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Autore: Madama Rosmenta    11/01/2014    1 recensioni
«Chi sei?» chiesi.
«Ah…io… mi chiamo Engwaz»
«Non credo ci sia bisogno ripresentarmi, fanciulla»
«No, so chi siete. Principe Loki»
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai incatenata ad un tavolo, gli abiti strappati, il corpo doleva in modo terribile. Non ricordavo niente: ne perché mi trovavo in quel posto, ne cosa fosse successo.
Ero terrorizzata anche solo all’idea di ricordare. Su tutto il corpo c’erano segni di colluttazione, e dei profondi tagli che forse erano stati causati da colpi di frusta.
Tutto prese a tremare.
Le pareti della stanza di pietra in cui mi avevano rinchiuso iniziarono a sprigionare polvere che rendeva tutto più inquietante.
Una pietra si staccò dal soffitto.
Urlai, terrorizzata.
Mi dimenavo invano, nel tentativo di liberarmi.
«Qualcuno mi aiuti!» urlai.
Speravo che qualcuno, chiunque mi sentisse e venisse ad aiutarmi, anche solo tagliando le catene. Non riuscivo ad usare i miei poteri, l’anello che fungeva da catalizzatore era ancora al mio dito che però era rosso di sangue. Probabilmente, pensai, avevano tentato di togliermelo ma il metallo si doveva essere stretto intono al dito.
Iniziai a temere di essere l’unica in quel posto sconosciuto.
Chiusi gli occhi ed iniziai a piangere, io che ero stata addestrata per rimanere impassibile di fronte a qualsiasi cosa, ora piangevo.
«Non voglio morire così» dissi tra le lacrime , singhiozzavo forte, fuori controllo.
Le pietre che componevano quella cella iniziarono a sbriciolarsi rumorosamente, quasi coprendo le mie urla.
«Aiuto» mormorai, certa che Hela stesse per venire a prendermi.
 
CLANG
 
Le catene si ruppero, le sentii allentarsi. Una voce profonda disse qualcosa che, però, non compresi. Mi sentii sollevare, avevo l’impressione di essere diventata piccola tra le braccia di quell’uomo misterioso.
Prima di perdere i sensi, visi tra i capelli corvini, degli occhi verdissimi, ultraterreni.
Come nelle favole Midgardiane, il cavaliere dall’armatura splendente salvò la fanciulla in pericolo.
Mi sentivo al sicuro, ora.
 
 
«Qualcuno mi aiuti!» avevo sentito urlare, una voce di donna. Quegli imbecilli che ci ostinavamo a chiamare “guardie” non avevano fatto evacuare tutto il palazzo, la voce veniva dai sotterranei, vicino le prigioni. Di solito non avrei mai agito così, ma Padre mi aveva affidato il compito di sorvegliare le guardie che gia alcune volte avevano svolto male il loro dovere.
 La porta era incastrata, la buttai giù con un calcio.
Di fronte a me c’era una ragazza della mia età, era incatenata ad un tavolo e piangeva terrorizzata. Implorava di essere salvata.
Ruppi le catene con il mio bastone, reso tagliente dalla magia. Mormorai l’incantesimo che la fece cadere in un sogno vigile. La presi in braccio, tremava ancora. Era leggera e bella con la sua aria da ragazzina innocente.
Mi venne da sorridere, avere tra le braccia una donna mezza nuda ed inerme avrebbe offuscato la mente di qualsiasi uomo asgardiano, perfino Thor avrebbe vacillato. Io no.
Almeno in questo potevo ritenermi migliore di  mio fratello.
Il terremoto continuò violento, non se ne sentiva uno del genere da molto tempo.
Attraversai i sotterranei schivando agilmente le pietre che cedevano, protetto da un campo di forza.
Avevo voluto addormentare la ragazza perché, in questo modo, mi sarebbe stato più facile trasportarla, e poi, se si trovava nella cella degli interrogatori ed era ridotta così, un motivo doveva esserci. Forse avevo trovato un’alleata.
Salii le scale con quel fuscello tra le braccia ed uscii dal palazzo.
Eravamo al riparo, pronunciai il contro incantesimo che fece svegliare la ragazza.
Lei aprì gli occhi, erano castani e profondi, gli occhi di chi ha un cuore buono.
«Chi sei?» chiesi. Si stava ancora riprendendo dal torpore.
«Ah…io… mi chiamo Engwaz»
«Non credo ci sia bisogno ripresentarmi, fanciulla»
«No, so chi siete. Principe Loki»
«Bene, ora che abbiamo finito con le formalità dimmi, cosa ci facevi nella sala dell’interrogatorio?»
«È una lunga storia» mi rispose evasiva. Con un gesto della mano creai una cupola che ci avrebbe nascosto da sguardi indiscreti, comparvero anche due poltrone rivestite in pelle nera.
«Non ho fretta…» incalzai sedendomi su una poltrona con il sorriso sghembo che tanto i piaceva sfoggiare.
  
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