalla sua smania, Odrin dovete insistere sulla propria posizione.
«Ozone, te l’ho detto: sto sistemando il magazzino perché fino ad oggi ho tenuto il passo con le airship di Avelan. Ora che devo aspettare che fondano i pezzi per la Tray-Z ho un po’ di respiro ma se vieni in laboratorio ti faccio vedere in che condizioni sto lavorando: sono nel caos! Ho pile di tessuti e pelli ovunque, scatoloni di fili e imbottiture che mi cadono in testa se non sto attento. Dovrò cucirtelo nei ritagli di tempo per forza di cose» concluse intrecciando le dita sulla nuca.
Il chiarimento andò a segno e il meccanico abbozzò un sorriso annuendo con arresa accondiscendenza.
«Stai tranquillo. Due settimane e l’avrai» assicurò battendogli una mano sulla spalla. «Solo una cosa ancora: quante libbre di ferraglia devo cucirci sopra?»

***

Ostap sorrise al proprio riflesso, mentre il sarto si dileguava per lasciarlo ad ammirare ogni dettaglio del lavoro.
«Notevole. Dico sul serio. Mi spiace davvero non rivolgere le mie scelte alla nostra Maison Russia, ma benedetto il cielo! Questa è l’opera di un artista!» gongolò lisciando il polsino di una manica.
Trovava che il gilet e i pantaloni di broccato grigio e argento dissimulassero ad arte l’inappropriata pinguedine che l’età e la buona tavola stavano dando alla sua figura.
«Sono certo che la cosa non passerà inosservata tra gli invitati. A proposito… Thomas?»
«Tutte le più alte cariche cittadine e dello Stato, industriali, proprietari terrieri, banchieri, oltre al Governatore con staff, famiglia e colleghi del parlamento Coloniale. E il gota del mondo pubblico: attrici, personaggi del dinamoschermo, pubblicitari, cantanti, giornalisti. La signorina Vernet ha confermato la presenza sua e della signora Stuart» elencò asciutta la guardia, poggiando un dito sulla fronte scura mentre ripercorreva l’elenco.
«Molto bene» si compiacque, aggiustando la cravatta. «Ho davvero voglia di trascorrere un po’ di tempo con la nostra cara Charlotte. Ultimamente l’ho sentita un po’ giù di morale e non posso permetterlo. Sarebbe quanto mai dannoso, oltre che scortese. E poi detesto limitarmi alle telefonate, sono così impersonali, vuote. Piuttosto, cosa di sappiamo del nostro antagonista?»
«Sarà presente» confermò.
«Ottimo. Davvero ottimo» annuì, sempre più soddisfatto. «Ed esulando dai nostri graziosi diletti? Quali nuove?»
Thomas prese qualche istante per organizzare il resoconto.
«Gli architetti sono a buon punto con la bozza progettuale e abbiamo ottenuto i primi pareri dagli enti urbani, con i più sentiti auguri di buon lavoro da parte dei rappresentanti delle istituzioni interpellate. Stiamo mettendo a punto i dettagli per l’acquisizione delle airship di Gibbons e Nivotzky, i cui proprietari si sono dimostrati ben lieti di collaborare al progetto. Le importazioni hanno superato i controlli doganali senza problemi, i fornitori sono solerti nelle consegne e i venditori appagati dal trattamento riservatogli, così come i clienti. Il resto delle attività non desta preoccupazioni di sorta».
In quell’inventario banale e noioso, Thomas aveva sottolineato dettagli di fondamentale importanza; dettagli che il magnate attendeva con ansia.
«Tutto qui?» domandò con una punta di delusione nella voce.
«Sì, signore. Niente di rilevante, anche a fronte del giro di vite che abbiamo imposto alle tempistiche» confermò.
«Questo mi rincuora. Temevo sarebbe stato uno scossone troppo violento e non ti nascondo di averlo operato a malincuore. Purtroppo la situazione si sta evolvendo verso uno scenario imprevisto, era necessario un intervento drastico. Confido saprai gestire la cosa con la consueta professionalità».
«Ovviamente, signore» annuì inchinandosi appena.
Ostap sorrise accondiscendente, consapevole di trovarsi in ottime mani.
«Cosa mi dici del settore agricolo?»
Il tono piatto e svagato non avrebbe fatto pensare ad un’allusione precisa come invece era.
«C’è stato un inasprimento dei controlli sulle importazioni di frutta, parrebbe sulla base di una soffiata anonima. Ho bloccato il carico che era in partenza da Marista. Conto di farlo ripartire entro una decina di giorni, quindici al massimo. Le nostre scorte sono sufficienti per approvvigionare il mercato per un paio di mesi; dopo tutto si tratta di ordini molto particolari e per piccole quantità. Solo in pochi possono permetterseli. Tuttavia…»
Il tirapiedi spiò rapidamente oltre la cortina di velluto, mutando espressione. La gelida compostezza lasciò il posto ad un torva preoccupazione mentre si accostava al proprio capo.
«Qualche settimana fa è girata voce di un carico proveniente dai Nuovi Territori» bisbigliò. «Un piccolo quantitativo, forse una trentina di pezzi, svaniti nel nulla nel giro di poche ore. La quantità nel mercato è rimasta invariata, il che farebbe pensare ad un cliente esterno ai consueti circuiti, che ha trovato il modo di rifornirsi da sé. Ho indagato fin dove mi è stato possibile, senza giungere a conclusioni definitive, tuttavia tale acquisto non ha influito in alcun modo sulle nostre economie».
«Qualcuno la sta importando dal Pacifico Meridionale, attraversando le Ande per raggiungere il Golfo. Un tragitto ardito e solitario. Per restare nell’ombra» considerò Ostap, pensieroso. «Vuole muoversi in silenzio, passare inosservato. Potrebbe trattarsi di un evento casuale?»
«È ciò che ritengo. Probabilmente si tratta di uno sperimentatore ma seguiterò a tenere d’occhio la situazione».
Gli “sperimentatori” erano sconsiderati benestanti, amanti delle sensazioni forti che si improvvisavano farmacisti o spacciatori, procurandosi da soli spezie, stupefacenti, nella maggior parte dei casi proibiti. Erano un’autentica spina nel fianco perché mescolavano comuni prodotti agricoli come le piante officinali a prodotti più insoliti e illegali, destabilizzando il mercato. Fortunatamente, questo tipo di seccature aveva vita breve, specie quando a provvedere c’era Thomas.
«Lo apprezzo molto, ragazzo mio. Non è il momento per i colpi di testa di qualche sciagurato. La situazione è delicata e non desidero intoppi. Per quelli è sufficiente il nostro amico Aris».
Il russo frugò nella giacca sull’appendiabiti, estraendone un minuscolo cucchiaino d’argento. Si avvicinò allo specchio, arrivando quasi a premere il naso contro il suo stesso riflesso.
«Silenzio. Il silenzio è mortale, Aris. È questo che stai cercando di dirmi? Che stai estendendo evanescenti tentacoli mentre pianifichi la mia fine?» mormorò fissando con torva eccitazione prima l’iride sinistra e poi la destra, soffermandosi sulle screziature più profonde che le attraversavano.
Sollevò il cucchiaino fino alla fronte e lo fece ruotare lentamente tra le dita. Il metallo vibrò quasi fosse divenuto liquido, per ricompattarsi nella medesima forma.
«Quale conclusione mediti sia la più adatta alla mia persona? Una spregiudicata manovra giudiziaria? Un vorace assalto economico alle mie proprietà? Mi manderai contro l’indecente gentaglia di cui ti servi? No. Sai già che tutto questo non darebbe i frutti auspicati. Al contrario, finiresti solo per sprecare energie e tempo preziosi, e né tu né io possiamo permettercelo. A questo punto, suppongo arriverai a dar fondo alle tue paventate abilità di alchimista da salotto, mostrandole finalmente per ciò che sono in realtà» lo sfidò, quasi aspettasse di vedere il proprio riflesso mutare nelle sembianze di Goundoulakis.
Si scostò con lentezza, gettando appena uno sguardo al minuscolo carillon che aveva poggiato sul tavolino da tè accanto ad un vassoio di paste prima di cambiarsi. La manovella girava placida scandendo il susseguirsi delle note.
«Mi auguro solo avrai il buon gusto di rendere la tua scelta uno spettacolo, sai quanto io detesti le banalità. Sempre ammesso che tu riesca a portare a compimento i tuoi propositi» commentò distratto, tamburellando con le dita su palmo e dorso della mano sinistra, soffermandosi a giocherellare con gli ingombranti anelli d’onice che indossava.
«Signore?» chiamò una voce dal pesante accento straniero.
Donat si era affacciato fra i pesanti drappi che chiudevano il camerino, facendo passare un uomo alto e allampanato, che si torceva le mani.
«Perdoni l’intrusione, signor Avelan. So che desiderava... parlarmi?» domandò questi, indicando timoroso in direzione delle due guardie del corpo che torreggiavano alle sue spalle.
«Solerte come sempre Dixson, in ogni ambito dei vostri servigi!» esclamò congiungendo le mani e indicandolo con la punta delle dita.
Non appena il proprietario della sartoria strinse la mano che l’uomo d’affari gli porgeva, un brivido gli percorse il braccio, come se un lunghissimo spillo si fosse conficcato nella sua carne ed avesse raggiunto serpeggiando la nuca. Non aveva in simpatia Avelan: trovava i suoi modi troppo lindi e concilianti per essere autentici. Ciononostante non poteva negare che si trattasse di uno dei suoi migliori clienti e sovvenzionatori.
«Come siete pallido, Victor. State bene? Spero di non essere io a mettervi in soggezione!» scoppiò a ridere Ostap, congedando con un cenno i suoi uomini. «Cosa ne dite di un po’ di rinfrescante limonata? Devo dire che è persino troppo gelida, per i gusti del mio povero vecchio stomaco, ma forse ad un baldo giovane come lei non causerà spiacevoli conseguenze. Una lacrima di vino bianco dei Balcani? O preferisce un cordiale, per scacciare la petulante presenza di Donat dalla sua mente? Rum Añejo cubano millesimato, magari? Invecchiato ventun anni tra le mura di San Cristóbal de la Montaña. Cielo, non dovrei domandarvelo io… Dopo tutto, sono vostri doni ai clienti, io sto solo leggendo le etichette e tirando ad indovinare i suoi gusti» suggerì divertito mostrandogli la bottiglia dove il liquido ambrato ondeggiava invitante.
L’uomo acconsentì, storcendo del labbra in un sorriso educato. Preferiva far buon viso a cattivo gioco, ingraziandoselo con mille moine. E se per farlo doveva ascoltare lagnose melodie che gli davano i capogiri, guardandolo rimestare con un cucchiaino nel bicchiere che gli stava offrendo, allora che fosse.

***

Niklas gettò i fogli a terra, sfinito ed irritato. Era stanco di rifare disegni e calcoli per mettere in sesto le vecchie glorie che Avelan mandava loro. Stava diventando monotono: dopo tutto si trattava di banali verifiche, un lavoro oltremodo noioso.
Tese le braccia di fronte a sé, irrigidendo i muscoli, e osservò. Aveva superato la fase critica, ma le mani tremavano ancora, seppur meno rispetto ad un mese prima. Il medico si era stupito dell’assenza dei sintomi caratteristici legati a quella fase della disintossicazione, come depressione, convulsioni o allucinazioni. Niklas l’aveva attribuito all’enorme mole di lavoro che non gli lasciava tempo per star male. Ora soffriva d’insonnia e aveva attacchi d’ansia che era riuscito a nascondere bene, nonostante troppo spesso il richiamo dell’alcol tornasse ad affacciarsi, proprio come in quel momento. Aveva provato persino a bere lo sciroppo che gli avevano regalato per il compleanno, puro, direttamente dalla bottiglia, riuscendo a stento a non farsi congelare il cervello. Sentiva la gola riarsa ad ogni momento del giorno e della notte, anche dopo aver bevuto tanto da svuotare l’acquedotto cittadino.
«Un bicchierino» farfugliò, tenendo la testa tra le mani. «Non mi ammazzerà un bicchierino, no? Solo per vedere se reggo. Dovrei farcela, è solo… un goccio».
Si alzò provando un’immensa vergogna per la propria debolezza, e una volta sul ballatoio, si appoggiò alla parete, scrutando prima l’officina e poi la grande copertura a volta che la sovrastava. Dalle capriate penzolavano catene e enormi ragnatele. Un brivido l’attraversò, dandogli l’impressione di guardare dentro se stesso. Tutto quel vuoto, la polvere, i resti di un passato fatto a pezzi e migrato chissà dove. Le ginocchia si fecero deboli e il battito del cuore schizzò a mille mentre il mondo ondeggiava sotto i suoi piedi. Strinse le palpebre, obbligandosi ad inspirare profondamente, trattenendo il respiro per qualche secondo.
«Forse è meglio un caffè. Sì, un bel caffè. Nero. Con un po’ di latte… no. Panna. C’era della panna di là in cucina, Maria ha detto che c’era. Non importa se è per cucinare, andrà benissimo. E miele, una montagna di miele» decretò passando le mani sulla faccia per scacciare le ultime ansie.
La porta in fondo al ballatoio si chiuse di colpo facendolo sobbalzare per lo spavento.
«Porca puttana!» esclamò restando senza fiato. «Sei… stupenda!»
Charlotte aveva appena finito di prepararsi per la serata dal Governatore e stava avviandosi all’appuntamento con Sandy. L’abito che indossava era di un pallido color ambra, decorato con pizzo Alençon. Il corpetto senza maniche saliva fino al collo, dove si perdeva in diversi giri di perle; le stesse che ornavano il corto strascico, la stola che si avvolgeva morbida lungo le braccia e l’impalpabile retina con cui aveva raccolto i capelli.
«Questa è una delle cose per cui sono contento d’essere tornato sobrio. E da oggi in poi mangerò solo albicocche» dichiarò avvicinandosi.
Il sorriso sognante che le rivolse bastò a far capire quanto fosse sinceramente colpito da ciò che vedeva e che, come al solito, stesse tentando di corteggiarla.
«Te la senti davvero di accompagnare Sandy? Mi sembri stanca».
«Neppure lei sembra appena uscito dalla concessionaria» ribatté indicando la chioma arruffata e gli occhi arrossati.
«Solo troppa trigonometria e Teoria dei Flussi applicata. Uno spuntino e sarò come nuovo» mentì alzando entrambi i pollici.
In realtà sentiva freddo allo stomaco e la sgradevole sensazione di avere della sabbia in bocca.
«Buono a sapersi. Per quanto mi riguarda, cambiare aria per qualche ora avrà lo stesso effetto su di me».
«Non bere troppo. Anzi, non bere affatto. Stai lontana dai bicchieri pieni di bollicine o liquidi colorati che hanno un odore pungente» si raccomandò accompagnandola alla scala.
«Adesso fa il moralista?» scherzò.
«Non augurerei a nessuno di conciarsi come me. Soprattutto una bella fig… una bella signorina. Una bella signorina come te» si corresse appena in tempo. «Non vorrai scendere con quei tacchi? Rischi di rimetterci una caviglia! Avresti dovuto preparati di sotto, non qui» commentò, rammaricandosi per lo spettacolo perso.
Aveva ragione, ma Charlotte era certa che Odrin non le avrebbe concesso di mettere piede nel suo regno: ai suoi occhi era una retch, una creatura immonda, portatrice di sventure e mali, capace d’infettare l’aria con la propria ombra. Sopportare la sua presenza senza insultarla doveva costargli molto, e sebbene lei si sentisse ferita dal suo improvviso rifiuto, aveva deciso di concedergli del tempo per pensare, augurandosi che cambiasse idea.
«C’è il parapetto» osservò appoggiandovisi.
«Sì, ma il parapetto non ti prende se inciampi. Ti lascia finire in fondo alla rampa» rispose affiancandola e porgendole il braccio.
Titubante, accettò il suo aiuto e lasciò che la sorreggesse un gradino dopo l’altro. Qualcuno dei ragazzi fischiò dall’officina, ma non riuscì a capire di chi si trattasse.
Se fosse stato sempre così com’è ora, sarebbe stato tutto diverso? Niklas avrebbe capito o mi avrebbe allontanata? E Odrin… mi sarebbe piaciuto comunque? si domandò.
Eppure, per quanto l’Ingegner Almgren stesse dando prova della sua buona volontà nell’affrontare i propri demoni, non riusciva credergli fino in fondo. Non si fidava di un alcolizzato, neppure di uno in via di guarigione, era semplicemente troppo per lei.
È bastata una volta, una sola. Non voglio trovarmici di nuovo, ripeteva tra sé mentre scendevano gli ultimi gradini.
«Eccoci arrivati sani e salvi» annunciò l’uomo con un gran sorriso.
Per sua fortuna, Charlotte era parsa troppo concentrata sul mantenere l’equilibrio per accorgersi dell’immensa fatica che aveva fatto per combattere il capogiro che l’aveva colpito appena prima del pianerottolo. Se fossero caduti entrambi sarebbe stato imbarazzante, anche se gli sarebbe piaciuto trovarsela addosso con la gonna sollevata.
«Grazie, Niklas».
«Ehi, Asha ha fatto un lavoro coi fiocchi!» esclamò Iron avvicinandosi a larghe falcate. «Quel colore è perfetto, mette in risalto i tuoi occhi. E la stola! Tocco di classe».
«Chi è Asha?» domandò Scorch, allibito dal suo entusiasmo.
«Una stilista fantastica. È quella che le ha preparato quest’abito e quello del City Garden».
«A proposito, ho visto il suo vestito, Lamar. Molto provocante» ammiccò Charlotte.
«Lo so. Farò strage di cuori» si pavoneggiò scrocchiando le nocche. «Dovresti fare un salto da lei, Scorch. Ti rimetterebbe a nuovo. Insomma, ormai quella roba è fuori moda da dieci anni» aggiunse indicando i pantaloni e la camicia che indossava.
«Scusa, ma non credo di essere ancora pronto ad affrontare un cambio di look. E temo che la gonna non mi stia bene».
«Tu con la gonna? Madre de Dios!» scoppiò a ridere Choncho da sotto un’airship. «Questa voglio vederla!»
«Sì, e poi? Correrai in chiesa a confessare i pensieri sconci che ti verranno sulle mie bellissime gambe?» lo punzecchiò il progettista.
«Perro cobarde y blasfemo
1» ringhiò tornando al lavoro. «Odrin, cazzo! Non hai niente per legargli quella sua… stramaledetta lingua?»
«Spiacente, Choncho. Niente di così lungo e robusto» fece lui, emergendo da dietro il veicolo.
Istintivamente Charlotte strinse il polso dove aveva legato il bouquet che le aveva fatto per la serata con Avelan, ma l’artigiano parve non accorgersene.
«Visto che meraviglia? Anche questa sera la nostra Charlotte ruberà la scena a Sandy!» annunciò Scorch.
L’Andull si limitò ad annuire, prima di tornare all’interno del veicolo a verificare le telerie.
Dal piazzale arrivò lo strombazzare di Sandy, la cui paziente attesa stava degenerando in una crisi isterica.
«È meglio che vada. La mia autista ha già abbastanza cose di cui lamentarsi. Buona serata a tutti. E… mi raccomando, Ingegnere» disse indicando il Penitenziere.
«Cosa?»
«Pensa che non l’abbia sentita prima, quando sono uscita dall’ufficio?»
«Ma… andiamo! Sono convalescente!» piagnucolò seguendola da Sandy, che aveva ormai deciso di assordare l’intero vicinato con il clacson.
«E la scollatura? Dov’è la scollatura?» sbraitò la donna, storcendo il naso esasperata di fronte alla mise dell’amica. «Sei una causa persa, Charlotte! Totalmente! Ci rinuncio!»
Lei rispose con un sospiro afflitto salendo sul mezzo e sistemando con attenzione l’abito. I tacchi alti non sarebbero serviti a placare l’amica.
Niklas chiuse lo sportello e le salutò con un rispettoso inchino, augurando loro di divertirsi.
«Bene» esclamò girandosi a guardare l’officina. «Che diavolo ero venuto a fare?»
Si era completamente scordato cosa avesse in programma nell’attimo in cui aveva visto Charlotte. Guardò l’artigiano immobile sul portone, intento ad osservare la Noal allontanarsi.
«Qualche idea in proposito, Odrin?» domandò grattandosi la testa, perplesso.
«No» rispose, facendo schioccare tra le mani una correggia per saggiarne la resistenza.


1 Perro cobarde y blasfemo: in spagnolo “cane codardo e blasfemo”.

Writer's Corner.
Anno nuovo, capitolo nuovo. So di essere un bel po' in arretrato con i post, ma tra le festività e vicissitudini varie mi è stato impossibile terminare prima. Senza contare che Ostap si è dato da fare per rendermi le cose difficili... cercherò di darmi da fare con i prossimi!
Ben arrivati a John Spangler e NikolasPGrazie agli altri lettori e recensori: Shade Owl, pheiyu, Wild_Demigods, Akainu magma, blood_mary95, maddampini, Ernesto507, LibertyStyle, Heven Elphas, tortuga1, vita17, TheWhiteDoll, AleGritti92, VersoLUniverso.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Ely79