Capitolo 24
“Vì, seriamente dovresti
provare a venire ad una lezione con me!” Non erano coinquiline da nemmeno un
mese, ma sembrava che fossero già diventate amiche. Ma era così per tutto,
Violet l’aveva capito; quella scapestrata della sua compagna di stanza era
così: si buttava a capofitto in ogni cosa che faceva, e la loro amicizia era un
esempio.
“Nah, non credo che studiare celtico faccia per
me.” Camminavano chiacchierando per i corridoi dell’ateneo.
“Ma io dico sul serio! A parte che il professore è
terribilmente figo con quei capelli rossi e il suo
accento orgasmico.” Asserì marcando sull’ultima parola.
“Se lo dici tu.” Violet non era certa che quella
fosse la motivazione adatta per frequentare un corso di studi.
“Dai cazzo, Vì. Almeno
una lezione, ti prego. Fammi contenta.” Accelerò il passo piazzandosi di fronte
all’amica e mimando un gesto di preghiera.
“D’accordo, però non deve interferire con il mio
piano di studi.” Non volendo attirare troppo l’attenzione degli altri studenti,
Violet accettò, quasi sicura di pentirsene più prima che dopo.
“Non te ne pentirai, vedrai!” Sarah, al contrario,
era entusiasta, quasi avesse condiviso la migliore delle scoperte. “Adesso devo
scappare, mi ritrovo con delle ragazze del corso per studiare le prime
traduzioni.”
“Okay, ma torni a casa per cena?”
“Certamente! Non mi perderei i manicaretti del tuo
bello nemmeno per un appuntamento con il prof. Figo!”
Violet scosse la testa sorridendo e dirigendosi
verso l’aula di giornalismo.
Il suo professore, intento ad illustrare agli
studenti una composizione efficace della prima pagina di un giornale, presentò
diverse slide, tra le quali ve n’era anche una del quotidiano francese “Le
Monde” con le sue vignette sempre presenti in prima pagina e che rientravano
negli annali della storia del giornalismo.
Quel quotidiano le fece venire in mente del suo non ancora coinquilino Mr Les Jardins.
Erano passate due settimane dalla prima lezione e di lui non c’era neanche
l’ombra.
Doveva chiedere a Garth se aveva notizie del suo
arrivo, in caso contrario poteva coprire la presenza di Nate ancora per un po’.
In quel momento sperò che il suo coinquilino non
arrivasse mai.
“Bene ragazzi la lezione è finita. Per la
settimana prossima voglio un saggio di almeno quattro pagine su un quotidiano di
fama mondiale a vostra scelta. Dovete analizzarne tutti gli aspetti trattati
oggi a lezione.” Il professor Delore, un uomo sulla
quarantina e con i primi accenni di stempiatura, concluse così la lezione. Ecco
la prima consegna che avrebbe impegnato per la prima volta Violet. Raccolse le
sue cose e si precipitò all’uscita dell’aula, pronta a correre in biblioteca
alla ricerca del materiale che sarebbe stato utile per la sua ricerca.
Trovò poco, visto che non aveva ancora ben chiaro
cosa dovesse cercare, ma era convinta che un volume sulla storia del Times l’avrebbe aiutata nella sua ricerca.
Erano le otto passate e la cena di Sarah si era
freddata da un pezzo e Violet era leggermente
indispettita dall’atteggiamento apparentemente irresponsabile della sua
coinquilina. Nate, tenendole la mano, l’aveva rassicurata dicendo che avrebbero
potuto scaldarla un’altra volta, ma la ragazza non era convinta dal suo
discorso tranquillo; era una questione di principio.
Sarah entrò di corsa nell’appartamento poco dopo che
gli altri avevano sparecchiato la tavola. “Scusatemi ragazzi, mi sono dovuta
fermare in biblioteca..”
“Potevi almeno mandare un messaggio per avvisare.”
La interruppe Violet piccata.
“.. Hai ragione, però se mi lasciassi finire,
volevo dire che mi sono fermata perché ho trovato un annuncio che potrebbe
interessare a Nate.”
Il giovane sentendosi chiamato in causa,
intervenne cercando di smorzare l’atmosfera con un sorriso. “Sono
tutt’orecchi.”
“C’era questo rappresentante che era venuto a
chiedere se qualcuna di noi ragazze era interessata ad un corso avanzato di
cucina. Al momento lo abbiamo mandato via, ma poi mi sei venuto in mente tu e
ho detto ‘Cazzo, devo fermarlo.’ Così
gli sono corsa dietro, mi sono finta interessata e davanti ad un caffè mi ha
lasciato la brochure, il suo numero e mi ha spiegato le modalità, i costi e il
programma del suo corso. Ecco perché sono arrivata in ritardo. Non la smetteva
più di parlarmi e io ho segnato tutto quello che mi ha detto sul mio blocco.”
Concluse iniziando a frugare nella sua borsa e porgendo il tutto all’attenzione
della coppia.
Nate osservò il materiale che gli aveva passato
Sarah e sentì qualcosa smuoversi dentro di lui. Non aveva mai pensato di essere
all’altezza di un vero corso di cucina. Certo seguiva tutti i programmi
culinari nel tempo libero e con Jackie si metteva a preparare le varie
pietanze, però non gli era mai balenata per la mente l’idea di frequentare un
corso tenuto da un capo cuoco di uno dei ristoranti più famosi della
California.
“Io.. Grazie Sarah.” Farfugliò dopo un po’,
accortosi del silenzio imbarazzante che si era creato.
“Figurati. Te lo dico da quando sono qui che
cucini persino meglio di mia madre. Non è un complimento che riservo al primo
che passa!” sorrise.
Nate si voltò verso Violet cercando il suo
supporto, che però non trovò, almeno non subito. Era evidente che qualcosa la
turbava, ma non gli sembrava il caso di parlarne davanti a Sarah.
Un forte brontolio di stomaco proruppe nell’aria
facendo scoppiare a ridere Jackie. “Hai fame, Sarah?”
“Ca..spita! Sto morendo
di fame!” si corresse la bionda. Non poteva di certo esibire il suo linguaggio
colorito davanti ad una bambina di sei anni.
Nate si offrì di riscaldarle la cena, mentre la
sua compagna si alzava silenziosamente e si chiudeva in camera.
“È in quel periodo del mese, per caso?” Chiese
furtiva Sarah.
Nate sogghignò “No, non so cosa sia, ma c’è
qualcosa che la turba. Credo riguardi il costo del corso.”
“Già.. forse la mia non è stata una brillante
idea. Pensavo di farti un favore; insomma so quanto ti annoi qui a casa, quando
non sei alla ricerca di un lavoro.”
“Non ti preoccupare. Tu hai fatto benissimo.”
“Valle a parlare. Io credo di riuscire a scaldare
questa lasagna senza rovinarla.”
Nate le scompigliò i capelli e si diresse nella
sua stanza.
“Hey.” Un saluto neutro era il migliore approccio;
ormai lo aveva imparato in mesi di convivenza con la sua ragazza. Se c’era
qualcosa che la turbava e non era sicura di poterne parlare non bisognava
aggredirla di domande, altrimenti si sarebbe chiusa a riccio.
“Hey.”
“Sembra la scena del telefilm che abbiamo visto
ieri sera. Sembriamo Dawson e Joy, quando lei lo va a trovare dopo che hanno
discusso..” Continuò il suo approccio alla larga.
Violet sorrise solamente.
“Ne vuoi parlare?” le chiese sedendosi sul letto
anche lui e legando i loro sguardi.
Lei per tutta risposta sbuffò, si raccolse i
capelli – segno che si preparava ad un lungo discorso – e alla fine accettò.
“Tu ci vuoi andare. Si vede lontano un miglio. Non c’è molto da dire in
realtà.”
“Invece sì. Dovremmo organizzarci per un sacco di
cose e soprattutto discutere di numeri. Lo sai bene.”
“Lo so, ma non voglio che siano quelli a
condizionare il tuo futuro; lo stanno già facendo abbastanza.”
“Se è per quello lo hanno sempre fatto, non
cambierebbe molto. Valutiamo prima il resto e poi pensiamo al corso. Abbiamo
ancora due settimane per presentare la domanda d’iscrizione.” Si avvicinò a lei
e la strinse in un dolce abbraccio.
Passarono un
buon quarto d’ora in silenzio, abbracciati e ognuno assorto nei propri
pensieri. Violet si era concentrata sul battito del cuore del suo ragazzo per
placare la tormenta di pensieri che le attraversava la testa. Quel ritmo
tranquillo e regolare l’aiutava a dare un flusso pressoché sopportabile alle
sue idee. Nathan, dal canto suo, si immaginava in tenuta da cucina che
collaborava con altri giovani talenti dell’arte culinaria. Era il sogno che da
ragazzino aveva accantonato dopo aver realizzato che a New York non poteva
succedere niente del genere per lui. Gli unici momenti in cui si trovava a far
da mangiare era quando aiutava la sua vicina con la cena.
Però doveva tornare alla vita reale. Non poteva di
certo rispolverare così un sogno, senza andare ad intaccare il loro sistema di
organizzazione.
Violet poco dopo si addormentò; se ne accorse dal
suo respiro che era diventato più pesante. Decise così di alzarsi e di
adoperarsi per trovare una soluzione.
Rimboccò le coperte alla sorellina nell’altra
stanza e poi si mise al tavolo della cucina con il portatile, i fogli che gli
aveva portato Sarah, gli orari delle lezioni di Jackie e di Violet, e un blocco
dove poter segnare i suoi calcoli.
Quella notte, anche spremendo ben bene le meningi,
non riuscì a trovare una soluzione. Il problema era sempre uno: trovare un
lavoro per poter mettere da parte il necessario per il corso e le spese
riguardanti la sua famiglia. I soldi che aveva da parte potevano coprire un
semestre di corso e qualche mese di spese per la famiglia, contando che Violet
ne pagava una parte. Ma poi cosa avrebbe fatto senza un’entrata mensile? Non
poteva di certo vivere sulle spalle di Violet, anche se era certo che lei non
glielo avrebbe rinfacciato.
Scorreva gli annunci di lavoro, sia quelli sul giornale
che quelli delle agenzie su internet, persino quelli per lavori notturni.
Faceva telefonate su telefonate e le risposte erano sempre le stesse: “Ci spiace, quella posizione è stata appena
occupata.” “Purtroppo non siamo interessati ad un impiegato part-time.”
Insomma, non sapeva più da che parte
raccapezzarsi. Una, una cosa che fosse una; non chiedeva molto: voleva, per una
volta nella vita, non doversi accontentare, non dover sopravvivere. Possibile
che ai piani alti ce l’avessero così tanto con lui?
Che in una vita passata fosse stato così
tremendamente stronzo da non
meritarsi una possibilità di uscire vittorioso, almeno una volta?!
Iniziava a delirare, con gli occhi stanchi ed il
morale sotto ai piedi; era difficile adattarsi alla svolta positiva nella vita
della sua ragazza senza sentirsi come l’unico peso che la trascinava verso il
fondo. Ma quei pensieri non poteva condividerli con Violet, non adesso che i
corsi erano iniziati e che lei doveva impegnarsi al massimo per tenere ben
salda la borsa di studio che le permetteva di stare in quella prestigiosa
università. Avrebbe tenuto tutto dentro, si sarebbe arrangiato; proprio come
era abituato a fare.
Così, scoraggiato si concesse un paio d’ore di
sonno prima di doversi alzare per preparare la colazione.
“Buongiorno bell’addormentato.” Tanti piccoli baci
leggeri gli solleticavano la guancia.
“Mmmmm… che ore sono?”
mugugnò Nate stanco, sentendo la compagna alzarsi dal letto.
“Sono le sette e mezza.” Violet aveva un sorriso
che le andava da un orecchio all’altro e il vassoio della colazione tra le
mani.
“Oh merda! Non mi sono svegliato. Scusami.” Si
alzò a sedere di scatto, per poi sfregarsi il viso con le mani.
“Non ti preoccupare, orso delle caverne. Ho
provveduto io a saziare Jackie e Sarah. Quella ragazza ha uno stomaco che fa
invidia ad un leone.” Sorrise appoggiando la colazione tra loro due.
Nate notò il cambio di atteggiamento rispetto la
sera precedente e si informò: “A cosa devo tutto questo buon umore?” Si sporse
per baciarla.
“Ho parlato con Garth, stamattina.” Rispose tra un
bacio e l’altro.
“Ah sì?! E il buon vecchietto ti rende così
allegra? Devo iniziare a essere geloso?”
“No, dovresti ringraziarlo invece.” Sorrise.
Nate era piuttosto sorpreso. “Provvederò, ma per
cosa?” chiese sempre più curioso.
“Ti ha trovato un lavoro.”
Ci mise un po’ a metabolizzare la risposta della
sua compagna. “Un lavoro? E dove?” Allora forse non lassù non lo odiavano così
tanto.
“Qui a Berkeley. Stamattina, mentre prendevo il
giornale ho scambiato quattro chiacchiere con lui e, quando mi ha chiesto come
andava con la ricerca di un alloggio, gli ho detto che eravamo in alto mare
anche perché ora sarebbero subentrate anche le spese del tuo corso di cucina e
che tu non avevi ancora un lavoro. Così lui mi ha detto di dirti testuali
parole: ‘Dì al tuo ragazzo di alzare le
chiappe che lo aspetto al capanno degli attrezzi del condominio.’
Praticamente mi ha spiegato che stanno cercando un ‘tutto fare’ per il mantenimento dell’ateneo, degli alloggi e dei
giardini. Se vuoi il posto è tuo.”
Violet si stranì per l’evidente mancanza di una
reazione nel suo compagno, mentre l’osservava alzarsi, prendere il vassoio
della colazione e posarlo sul mobile sotto la finestra.
“Nate, ma hai capito che ho detto?”
“Certo che ho capito.” Le sorrise semplicemente,
come se lei gli avesse chiesto cosa voleva mangiare per cena. Invece no! Si
trattava di una questione importante, perché lui non reagiva? Perché se ne
stava fermo a fissare il bordo del letto da lontano?
“Allora? Come mai togli il vassoio dal letto e non
mi rispondi?”
“Perché altrimenti non avrei potuto fare..
questo!” prese la rincorsa, salì sul letto e prese a saltare come un bambino.
A quella vista, la ragazza scoppiò a ridere e poco
dopo si unì a lui.
***
“È ammirevole quanto Garth si sia preso a cuore la
tua situazione.” Asserì pimpante Sarah mentre preparava il caffè per studiare.
“Hai ragione. Ha detto che lo fa perché gli
ricordo quella testona di sua figlia.
Mi ha fatto vedere una foto e in effetti abbiamo qualche somiglianza.”
“Adesso lei dov’è?”
“Ha sposato un canadese e si è trasferita ad
Ottawa ed ora il buon vecchio si lamenta che non la vede spesso.”
“E così è andata a cercare qualche bel manzo
all’estero! C’ha visto lungo la ragazza! È quello che voglio fare anch’io:
voglio trasferirmi in Irlanda e trovare un brillante e bel ragazzo dai capelli
rosso fuoco.” Constatò Sarah con aria trasognata.
“Tu sei tutta matta. E anche un po’ troppo fissata
con gli irlandesi. Ma ne hai mai conosciuto almeno uno?”
“No.”
“E che ne sai che poi appena ti trovi là non vuoi
scappare e tornare dai nostri bei patriottici americani?”
“Nah. Credo che amerei stare a Dublino o in una
città del genere. Vorrei cambiare nazione, perché qui è tutto così in vasta scala…
anche il più piccolo paese qui è come le grandi città Europee. Specialmente se
pensi all’Irlanda. Un’isola così piccola e con una storia così particolare.”
“L’importante è che tu sia convinta.. e che mentre
sogni ad occhi aperti tu non faccia bruciare il caffè!” Rimarcò Violet, notando
che la moka gorgogliava da un po’ e che la bionda non se ne era nemmeno
accorta.
Sarah fece un salto sulla sedia e dopo un paio di
imprecazioni corse ai fornelli prima che fosse troppo tardi.
***
Violet era in ansia; chi
la conosceva bene, poteva leggerglielo in faccia e nel modo in cui scriveva gli
appunti: troppo accuratamente ordinati per essere rilassata e serena come di
solito si sentiva ad una lezione di giornalismo.
Quella mattina Garth
l'aveva fermata per dirle che dalla segreteria erano arrivate notizie del
famigerato Mr Les Jardins. Il giovane scansafatiche sarebbe arrivato quel
pomeriggio alle tre e lei doveva accoglierlo visto che Sarah aveva un compito a
quell'ora.
Nate aveva in programma
di accompagnare Jackie ad un incontro genitori e figli e lei si ritrovava da
sola a dover fare gli onori di casa ad un ospite alquanto indesiderato.
Come avrebbe fatto a
dirgli di Nathan e Jackie? Come avrebbe spiegato ad uno sconosciuto la sua
situazione?
Per indole non avrebbe
mai desiderato pregare quell'estraneo di lasciar passare quell'infrazione del
regolamento, ma se fosse stato necessario lo avrebbe fatto.
La lezione finì dopo
poco, così si diresse a casa ed iniziò a preparare il pranzo per tutti. Da
quando stava con Nate aveva scoperto che cucinare aveva un potere rilassante su
di lei; forse era perché riusciva a crearsi attorno un ambiente controllato,
nel quale era lei che decideva cosa doveva succedere.
Dopo pranzo prese il libro
di Storia Americana e si mise sul divano ad ingannare l'attesa.
Le tre erano passate da
un pezzo e del nuovo coinquilino nemmeno l'ombra.. Che iniziassero a prenderla
in giro?
Arrabbiata e frustrata
da quella scomoda situazione si alzò, lanciando il libro sulla poltrona e
dirigendosi alla porta con passo spedito.
La aprì di scatto e fece
per uscire ma, come nei migliori film americani, quel che si dice ‘un tempismo perfetto’ la fece scontrare
con un moro dagli occhi chiari che mostrava un avambraccio tatuato.
“Caspita che udito!
Dimmelo ti prego, erano le ruote della valigia o il mio passo a tradirmi?”
Violet era un po'
stupita, non si aspettava di certo un elemento del genere come coinquilino,
specialmente perché di francese non aveva niente, nemmeno
l'accento. “Veramente era il tuo ritardo che mi ha convinto ad uscire..
Sei Les Jardins, giusto?”
“Tutta questa
confidenza? Chiamami Jar, per favore. E tu saresti?”
Violet si rese conto che
essere scontrosa non l'avrebbe portata da nessuna parte, visti il personaggio e
l'entità del favore che doveva chiedergli.
Trattenne il respiro per
un momento, fissando il francesino negli occhi e poi
insieme all’aria, soffiò fuori anche il suo nome. “Violet.”
Con una calma alquanto
forzata si scostò dall’ingresso e lasciò entrare il ragazzo che, appena
appoggiata la valigia, esordì sfregandosi le mani: “Ma cosa abbiamo qui!” Si
guardava attorno come un tredicenne in una sala giochi. “Mi avevano detto che
l’appartamento era bello, ma non mi sarei aspettato una reggia.. e tanto meno
una modella a farmi da concierge!”
“Non sono una modella,
sono una delle tue coinquiline.”
“Beh meglio ancora,
questo vuol dire che ti avrò attorno per tutto l’anno allora!” sorrideva
sincero, convinto di conquistare Violet con quel suo essere così aperto e
sprezzante.
“Sei arrivato tardi
allora, sono già impegnata.”
“Così mi spezzi il
cuore, chérie.” Si vestì di un
sorriso elegante e poi riprese a guardarsi in giro. Fissava la cucina, i
vestiti di Sarah appoggiati alla sedia e i fogli di Nate sul tavolo. Sembrava
quasi che cercasse di capire che tipo di persone vivessero in quel
appartamento, chi erano i suoi coinquilini.
“Dove mi sistemo io, chérie?”
“Le due stanze oltre il
bagno sono libere; scegli tu.”
“La camera più vicina
alla tua?”
“Fuori dalla finestra.”
Rispose acidamente.
“La gattina ha gli
artigli!” Affermò visibilmente divertito.
Questa volta si
trattenne, non rispose alle provocazioni del ragazzo e cambiò argomento. “Dopo
aver scelto dove sistemarti, dovresti lasciare a disposizione il tuo orario
così possiamo organizzarci per le faccende di casa: pulire, fare la spesa,
insomma tutto il necessario, ok?”
“Agli ordini, capo.”
Sogghignò. “Ho come l’impressione che se non dovessi collaborare, avrò vita
difficile qua dentro.”
“Sei un ragazzo
perspicace.” Violet sorrise sorniona per poi dirigersi al divano, dove comoda
riprese in mano il libro di storia americana. Jar la osserva divertito, non si
aspetta di trovare una coinquilina del genere: facile da punzecchiare e da far
innervosire, si sarebbe divertito sicuramente.
Ma altre sorprese lo
aspettavano ignaro. Doveva ancora conoscere quell’uragano di Sarah e il resto
della famigliola felice.
***
“Fratellone, da dove
viene un francesino?”
chiese Jackie di punto in bianco, mentre camminavano mano nella mano verso il
parco. Era chiaro che stesse parlando del coinquilino in arrivo; lo avevano
apostrofato così parecchie volte in casa, magari anche quando lei disegnava al
tavolo e non sembrava ascoltare.
Sorrise comunque di quella
domanda. Era l’ennesima conferma che la sorellina era più sveglia di quel che
dava a vedere e sembrava avere un occhio piuttosto vigile ed attento a cogliere
ogni suo cambiamento di stato d’animo.
“Dalla Francia, uno
stato dell’Europa.”
“È lontano?”
“Sì, c’è tutto l’oceano
di mezzo.”
“L’oceano? E perché
vuole vivere così lontano da casa?”
“Per studiare. Come
abbiamo fatto noi: Violet va a scuola qui. È una delle migliori d’America.
Tutti vogliono andarci.”
“Ci posso andare anche
io?”
“Quando sarai più
grande.” Sorrise guardandola negli occhi.
Arrivati al parco,
Nathan lasciò la sorellina alle attenzioni della maestra; pronto, per così
dire, a presentarsi agli altri genitori della classe.
‘Un’occasione
perfetta per far conoscere meglio figli e genitori.’
Sull’invito era stata espressa chiaramente la volontà della maestra di creare
un gruppo uniforme anche al di fuori della classe. E questo era possibile
solamente se i genitori si fossero fidati a lasciare i propri figli a giocare da
altri. Con i tempi che correvano, quella era davvero una bella idea.
Prima che potesse
dirigersi verso il gruppo di mamme e di chiacchiere da adulti, venne fermato da
uno strattone ai suoi jeans.
“Fratellone, ma dopo la
festa possiamo tornare a casa?”
Si inginocchiò davanti a
lei, “Certo che possiamo. Ma che domande sono?” Era inutile cercare di sviare
il discorso; se la piccola si metteva in testa qualcosa, la soluzione migliore
era parlarne apertamente.
“Oggi arriva il francesino. Noi dobbiamo andare via.” Sussurrò preoccupata.
“No, monkey. Non ti preoccupare. Dopo
la festa possiamo tornare a casa.” Si sforzò di sorriderle, nonostante sentisse
il senso di colpa farsi spazio nello stomaco.
Aveva solo sei anni, per
l’amor del cielo, non doveva preoccuparsi di certe cose. Doveva solo pensare a
colorare e giocare con gli altri bambini.
“Non è vero. Lo ha detto
Vì. Ho sentito.”
Non aveva senso dirle
bugie. Tanto poi l’avrebbe capito. “Possiamo stare lì ancora per un po’, ma tra
qualche tempo dovremo cambiare casa.”
“Ma a me piace stare
lì.”
“Lo so, ma dobbiamo
rispettare le regole. Adesso non ci pensare. Vai a giocare con le tue
amichette. Ne parliamo quando torniamo a casa.”
“Promesso?” Gli allungò
il mignolo per farselo stringere.
“Te lo prometto.”
Rispose alla stretta, che la piccola sciolse poco dopo con un sorriso; corse
dagli altri bambini e lui si abbandonò pesante su una panchina lì vicino.
Tanti pensieri
annebbiavano la sua mente, tant’è che non si accorse di un giovane che prese
posto accanto a lui, finché che questo non iniziò a parlare. “Ragazzo padre
anche tu, eh?”
“Più o meno.” Sospirò
guardando in direzione della sorellina.
“Io sono Will, il papà
di Lucas.”
“Nate, fratello di
Jackie.” Strinse la mano che il giovane biondo gli porgeva.
“Non sei uno di molte
parole, eh?” Will non sembrava intenzionato ad andarsene da quella panchina.
Era chiaro che cercasse una via di fuga da quelle chiacchiere da genitori
vissuti che non facevano per lui.
“No, anzi! Di solito
sono un gran chiacchierone. Sono solo un po’.. pensieroso.” Non se la sentiva
di raccontare gli affari suoi ad uno sconosciuto, per quanto potesse avere la
faccia simpatica.
“Ne so qualcosa, amico.
Ma tu almeno poi limitarti al ruolo di fratello, tornare a casa ed avere la mammina
che vi prepara da mangiare. Io sto ancora imparando il libro delle ricette, per
riuscire a far da mangiare qualcosa di buono a quel teppista di mio figlio.
Ringrazio i nonni che si occupano di lui quando sono via per lavoro.”
Nathan sorrise, quasi
rincuorato di sapere che non era l’unico al mondo ad avere problemi.
“Non è proprio così:
siamo solo io e lei. E la mia ragazza.”
“Che testa di cazzo.
Scusami. Avrei dovuto capire che il muso lungo non era solo per essere stato
strappato alla playstation. Perdonami.”
“Non ti preoccupare. Ad
ognuno il suo, giusto? Almeno io con i fornelli me la cavo.” La battuta gli
uscì naturale, solo dopo si rese conto che magari Will potesse prendersela. Di
tutta risposta, invece, il ragazzo rise, e tra un “Puoi dirlo forte!” e un
“Parole sante!” si ritrovarono a raccontarsi a grandi linee la propria vita.
Will aveva ventisette
anni, nato e cresciuto a Berkeley, dove aveva poi studiato ingegneria edile. Si
era fidanzato a diciotto anni con Mary, madre di suo figlio, che purtroppo a
causa della depressione post-partum era ‘uscita
di testa’ come aveva detto lui. Fortunatamente poteva lavorare a casa
spesso, potendo badare così al figlio e, nei giorni in cui era impossibilitato,
aveva i nonni di Lucas su cui contare.
“Fratellone! Posso
mangiare una pizza a casa di Lucas?” Jackie arrivò di corsa e con un po’ di
fiatone, con alle spalle un bambino dai capelli biondi e un cappellino da
baseball.
“Sì, papà. Jackie può
venire da noi?”
“Quante volte devo dirtelo di chiedermi il permesso
prima di invitare gente a casa? Comunque, certo. Non c’è nessun problema.”
Terminò la frase rivolgendosi direttamente a Nate. “Se per te va bene.”
Ci pensò un attimo e poi
decise che era giusto lasciarla divertire in quel periodo di pressione che
rendeva nervosi tutti. “Se la signorina qui presente promette di non bere
troppa Coca-Cola e di fare la brava, allora va bene.” Sorrise guardando la
sorellina negli occhi, che elettrizzata iniziò a saltellare sul posto,
promettendo di comportarsi bene.
“Alle nove e mezza però
si torna a casa. Capito?”
“Sì.” Annuì con la
testa.
Nathan non era molto
felice di lasciarla da sola, però la piccola aveva bisogno di distrazioni e non
poteva negarle la possibilità di fare nuove amicizie, dopo averla portata via
da West Newbury. Will gli sembrava un bravo ragazzo e aveva deciso di fidarsi.
Si fece lasciare tutti i contatti necessari e poi osservò la bambina, che già
si stava lasciando convincere a giocare ancora a nascondino prima di tornare a
casa.
“Son felice che ti stia
fidando.” Esordì Will guardando i due bambini giocare.
“E tu non farmene
pentire.” Gli rispose sogghignando, e poi aggiunse: “È quanto di più caro ho al
mondo, stai attento.”
Poco dopo i due bambini
esausti chiesero di far merenda; Nate insistette per offrire loro un gelato e
poi li salutò, pronto a rientrare a casa. Pronto – più o meno – a conoscere Mr.
Les Jardins.
_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ .
_ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ . _ .
Buona sera avventurose! Eh sì,
perché se siete arrivate fin qui lo siete davvero!! Il capitolo era bello
lungo!
Mi scuso per la lunghissima assenza
e l’imbarazzante ritardo nel rispondere alle vostre recensioni e messaggi,
purtroppo la vita universitaria è parecchio ingombrante, se poi ci aggiungo gli
altri impegni, addio tempo libero!!! T.T
Se avete qualche opinione sul
capitolo e la vorrete condividere con me, sarò ben felice di leggerla e di
rispondervi J in tempo breve questa volta! :D
Un bacione a tutte e tanti auguri di
Buon Anno, che vi porti gioia e tanta ispirazione!
Giuliet.