Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: Dottie93    10/01/2014    8 recensioni
La ciurma è appena risalita sull'Arcadia, dopo la movimentatissima serata che hanno avuto. Ma come può una ragazza come Yuki Kei, infatuata da sempre del suo adorato Capitano, sopportare di non essere nemmeno un po' presa in considerazione da lui?
«Perché non avete detto niente?»
«Ritengo che fosse...» esitò un momento, forse per trovare la parola adatta. «superfluo.»
[...]
«Sei certa di non volerne parlare?» ecco, appunto. Come non detto.
Si limitò a scuotere la testa.
[...]
«L'ho sempre detto.» disse qualcuno tra quelli della fila, che si guardava indietro, quasi timoroso. «Fai salire una donna su una nave e sarà impossibile annoiarsi.»
«O stare tranquilli.» aggiunse qualcun altro.
«Le femmine sono strane...» fu il commento di Daiba, lasciato come uno stupido con il suo straccio in mano.
Nessuno ebbe il coraggio di dissentire.
[...]
«È una bestia ingorda e stupida.»
«Mi dispiace.»

Yuki/Harlooooock
Ambientata in Endless Odyssey
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Miime, Yattaran, Yuki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Eh... niente. Volevo solo dire che ho immaginato questa one-shot tra l'episodio 5 e 6 di Endless Odyssey (premetto che il 6 non l'ho ancora visto e che non ho ancora ben chiare le caratteristiche psicologiche dei personaggi) e che probabilmente i caratteri dei personaggi saranno un po' strani e stravolti, specialmente per chi non ha guardato la serie (ma non assicuro che non possa accadere anche per chi l'ha fatto... comunque, questa è un'altra storia...), specialmente Meeme (la a-m-o).
Ho scelto la canzone di Ariana Grande perché è l'ultima canzone d'amore che ho sentito (agli AMA del 2013, per essere precisi) e perché è una dichiarazione che... ci stava. E se non ci stava, perdono, amo scrivere questo genere di cose.
Vi prego di avere pietà di me, è un secolo che volevo scrivere qualcosa su Capitan Harlock ma non mi veniva mai niente di buono – ho colto l'occasione dopo aver visto il film –, perciò anche se fa un po' pena, pensatemi! Mi è venuta in mente nel dormiveglia.
*Yuki/Harlock fangirling moment*

TATTOOED HEART



You don't need a lot of money
Honey you don't have to play no games
All I need is all your loving
To get the blood rushing through my veins


Kei Yuki non ricordava se fosse mai stata una persona paziente, però una cosa la sapeva, e la sapeva anche bene: se mai avesse avuto qualcosa di simile alla pazienza, era sfumata in quegli interminabili mesi di prigionia, in quella dannata cella tredici, un numero che difficilmente avrebbe potuto dimenticare.
Se non era impazzita era stato grazie ad un'unica, sola convinzione: il suo Capitano sarebbe andato a prenderla, a prendere tutti loro, senza lasciarli in preda a dei pazzi che erano convinti di fare il bene dell'umanità, quasi tutti senza cervello, che all'ultimo momento avevano seriamente rischiato di ucciderli tutti.
La cosa sorprendente – e soprendente era dire poco – era che invece di andarsene in cabina a riposare, a ringraziare un qualunque Dio di essere viva, dopo essere stata salvata si era precipitata sul ponte per andare da lui, e gli aveva detto “sono a casa”, o qualcosa del genere, sul momento proprio non ricordava, e cos'aveva fatto l'uomo che aveva atteso e cercato per cinque anni? Le aveva rivolto un cenno della mano, tutto qui. Tuttavia, se solo fosse stata più lucida, probabilmente si sarebbe ricordata che, tra loro, non c'era mai stato molto più di quello, ma aveva avuto una serata davvero pesante: prima la sentenza di morte, comunicata come le avrebbero comunicato il menù del pranzo, solo con una certa soddisfazione in più, e poi anche andare in mondovisione con dei fucili puntati addosso non era stato esattamente riposante.
Aveva i nervi a pezzi, e perfino adesso che si trovavano tutti nella cabina del Capitano per raccontare cosa diamine fosse successo in tutto quel tempo che erano stati separati, se qualcuno avesse fatto qualche battuta a riguardo, probabilmente gli avrebbe staccato la testa.
A mani nude.
Si sppoggiò allo schienale della poltrona, con la giacca ancora sulle spalle, e si massaggiò una tempia, per calmarsi un po', mentre Yattaran stava dettagliatamente raccontando ciò che avevano passato. Non era stato facile, no, per niente! In tutta sincerità, un po' ce l'aveva avuta con Harlock per quello che aveva fatto loro: un bel giorno aveva deciso che era troppo pericolosa quella vita, per loro, e aveva comunicato che li avrebbe fatti scendere dall'Arcadia, così, senza neanche chiedere che ne pensassero. Che importava, in fondo, che nessuno di loro avesse un posto dove andare oltre a quella nave? Che importava se lei aveva passato cinque anni a cercarlo, nella speranza disperata che non fosse morto, come tutti dicevano? Non aveva neanche perso tempo a pregarlo di ripensarci, quel giorno, perché di solito quando dava ordini non c'erano particolari emozioni che gli turbavano lo sguardo, ma quella volta nessuno di loro, nemmeno lei, aveva avuto il coraggio di dire una parola. La decisione era già stata presa, non avrebbero potuto nemmeno sperare di poterlo convincere a cambiare idea, e così nessuno aveva pensato di provarci.
Il suo risentimento era stato molto mitigato, anzi, era quasi praticamente sparito quando l'Arcadia era sbucata dalla parete e li aveva caricati a bordo. Lei c'era solo rimasta male perché non aveva ricevuto nemmeno una parola di bentornato, dopo quanto le era mancato! E l'unica rabbia che provava era quella per se stessa, che non riusciva a provare rabbia nei suoi confronti, perché non era in grado di concepire che quello in difetto fosse lui.
Così, quando finirono di raccontare la propria versione dei fatti, furono tutti d'accordo per mettersi a letto, anche perché tanti di loro non riuscivano a tenere gli occhi aperti, nemmeno per il bicchierino che Meeme insisteva tanto per bere, ma questa era la prassi, in fondo lo sapevano tutti che aveva una specie di problema con l'alcool, infatti era sempre stato un rischio lasciare incustodita una bottiglia di saké.
L'unica a non avere fretta era proprio Yuki, ma gli altri interpretarono la cosa come eccessiva stanchezza e non se ne curarono, troppo impegnati a raggiungere i loro morbidi letti e il loro meritato riposo. Lei, tuttavia, proprio non riusciva a pensare a un posto migliore per passare il tempo, a guardare il Capitano, mentre compiva anche il più piccolo e insignificante dei gesti: avrebbe potuto incantare chiunque, anche solo mentre guardava lo spazio, con le mani appoggiate sul timone. Ma era proprio ora di andare, non esisteva una giustificazione valida per rimanere lì un secondo di più, anche se avrebbe voluto recuperare il tempo perso in qualunque modo.
«Capitano?» si girò di nuovo verso di lui, dopo che aveva trovato la forza di volontà per andare verso la porta. Ormai erano rimasti soli – perfino Meeme sembrava sparita nel nulla – e lei non aveva potuto trattenersi e seppe che aveva avuto la sua attenzione ancora prima di notare che il suo occhio era fisso su di lei. «Perché non avete detto niente?»
Yuki non sapeva se lui avesse capito a cosa si riferiva, ma probabilmente sì, dato che ne sapeva sempre più degli altri. Quando però notò l'unico sopracciglio visibile corrugato, si domandò se non fosse stata troppo criptica perfino per lui. «Che avrei dovuto dire?» la sua sembrava sincera curiosità, e la cosa non la stupì affatto.
Uomini. Perfino quelli che sembravano i più svegli, alla resa dei conti, riuscivano ad essere incredibilmente ottusi. «Che avete sentito la nostra mancanza, magari.» offrì, con un sospiro. «O che siete felice che siamo qui, sani e salvi, o... non lo so.» stette a fissarlo con un misto di preghiera e rassegnazione. «Immagino che qualunque cosa sarebbe andata bene.»
Non le passò nemmeno per il cervello – forse colpa della stanchezza o del fatto che la tensione che aveva trattenuto per tutto il tempo, in quella dannatissima sala, rischiando la vita, era finalmente evaporata e le aveva lasciato quel nervosismo inspiegabile – che un uomo di poche parole, come lo era lui, non avrebbe mai potuto dire cose simili.
«Ritengo che fosse...» esitò un momento, forse per trovare la parola adatta. «superfluo.»
E lui non diceva mai niente che fosse superfluo. C'era una minima probabilità che, per davvero, lui non avesse idea di ciò che le passasse per la testa, eppure Yuki pensava che fosse così maledettamente semplice, da essere disarmante. Le bastava solo che le rivolgesse la sua attenzione, non aveva certo la presunzione di voler essere ricambiata in quel sentimento assurdo che provava per lui! Voleva solo che dimostrasse che gli interessava che fosse proprio lei, e non qualcuno che avrebbe potuto ricoprire la sua mansione forse anche meglio, le serviva solo quello, soltanto quello per fare in modo che il sangue le scorresse ancora nelle vene. Un motivo che non fosse solo mera sopravvivenza.
«A volte le persone hanno bisogno di sentirsi dire il superfluo.» abbassò lo sguardo, perché non poteva più sostenere quello di lui, oppure perché le avrebbe letto ciò che pensava in faccia. Era così bravo a capire quello che la gente voleva nascondergli. «Anzi, a volte è proprio quello di cui c'è bisogno.»
Lui non disse nulla.
«Capitano, io e gli altri abbiamo passato cinque anni in giro per lo spazio, chi in prigione, chi su altre navi, chi semplicemente disperso, dopo che ci siamo separati.» ma questo lui lo sapeva, e nemmeno lei sapeva perché lo stava dicendo.
Lui posò il suo bicchiere, con la calma che lo contraddistingueva. «Non si tratta degli altri, giusto?»
«No.» confermò la ragazza, con un sorriso stanco. «Avete ragione. Io ho passato i mesi di prigionia a desiderare che veniste a salvarci, a salvarci tutti. Penso che anche per gli altri fosse l'unico motivo che ci impediva di arrenderci, il pensiero che nonostante tutto, eravamo ancora una famiglia. La speranza che voi foste vivo, ci teneva uniti.» fece una pausa, ma ciò che ebbe in risposta fu solo altro silenzio. Così, con del coraggio preso chissà dove, tornò verso di lui, aggirò la scrivania e gli si mise di fronte, senza più paura di guardarlo dritto in quell'occhio che la scrutava con un'indecifrabile emozione. «Ho pensato davvero, a un certo punto, che sarebbe stato meglio morire che marcire lì dentro, perché da quando mi avete salvata, molto tempo fa, ho vissuto come mi avete insegnato: per la libertà.» perché cavolo continuava a non dire niente? «Quando ho creduto di desiderare di morire, ironia della sorte, è arrivata la guardia con la mia sentenza di morte. E c'è stata una cosa che ho capito, allora.»
Yuki poté notare che lui mostrava interesse, di nuovo, per ciò che stava dicendo. Ma era quello che faceva o che avrebbe fatto per chiunque gli stesse rivolgendo qualunque cosa lei stesse tentando di dirgli. E non sapeva se ciò le faceva più rabbia o spingeva l'esasperazione a livelli ancora più alti.
«Ho capito che volevo vivere.» concluse, allora. «E che avevo bisogno di rivedervi ancora.»
Naturalmente, Harlock aveva sempre saputo che genere di sentimento accendeva gli occhi e il sorriso di Yuki, le volte che lo guardava, ma aveva sempre sperato che sarebbe andata avanti, prima o poi. «Sai che non posso darti ciò che vuoi da me, Yuki.»
Lei annuì, e ne era davvero consapevole. «Temi ciò che potrei prenderti, se lo facessi?» domandò, abbandonando ogni tipo di formalità. «O forse ciò che potrei darti in cambio?» o entrambe le cose?
Harlock non prese davvero in considerazione quella domanda, solo perché Yuki non sapeva davvero quello che gli stava chiedendo, lei non poteva saperlo: non è che ci fosse poi molto che poteva pensare di darle, ciò che lo muoveva contro i soprusi era il desiderio di libertà ma anche la vendetta, per tutte quelle vite che venivano distrutte ingiustamente. Ma cos'avrebbe avuto in cambio, sì, lo preoccupava, perché lei aveva solo amore da dargli, e niente da poter avere indietro. Non poteva restituirle amore perché non credeva di possederne ancora. «Sei ancora giovane.» fu ciò che le disse. «Con il tempo, lo capirai da sola.»
«Sembrerà strano...» disse lei, un po' mogia. «Ma credo di aver già capito.» aveva capito che stava usando il fatto che era giovane come scusa per non darle una risposta. Se c'era un'altra cosa, tra le tante, che sapeva fare bene quell'uomo, era evadere una domanda a cui non aveva intenzione di rispondere.

I wanna say we're going steady
Like it's nineteen-fifty-five,
No, it doesn't have to be forever
Just as long as I'm the name on your tattooed heart
Tattooed heart


Aveva dormito poco, naturalmente, ma che ci si poteva aspettare dopo una brutta figura come quella che aveva pensato bene di fare la prima sera che era tornata su quella che considerava come la sua casa, da quando Capitan Harlock l'aveva accolta nella sua ciurma? Santo cielo, doveva essere stata prioprio sull'orlo di una crisi di nervi per dire quelle cose stupide!
Certo, le pensava eccome, ma lui non aveva mai dato motivo di farle sperare in uno spiraglio di possibilità di realizzare il suo desiderio più grande. Le sarebbe piaciuto che potessero avere un rapporto stabile, ma chi voleva prendere in giro? Nessuno in tutto l'Universo sarebbe stato in grado di sopportarla di quel passo, sperò solo che il Capitano potesse giustificare quell'imbarazzante comportamento con il fatto che fosse fuori di sé.
E lo era per davvero, anche se forse il Capitano non se ne sarebbe fatto né in qua né in là perché secondo lui la faccenda si era chiusa la sera prima, e probabilmente conveniva anche a lei fare finta che niente fosse successo, avrebbe di sicuro evitato un grande imbarazzo per tutti.
Entrò in cucina, era prima del solito, ma non avrebbe saputo dire di preciso se la ciurma era già passata a razziare la dispensa o se aveva fatto prima di loro, dato lo stato della stanza. La responsabile fu facilmente individuabile, perché stava seduta placidamente su uno dei due tavoli, mentre tracannava una bottiglia di vino, almeno a quel che sembrava dalla porta.
Sorrise senza volerlo. «Buongiorno, Meeme.» la salutò, sollevando una mano, per farsi notare. Non credeva che una donna, per quanto strana – o aliena – come lei, avrebbe avuto piacere a farsi beccare in una situazione del genere. Infatti, quella si ricompose un po', sedendosi su uno dei tanti sgabelli, quasi che fosse stata beccata a fare una marachella dalla mamma.
«Oh, buongiorno Yuki.» a lei sembrò quasi che la voce di quell'essere senza bocca le rimbombasse nella testa, e avrebbe potuto giurare che, se fosse stata una persona normale, avrebbe sorriso anche lei. «Dormito bene?»
La ragazza scosse la testa, scoraggiata. Aveva di sicuro dormito meglio che in prigione, ma aveva passato notti migliori. «Gli altri?» pensò che cambiare argomento fosse una buona idea, invece che farla indagare sui motivi per i quali non aveva chiuso occhio. Che, poi, anche lei sembrava essere in grado di leggere nel pensiero tanto quanto Harlock, quindi era opinabile quanto fosse utile nasconderglielo.
«Temo che abbiano trovato i loro letti più confortevoli di quanto non abbia fatto tu.» osservò lei, noncurante. «Tranne Daiba, lui è quello nuovo. È giusto che pulisca il ponte prima che il Capitano ci rimetta piede.» si volse a guardarla con quegli occhi gialli, privi di pupille, e per un momento Yuki si sentì sondata fino alle ossa. «Non trovi?» non sembrava davvero che le interessasse cosa stesse facendo il povero Daiba, in quel momento.
Non importava poi molto nemmeno a lei, dopotutto. «Può darsi.» non ricordava se le era toccato pulire la nave tutta da sola, però le beccate del pennuto del Capitano se le ricordava anche troppo bene, quando tentava di dargli da mangiare.
«Sei certa di non volerne parlare?» ecco, appunto. Come non detto.
Si limitò a scuotere la testa, prima di aggiungere: «Non credo di essere abbastanza ubriaca per farlo.» era inutile fare finta di non aver capito a che si stesse riferendo.
«Allora accomodati.» le indicò la dispensa devastata e Yuki si stupì di quanto semplice per lei fossero le cose: le aveva detto che non ne avrebbe parlato se non da ubriaca e lei le offriva di ubriacarsi. Che strana creatura. «Ho solo dovuto scavare un po' per trovare quello che stavo cercando. Credo che agli altri dispiaccia che io beva degli alcolici.»
«Agli altri dispiace che tu li finisca, Meeme.» si azzardò ad avventurarsi in quel locale, cercando di non calpestare niente che avrebbe potuto finire nel suo piatto e agguantò una bottiglietta di birra. Dopotutto, non era una gran brutta idea, berci su. «Salute.» sollevò la bottiglia nella sua direzione e Meeme ricambiò col suo bottiglione di vino, che stava tenendo per il collo sottile.
Dopo il primo sorso, Meeme le si rivolse con il miglior sorriso rilassato che possedesse. «Sei sufficientemente ubriaca, ora?» parlava sempre in quel modo serafico, e a volte Yuki aveva la sensazione che lo usasse per prenderli in giro, ma lei era solo fatta così.
«No.» sospirò, posando la sua bevanda sul tavolo proprio vicino alla sua compagna di bevute. «Ma visto che sei così curiosa, te lo dirò lo stesso.» o forse aveva davvero bisogno di raccontarlo a qualcuno e di farsi dire come evitare di sprofondare nel legno del ponte una volta che avesse di nuovo incrociato lo sguardo di Harlock.
Era certa che lui sapesse che era innamorata di lui, ma da qui a sentirglielo praticamente dire, e poi da dove le era uscita quella frase imbarazzante? Temi ciò che potrei prenderti o forse ciò che potrei darti in cambio? Si coprì il volto con le mani. Come aveva potuto?
«Di solito so tutto quello che succede su questa nave.» osservò Meeme, accavallando le gambe, sotto il suo vestito blu. «Ma di quello che è successo ieri mentre sei rimasta dal Capitano non so niente. Ma se ti disturba la mia curiosità lo chiederò a lui.»
Sincerità: che bella cosa! «No, non ce n'è nessun bisogno!» preferiva non sapere mai cos'aveva pensato di lei, nemmeno che lo sapesse la sua interlocutrice. Anzi, voleva solo seppellirlo nella memoria, ne avrebbe parlato con lei e poi avrebbe fatto di tutto per dimenticarsene. «Abbiamo solo chiacchierato un po'.»
«Questo non spiega perché te ne vergogni così tanto.» bevve ancora del vino, con aria distratta, come se quel commento avesse dovuto non farlo. «E dubito che il Capitano abbia chiacchierato
Yuki fece una smorfia e si nascose dietro la sua birra. «Non posso darti torto.»
Così, visto che la sua fonte di notizie era così restia a dargliene, Meeme inclinò la testa da un lato e si avvicinò a Yuki, la quale avrebbe potuto giurare che sorridesse di nuovo. Ma come cavolo sorridono gli alieni senza bocca? «Quindi, che cosa gli hai detto?»
Per prendere tempo, lei bevve un altro sorso di quella disgustosa birra. «Vuoi la storia lunga o la storia breve?»
L'altra scosse le spalle. «Quella che vuoi raccontarmi.» e si portò di nuovo alle labbra il vino. Si era già fatta fuori più di mezza bottiglia, e a giudicare dallo stato in cui aveva trovato la cucina, si era bevuta molto altro, e quella bottiglia l'aveva appena cominciata.
«Per farla breve,» disse lei, posando la testa su una mano. «gli ho detto che lo amo e che l'ho sempre fatto.» romantico, sì, decisamente romantico e... disastroso. «Che idiota, eh?»
Meeme ignorò il commento. «E per farla lunga?»
Quella creatura era proprio incorreggibile. «Per farla lunga gli ho detto che se avessi avuto un desiderio prima di morire sarebbe stato quello di rivederlo e che temeva soltanto che potessi amarlo di più di quanto lui ama la sua missione. Sarebbe stato come avere “amore” tatuato sul cuore.» ci mancava solo un cavallo bianco, una spada che però non sparava, il bacio del vero amore, e poi lo scenario da favola era completo. Si sentiva ridicola solo a pensarle certe cose, figurarsi a dirle a lei, la confidente dell'uomo che voleva disperatamente che quelle cose non le sapesse.
«Sul suo cuore c'è tatuata una sola parola, ed è libertà, mia cara.» Yuki pensò che era indelicato da parte sua risportarla così bruscamente alla realtà, ma forse era ciò che le serviva davvero: qualcuno che le dicesse le cose come stavano senza girarci intorno e fare tanto il misterioso.
«Già...» era un'amara constatazione da fare, specialmente perché avrebbe voluto ben altro. «Ma mi piacerebbe che ci fosse il mio nome, sul suo cuore.» ma quella era una sciocca fantasia da ragazzina, se ne rendeva conto benissimo da sola.
Meeme era confusa, al riguardo, forse perché proprio non riusciva a capire perché qualcuno dovesse provare dei sentimenti romantici per Harlock. «Se anche ti amasse, quanto pensi che potrebbe durare?»
«Non lo so.» confessò Yuki, quello che sapeva era che voleva che, almeno, qualcosa cominciasse. «Non mi importa. Mi basterebbe che durasse finché il tatuaggio non svanisce.»
«Ma un tatuaggio non è per sempre?» chiese, corrugando, per quanto possibile, la fronte. «E poi, lui è immortale.»
Yuki sollevò di nuovo la bottiglia e bevve alla sua salute. «Vedo che hai centrato il punto.»
Meeme parve sorridere di nuovo, ma non disse nulla, si limitò a prendere l'ennesimo sorso, con cui svuotò direttamente la sua bottiglia.

You don't need to worry about making me crazy
'Cause I'm way past that
And so just call me, if you want me
'Cause you got me, and I'll show you how much I wanna be on your tattooed heart
Tattooed heart
Just as long as I'm the name on your tattooed heart


Alla fine, parlare con Meeme non aveva risolto granché, ma nemmeno si era aspettata troppo da quella conversazione. Una cosa però era certa: si sentiva un po' meno stupida di quando si era svegliata, non era certa del perché, ma era una buona sensazione, perciò meglio così.
Arrivata al ponte, non c'era ancora nessuno, tranne quello che lei assunse dovesse essere Daiba. Era girato di spalle e stava pulendo con una spugna proprio sotto al timone. «Tu devi essere il ragazzo nuovo.» suonava più come un “buongiorno”, ma era un ottimo spunto per sapere qualcosa su di lui e sul perché Harlock avesse ritenuto opportuno farlo salire sull'Arcadia. Non che avesse la speranza o la possibilità di capire cosa gli passasse per la testa, ma al momento non aveva altro da fare.
Solo allora lui si voltò, e Yuki rimase un po' sorpresa di trovarlo somigliante all'uomo che aveva tormentato la precedente nottata e chissà quante altre in tutta la sua vita. «Già...» rispose, con un sorriso di circostanza. «Mi chiamo Daiba Tadashi. Piacere di conoscerti.»
«Kei Yuki.» rispose semplicemente lei, aggirando la pozza d'acqua che aveva fatto con la spugna per non passare sul pavimento pulito. «Vuoi una mano?»
Lui parve confuso. «Non credevo che un ufficiale dovesse pulire la nave.»
«In effetti hai ragione.» concordò, con un'alzata di spalle. «Ma se preferisci fare da solo, mi tiro indietro.»
«Non si rifiuta mai un aiuto in questo posto immenso.» le indicò con un gesto del braccio lo straccio e lei lo immerse nel secchio d'acqua pulita per poi passarlo con il palo per lavare. «Grazie.»
«Figurati.» replicò, sorridendogli: le faceva tenerezza pensare di essere stata come lui, un tempo. «Non che abbia molto da fare, in questo momento.» si mise a passare lo straccio, distrattamente. «Come mai hai deciso di salire sull'Arcadia?»
«Mio padre è stato ucciso.» spiegò, in tono lapidario, tanto che lei si pentì subito di averlo chiesto: dopotutto non poteva essere molto diverso, visto che praticamente tutti loro erano saliti su quella nave per vendetta e perché avevano perso qualcuno e non avevano più una casa.
«Mi dispiace, non lo sapevo.» si affrettò a dire, sperando di non aver ferito i suoi sentimenti.
«Harlock mi ha salvato la vita. Sarei stato ucciso come mio padre se non si fosse messo di mezzo.» raccontò, senza alcuna enfasi: non aveva voglia di essere compatito. «E mi ha detto...»
Questa battuta poteva prevederla, almeno quella. «Se vuoi diventare un vero uomo, sali sulla mia nave.» Daiba non parve stupito. «Vero?»
«A quanto pare l'ha detto anche a te.» e si riferiva al fatto che anche il Dottore gli avesse potuto dire le parole di Harlock prima che ci pensasse da solo.
«La mia versione è un po' diversa.» a lei non l'aveva nemmeno detto, l'aveva accolta sulla nave e basta, senza tanti giri di parole, forse anche perché si sarebbe sentita presa in giro dopo aver perso la sua casa e la sua famiglia con le storie sui veri uomini. In un certo senso, l'aveva apprezzato di più.
Lui inarcò entrambe le sopracciglia, come se ci fosse qualche sottinteso da cogliere. «Sì, be'... ho notato.»
«Cosa?» lei non aveva colto granché.
«Che non sei un membro convenzionale dell'equipaggio.» spiegò lui, come se lei sapesse già di che stava parlando, solo che lei nemmeno immaginava.
Aspettò un momento, prima di parlare, forse quel tipo somigliava ad Harlock ben più che nell'aspetto e c'era qualche frase criptica che lui aveva detto che lei avrebbe dovuto interpretare in altro modo. «Non credo di capire.» poi si arrese.
«Il Capitano ha rischiato la vita per salvarti.» era irritante, estremamente irritante il modo in cui sembrava volerle dare indizi per farla arrivare dove lui credeva che stesse il punto. Solo che sembrava una strada molto contorta, e lei non riusciva a seguirla.
«Non c'ero solo io in quella sala. C'eravamo tutti.» gli ricordò, e dubitava seriamente che avesse manifestato un aperto interesse per lei, prima che salissero sulla nave. Nemmeno ci pensava a illudersi di una cosa del genere. «E comunque ha rischiato anche per te. Lo farebbe per chiunque di noi.» o di chiunque ne avesse avuto bisogno.
«Scusa, credevo che...» si interruppe, incerto. «non sapevo che nessuno dovesse saperlo.»
«Sapere cosa?» adesso ne aveva abbastanza di quelle frasi a metà.
Lui sembrava stufo quanto lei di girarci intorno. «Che sei la sua donna.»
«Cos-?» ma cosa diavolo andava a pensare? Si sentì arrossire ancora prima di aver sentito la parola “donna”, per imbarazzo e per rabbia, perché tutto sembrava andare contro di lei, quella mattina. Più cercava di non pensare a ciò che aveva combinato, e più ogni persona che incontrava rigirava il coltello nella piaga. Avrebbe dovuto darsi malata, altro che aiutarlo a pulire! «Cosa diamine te lo fa pensare?»
«Sono andato a letto ieri sera, non mi sono messo a origliare, lo giuro.» preferì mettere in chiaro il ragazzo. «Ma ho sentito i commenti degli altri... hanno notato tutti che non sei uscita insieme a noi. Mi dispiace, io...»
«Io non posso crederci...» lo interruppe, prima che potesse dire anche di più di quanto non avesse già detto e dato ad intendere. «Voi maschi avete il tatto di-» non aveva un'idea precisa di cosa, in tutto l'Universo, avesse il tatto più basso di quello di un uomo. «Lasciamo perdere. Mi è passata la voglia di pulire.» lasciò andare il palo che cadde a terra con un tonfo sordo, seguito da alcuni più lievi. Senza degnarlo di uno sguardo, e con una furia stampata in faccia che non lasciava speranza di potergliela far passare, Daiba si spostò dalla traiettoria perché aveva paura che lei l'avrebbe incenerito con una sola occhiata. Poi la porta si aprì, ma prima che lei fosse troppo vicina perché il sensore se ne accorgesse.
Ed eccola lì, il resto della ciurma, e dato che la giornata era iniziata male, e proseguita peggio, Yuki non si preoccupò di guardarli male come se le avessero fatto qualcosa personalmente, perché se quella mattina cercavano di farla impazzire tutti, non c'era alcun bisogno. Era già andata ben oltre, ed era stato tutto a causa di Harlock. Il primo della fila, proprio Yattaran, si fermò e fece un passo indietro, pestando il piede al collega dietro di lui. Quando anche quello notò lo sguardo di fuoco di Yuki, stette in silenzio e alzò le mani, in segno di resa.
«B-buongiorno.» decise di salutarla, con la speranza di metterla di buonumore.
«Buongiorno!» grugnì, quasi lei, a denti stretti. Li sorpassò senza nemmeno guardarli, e soprattutto senza nemmeno guardare l'ultimo che incontrò per il corridoio, a una decina di passi dagli altri, Harlock, che non si era perso la scena.
«L'ho sempre detto.» disse qualcuno tra quelli della fila, che si guardava indietro, quasi timoroso. «Fai salire una donna su una nave e sarà impossibile annoiarsi.»
«O stare tranquilli.» aggiunse qualcun altro.
Yattaran si rivoltò verso Daiba, che era il più traumatizzato tra tutti, se possibile. Dapprima, lo squadrò dalla testa ai piedi, giusto per assicurarsi che andasse tutto bene, e dalla sua espressione capire chi aveva fatto qualcosa a chi, ma se Daiba fosse il colpevole, la sua espressione vacua e confusa, non lo dava a vedere.
«Che le hai fatto?» decide di chiedergli, quindi, anche perché non era da lei essere arrabbiata di prima mattina, almeno non quando avevano appena rimesso piede sull'Arcadia e lei aveva passato – presumibilmente – la notte nella cabina del Capitano.
No, non c'era davvero nessun motivo per cui avrebbe dovuto essere di cattivo umore.
«Io?» chiese l'interpellato, confuso. Non ci capiva davvero più niente. «Nulla.»
«E allora che diavolo è successo?» chiese quello che si stava massaggiando il piede, cosa che non aveva avuto il coraggio di fare prima che Yuki sparisse dalla loro vista.
«Daiba? Davvero non hai niente da dire?» vollero sapere altri.
«Le femmine sono strane...» fu il commento di Daiba, lasciato come uno stupido con il suo straccio in mano.
Nessuno ebbe il coraggio di dissentire.
«Ehm... Capitano, io...» tentò il ragazzo, pensando che Harlock gli avrebbe detto qualcosa. Il Capitano si limitò a mettergli una mano sulla spalla e ad indicargli il posto dove avrebbe dovuto sedersi, così Daiba capì che non c'era altro da aggiungere e si tranquillizzò un po'.

Quando Tadashi Daiba si era azzardato a chiedere informazioni in più su Kei Yuki, facendo attenzione che il Capitano non sentisse – ancora non aveva ben capito se lei era coinvolta con lui o meno –, gli altri non sembravano molto ben disposti a fare dichiarazioni di alcun tipo. Finché Yattaran, per metterlo a tacere:
«Tu spera solo che il Capitano non abbia voglia di mettersi al timone, invece di fare troppe domande, ragazzo.»
Questa frase lo turbò, e non poco. «Perché mai?» chiese, con cautela.
«Come perché?» fece un altro, mettendogli un braccio sopra la spalla, come se fossero amici da sempre. «Vuoi davvero che ti roviniamo la sorpresa?» lui annuì, pensando che fosse meglio saperlo che scoprirlo.
«Perché è matto.» concluse un terzo uomo. «Vedrai come naviga. Magari dopo puoi chiedergli di mostrartelo.»
«Credo che rimarrò con il dubbio.»
«Capitano...» la voce di Yattaran sovrastò il chiacchiericcio di quei tre disgraziati. «Qui c'è bisogno di Yuki, posso andare a cercarla?»
«Rischia pure la vita, se non ci tieni.» commentò qualcuno sottovoce, ma il Capitano già non c'era più.

Wrap me in your jacket, my baby
And lay me in your bed
And kiss me underneath the moonlight
Darling let me trace the lines on your tattooed heart
Tattoed heart
Just as long as I'm the name on your tattooed heart


Yuki si trovò a pensare che aveva appena avuto la reazione più esagerata che si potesse mostrare. Dopotutto il ragazzo nuovo, per quanto molto sfrontato potesse essere stato, aveva solo fatto due più due, certo era andato a letto e non l'aveva mai vista uscire dalla cabina del Capitano. Forse, perfino lei avrebbe pensato male, e gli altri più che pensare magari ci speravano, perché lo sapevano tutti che lo amava da sempre, e le si erano sempre mostrati solidali.
Ma Harlock era un uomo inflessibile. Non c'era molto di più da dire sulla scarsità di possibilità che aveva.
Sistemò il sacco sotto la testa del pennuto a cui era andata a dare da mangiare, proprio perché non sapeva in che altro modo rendersi parzialmente utile. Normalmente, gliel'avrebbe dato con la mano, ma non aveva proprio voglia di doversi curare le ferite provocate dal becco di quella bestiaccia. Chissà perché a Meeme e al Capitano piaceva tanto...
«Ttu che ne dici, eh?» gli chiese, ma la bestia continuava a mangiare la sua roba dal sacco. La testa sparita lì dentro, spuntava dal bordo solo il collo estremamente sottile. «Non potevo pensarci prima?»
La creatura gracchiò, semplicemente, spostando un po' le ali verso l'esterno, quasi le stesse dicendo che sì, era stata proprio un'idiota, un'idiota a prendersela con il Capitano e poi col povero Daiba che si era solo trovato nel mezzo. Dopotutto, erano passati cinque anni, era vero, ma questo non giustificava il fatto di essersi comportata in quel modo. Insomma, non avrebbe mai potuto aspettarsi di essere accolta tra le braccia da uno come Harlock, e riscaldata dal suo mantello, no? In quegli anni doveva averlo dimenticato. Il fatto era che dopo averlo visto di nuovo, non aveva visto nient'altro, nemmeno il buonsenso.
Era impazzita e basta, forse.
«Non così.» sentì una voce rimproverarla e dei passi affrettati che andavano nella sua direzione. «Così rischia di strozzarsi.» era Harlock, naturalmente, solo perché era l'ennesimo segno dell'Universo che quella giornata poteva solo andare peggio. Come si dice, al peggio non c'è mai fine, e quando si arriva al fondo si può anche iniziare a scavare. E lei aveva scavato anche parecchio. Lo osservò inginocchiarsi proprio dov'era lei, sfilarsi un guanto e allontanare il becco del pennuto dal sacco con il cibo, per poi prendere un po' di quello e fare in modo che ne prendesse poco per volta. «È una bestia ingorda e stupida..»
«Mi dispiace.» borbottò lei, ma se anche non sembrava molto sentito, lo pensava davvero. E non si scusava solo per aver quasi ucciso la sua bestiola da compagnia, ma forse questo lui l'aveva già capito, per quanto potesse mostrarsi straordinariamente poco intuitivo quando si trattava di ciò che gli diceva lei. «Non sono in me, ultimamente.» osservò le sue dita callose, piegate in modo che trovò molto elegante, mentre non riceveva nemmeno una beccata da quella bestiaccia che le aveva martoriato le mani per anni. Spostò lo sguardo verso il suo viso e si domandò come aveva fatto a essere così scema, come aveva potuto pensare di poter pretendere di più che la gioia di poterlo guardare nel quotidiano.
Questo le era sempre bastato: poter restare al suo fianco, e nel suo cuore sapeva che era già molto più che abbastanza. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui, lo sapeva, e se stargli lontano era una di quelle, avrebbe accettato e basta. Forse doveva. Non le avrebbe permesso di prendere il posto della sua amata libertà nel suo cuore, e allora quello che Yuki doveva fare era semplicemente abbracciare la sua causa, come non aveva mai fatto prima, diventare quella sua causa, così forse avrebbe potuto amarla come amava la sua missione. «Perché voi avete sempre ragione?» sembrava un buon modo per chiedere davvero scusa.
Sorprendentemente, Harlock sorrise, la cosa che non la stupì fu che non le rispose nemmeno una parola, cosa che non fece nemmeno lei, consapevole di aver parlato pure troppo. Così lo osservò mentre finiva di nutrire l'animale che, poi, tornò ad appollaiarsi su uno dei trespoli, molto più in alto del pavimento.
Certo, ora il silenzio un po' le pesava, ma che cos'avrebbe dovuto dire? “Ehi! Quella bestia ha davvero uno stomaco fondo come un pozzo!”, le veniva da dire che si era umiliata già abbastanza, e al solo pensiero avrebbe di nuovo voluto sprofondare. Così, si strofinò le mani sulle gambe, quasi che avesse dovuto riscaldarle, e solo dopo notò che Harlock si era alzato, aveva rindossato il guanto e, ora, le stava tendendo la mano per rialzarsi.
Ci mise un momento prima di capire che era per lei, e un altro per capire che davvero poteva tendergliela. Ma quando lui gliela strinse, in quella presa che era salda come se la immaginava, Yuki riuscì perfino a sorridere.
I guai, ovviamente, non erano finiti lì. Non fosse mai che le cose, per una volta, filassero lisce come l'olio.
Giammai.
La nave si inclinò pericolosamente, una volta che furono in piedi, e Harlock riuscì a sostenere la ragazza solo perché le stava già tenendo la mano. Chissà perché – pensò lei – oltre ai superpoteri sui pensieri e le intenzioni degli altri, sarebbe riuscito a stare coi piedi attaccati al pavimento, anche se l'Arcadia fosse stata a testa in giù. La cosa non le dispiaceva, dato che ora era praticamente schiacciata contro il suo sogno proibito.
«Ehm... che succede?» si azzardò a domandare, senza nemmeno pensare di muoversi. Ma l'allarme non era suonato, quindi non c'erano pericoli in vista... che il computer centrale fosse momentaneamente impazzito? Ma poi lui sapeva sempre tutto, che ci voleva a risponderle? «Capitano?»
Lui, per la prima volta in una vita che lo conosceva, sembrava confuso. «È la nave.» si limitò a spiegare, senza spiegare un bel niente. Lei si aggrappò semplicemente di più al suo mantello, cogliendo al volo quell'occasione che l'Arcadia le stava porgendo su un piatto d'argento. Si allontanò nel momento in cui capì che un secondo di più sarebbe stato di troppo. «Tutto bene?»
Lei non fece in tempo ad annuire, che, ancora, la nave sembrò impazzire, e Yuki, stavolta senza vergogna e senza secondo fini, si aggrappò alle spalle del suo salvatore. Tuttavia sapeva esattamente in che genere di situazione si trovava, per cui non pensò nemmeno a sollevare la testa, sarebbe stato di sicuro il momento più imbarazzante in assoluto della sua giovane vita, così preferì mantenere la faccia dal naso in giù contro la spalla del suo adorato Capitano. Andava molto bene anche così, dopotutto.
Ed era stata anche fortunata ad essere nell'unica stanza dell'Arcadia senza appigli peché il loro amico volatile se ne poteva tranquillamente stare appollaiato dove si trovava in quel momento, per non cadere durante le acrobazie che a volte facevano pur di evitare qualche attacco o per fare quelche arrembaggio. A pensarci bene quella giornata non era poi così male: lui la stava davvero avvolgendo col suo mantello!
Be', più o meno.
La nave sembrò dire qualcosa, con uno strano cigolio e rumore di legno che si piega, era una cosa strana e, a tratti fastidiosa, ma sembrava veramente che volesse comunicare. Ad Harlock sfuggì un'esclamazione che lei non afferrò, ma che somigliava a qualcosa come “Buon Dio, che ti succede, amico mio?” ma non ne era certa. Ma il fatto che fosse rigido come un pezzo di marmo le faceva presagire che qualcosa non andava. Avrebbe voluto chiedere, ma era certa che, questa volta, non le avrebbe detto niente, era diventata abbastanza brava nel capire quando poteva fargli una domanda e quando no, e adesso stava recuperando le vecchie abitudini. Finalmente.
Attese, mentre sembrava che nella testa del suo adorato si stesse svolgendo una qualche strana discussione: gli altri scherzavano spesso sul fatto che Harlock era in grado di comunicare con la sua nave, ma lei non ci aveva mai creduto. Non aveva mai potuto perché le risultava difficile concepire l'Arcadia come una cosa... viva. Però, a quanto pareva, si era sbagliata.
Provò di nuovo ad allontanarsi, ma non appena fece la mossa, la nave si inclinò di nuovo pericolosamente. «Capitano...?»
Grosso sbaglio guardarlo in faccia: ora sì che aveva voglia di fare ciò che non avrebbe nemmeno mai dovuto pensare, e poi anche lui la stava guardando come se fosse la soluzione al problema, sebbene avesse potuto giurare che fosse, allo stesso tempo, contrariato. Lei non si mosse, o almeno credette di non essersi mossa, finché non si accorse che lo stava baciando. Ovviamente, non si chiese perché o chi era stato dei due a fare la prima mossa: la cosa importante era che stava succedendo e basta, le domande potevano essere rimandate a più tardi.
Nonostante lui volesse fare in modo che non durasse più del necessario, prorpio perché gli sembrava di approfittare di lei, così giovane e sprovveduta – checché ne dicesse il suo vecchio amico –, la ragazzina sprovveduta si aggrappò più forte nel momento in cui lui stava per allontanarsi da lei.
Ma tutti hanno bisogno di ossigeno, per quanto Kei Yuki avrebbe voluto farne a meno per il resto della – in quel caso molto breve – esistenza, pur di non far terminare quella sensazione strabiliante, perciò ci fu un momento in cui la sua presa si allentò. Momento fatale perché Harlock lo colse per allontanarla da sé, e la trovò non più lucida di un vegetale: sguardo fisso nel vuoto ed espressione totalmente incredula. La cosa durò per qualche secondo.
Finché, a un certo punto, Harlock non le prese la mano e se la portò alle labbra, in una muta richiesta di scuse, per averla usata per mettere fine a tutto quello. Adesso sì che aveva intenzione di farsi una chiacchierata con il suo amico, per impedire che una situazione del genere si ripetesse di nuovo. Quello sciocco poteva anche essere il computer centrale della nave, ma era lui il Capitano, era arrivato il momento di ricordarglielo. Così uscì di scena.
Yuki, una volta che Harlock la lasciò andare definitivamente, lo osservò finché non sparì alla sua vista, cioè finché la porta non si chiuse, metaforicamente mangiando la sua figura, ormai arrivata alla fine del corridoio.
Si accasciò a terra, negli occhi ancora l'immagine della schiena di Harlock che si allontanava per dare quella che presumeva essere una strigliata al computer centrale. Sospirò, e le riuscì sognante fino al vomito. Forse sarebbe morta di diabete. O forse sarebbe morta e basta, perché il suo cuore era esploso e gli altri organi avevano deciso di scioperare in massa.
Fu una sorpresa scoprire che non le importava.
«Be'...» accarezzò piano il pavimento, come se fosse stato un caro amico. «grazie, Arcadia.» la bestiaccia gracchiò, e lei alzò lo sguardo verso di essa. «E tu non guardarmi in quel modo perché parlo con una pezzo di legno!»


Okay, è stupida, lo so. Vado a nascondermi, anche se continuo a sperare che sia stata una perdita di tempo minore che contare le pecore. Non mi andava di fare una cosa troppo sdolcinata, ma forse non è riuscita ugualmente tanto bene. Chissà, spero che me lo direte voi!
Buonanotte, gente!
Shusui.

  
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