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Autore: Kary91    09/01/2014    14 recensioni
[mentore!Finnick Odair - Killian Harbor/Il piccolo guardiano del faro (Distretto 4)]
“Ventiquattro ragazzini lasciati soli in un’arena. Saremo un po’ come i bimbi sperduti, no?”
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri tributi, Finnick Odair, Nuovi Tributi, Nuovo personaggio, Tributi di Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Peter Pan del Distretto 4.'
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Un bimbo sperduto.

rid

 

Lo chiamavano il piccolo guardiano del faro. Questo perché, da quando aveva dieci anni, trascorreva le notti ad osservare affascinato il rincorrersi delle onde dalla torre che troneggiava sul mare. Killian adorava lasciarsi avvolgere dalla solitudine del suo faro. Tutto gli sembrava più vivido, da lassù. I ricordi delle giornate trascorse sul peschereccio di suo padre, prima che il mare scegliesse di portarselo via con sé. Il sorriso di sua madre, quando ancora poteva sorprenderla a ballare sulla spiaggia, scossa da un improvviso momento di euforia. Le favole e le leggende che tanto amava e che suo nonno gli raccontava ogni sera, mentre attendevano assieme l’alba dalla torre. Un tempo era stato lui il guardiano del faro, ma la vecchiaia si era fatta sentire presto per Jeremiah Harbor e così, da qualche anno, Killian aveva dovuto imparare a fare a meno delle sue storie. Le ricordava ancora tutte, però. Ogni tanto se le sentiva ronzare in testa, raccontate nel tono di voce profondo del nonno, mentre i suoi occhi chiari si sgranavano in direzione del mare. Killian aveva visto uomini svanire all’orizzonte a bordo delle loro navi, un po’ come aveva fatto Sinbad il marinaio. E aveva visto donne accarezzate dalla spuma del mare come Ariel, la sirenetta. Non gli era mai capitato, tuttavia, di riconoscere negli sguardi della sua gente  qualcosa che gli ricordasse l’eroe della sua favola preferita. Questo fino a quando non  incontrò per la prima volta il mentore più giovane del Distretto 4, il suo mentore. Quando Finnick Odair gli si era presentato qualche giorno prima, improvvisandosi giocoliere con tre zollette di zucchero, la bocca di Killian si era spalancata per lo stupore.

 “Killian, mi stai ascoltando?”

Il ragazzino sbatté le palpebre un paio di volte, distogliendo lo sguardo dall’abito scintillante della ragazza del Distretto 1. Annuì frettolosamente al suo interlocutore, tormentandosi con il piede scalzo la sua cavigliera di nodi. Si rimproverò in silenzio per essersi lasciato nuovamente distrarre da qualcosa di luminoso. Tutto ciò che era luce gli ricordava il faro. E tutto ciò che era acqua gli ricordava il mare.

Finnick gli rivolse un’occhiata confusa, prima di abbozzare un mezzo sorriso divertito. Aveva appena due anni in più di Killian, ma sembrava decisamente più grande, dato il fisico muscoloso e i lineamenti marcati. Eppure l’aria spigliata e accattivante del mentore faceva a pugni con i suoi occhi verdi, velati da una limpidezza che ricordava più quella di un fanciullo, che non quella di un ragazzo che per vivere era stato costretto uccidere. Ma dopotutto, pensò Killian, anche Peter Pan aveva ucciso diversi pirati, no?

“Hai capito come dovrai comportarti con i Favoriti durante l’addestramento?”

Killian fece per rispondergli, ma la sua attenzione venne distratta ancora una volta da un movimento alla sua destra. Guardò fuori dall’edificio per cercare di intuire cosa fosse. L’assenza del mare e della spiaggia lo riempirono di malinconia, mentre si trovò ad analizzare con sguardo incuriosito le abitazioni bizzarre in cui vivevano i capitolini. E se non fosse più tornato a casa? Per un attimo il suo cuore sembrò accelerare i propri battiti, e Killian incominciò a respirare in maniera più irregolare.

“Killian?”

Il richiamo gentile, e l'espressione confusa di Finnick lo riportarono alla realtà. In quel frangente a Killian sembrò insolitamente giovane o, quantomeno, non più grande di lui.

Ti sto ascoltando, avrebbe voluto dirgli, sorridendo un po’ imbarazzato.

 

“Assomigli a Peter Pan” si lasciò sfuggire invece, passandosi la mano fra i capelli di un biondo chiarissimo. Finnick gli rivolse un’occhiata spaesata.

“Chi è Peter Pan?”

Incominciava ad apparire preoccupato, ma Killian nemmeno se ne accorse. Fece spallucce e tornò a giocherellare con i nodi della sua cavigliera.

“Ventiquattro ragazzini lasciati soli in un’arena” mormorò fra sé, ripensando a una delle prime favole che Jeremiah gli aveva raccontato, quando era molto piccolo. “Saremo un po’ come i bimbi sperduti, no?” chiese poi ad alta voce, e quasi gli sembrò di sentire la voce profonda del nonno che raccontava per lui, mentre la sua mano ruvida gli accarezzava un po’ goffamente i capelli.

“Sai, Light, anche se Peter Pan non era un ragazzino come gli altri, anche lui quando fu sul punto di morire ebbe paura.”
“Peter Pan aveva paura, nonno?”
“All’inizio tremò appena, un po’ come trema il mare quando il vento è molto forte. Un momento dopo, però, era già in piedi sullo scoglio, tutto fiero e sorridente.  Il cuore gli batteva forte nel petto, ma lui urlò comunque:  

«Morire sarà una grande, meravigliosa avventura! »”*

“Quando morirò, se proprio devo morire, vorrei non avere troppa paura” ammise infine, chinando il capo. I suoi occhi pungevano di lacrime. “Spero che ci sarà un po’ di luce, così riuscirei a pensare al faro. Peccato solo che non potrò sentire le onde, quando sarò nell’arena.”

Per un attimo Finnick non disse nulla. Si limitò a stringergli forte una spalla, lo sguardo velato di una tristezza che a Killian provocò un nodo allo stomaco.

“Non permetterò che tu muoia, Killian” concluse infine il mentore, tornando ad apparire determinato. “Dovremo lavorare sodo entrambi, ma possiamo farcela a tenerti in vita: nessuno dovrebbe mai sottovalutare i ragazzini, no?” aggiunse, dandogli di gomito e rivolgendogli un sorrisetto sghembo. Killian sorrise, ricambiando l’occhiata d’intesa del suo mentore. Non glielo disse, ma era proprio il genere di cosa che avrebbe detto qualcuno come Peter Pan.

***

Era calata la notte ormai da un paio d’ore, quando un urlo agghiacciante macchiò il silenzio dell’arena. Killian aveva fatto appena in tempo a scorgere la lama di una spada e un volto poco più maturo del suo, conteso fra il sollievo e l’orrore, prima di accasciarsi a terra, con una mano premuta contro il petto. Il sangue scivolava copioso dalla sua ferita a inzuppargli gli abiti e i suoi occhi sembravano aver smesso di funzionare a dovere. Cercò di muoversi, di alzarsi a sedere, di reagire in qualche modo, ma tutto ciò che riuscì a fare fu stringere la mano libera a pugno nella sabbia, sconfitto dal dolore e dalla paura. Killian tossì, avvertendo con sgomento il sapore del sangue in bocca e per un attimo fu convinto che sarebbe morto soffocato, senza riuscire a far nulla per impedirlo. Sentì le lacrime rigargli le guance e il freddo penetrargli le ossa, mentre in silenzio si incitava a restare lucido, almeno qualche minuto ancora, giusto il tempo di riuscire ad aggrapparsi ad un ricordo, a qualche frase di una favola, al pensiero di qualcosa che l’avrebbe aiutato a sentirsi meno spaventato e infreddolito. In quel momento l’unica cosa a cui riuscì a pensare fu che non avrebbe mai più rivisto sua madre. La donna dallo sguardo malinconico che sedeva sulla spiaggia ogni mattina, attendendo il ritorno di un marito che si era perso in mare e che non sarebbe tornato mai più. Avrebbe atteso anche Killian dall’indomani? Pensò anche che non avrebbe più rivisto Adrian, e il modo in cui faceva oscillare le gambette giù dagli scogli, le volte che lo portava con sé per pescare. Né Coral, la sua migliore amica, che l’aveva salutato con un bacio sulla guancia e il cordino di nodi che Killian avvertiva ancora, legato alla caviglia. Non avrebbe rivisto nulla, in realtà, perché era circondato dal buio e non aveva modo di distinguere i contorni di ciò che lo circondava. Il ragazzino ebbe un tremito, avvertendo con angoscia tutto quel nero che gli gravava sulle palpebre. Non avrebbero più potuto chiamarlo il piccolo guardiano del faro. La luce intermittente della torre era rinchiusa in un angolo della sua testa, ma era troppo fiacca perché riuscisse ad aggrapparvisi per farsi coraggio. Non avrebbe più raccontato nessuna delle leggende che aveva appreso da suo nonno, né le favole che tanto affascinavano suo fratello Adrian, così come avevano incantato lui quando era piccolo.

In quel momento avvertì un fruscio e qualcosa di morbido sfiorargli la mano. Una luce fievole, intermittente, illuminò la porzione di sabbia che circondava le dita di Killian. Il ragazzino riuscì a voltare appena il capo, confuso da quel brillio: era una fata? Stava incominciando ad avere delle allucinazioni? Attirò a sé l’oggetto con l’indice e il medio e un lieve sorriso gli arricciò a fatica le labbra: era un paracadute argentato. Al suo interno vi trovò solo una conchiglia grande almeno quanto il suo orecchio. Non trovò unguenti, garze o qualsiasi cosa che avrebbe potuto aiutarlo a sistemare la sua ferita. Killian non impiegò molto a comprenderne il motivo:  stava per morire e Finnick non poteva salvarlo. Sospirò, interrompendo il respiro a metà per tossire, sputando poi a terra. Il contatto con la superficie increspata della conchiglia rassicurò leggermente il ragazzino. Stava per morire, ma non era solo.  La luce intermittente del paracadute  gli donò un po’ di conforto e il ricordo del faro brillò in maniera più intensa, fino ad assottigliare il buio della realtà. Killian sbatté le palpebre, ricordando la voce profonda ed espressiva di suo nonno. Non aveva forza a sufficienza per avvicinarsi la conchiglia all’orecchio, ma ricordò ugualmente il sorriso del vecchio Harbor indirizzato al mare agitato e le onde increspate, accarezzate dalla luce del faro.  “Ricordo un Peter Pan che si diceva vivesse con le fate” gli aveva detto un giorno il vecchio Jeremiah, mentre fuori infuriava una tempesta. “Si raccontavano strane storie sul suo conto, ad esempio che quando un bambino moriva, Peter lo accompagnava per un tratto di strada perché non avesse paura.”**

Killian si perse in quel ricordo, rievocando il rumore del vento e delle onde, la voce del nonno e la mano ruvida del vecchio che gli accarezzava i capelli. E per un attimo, solo per un attimo, riuscì a vedere tutto. Era una notte come tante e lui la stava trascorrendo al faro, assieme a Jeremiah. Il cielo era limpido e se si fosse sporto per guardare in alto avrebbe sicuramente scorto le stelle.  Killian strinse forte la conchiglia, cercando di mettere a fuoco con la mente gli occhi verdi di Finnick Odair.

"Grazie, Peter" mormorò in un soffio, o forse lo pensò soltanto. Con il sorriso sulle labbra e la luce del suo faro negli occhi, il piccolo guardiano del faro si addormentò.

 

 

A centinaia di chilometri di distanza, Finnick Odair scosse il capo, distogliendo lo sguardo dal televisore.

Cercò la mano di Annie, qualcosa a cui aggrapparsi, ma trovò solo il bracciolo freddo della poltrona su cui era seduto e silenzio, silenzio ovunque.

Un colpo di cannone spezzò la quiete dell’arena, chiudendo gli occhi del piccolo Killian per sempre.  

Anche Finnick chiuse i suoi, ignorando le lacrime sfuggite ad inumidirgli le guance.

Scusami mormorò mentalmente, prendendosi la testa fra le mani.

La voce esile di Killian gli echeggiò nella mente, disturbata dal rombo di un hovercraft, che lo raggiunse dal televisore.

                                                                       “Ventiquattro ragazzini lasciati soli in un’arena. Saremo un po’ come i bimbi sperduti, no?”

Addio, bimbo sperduto.

 




Nota dell’autrice.

*La citazione è tratta da “Le Avventure di Peter Pan” di James Matthew Barrie.

** Anche questa citazione è tratta da “Le Avventure di Peter Pan” di James Matthew Barrie.

E niente, sono un po’ masochista evidentemente, perché mi è appena morto un tributo e io mi metto a scrivere la morte anche dell’altro, ma sorvoliamo.

Prima di sproloquiare come sempre, devo inserire due credits fondamentali: Killian è un mio OC che ho creato assieme a giraffetta e che partecipa all’interattiva di Canto_Del_Lupo. Per esigenze di trama in questa one-shot ho dovuto inserire Killian nella 66esima edizione degli Hunger Games, per attribuirgli un Finnick molto giovane come mentore.

Passo alla storia. Questa è una cosa che mi venne in mente un mesetto fa, ma non mi convinceva, così da quell’idea ne tirai fuori un’altra, che utilizzai per scrivere “Io non ho paura”. Ecco perché, anche in questa one-shot, ci sono così tanti accenni alla paura. So bene che è piuttosto difficile che i bambini di Panem conoscano le nostre favole, ma Killian è un divoratore nato di fiabe e leggende e quindi ho pensato che nonno Jeremiah avrebbe potuto raccontargliene qualcuna. Finnick, ovviamente, non ha idea di chi sia Peter Pan. In quanto a Peter… diciamo che è un po’ una tradizione mia quella di infilare Peter Pan in tutti i fandom da cui passo. Quando ho riletto il passaggio di Peter Pan che accompagna i bambini morti perché non abbiano paura non sono riuscita a non pensare ai tributi molto piccoli che sono stati uccisi nelle varie edizioni degli Hunger Games. Il paragone con Finnick è decisamente azzardato, ma a me lui ha sempre ricordato un po’ Peter. In parte perché Peter ha dei modi di fare spavaldi  e accattivanti in apparenza, ma c’è tanta tristezza nella sua storia, proprio come in quella di Finnick. Finnick, poi, ha vinto i giochi a 14 anni e il Peter Pan di Barrie ha esattamente quest’età, dunque ho provato a fare questa associazione, pensando ai bimbi sperduti che uccidono pirati e i ragazzini nell’arena che si uccidono a vicenda. Tra l’altro anche fisicamente Peter Pan l’ho sempre immaginato come Finnick *butta via dalla testolina l’immagine del Peter della Disney e pensa al ragazzino del film nel 2003*.  Parlando con una persona, tra l’altro, ieri ho definito Finnick “cosino adorabile” e effettivamente nel Canto della Rivolta a me ha dato proprio quella impressione. Era fragile e alle volte aveva proprio i modi di fare di un ragazzino. Tornando a Killian, spero che si siano potuti comprendere i vari accenni alla sua vita passata e alla sua storia. Il nonno chiama il nipotino “Light”, per via dei suoi capelli biondissimi, quasi bianchi e per via del loro attaccamento verso il faro.

Grazie a chiunque sia passato a leggere questa storia e spero con tutto il cuore di non aver reso Finnick OOC.

Un abbraccio!

Laura

   
 
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