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Autore: LoveShanimal    09/01/2014    0 recensioni
" “Io con gli uomini ho chiuso.”
Quella frase risuonò nella stanza, mentre la ragazza prendeva la bottiglia d’acqua dal frigorifero. Chiuse la porta con il piede, mentre manteneva il cellulare in bilico sulla spalla e si versava da bere.
La risatina che scoppiò nel momento successivo la irritò non poco, odiava quando le persone mettevano in dubbio le sue parole..."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Beh.. ciao.
Quanto mi è mancato Efp?
Non voglio fare promesse che non potrò mantenere, sono una persona fondamentalmente pigra e incostante quando si tratta di queste cose, quindi non so quanto riuscirò a mantenere il mio proposito di portare avanti questa nuova storia.
Questo è un piccolo capitolo introduttivo, spero vi piaccia.
Buona lettura! 


 
Love is a dangerous game to play.

 

“Io con gli uomini ho chiuso.”
Quella frase risuonò nella stanza, mentre la ragazza prendeva la bottiglia d’acqua dal frigorifero. Chiuse la porta con il piede, mentre manteneva il cellulare in bilico sulla spalla e si versava da bere.
La risatina che scoppiò nel momento successivo la irritò non poco, odiava quando le persone mettevano in dubbio le sue parole.
“Cosa? Non ci credi? Magari, cara la mia professoressa di matematica, può capire meglio se uso i numeri : - un attimo di pausa, mentre beveva un sorso d’acqua – una, la settimana che è passata dall’ultimo colloquio che ho fatto, e, che novità, non mi hanno ancora richiamato; due, i mesi che sono passati da quando quel tizio mi ha lasciato; tre, i lavori squallidi che faccio contemporaneamente per pagarmi questo surrogato di appartamento in cui vivo, o, diciamo, dormo; quattro, i mesi che sono passati da quando mi sono laureata, dopo aver sgobbato anni, e ancora non ho trovato uno schifo di lavoro decente. E cinque.. beh, non ho qualcosa per il cinque ora come ora, ma forse mi verrà in mente. Ah, si, cinque, i dollari che mi sono rimasti nel portafoglio dopo le bollette che ho dovuto pagare oggi.” Vomitò fuori tutte le parole una dopo l altra, il più in fretta possibile, e poi prese un profondo respiro, calmandosi. Quel tumulto interiore l accompagnava da parecchio tempo, e non riusciva ad allontanarlo.
"é difficile, lo so, stavo solo scherzando.. Tieni duro che prima o poi la ruota gira pure per te.." 
Quella ruota sembrava girare sempre dalla parte sbagliata, quella più lontana dalla sua. 
Cercò di mettere fine a quella conversazione il più in fretta possibile,  riusciva a sopportare sempre meno cose nell'ultimo periodo, e tra quelle non c'era sicuramente spazio per le chiacchiere vuote delle persone intorno a lei. Tra quelle c'era, in prima fila, anche l'apprensiva madre, che la chiamava in continuazione per sapere come stava e se avesse bisogno di qualcosa; lei aveva bisogno di qualcosa che la madre non le poteva dare, e che in ogni caso non avrebbe chiesto: non voleva ammettere di essere in difficoltà, non voleva tradire il suo orgoglio e sentirsi dire che andare a vivere da sola non era stata una buona idea fin dal principio.
Al contrario, quella era stata l'unica cosa ben riuscita della sua vita, era il resto che non funzionava. 
Non voleva tornare alla sua vita, piccola e insignificante, racchiusa nella campana di vetro indistruttibile di mamma e papà, perché quella vita le toglieva il fiato, la soffocava. Preferiva sgobbare tutto il giorno e ritagliarsi quella fetta di indipendenza piuttosto che ritornare alla perfezione della vita che altri avevano deciso per lei. I suoi genitori l'amavano, non c'era dubbio, ma il loro amore lo dimostravano nel modo sbagliato, come se avesse ancora dodici anni e non più di venti.
Ormai erano passati quattro anni da quando aveva lasciato casa: aveva iniziato l università e per pochissimo tempo era rimasta con i genitori, ma non aveva più retto a fare avanti e indietro per studiare, dormendo la mattina nei vari treni e correndo tra un pullman e l'altro per riuscire a tornare la sera, e aveva trovato un appartamento a basso costo che le semplificasse la situazione.
Per lei fu una vera e propria liberazione, e la sua vera vita iniziò in quel preciso istante.
E quel piccolo appartamento, quel piccolo buco che aveva trovato per un fortuito caso,  quelle tre stanze circondate dal chiasso continuo dei vicini e dai rumori della città, quella piccola casa disordinata e il più delle volte con i ripiani della dispensa vuoti, era, in ogni caso, il suo rifugio, il suo piccolo angolo di mondo che rimaneva lì ad aspettarla fino a quando non tornava la sera, il suo piccolo punto di partenza e il punto d'arrivo. Tutto quello era completamente suo,  l'aveva conquistato con il sudore e la fatica, con il duro lavoro e le notti insonni. 
Era la sua Libertà, era la sua Indipendenza. Era la sua Casa.

E pensare che era pronta a far entrare un altra persona in quella casa, una persona che, dopotutto, non se lo meritava. 
Marcel. 
Marcel era un uomo, ventisei anni, fisico snello e asciutto, alto, capelli biondi e occhi chiari, occhiali di una sottilissima montatura nera che era solito aggiustarsi, mentre parlava, con l'indice sinistro, elegantemente, e una piccola voglia al centro della mano che lei accarezzava ogni volta che erano seduti sul divano a guardare la televisione. 
Marcel era  sicuramente un bell'uomo, le piaceva il modo in cui i suoi occhi la guardavano, in cui le sue dita la accarezzavano. Si accorse solo dopo la loro separazione, troppo tardi, che non lo amava davvero, ma che si era innamorata dell'idea di essere finalmente amata da qualcuno. 
Lei e Marcel si erano conosciuti tre anni prima, ad una festa. Lui l'aveva vista subito, appena aveva varcato la soglia di casa. Aveva notato il suo vestito nero, spezzato da una collana lunga e luminosa. I capelli raccolti che si appoggiavano morbidi sulla spalla, le sue mani gentili che porgevano il cappotto alla receptionist, e il suo rossetto rosso scuro, che sottolineava la forma a cuore delle labbra. 
Si era presentato a lei porgendole un bicchiere di vino e facendole un mezzo sorriso. Lei aveva appena raggiunto il suo obbiettivo, perdere peso, aveva finalmente tolto quei chili che le appesantivano l anima e si sentiva invincibile, bellissima, come se la vita che aveva tanto aspettato stesse iniziando un quel momento. Aveva passato mesi a contare calorie, grassi e carboidrati, a leggere etichette e a correre avanti e indietro al lavoro. Aveva rinunciato a tutto quello che amava, aveva bevuto litri di acqua uno dopo l altro, aveva mangiato verdurine di ogni tipo cotte in maniera sempre nuova, senza condimenti,  e le era mancato cosi tanto l'olio che le veniva voglia di berlo direttamente pur di sentire un po' di sapore delle cose che mangiava, insipide e scialbe.
Aveva passato tutta la sua vita a cercare di nascondersi, a sentirsi sempre di troppo, a pensare al suo corpo come una condanna e a se stessa come un mostro; aveva odiato se stessa, si era maltrattata, insultata, si era guardata allo specchio schifata da quel riflesso che non voleva più vedere, sperando di poter cambiare, cercando disperatamente un modo per farlo sul serio.
E dopo tutto quello che aveva passato per stare bene con se stessa, quella sera voleva brillare, voleva essere ammirata e guardata, voleva essere se stessa, voleva amarsi ed essere amata. Si, perché la cosa che più voleva era avere qualcuno che la amasse, che si prendesse cura di lei, che la abbracciasse e la facesse sentire amata. Che stupida, come se potesse forzare davvero le cose, come se potesse davvero funzionare nel modo in cui aveva iniziato la loro relazione. Eppure Marcel non aveva fatto niente di male, non era perfetto, come tutti, ma la trattava bene ed era sempre affettuoso. Il problema era semplicemente che lui non era quello giusto, e la loro storia si era protratta anche per troppo tempo. Si erano conosciuti e dopo un anno e mezzo, tra uscite saltuarie e giorni di assoluto silenzio si erano fidanzati, così, da un giorno all'altro, più perché tutti pensavano che sarebbe successo, e non perché il loro rapporto fosse davvero così stretto. Ed erano andati avanti quasi per inerzia, si erano fatti trasportare dalla corrente, si erano abbandonati al flusso degli eventi senza batter ciglio. Progettavano addirittura di andare a vivere insieme per poi sposarsi, perché quello era il passo successivo: incontrarsi in un bar perché si hanno amici in comune, uscire per un po', fidanzarsi, convivere, per poi sposarsi e fare figli. Era quella la vita, quel percorso perfetto, quella linea dritta ben definita che lei aveva prontamente cancellato, non appena si era accorta verso cosa si stava proiettando: la monotonia. Stava per diventare una di quelle casalinghe classiche, tutte casa e marito, il cui unico impiego era cucinare e prendersi cura della propria famiglia. 
Ma non era la vita che voleva, per il momento il solo pensiero la inorridiva, buttare all'aria tutti i suoi progetti per diventare la brava mogliettina di un uomo che in quel preciso momento si accorse di non amare. 
E tutto quello che le era rimasto era un profondo sconforto, un avvilimento costante che la faceva sentire male, la soffocava, le impediva di riflettere lucidamente. Guardava il mondo davanti a sé e non riconosceva neanche un po' di quelle che erano state le sue aspettative. 
Voleva cambiare se stessa e il mondo, e sapeva che continuarsi a sentire impotente come stava facendo non sarebbe servito a nulla. 
Doveva lottare, doveva crescere e lasciare la ragazza di un tempo, quella che guardava al futuro smarrita. 
Doveva essere la donna che stava diventando man mano, sicura delle sue capacità.
 
  
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