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Autore: TheSandPrincess    08/01/2014    4 recensioni
[Peter Pan x Le 5 Leggende]
«Non ti stancherai mai di guardarli, vero?»
La voce che il vento gli porta alle orecchie, soffiando tranquillo sopra i tetti di Londra, è poco più di un sussurro, come se avesse paura di infrangere quel momento di calma surreale che sembra essere calato sulla città, mentre la magia della notte piano piano svanisce, accompagnata dalla musica di candele che si spengono in un soffio, di coperte rimboccate e porte che si chiudono, mentre le mamme, con un ultimo sguardo alle camerette dei loro piccoli, sospirano rassegante all'idea che tutto questo prima o poi scomparirà, e che non possono fare nulla per evitarlo.
«Loro si sono mai stancati di credere in me?»
Peter risponde senza voltarsi, mentre un sorriso già gli si fa strada sulle labbra, sicuro di sapere esattamente a chi appartenga quella voce, l’unica che, dopo così tanto, non se ne sia ancora andata, come tutte le altre, perché senza tempo, senza inizio e senza fine, proprio come lui.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Sotto la Luna.





 
All children grow up, except for two.
And now they tell stories by the light of the moon.






 
Per qualche motivo, le storie hanno un sapore diverso, se raccontate di notte.
Sarà che la Luna, con il suo mantello d’argento e la sua corte di stelle, che si divertono a disegnare immagini sbiadite nel cielo, ricordando tutti quelli che hanno visto passare sotto di sé, e che per molto ancora vedranno arrivare e andarsene, in un tempo che a loro pare tanto breve quanto un battito di ciglia, e che allo stesso momento sembra impossibile da misurare davvero, ha sempre affascinato gli uomini più di quanto il Sole, con la sua luce accecante e la sua corona di fuoco, che cancella ogni cosa, come in preda a delle manie di grandezza, sia mai riuscito a fare; sarà che nell’ombra le parole sussurrate prendono forma più facilmente, come vapore che si condensi a mezz’aria, evocando volti e paesaggi con una facilità sempre nuova e sempre sorprendente, perché quando non si riesce a vedere il mondo è più facile rimodellarlo con la mente, lasciare che quei suoni di giorno tanto pesanti e goffi ci mostrino nuove terre, facendoci volare sulle ali della loro rinnovata leggerezza, che sa quasi di una musica da tempo dimenticata; sarà che alla luce del giorno si è troppo impegnati a vivere per potersi fermare anche solo un attimo, concedersi pochi secondi preziosi per cancellare quello che ci circonda, e lasciare che la fantasia faccia il resto – perché tutti gli altri, è chiaro, non approverebbero un tale spreco di tempo – mentre di notte, quando le ombre nascondono ogni cosa, velando il mondo con una cortina nera e sottile, che basta a scoraggiare anche gli occhi più curiosi, quella paura di essere additati dalla gente perché fermi in mezzo a un mare di persone che si muovono, a volte anche senza meta, per il semplice bisogno di sentirsi parte di qualcosa, svanisce improvvisamente, quasi fosse tramontata assieme al sole, ma fatto sta che è di notte che le mamme, sedute su quei letti quasi troppo piccoli per essere comodi, accarezzando i capelli spettinati e sottili dei propri figli, raccontano le fiabe, aspettando che le parole mostrino loro il sentiero stretto e ombroso che conduce al regno in cui riposano i sogni, in attesa che qualcuno li chiami, ed è di notte che le avventure più bizzarre prendono vita, attorno ad un falò o davanti ad un boccale di birra, popolate da personaggi con la pelle chiara come la luna e il sangue bollente come le braci, che si muovono come fantasmi tra gli ascoltatori che, rapiti, li osservano aggirarsi tranquillamente davanti ai loro occhi, come se in fondo non esistesse un vero confine tra realtà e finzione.
Questo, Peter l’ha imparato solo dopo aver passato una vita a sbirciare dentro le camere dei bimbi a metà fra il sonno e la veglia, che si stropicciano gli occhi con le manine paffute, sotto lo sguardo intenerito delle loro mamme, che quasi senza volerlo si chiedono quanto ancora tutto questo durerà, e perché i loro piccoli debbano crescere tanto in fretta, abbandonarle così presto, mentre sorridono di quel sorriso amaro che le cose effimere dipingono sempre sul volto degli uomini, alla luce calda di una lampada da notte, che avrà anch’essa vita breve perché – ecco – i bimbi hanno appoggiato la testa sul cuscino, sbadigliando rumorosamente, e hanno già quasi trovato quella strada segreta che conduce al luogo dove non c’è nulla e c’è tutto insieme, e dove le parole che le loro mamme continuano a sussurrare, quasi come un incantesimo in grado di evocare il sonno, non hanno più alcun senso.
E forse, è strano che proprio lui ci abbia messo tanto a comprendere la magia di quel momento tanto breve, eppure tanto pieno di significato, di cui non conserva nessun ricordo, se non quelli rubati alle vite degli altri, in silenzio, senza che loro avessero neanche il tempo di accorgersi di quell’ombra che si aggira tra le tegole, seguendo obbediente il proprio padrone, ma d’altronde, è difficile comprendere appieno cose che non hai mai vissuto.
«Non ti stancherai mai di guardarli, vero?»
La voce che il vento gli porta alle orecchie, soffiando tranquillo sopra i tetti di Londra, è poco più di un sussurro, come se avesse paura di infrangere quel momento di calma surreale che sembra essere calato sulla città, mentre la magia della notte piano piano svanisce, accompagnata dalla musica di candele che si spengono in un soffio, di coperte rimboccate e porte che si chiudono, mentre le mamme, con un ultimo sguardo alle camerette dei loro piccoli, sospirano rassegante all’idea che tutto questo prima o poi scomparirà, e che non possono fare nulla per evitarlo.
«Loro si sono mai stancati di credere in me?»
Peter risponde senza voltarsi, mentre un sorriso già gli si fa strada sulle labbra, sicuro di sapere esattamente a chi appartenga quella voce, l’unica che, dopo così tanto, non se ne sia ancora andata, come tutte le altre, perché senza tempo, senza inizio e senza fine, proprio come lui.
Jack ride, di quella risata che sa di neve e di ghiaccio e di giornate passate a crogiolarsi nel timido sole invernale, e Peter si volta a guardarlo, quasi grato che quel suono tanto allegro abbia spezzato la quiete che l’aveva avvolto, senza stupirsi di trovarlo esattamente uguale a com’era l’ultima volta, uguale a come lo ha sempre visto, e a come probabilmente è sempre stato. In questa vita, almeno.
«Potrebbe succedere, un giorno»
Jack fa roteare con noncuranza il suo bastone nodoso, guardandolo negli occhi con quella solita scintilla che sembra non morire mai, come se non stessero parlando di ciò che più si avvicina alla morte, per quelli come loro, e Peter scrolla le spalle, trattando l’argomento con la stessa leggerezza – perché alla fine, quando vedi la gente nascere e morire per generazioni, mentre tu resti sempre immobile, come congelato nel tempo e nello spazio, l’idea che un giorno la tua esistenza possa semplicemente finire è un pensiero tanto lontano da sembrare quasi assurdo e inconcepibile.
«E allora io non li guarderò più»
Peter mette su un sorriso sbilenco e birichino, di quelli che lo caratterizzano quasi quanto il suo berretto verde e quella calzamaglia che Jack non è mai riuscito a comprendere fino in fondo – dopotutto, è tanto sottile che indossarla o meno non è poi una grande differenza – e decolla dal davanzale al quale era appoggiato, solo per atterrare sul tetto della stessa casa, nulla più di una sagoma scura che si staglia sulla superficie lattea della Luna.
L’altro scuote la testa, come se fosse abituato alla sfuggevolezza del compagno, e lo raggiunge con un balzo, posando i piedi scalzi sulle tegole annerite dalla fuliggine che nei giorni freddi non deve far altro che uscire dal comignolo poco distante, sul quale Peter si è appena accomodato, senza curarsi affatto della povere sottile e nera che lo ricopre interamente – dopotutto, non gli è mai importato un granché dello sporco.
«Come sta?»
Jack lo chiede senza guardarlo in faccia, perché se c’è una cosa che ha imparato, dopo una vita passata ad osservare il mondo che gli scorreva sotto i piedi, e a studiare le relazioni degli uomini, nutrendo con ogni nuovo attimo di vita quotidiana rubata a qualcuno la propria triste consapevolezza che mai e poi mai potrà sentirsi davvero vicino a loro, è che quando si parla di argomenti delicati è sempre meglio non guardarsi negli occhi – perché le bugie hanno vita più lunga se pronunciate nel buio.
«Sta bene»
Peter tiene lo sguardo fisso sulla Luna, come se fosse lei la sua interlocutrice, e non il ragazzo dai capelli argentati che gli sta accanto, e che aspetta in silenzio che continui a parlare – perché le bugie hanno vita più lunga se ben articolate, e questo lo sanno entrambi.
«Si è sposata» dice quindi, sfiorando con le dita il proprio berretto, per rimetterlo a posto «O almeno credo – quando una donna va a vivere lontano dai propri genitori con un uomo, si può presumere che si siano sposati, non è vero?»
Le parole sono quelle di un bambino molto poco interessato agli intrighi amorosi che fanno sospirare le ragazzine giusto qualche anno più grandi di lui, e che anzi spera che quella strana malattia che sembra averle contagiate tutte – la chiamano amore – non arrivi mai a lui, ma il tono è quello amaro dell’adulto che non è, che non è mai stato e che mai sarà, quello di qualcuno che si è reso conto che sì, il mondo può andare avanti anche senza di lui.
Jack resta in silenzio, e gli poggia una mano sulla spalla, perché sa come ci si sente, e sa che non c’è rimedio, e non può fare nulla se non ascoltare, come ha sempre fatto, da quando lei è entrata nella vita di Peter, mandano in pezzi l’illusione di paradiso che la sua Isola – un’Isola che Jack non ha mai visto, e probabilmente mai vedrà, perché in qualche modo sente che lì sarebbe semplicemente di troppo – era sempre riuscita a donargli.
E forse Peter li sente, quei pensieri tristi, che oscillano nella brezza notturna come fino a poco prima hanno fatto le parole delle mamme, intrecciate in trame nuove e colorate solo per poter vedere la gioia che si dipinge su quei visini così piccoli, ogni volta che viene loro promessa una nuova storia, perché per la prima volta dall’inizio della loro conversazione si volta a guardarlo, e i suoi occhi non sono tristi, ma brillano della luce birichina che sembra dar loro vita come una fiamma inestinguibile, e un sorriso gli si dipinge sul volto, cancellando ogni traccia di amarezza dai suoi tratti ancora infantili, come se giusto pochi secondi prima non fosse stato davvero lui a parlare – perché è impossibile mentire guardando una persona dritto negli occhi, e starebbe mentendo se si fingesse triste con Jack accanto, conferma tangibile di quella strana consapevolezza di non essere poi così solo che si è fatta strada nel suo cuore fin dal loro primo incontro.
«Sai che l’altro giorno un bambino ha chiuso Trilli in un barattolo?»
Peter ride, e il suono della sua risata rimbalza sui muri delle case, perdendosi nella notte, e portando con sé una strana spensieratezza, e un’incomprensibile voglia di volare lontano, di perdersi fra le stelle.
«Si fanno più intraprendenti con ogni giorno che passa!» continua, appoggiando la schiena a uno dei tubi scuri che spuntano fuori dal comignolo come lunghe dita nere «La poverina si è spaventata tanto che sono ben due notti che non viene con me!»
Jack si lascia trasportare dal suo rinnovato entusiasmo, abituato a quei rapidi cambiamenti d’umore, e si siede sulle tegole, mentre un sorriso grande come quello che la Luna sta rivolgendo alle sue stelle gli si apre sul volto, perché alla fine è per questo che è venuto, stanotte.
«Ormai sono delle vere e proprie pesti» conferma, mentre il suo sguardo vaga per il cielo notturno, e si posa su quella stella – quella lì, piccolina, la seconda a destra – che Peter gli ha insegnato a distinguere dalle sue sorelle, tutte apparentemente così uguali, tutte mute allo stesso modo, e il sorriso sul suo volto si allarga.
Brilla come non mai. C’è ancora tempo.
E la risata di Jack, che sa di neve e di riflessi sul ghiaccio e di vento, e quella di Peter, che sa di sole e di fuoco nel camino e di ali che sbattono, si fondono nella notte, in una danza senza fine, che le porta lontano, lontano, attraverso le strade di Londra, ad accarezzare le teste dei bimbi che hanno appena chiuso gli occhi, a sussurrare parole di conforto alle mamme, che anche nel sonno temono di vedere quei primi, incantevoli anni dei loro figli esaurirsi alla stessa velocità di una candela accesa, a ridere delle espressioni serie dei papà, che son troppo impegnati a mettere regole e a fare conti e a preoccuparsi del futuro, per poter passare del tempo con i propri bambini, e poi ancora più lontano, verso il cielo, verso le stelle, e verso quella Luna che continua a guardarli sorridendo, come se alla fine anche loro, proprio come le mille luci scintillanti che la circondano, fossero in qualche modo parte di quella sua famiglia impossibile.




















 


Yaw.

Se volete sapere perchè sia successo tutto questo, vi basta andare a guardare questa immagine, e comprenderete cosa abbia dato il via a questa mia follia.
Perchè, lo ammetto, è una follia.
Era qualche giorno che rimuginavo sul fatto che, alla fine, Peter Pan e Jack Frost fossero un po' l'uno il riflesso capovolto dell'altro, le due facce di una stessa medaglia, e inizialmente la cosa non era che un ragionamento del tutto innocuo - almeno fino a quando non ho trovato l'immagine di cui ho messo il link sopra. Perchè l'ho trovata immediatamente così perfetta che non ho saputo resistere all'impulso di scrivere qualcosa su quella che penso sia ormai diventata la mia BrOTP a vita.
Ora, non so quanto sia effettivamente venuta bene questa fanfiction, e mi rendo conto che molto probabilmente ho utilizzato uno stile troppo pesante, specialmente nella prima parte (ho in serbo un premio per chiunque non abbia desiderato morire, nel leggerla xD), ma per qualche motivo quando ho cominciato a buttarla giù, è questo ciò che è uscito dalla mia testa - proprio scritto così, proprio così arzigogolato.
Quindi, non chiedetemi come mai io abbia deciso di ambientarla a Londra, e perchè la Luna, alla fine, abbia un ruolo tanto importante, o perchè mi sia soffermata tanto sul momento della favola della buonanotte, per il semplice motivo che non lo so - hanno deciso tutto loro, in qualche modo. I personaggi, l'ambientazione, un po' tutto, voleva essere scritto così, e io mi sono semplicemente limitata ad eseguire.
Non so se quel Peter così malinconico possa sembrare un po' OOC, ma dopo un'attenta riflessione, sono arrivata alla conclusione che, anche per uno come lui, deve essere impossibile condividere con una persona tanto quanto ha condiviso con Wendy e poi restare semplicemente indifferente quando quest'ultima se ne va. Insomma, ci stava.
Come ci stava la citazione iniziale, che per qualche motivo alle mie orecchie suona come poesia pura.

-TheSandPrincess-
  
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