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Autore: Memi J    09/01/2014    2 recensioni
Nel penitenziario di Magnolia sono detenuti coloro che vengono ritenuti, per motivi diversi, gli individui più pericolosi della regione di Fiore. Gray Fullbuster ha quasi finito di scontare la sua pena quando Natsu Dragneel, rinchiuso ingiustamente, diventa il suo compagno di cella. Lucy Heartfilia è una giovane violinista dal futuro spianato, figlia di uno degli uomini più potenti del penitenziario ed è lì considerata una sorta di dea in terra.
In che modo si intrecceranno le vite dei protagonisti? Riusciranno a riguadagnarsi la bramata libertà?
Dal prologo: "Raven Tail era un teatro in cui nessuno dettava regole perché, tanto, nessuno le rispettava. I secondini là fuori facevano un gran casino e ci prendevano a manganellate per intimidirci e farci stare buoni ma, si sapeva, se la facevano sotto. Tuttavia non li biasimavo: eravamo animali feroci da tenere chiusi in gabbia perché pericolosi, e fino a prova contraria i galeotti non fanno di certo parte di quella breve schiera di migliori amici che uno tenta di tenersi appresso."
Rating arancione per l'uso di un linguaggio volgare - soprattutto all'inizio.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gray Fullbuster, Lucy Heartphilia, Natsu, Natsu/Lucy, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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Lockheart Prison, Prologo.



Le reti ferree di quell'assurdo letto traballante scricchiolarono in maniera assordante, risuonando nel vuoto dell'oscurità cupa che avvolgeva la cella. L'eco causata mi stordiva al punto di impedirmi di prendere sonno: non avevo orologi, sveglie, nulla; potevo solo correre con l'immaginazione per comprendere che ore fossero. Notte fonda, probabilmente.
Quella fottuta cella era talmente umida che con il calore accumulatosi tra le pareti durante il giorno – era solo aprile ma, diavolo, si schiattava dal caldo – pareva volermi soffocare. Per di più non sopportavo le alte temperature, per questo avevo preso l'abitudine di spogliarmi sempre, indipendentemente dal luogo o dal momento della giornata, piuttosto che dall'aria che tirava. Mi davano del nudista, dell'esibizionista e del pervertito, o perfino dell'andromane, ma a mio parere non erano nemmeno a conoscenza del significato delle parole che sputavano. Hanno provato anche a darmi del frocio una volta, ma una sola: il coglione si è ritrovato in ospedale con diciotto punti in testa. In quell'occasione scatenai uno sconquasso che mi costò una cicatrice sul sopracciglio sinistro; i miei lunghi ciuffi di capelli in parte la nascondevano, tuttavia la consideravo un piccolo trofeo di guerra, una sorta di effimera testimonianza di virilità.
Cominciai ad accorgermi delle gocce di sudore che mi rigavano il collo per tutta la sua lunghezza. Ero finito in isolamento, maledizione. E tutto per una cazzo di rissa scatenatasi in cortile durante l'ora d'aria, e che per giunta non avevo provocato io.
Era tutto inutile, porre resistenza e cercare di starne fuori non serviva a nulla: alla fine in mezzo agli insulti e a quel casino, in un modo o nell'altro, ci finivi anche tu. Che poi tu ne uscissi illeso, con un occhio nero o ucciso poteva dipendere da te così come da chiunque altro ti prendesse di mira.
Nel mio caso, generalmente me la cavavo con qualche livido, niente di più e niente di meno; aver preso lezioni di karate fino al primo anno di liceo mi stava aiutando in maniera spropositata. A volte racimolavo denaro sporco, o comunque qualcosa in più dei miseri settantasette jewels che costituivano il salario giornaliero di un operaio detenuto all'interno di un carcere.
Calci, pugni, testate; ciò che tiravo non aveva la benché minima importanza. Uccidere o essere ucciso: era questo il concetto fondamentale che involontariamente ti stampavi nel cervello dopo nemmeno un giorno trascorso tra le mura del penitenziario di Magnolia. E perdurava, incancellabile, come un chiodo fisso; una macchia indelebile che non si dissolveva con il semplice sudore della fronte. O ammazzavi o ti ammazzavano, c'era ben poco da chiarire: non era un dilemma, né un concetto di fronte al quale esitare; era semplicemente la realtà dei fatti.
Raven Tail, così lo chiamavamo, ma non ho idea di chi avesse affibbiato tale nome ad un luogo che, probabilmente, nemmeno se lo meritava (e neppure ne necessitava, a mio parere). Dicevano fosse un nome che circolava da almeno tre generazioni a questa parte, ma correvano così tante voci lì dentro che alcune erano divenute leggenda.
Raven Tail era un teatro in cui nessuno dettava regole perché, tanto, nessuno le rispettava.
I secondini là fuori facevano un gran casino e ci prendevano a manganellate per intimidirci e farci stare buoni ma, si sapeva, se la facevano sotto. Tuttavia non li biasimavo: eravamo animali feroci da tenere chiusi in gabbia perché pericolosi, e fino a prova contraria i galeotti non fanno di certo parte di quella breve schiera di migliori amici che uno tenta di tenersi appresso.
Semplicemente, ci si affidava ad una tacita legge della reciprocità secondo cui noi non davamo fastidio a loro e loro non davano fastidio a noi; malgrado le circostanze, la cosa non era sempre funzionale: lì bastava un commento di troppo ed eri già entro i circolari confini del mirino di una carabina nelle mani esperte di un cecchino professionista. Ed era sufficiente una parola fraintesa ed eri morto ancor prima di rendertene conto: appena ti guardavi il torace e ti accorgevi delle mani intrise di sangue e la camicia azzurra inzuppata del rosso più viscido che tu avessi mai visto, era già troppo tardi.
Non era importante chi aggredivi, a volte capitava che si ammazzasse qualcuno per la semplice brama di farlo o per un capriccio. Chi si circondava di nemici o faceva un torto a qualcuno era un cavallo già morto sulla linea di partenza: l'unica cosa che poteva fare era aspettarsi una vendetta molto creativa; il rosso era un colore che si abbinava perfettamente alle feste di benvenuto, lì dentro.
La cosa forse più indegna era che avevi a stento il diritto ad avere un funerale. Se morivi a Raven Tail, nessuno si preoccupava di te; nessuno veniva a cercarti, nessuno cercava di scoprire il responsabile della tua morte e delineare i connotati del tuo assassino, nessuno si curava dei tuoi beni – sempre che ne avessi – e nessuno teneva a te al punto di volere giustizia. Eri un fantasma, e a meno che non ti andasse particolarmente di culo, da Raven Tail uscivi così come eri entrato: da solo come un cane, e privo di tutto quello che avevi e che eri stato.
Ma non era sempre stato così.







Author's Corner: sarà un "angolo" mooooooolto lungo! <3
Dunque. Oddio, da dove comincio? Okay, provo dall'inizio. L'ho già scritto aggiornando la mia pagina quindi non mi dilungo molto (sì, come no!), ma sono quattro anni che non posto una fanfiction su questo sito. Sì, dal 2009. Quando ho letto l'ultimo aggiornamento non volevo crederci nemmeno io! Quindi probabilmente sono un po' arrugginita, non scrivevo una storia così da secoli. Non so nemmeno se ci riuscirò! XD Negli ultimi anni ho scritto solo saggi e temi scientifici @_@. Ho cambiato anche nickname, prima ero KyuCChan. E devo volermi particolarmente male, perché dopo tanto tempo, anziché scrivere una fresca oneshot mi metto a fronteggiare una long... sono proprio un'idiota, su, ditemelo. Questa storia è un esperimento, spero di riuscire a continuarla fino alla fine (non come l'altra long che, ahimè, è ferma da 4 anni). Parliamo proprio di questa: quello che vedete è solo il prologo e mi rendo conto che da questo non si capisce granché, quindi posterò prestissimo il primo capitolo. Originariamente doveva essere un'altra long nel fandom di Bleach (chi ha visitato la mia pagina avrà notato che scrivevo solo in quel fandom! XD) ed il narratore/protagonista era, naturale, Ichigo. Infatti il primo paragrafo era già steso da un paio d'anni, forse anche tre. Ma, a parte il fatto che negli ultimi anni ho perso un po' interesse per questo manga a favore invece di Fairy Tail, quando ho pensato a risse, depravati e bande di idioti non ho potuto non pensare: o cappero, questa è Fairy Tail! XD Penso tutti abbiate capito che il narratore è Gray. E' la prima storia che scrivo in prima persona, quindi spero di essere riuscita nel mio intento. Pensavo che una visione in prima persona avrebbe aiutato il lettore a sentirsi più coinvolto nella vicenda. Comunque, già ve lo anticipo, Gray non è il protagonista principale, pertanto con il passare del tempo assumerà sempre di più le caratteristiche di un narratore onniscente. Tra gli avvertimenti ho messo il tag 'Violenza', ma non aspettatevi spargimenti di sangue, solo un po' di azione! Ma ho messo il rating arancione per ogni evenienza. Per il momento (ma solo per il momento!) non ho altro da aggiungere, altre considerazioni/precisazioni le farò alla fine del primo capitolo, che preparatevi, è lungo. XD Detto questo mi dileguo a rileggere e sistemare il primo capitolo o(> <)o Per il vostro bene la smetto! XD
   
 
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