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Autore: Lechatvert    08/01/2014    2 recensioni
« Che diavolo significa, “lo sai che non stiamo facendo la cosa giusta”? »
Owen butta via il bisturi, lasciandolo cadere sul tavolo delle autopsie con un tonfo metallico. Ha gli occhi sbarrati e respira piano, guardando il profilo di Ianto salire le scale verso la piattaforma dell’hub.
Il teaboy lo squadra dall’alto, mortificato.

| Owen/Ianto |
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Ianto Jones, Owen Harper
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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modellostorieefp
L'avevo tolta, l'avevo rimessa e tolta un'altra volta.
Ora è qui per rimanere (sempre che non mi vengano strani impulsi nei confronti di questo povero account).
Basata sulla role di una notte con una cara anima amica, ci ho sperato fino alla fine nel telefilm. Chiaramente non è mai successo ma aw ♥
Buona lettura!





unEnchanted








Conosceva quell’appartamento quasi a memoria.
Il pavimento di legno che scricchiolava ogni volta sotto ai loro passi, il letto con le lenzuola impregnate ogni volta di un profumo diverso, quelle luci soffuse e quella calda atmosfera che lo avvolgevano ogni volta che varcava la soglia. Vicino alla finestra, poi, c’era il divano dove lo faceva accomodare per offrirgli da bere e dove avevano fatto l’amore per la prima volta. Quando Ianto arrivava, armato di una bottiglia di rum e della scusante del football, era sempre lì che si sedeva: il divano di camoscio marrone sporco di birra.
“È solo che il mio televisore non funziona bene come il tuo”, diceva puntualmente, quando Owen gli apriva la porta. “E le partite si gustano di più, quando si è in compagnia!”
La prima volta, Owen aveva dovuto pregarlo: allontanare Ianto dai suoi archivi per una serata in compagnia era stata una vera e propria impresa, eppure, dopo quella sera in cui tutti avevano disdetto all’ultimo minuto, in cui Ianto si era fermato per la notte, in cui Owen aveva bevuto come non mai, le loro “Serate del football” erano diventate un appuntamento fisso e irrevocabile.
“Serate del football” era un nome stupido, in effetti; in quelle occasioni il televisore non veniva nemmeno acceso.
Owen aspettava il suo collega dietro una bottiglia di birra e, non appena il campanello suonava, si fiondava ad aprire e non dava di certo il tempo per un saluto, cingendo la vita di Ianto con le braccia tremanti, affondando il viso nella sua giacca che sapeva di colonia.
Quella stessa giacca che, dopo appena cinque minuti, veniva lasciata cadere a terra assieme al resto dei vestiti che si sfilavano quasi con timidezza.
Owen ringraziava tutti gli Dei dell’universo perché le pareti di quella stanza non potessero parlare.
Quegli istanti di passione, che bruciavano veloci nel suo letto tra i baci e le carezze che riservava soltanto a Ianto, quel fugace rapporto che portava via poco più di una notte, niente di questo era definibile amore, eppure era comunque sufficiente a saziarlo più di quanto una relazione reale avrebbe potuto. Sebbene col tempo avessero rischiato di diventare dipendenti l’uno dall’altro, quello che li legava non era amore, non lo era mai stato.
Eppure, quando l’allarme dell’hub suonava e Ianto arrivava con una tazza di caffè, dal basso della stanza delle autopsie Owen lo osservava con discrezione, seguendolo con lo sguardo mentre saliva le scale, diretto verso la scrivania di Jack.
Al capitano, Ianto riservava un’accortezza che a Owen non aveva mai dimostrato di avere.
Teaboy, te lo stai mangiando con gli occhi!”, aveva ironizzato una volta il medico, suscitando una risata generale. Ianto era arrossito di colpo, voltando le spalle ai presenti per poi correre a rinchiudersi nei suoi archivi.
Era lì che Owen aveva capito: non era lui che Ianto amava, ma Jack. Improvvisamente, non era più il suo teaboy. Era quello del capitano.
Non era cambiato niente, però. Ianto continuava a presentarsi con la scusa del Manchester che stracciava il Liverpool e le nottate continuavano a passare tra i baci e gli ansimi delle ore che spendevano insieme.
Poi arrivava mattina e Owen lo guardava scappare al lavoro con mille e più scuse, pervaso da quel senso del dovere che lui solo sembrava possedere. Gli dispiaceva andarsene, si vedeva, eppure quella devozione per il Torchwood non ce l’aveva mai avuta, nei confronti di Owen.
Il medico era persino arrivato a supplicarlo, pregandolo con lo sguardo di non abbandonarlo, ma Ianto non aveva voluto sentire ragioni. Non le aveva mai volute sentire.
« Potresti fermarti a fare colazione », gli aveva detto una volta. « O il caffè lo sai fare soltanto in ufficio? »
Ianto lo aveva guardato, sorridendo imbarazzato. Il suo sguardo era scivolato sul parquet, e un istante dopo Owen lo aveva visto allacciarsi la cravatta e uscire in tutta fretta.
Poi Jack era sparito, il Torchwood Tre era stato mandato avanti con un inutile impiego di forze, Gwen aveva cominciato a dirigere le operazioni con un atteggiamento a dir poco detestabile e tutto aveva preso una piega non proprio promettente.

 
 
« Che diavolo significa, “lo sai che non stiamo facendo la cosa giusta”? »
Owen butta via il bisturi, che cade sul tavolo delle autopsie con un tonfo metallico. Ha gli occhi sbarrati ma respira piano, guardando il profilo di Ianto salire le scale verso la piattaforma dell’hub.
Lui lo squadra dall’alto, mortificato.
« Jack mi ha chiesto di uscire », riesce a dire.
« E tu gli hai detto sì? »
Ianto alza le spalle.
« Sì ».
Owen tira fuori un mezzo sorriso di cui neppure lui è convinto.
« Lo dicevo io, che te lo facevi con gli occhi! », commenta, scuotendo il capo con aria divertita.
Da quando sa fingere così bene?
Piegando la testa di lato si volta, ridacchiando. Prende tra le mani una beuta di acido cloridrico, specchiandosi nel vetro. Il suo viso è tirato nella strana smorfia della tristezza che tenta di emergere.
« Allora è … tutto a posto? »
La voce di Ianto lo raggiunge appena.
Owen sorride ancora, stavolta sentendo un vago senso di amaro pervadergli lo stomaco.
Sarebbero tante, le cose da dire, ma in quel momento non ha voglia di parlare.
« È tutto a posto, teaboy ».
« Ne sei sicuro? »
« Sì, davvero ». Si volta a guardare Ianto, fa un ultimo sforzo e annuisce, fingendo disinteresse. « Tutto a posto ».
Il teaboy se ne va senza dire altro, tornando al suo lavoro negli archivi. Per un istante, l’intero hub sprofonda nel silenzio più totale, poi il rumore del vetro andato in frantumi risveglia Torchwood da quel momento di stallo.
Owen osserva il pavimento con mani tremanti, l’acre odore dell’acido che si solleva da terra, i pezzi della beuta sparsi sulle piastrelle della sala autopsie.
Ora nel vetro non c’è più il suo riflesso; c’è quello dei pezzi del suo animo, distrutto dalla magia di un amore che non c’è e non c’è mai stato.
 






   
 
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