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Autore: Pocia    29/05/2008    3 recensioni
questo è un tema che ho presentato a scuola...spero vi piaccia...ciau un bacio commmentate in molti!!!
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La porta della biblioteca era nascosta da un po’ di neve, ma conoscevo talmente bene il posto dove era incastonata che l’avrei trovata anche ad occhi chiusi. Camminai un po’, con gli stivali che scivolavano sulla neve, e spinsi il portone. La biblioteca era un posto magnifico. Milioni di libri, dalle pagine ingiallite dal tempo, si stagliavano austeri sugli scaffali.Come sempre, entrai, salutando il signor Rossi, che mi sorrise da dietro il suo bancone. Era un uomo strano, aveva pochi capelli, perlopiù bianchi e sulle tempie, e occhi di ghiaccio. Quando mi guardava sentivo uno strano brivido scendermi lungo la schiena, come se lui sapesse cose che io non avrei neanche potuto immaginare. Beh, in effetti metteva una certa soggezione, ma non potevo fare a meno di essere gentile con lui. Mi diressi svelta verso gli scaffali, portando il dito indice verso i titoli dei libri, certa che avrei trovato qualcosa che avrebbe incuriosita. Mi bloccai. Eccolo. “L’orologio degli dei”. Mi attirava. Lo presi delicatamente e lo portai verso il camino, nel quale ardeva un fuoco lento che emanava un piacevole tepore. Mi sedetti su una poltrona, e all’improvviso sentì tossire. Mi girai verso il signor Rossi, il quale mi guardò in sottecchi e, attraverso i suoi fragili occhiali, mi trafisse con lo sguardo, dicendomi :-Stai attenta a quel libro-. Io rimasi interdetta, mi chiedevo cosa avesse quel testo che non andava, ma lui tornò alla sua lettura, ignorandomi completamente. Stupita, tornai al mio libro. Lo aprì, sfogliando le prime pagine. Lessi la trama. La storia era ambientata agli inizi del Novecento. Edward Bennet, un giovane ragazzo inglese, passava le sue giornate alla ricerca dell’anima gemella, nell’Inghilterra della Prima Guerra Mondiale. Iniziai a leggere, sempre più presa dal racconto. –Signorina, è ora di chiudere-, il signor Rossi mi richiamò, consigliandomi poi di portare il libro a casa. Presi il testo, lo infilai nella borsa di stoffa che avevo a tracolla, e, salutando il bibliotecario, uscì. Camminando verso casa, pensavo al libro che sbatacchiava nella mia borsa, immedesimandomi in quell’epoca. All’improvviso mi bloccai, lasciando che la neve cadesse sul mio cappellino di lana. Ero sicura che quella villa di un bianco accecante fino a un paio di ore prima non ci fosse! Non passava certo inosservata! Le alte colonne, che potevo intravedere alle spalle di un alto cancello di ferro, formavano un passaggio che portava ad un grande portone di quercia. Le finestre, incorniciate da tendine celesti, lasciavano intravedere l’arredamento della casa. Ero esterrefatta. Come era possibile? Mi avvicinai lentamente verso il grande cancello nero, e lo sfiorai con la punta delle dita. Al mio tocco, le sbarre pesanti si aprirono, senza emettere neanche un minimo cigolio. Mi sembrava un sogno, sentivo di non dover entrare, ma era più forte di me. Le mie gambe si diressero verso le colonne, e, camminando silenziosamente, attraversai quel passaggio coperto da una lastra di marmo, che mi separava dalla spessa coltre di neve. Arrivai davanti al portone. E fu un momento. Le mie mani si diressero, tremanti, verso la quercia scura, e bussai. Sentì dei passi leggeri scendere le scale, e dopo un’attimo, venne ad aprire la porta il più bel ragazzo che avessi mai visto. Biondo, occhi dorati, pelle diafana e un fisico da favola, egli mi chiese :-Ciao, cerchi qualcuno?-. Io, incapace di parlare, poiché ero rimasta a bocca aperta, scossi la testa. Lui sorrise, consapevole del perché ero rimasta così stupefatta, e mi disse gentilmente :-Prego, entra, starai congelando-. Varcai la soglia della villa in preda allo stupore più totale, e mi bloccai nuovamente. Sentii dentro di me qualcosa che scattava. Un orologio a cucù segnò le otto di sera. Quel suono non lo dimenticherò mai. “Cosa sta succedendo?”, mi domandai. Il ragazzo mi invitò a seguirlo, e mi portò in un grande salotto. La stanza comprendeva 3 soffici divani in pelle nera, un camino, davanti il quale si stendeva un bellissimo tappeto persiano. Le pareti erano costellate di quadri, e una grande libreria ne occupava una intera. Sedute sui divani, quattro persone si girarono verso la porta, quando il ragazzo la aprì. Mi invitò ad accomodarmi, e finalmente alzai gli occhi. Vidi cinque persone intente a scrutarmi e, imbarazzata, abbassai nuovamente lo sguardo. –Non mi sono ancora presentato. Piacere, Edward-. La sua voce mi colpì come un fulmine, arrivando dritta al mio cuore. –Piacere, Beatrice -, risposi, arrossendo visibilmente. Gli altri quattro si presentarono a turno. Il capofamiglia era Caius. Capelli ramati e occhi verdi, era un uomo stupendo. La moglie si chiamava Cassandra. Assomigliava molto al marito, a parte i suoi capelli, neri e corti. La figlia era Elizabeth. Era stupefacente. I lunghi capelli biondi le accarezzavano la schiena, con dei boccoli d’oro che rilucevano alla luce del fuoco, e gli occhi, colore dell’acqua più limpida, mi guardavano incuriositi. E poi c’era il figlio, Lucas. Era un tipo molto grosso, magro, ma allo stesso tempo robusto. Capelli neri e occhi verdi, subito fece una battutina pungente che scatenò la mia risata. E infine lui, il più bello, Edward. Rimasi a guardarlo, incapace di staccare i miei occhi dai suoi. –Allora, Beatrice, come mai hai bussato alla nostra porta?-, mi chiese Caius, incuriosito.-Beh, stavo tornando a casa e…-. No, mi sembrava di dire una cavolata. Non potevo certo dire “Sai, stavo tornando a casa e all’improvviso ho visto questa villa apparsa dal nulla…”, mi avrebbero presa per pazza! Edward mi guardò, desideroso che continuassi a parlare, ma io mi limitai ad alzare le spalle, e loro scoppiarono a ridere. –Vieni, ti faccio vedere il resto della casa!-. Elizabeth mi prese per mano e, quasi a passo di danza, mi fece fare il giro della villa. Le altre camere erano enormi. Insomma, una casa stupefacente! I padroni di quest’ultima, ogni qualvolta mi guardavano, sorridevano, soddisfatti dell’effetto che faceva su di me la loro dimora. Dopo un po’ (un bel po’, data la vastità della villa), tornammo nel salotto, dal quale chiamai a casa, per avvertire mia madre che sarei tornata tardi quella sera. Dopo aver attaccato il telefono, mi sedetti accanto ad Elizabeth, alla quale chiesi qualche informazione sulla famiglia. Lei, entusiasta, si gettò a capofitto nella descrizione dettagliata di ogni membro, delle origini e delle tradizioni sue e dei suoi parenti. Io ascoltavo e ridevo, ogni tanto, fino a quando alcune sue parole catturarono la mia attenzione. –Noi siamo i Bennet, e come tali dobbiamo farci rispettare! Non ci facciamo mai umiliare da nessuno, ma a volte anche noi abbiamo le nostre piccole debolezze. Io, ad esempio, non saprei stare senza trucchi e specchi, amo i riflettori ed essere sempre al centro dell’attenzione, mio fratello Edward, invece, è sempre alla ricerca della sua anima gemella…Beh, si sa, durante questa guerra, è difficile trovare una persona da amare…-. –Come, scusa? Quale guerra?- la interruppi io, sorpresa. –Ma come quale guerra! Dove vivi? La guerra che sta coinvolgendo tutte le nazioni del mondo! Sveglia, Beatrice!-. Io mi bloccai, mentre uno strano sospetto mi si formava nella mente. Edward, Guerra mondiale, anima gemella…-Scusa, ma in che Paese ci troviamo?- chiesi con voce tremante. –Ma in Inghilterra, naturalmente!-. Mi immobilizzai, la guardai negli occhi e urlai con quanto più fiato avevo in gola. I Bennet. Li avevo trovati. Era umanamente impossibile essere tornati indietro nel tempo e aver conosciuto i personaggi del mio libro! Elizabeth mi guardò confusa, ignara del perché del mio comportamento, ed io tornai ad essere me stessa, ancora scossa e non del tutto sicura della mia intuizione. –Beatrice, che succede?. Edward mi guardò, turbato e preoccupato dalla causa del mio strillo. –Oh, niente, non preoccuparti-. La mia voce naturalmente affermava il contrario. Voce traditrice! Edward per fortuna non indagò oltre, e dopo un’ultima occhiata, si girò di nuovo verso Lucas, con il quale continuò a giocare a scacchi. Caius e Cassandra, un po’ più in là, parlottavano a bassa voce e ogni tanto mi lanciavano un’occhiata incuriosita. Io mi affrettai a continuare il mio discorso con Elizabeth, fino a quando Edward non mi disse :-Ha smesso di nevicare, se vuoi ti faccio vedere il giardino-. Io, naturalmente, annuì, e insieme ci dirigemmo verso una grande porta di vetro. Edward la aprì e ci mancò poco che svenissi. Un grande parco soleggiato, anche se fino a due minuti prima aveva nevicato, di stendeva davanti ai miei occhi. Delle sdraio di legno con dei cuscini color panna erano posizionate al bordo di un’enorme piscina, e più in là un campetto da tennis faceva bella mostra di sé. Il prato era pieno di margherite e i cespugli ai lati della villa erano costellati di rose. Dalle mie spalle arrivò un risolino, ed io mi girai. –Ti piace?-, mi chiese Edward. –E’ davvero fantastico!-, risposi. All’improvviso una valanga mi gettò quasi a terra. Elizabeth, con un costume rosa e degli occhiali da sole dello stesso colore, corse fino ad una sdraio e, dopo aver steso un’asciugamano (sempre abbinata al costume ed agli occhiali), di stese a prendere il sole. –Lisa, ti sembra il momento di stenderti lì? Abbiamo un’ospite!-. Caius la riprese, e lei si giustificò :-Ma papà, guarda che bel sole!!!-. Ero sicuramente arrivata in un altro mondo. Non erano le otto di sera quando sono entrata nella casa? Com’è mai possibile che ora c’era il sole? Stavo sicuramente impazzendo. Andai a sedermi con Edward su alcune sedie all’ombra, e passai qualche ora ridendo delle sue battute e ascoltando le storie che mi raccontava. Il ragazzo mi propose di passare qualche giorno con la sorella, la quale stava passando un brutto periodo, ed io accettai. Così chiamai a casa e mia madre si mostrò fin troppo contenta di quella notizia. Passai i giorni successivi divertendomi e parlando con tutti, picchiando Lucas e facendo shopping con Elizabeth, alla quale ero sempre più affezionata. Eppure mi sentivo strana. Sapevo che stavo vivendo in un’altra epoca. Quasi a confermare le mie sensazioni, sentì lo sparo di una bomba risuonare al di là della montagna. Edward mi strinse tra le braccia, e tutti i miei pensieri svanirono. Mi accorgevo sempre di più di essermi presa una cotta per lui, ma quello splendido ragazzo sembrava desiderare da me solo una semplice amicizia. Lucas continuava a chiamarci piccioncini, e io ridevo, soddisfatta ma anche imbarazzata. Così non mi accorsi del tempo che passava, e arrivò il giorno che dovetti tornare a casa. Mamma mi chiamò, e durante la telefonata mi disse che erano passati tre mesi da quando ero in quella villa. Rimasi sbigottita. Le assicurai che sarei subito tornata a casa, e chiamai i Bennet per annunciar loro la mia partenza. Elizabeth scoppiò a piangere, mi abbracciò forte e mi disse :-Sei la mia migliore amica! Ti voglio bene-. Lucas era triste, continuava a ripetere che non avrebbe mai dimenticato i miei schiaffi. Caius e Cassandra mi abbracciarono e mi dissero che ero una brava ragazza e che avevano imparato a volermi bene. Edward mi chiamò in disparte, mi prese per mano e mi disse :-Non ho avuto il coraggio di farlo sin’ora, ma devi andare…- e le sue labbra sfiorarono leggere le mie. Rimasi basita, il mio cuore batteva all’impazzata e i suoi occhi mandavano lampi. Lo abbracciai forte e gli promisi che sarei tornata a trovarlo. Lui mi guardò tristemente e mi rispose che non era possibile, ed io scoppiai in lacrime. Dopo un’ultimo abbraccio veloce a tutti, uscì dal grande portone di quercia, e mi girai per salutarli di nuovo. Ma dietro di me non c’era più niente, solo neve e un’ultima rosa posata a terra. Ad essa era attaccato un bigliettino :” Questi sono stati dei mesi stupendi per me, sappi che fino a quando avrai con te il libro, potrai sentirmi sempre vicino a te, e spero che prima o poi, l’orologio degli dei batterà nuovamente le otto di sera per noi. Sempre tuo, Edward”. Strinsi la rosa al petto, e una spina mi bucò il polpastrello. Una minuscola goccia di sangue cadde nella neve candida. Poggiai il fiore nella borsa, accanto al mio libro, che avrei acquistato dalla biblioteca. Corsi verso casa, sentendo il suo sbatacchiare nella borsa. In esso avevo lasciato la mia migliore amica e la persona a cui tenevo di più, colui per il quale mi ero presa una dolce cotta e senza il quale non sarei riuscita a stare. I miei passi lasciavano impronte nella neve, mentre un petalo di rosa si staccava dal fiore, per andare a posarsi sui gradini di una grande villa bianca…
  
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