Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: ermete    11/01/2014    5 recensioni
Questa sarà una raccolta di diversi tipi di flash fic: le prime 3 sono reaction-fic alla terza stagione, mentre le altre saranno storielle scemine ispiratemi da gif e fanart varie. Sarà spessissimo presente il tema degli animali (Sherlock gatto per la maggiore XD). Accetto eventuali prompt! Nel capitolo 1 sposterò l'indice :3
Note: johnlock e tomcroft forever
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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***Ciao bimbe! Vi ringrazio per l'apprezzamento al primo capitolo di questa faccenda (no dai è troppo poco seria per chiamarla "raccolta" u.u) e spero che anche questo vi piacerà :3 pensavo che il secondo capitolo sarebbe stato su Mycroft e Sherlock, ma poi sono stata bersagliata da questa ideucola così l'ho scritta :3 ringrazio Houtaru_Tomoe per il betaggio :3 e invito tutte a non sclerare troppo domani sera... no che belin dico, sclerate che sono io la prima ad uscire di testa ahahahah XD soffriremo come cani ahahahah XD Moffat ti amodio ahahahah XD BACIO!!!***


Rating: verde
Personaggi: John, Sherlock
Genere: introspettivo, missing moment, sentimentale
Scena di riferimento: John che chiede a Sherlock di essere il suo testimone e quindi la dovuta confessione del "sei il mio migliore amico"





 
The best friend




"The best man?" (1)
A John sembrava essere costato un leggero imbarazzo porgergli quella domanda, anche se Sherlock non ne aveva capito il motivo. Perché, casomai, era lui a dover essere in difficoltà a rispondergli!
Si sforzò a non pronunciare il nome di colui che gli era seduto di fronte, dicendo invece "Billy Kincaid".
Dopo aver chiarito che in verità stava cercando il proprio testimone di nozze e, nello specifico, che voleva accanto a sé il proprio migliore amico -che, per inciso, non era Greg Lestrade né Mike Stamford- in quel particolare giorno, John confessò che l'altra persona più importante della sua vita oltre a Mary Morstan altri non era che lui: Sherlock Holmes.
Sherlock perse il contatto con la realtà, risucchiato inevitabilmente dall'interno, imprigionato dal suo stesso Palazzo Mentale che gli si costruì attorno con la rapidità di uno, due, tre battiti di ciglia. E se il corpo che abitava era immobile davanti a John, una perfetta rappresentazione di sé era ora in piedi in un corridoio la cui fine non era visibile a occhio nudo. E come nei migliori film Disney(2), ogni porta presente decorava il corridoio con motivi, stili e colori diversi. Neanche Sherlock conosceva a memoria la storia celata dietro tutte quelle porte chiuse, anzi. Mentre alcune stanze, a giudicare dall'usura delle maniglie, erano state visitate più volte -magari tutti i giorni- alcune risultavano praticamente intonse: erano le stanze che si erano erette da sole, inconsciamente, quelle che per quanto potesse sforzarsi di farlo, Sherlock non riusciva comunque a cancellare.
Dunque era lì, Sherlock, catapultato nel proprio Palazzo Mentale dalle tanto sincere quanto inaspettate parole di John.

Sei la persona che amo di più al mondo (assieme a Mary).
Ti voglio accanto nel giorno più importante della mia vita.
Sei tu il mio migliore amico.

Si mosse, la proiezione di Sherlock, e si avvicinò alla prima di quelle porte: aveva bisogno di razionalizzare quelle parole, necessitava sentire ripeterle e farne il pieno, bramava nuovi ricordi di John collegati alle parole più significative che gli avesse mai rivolto. Ma se Sherlock si aspettava di trovare una semplice sala di registrazione -ne aveva più di una all'interno del suo palazzo mentale- si sbagliava di grosso.
La formalità dello stile della porta, infatti, non era dovuto allo stile minimalista che solitamente adorna una stanza del genere, bensì a colui che vi trovò all'interno.
Sherlock scosse il capo e fu lì lì per richiudere subito la porta, ma fu fermato da una voce sprezzante che gli si rivolse con tono di biasimo e rimprovero "Sei una delusione su tutta la linea. Stupido sentimentale."
Sherlock guardò chi aveva di fronte e non si sprecò a rispondergli subito, troppo impegnato ad osservare colui che altri non era se non se stesso, più giovane di almeno una decina di anni: aveva lo sguardo rigido e freddo, imperturbabile. La mascella era serrata, nervosa; gli arti sottili scossi da leggeri e quasi impercettibili tic. Il volto era qualcosa di inarrivabile e l'espressione era la tristissima icona della solitudine. Quello era Sherlock prima di John.
"Mycroft è un maiale lento e borioso." riprese a parlare il proprietario della stanza "Ma su una cosa ha sempre avuto ragione." rimase a debita distanza tanto era il disgusto che provava per il proprio alter ego più maturo "Caring is a disadvantage." un'altra pausa, che questa volta aveva un che di teatrale "E tu hai fatto l'unica cosa che avresti dovuto evitare di fare. Complimenti."
Sherlock assottigliò lo sguardo sul proprio alter ego ed in particolar modo sul leggero tremore che gli faceva vibrare le dita, sulle braccia secche coperte dal vestiario e sulle profonde occhiaie che gli inscurivano la pelle sotto gli occhi "Mi dispiace che tu sia bloccato in questo stato."
"Quale stato?" domandò repentino, scattando in avanti eppur sulla difensiva.
Sherlock osservò colui che, oltre ad essere se stesso, era anche il ritratto della paranoia e prese una nota mentale sugli effetti a lungo termine della cocaina, quasi come se se ne fosse dimenticato, quasi come se ne avesse bisogno nell'immediato "A come ero prima di incontrare John."
L'alter ego sbuffò divertito "Non mi sento solo."
Sherlock sorrise a quella che una coincidenza non era: era il suo subconscio che parlava e la sua memoria era troppo buona per poter dimenticare facilmente quello scambio di battute che ebbe con Mycroft pochi mesi prima. E così come rispose a Mycroft, lo fece anche con chi si trovava di fronte "E tu come lo sai?" sussurrò "Non puoi saperlo, non ancora. E purtroppo o, chissà, per fortuna, non lo saprai mai."
L'alter ego si voltò indignato e nel giro di pochi istanti perse il proprio interesse per Sherlock che, ricordando bene quel periodo della propria vita, approfittò di quel momento per uscire dalla stanza sapendo bene che non avrebbe ottenuto null'altro di più che il silenzio da parte sua.
Una volta chiusa la porta dietro di sé, Sherlock sbuffò infastidito: il suo desiderio in quel momento era solo quello di gioire per le parole che John gli aveva regalato, non fare assurdi esami di coscienza con l'individuo più odioso che potesse conoscere. Tuttavia, a quanto pareva, il suo corpo era ancora immobilizzato, quindi tanto valeva curiosare qua e là.
Oltrepassò tre porte piuttosto anonime per poi soffermarsi davanti ad un uscio alquanto familiare: era sobrio, pulito, di un legno non troppo scuro privo di venature. Per un istante glissò e fece per andare oltre, ma la curiosità lo vinse e decise di aprire la porta.
Non appena lo fece, venne investito da un bambino che lo abbracciò all'altezza della vita: aveva i capelli riccioli del colore dell'ebano, la pelle bianca come la porcellana e gli occhi azzurri chiari come la carta zucchero. Era lui, da piccolo. E gli si era appena gettato addosso gongolando come neanche ricordava di aver mai fatto. E non appena ebbe staccato il viso dal suo addome, lo sentì parlare gioioso "Mycroft, sei tornato!"
Sherlock arrossì e ringraziò che le chiavi del suo prezioso Palazzo Mentale fossero riservate a lui soltanto "Non sono Mycroft." e, per evitare di spaventarlo, gli accarezzò il capo riccioluto con la mano destra.
Il bambino trasalì appena e si ritrasse per fuggire dietro al proprio fortino costruito con cuscini di letto e divano. Non disse nulla, ma Sherlock poté riconoscere alcuni singhiozzi celati in parte da un cuscino che il bambino stava premendo sul proprio viso.
Non poteva vederlo, Sherlock, ma sapeva che era così perché era un ricordo della propria infanzia: Mycroft, il suo unico amico, che partiva per il college e che non tutti i week end riusciva a tornare a casa. Quando Violet e Seiger glielo comunicavano allora lui reagiva così: si arrabbiava, si nascondeva dentro il suo soffice fortino e piangeva piano, per non farsi sentire, per non far credere agli adulti che lui fosse un moccioso qualunque che piangeva per un nonnulla.
Col senno di poi Sherlock sapeva benissimo che non era un nonnulla, ma qualcosa di comprensibile e fu per questo che non fuggì dalla stanza ma si spinse oltre il fortino e si inginocchiò ad osservare se stesso. Fece per entrarvi, ma il bambino emerse finalmente dal cuscino e glielo proibì "Non puoi entrare. Non conosci la parola d'ordine."
Sherlock sorrise e lo stupì "Barbarossa." pronunciò solenne e si gustò l'espressione sorpresa del suo piccolo alter ego prima di dirgli "Sono un amico di tuo fratello. Visto che lui non è riuscito a tornare a casa questo fine settimana, mi ha chiesto di venirti a trovarei."
Il piccolo Sherlock soppesò le parole dell'adulto che aveva di fronte "Mycroft non ha amici, ha solo me." sentenziò sicuro soffermandosi sul viso stranamente familiare dell'altro.
"Temeva che tu non prendessi bene la notizia che ha un'altra persona a cui voler bene oltre che a te. Ma mi parla sempre del suo fratellino." giocò quella carta assottigliando lo sguardo su di lui "Prova a chiedermi qualcosa che solo noi possiamo sapere." lo esortò poi e allungò la mano sulla guancia del piccolo Sherlock per asciugargli l'ultima lacrima di quel piccolo pianto.
Il geniale bambino osservò le lunghe dita dell'adulto accarezzargli il viso con una delicatezza che, con lui, avevano azzardato solo la madre, il padre e ovviamente Mycroft. Deglutì e schioccò la lingua sul palato prima di formulare la propria domanda "Che scherzo abbiamo fatto al figlio maggiore dei vicini?"
“Domanda a trabocchetto.” replicò Sherlock, divertito “Sei stato solo tu a svelare alla madre di suddetto ragazzo che aveva una relazione sessuale con la loro domestica.” si accigliò, poi, al pensiero che probabilmente un bambino di nove non dovrebbe sapere cosa sia una relazione sessuale, ma, in fondo, era di se stesso che stava parlando “E te ne sei vantato così tanto con Mycroft che alla fine lo hanno scoperto anche i tuoi genitori e ti hanno messo in castigo per una settimana.”
Il piccolo Sherlock osservò l’adulto con sguardo indagatore, ma non dovette cogliere nulla di strano perché decise di farlo entrare nel proprio fortino: era ancora un po’ diffidente, ma quell’uomo gli aveva appena accarezzato la guancia e non aveva provato alcun fastidio a riguardo. Il suo odore non era strano, colpevole, pungente. Il suo tocco delicato ma sicuro. E poi, insomma, era amico di Mycroft, così tanto stupido non doveva esserlo!
Tuttavia Sherlock, per riuscire ad entrare completamente in quel fortino -quanto gli era mancato!- dovette accucciarsi e prendere in braccio il proprio alter ego che, svogliato e di umore ambiguo, non protestò più di tanto. Il consulente investigativo non amava le smancerie, ma il ricordo di quanto si sentisse solo a quell’età, dopo che Mycroft era entrato al college, lo spinse ad abbracciare e a consolare se stesso “Sai, non sarai sempre solo.”
“Mh?” domandò il piccolo Sherlock che si accucciò meglio che poté addosso al se stesso del futuro: immerse il viso nel suo petto e, ignaro di cosa sia il pudore, annusò profondamente l’odore di quell’uomo. Voleva capire perché non lo ripugnasse! Inspirò a lungo e sì, aveva un odore simile a quello di suo padre, eppure era diverso. E si avvicinava anche a quello di Mycroft, ma c’era qualcosa che non quadrava. Eppure si trovava bene tra quelle braccia, quasi come se quell’uomo fosse un’estensione di sé.
Sherlock non resistette all’impulso di baciare il capo di quel bambino, memore di quanto i gesti affettuosi gli fossero mancati a quell’età. Ricordò con oggettività quanto fosse difficile avere a che fare con lui, di quanto non riuscisse a spiegare cosa non gli andasse bene degli altri bambini, degli adulti, delle numerose tate che aveva avuto, ma che, al contempo, questo non volesse dire che non sentisse la mancanza di una carezza, di un bacio o di un abbraccio. Erano tutti così strani, diversi da lui! E lui non voleva che lo toccassero. Ma ora che poteva farlo, decise di regalare a se stesso una piccola dose di tutto ciò che aveva sempre avuto bisogno: lo strinse forte, quasi tremò e lo rassicurò “Arriverà il giorno in cui anche tu avrai un amico eccezionale che si prenderà cura di te.”
Il piccolo Sherlock si staccò dal torace dell’adulto solo per poterlo osservare in volto “Cosa?” si illuse per un attimo, ma poi scosse il capo “No, è impossibile. Nessuno mi sopporta.”
“Ma cosa dice sempre Mycroft? Una volta eliminato l’impossibile…” si interruppe e lo incoraggiò a continuare.
“...tutto ciò che rimane…” continuò timidamente, sopraffatto dal sorriso dell’altro.
Sherlock annuì soddisfatto “...per quanto improbabile…”
“...deve essere la verità!” concluse il piccolo alter ego e il suo sguardo si accese “Davvero avrò un amico speciale?”
“Avrai degli amici, pochissimi ma buoni.” lo rassicurò e, tenendolo con un braccio, si aiutò con l’altro ad uscire dal fortino “Ma ce ne sarà uno che sarà davvero speciale. Uno che ti farà pensare che tutto il resto del mosto possa sparire, purché lui rimanga con te.”

 
“Sherlock?”



Il piccolo Sherlock si aggrappò al collo dell’adulto e lo scrutò ancor più da vicino “Davvero esistono persone così speciali?”
“Sì, ma sono molto rare. Anzi, uniche.” baciò la guancia del bambino e non poté fare a meno di provare una sorta di malinconia in quel frangente “Ma proprio perché sono uniche sono così speciali.”
Il bambino annuì a bocca aperta “E come si chiama questa persona?” si strinse ulteriormente al collo di Sherlock, poi, quando lo vide avvicinarsi alla porta “Non andare.”
“John. Si chiamerà John.” si chinò e fece scendere il bambino sul pavimento: gli sembrava di aver sentito una lontana eco chiamare il proprio nome e capì che il proprio viaggio all’interno del suo Palazzo Mentale stava per concludersi, quindi ci teneva a congedarsi a modo con il proprio piccolo alter ego “Devo, purtroppo. Ma tornerò a trovarti.” una bugia? Una verità? Sherlock non sapeva se avrebbe ritrovato quella porta, un altro giorno.
Il piccolo Sherlock mugugnò un poco, ma alla fine, dopo aver inspirato un’ultima volta quel profumo familiare, lo lasciò andare “John? Che nome… semplice.”
“Non tutti possono chiamarsi Sherlock.” ammiccò il proprietario del Palazzo Mentale “E ricordati, è nella semplicità che si nascondono le bellezze più grandi.” non era una frase che avrebbe mai detto ad alta voce a chiunque, ma ora era lì, nella sua camera d’infanzia, a parlare con se stesso, dunque tutto era lecito. Non gli regalò parole di addio e chiuse la porta dietro di sé con un sorriso sincero che gli rivolse finché l’ultimo spiraglio di quella stanza non sparì del tutto.

 
“Sherlock?”



Sherlock sentì che il suo corpo stava per risvegliarsi, ma l’ultima stanza dentro la quale era entrato lo spinse a cercarne rapidamente un’altra: voleva altri ricordi e voleva costruirne di nuovi e quello era il posto più adatto per riuscire a farlo.
Non rifletté molto, dunque, quando decise di entrare in una stanza la cui porta era un’elegante lastra di vetro. Ma se Sherlock si aspettava chissà quale metafora antistante quella bizzarra porta, si stupì di entrare in una stanza composta soltanto da specchi. Un’infinita quantità di specchi che riflettevano la sua figura da qualsiasi angolazione si trovassero: Sherlock, sotto tutti i punti di vista. Non si può certo dire che la metafora non ci fosse.
Avanzò, dunque, verso lo specchio che gli si parava di fronte e non disse nulla. Osservava la figura riflessa di fronte a sé e non parlò finché non si accorse di un dettaglio: il proprio respiro e quello dello Sherlock nello specchio non erano sincronizzati. Sorrise divertito “Ti ho scoperto. Parla se devi parlare.”
Lo Sherlock riflesso si mosse e si stiracchiò teatralmente “Oh, finalmente. Ero stufo di imitarti.”
“Non comprendi l’onore che sarebbe stato.” ironizzò Sherlock “Ammettendo che sia solo lontanamente possibile farlo, cosa che tu hai ampiamente smentito.”
Il riflesso gli sorrise maliardo e fece spallucce “Chi vorrebbe essere te, d’altronde? Per carità, sei geniale e…” si lisciò il la camicia sotto la vestaglia aperta “...molto bello, ma sei solo come un cane.”
Sherlock si impettì e gli diede le spalle per qualche istante “Forse non sei stato attento alla conversazione che si è svolta qua fuori.” ruotò nuovamente sui propri piedi, fronteggiando lo specchio “Sono il migliore amico di qualcuno. O meglio, dell’uomo migliore che esista al mondo.”
“Che ti sta per abbandonare a favore di una donna.” replicò subito il riflesso, serafico. Rise sarcastico quando vide Sherlock bloccarsi “Devo veramente spiegarti cosa sono io?” ma non attese che il proprio interlocutore rispondesse, proprio come faceva colui che gli aveva donato l’originale da copiare e riflettere sulla propria superficie “Sei combattuto, mio caro. Tu ami John e odi Mary, ma devi amare Mary affinché John non ti odi.”
“Vuoi il copyright per questa?” sputò Sherlock stizzito.
Il riflesso rise “Quando John si sarà sposato, tu cosa farai?” lo provocò “Sarai solo tu, contro il resto del mondo.”
Sherlock si sporse in avanti con un braccio alzato come se volesse rompere lo specchio ma si fermò, perché dietro al proprio riflesso intravide John. Si voltò istintivamente, ma mentre dietro di lui non vi era anima viva, quando tornò ad osservare il proprio riflesso, vide il sorriso di John interrompere la monotonia della propria figura riflessa in quella stanza piena di specchi.

 
“Okay. Ora mi stai mettendo paura.”



Provò a chiamarlo, ma la sua voce perse potenza e in men che non si dica, si ritrovò a Baker Street, in piedi di fronte a John, nuovamente in possesso del proprio corpo. Esitò ancora pochi istanti, quindi iniziò “Dunque io…”
“Sì.” annuì John.
“Sono…” la voce che esitava, la lingua impastata dall’emozione “...il tuo migliore amico.”
Vide John stupirsi: dunque era così scontato? Riuscì anche a sentirlo confermare tutto a voce “Naturalmente. È ovvio che tu sia il mio migliore amico.”
E Sherlock, incurante di bere un tea dentro il quale era da poco caduto un occhio umano, non poté che iniziare a somatizzare quell’informazione, celando la propria gioia sotto un velo di eleganza e garbo. E concluse che tutti quegli anni di astio e solitudine, di paranoia e ben celata tristezza, erano valsi la pena di essere vissuti se il premio che ne derivava era l’onore di essere il migliore amico di John Watson. E di certo, questa volta si sarebbe impegnato a dimostrargli quanto contasse per lui anche a parole.




 
“John, I am a ridiculous man, redeemed only by the warmth and constancy of your friendship.”(3)




____________

(1)Scusate, l'ho dovuto tenere in inglese perché se l'avessi tradotto avrebbe perso il significato °.°
(2)Ovviamente mi riferisco a "Monsters & Co" *_*
(3)La mia citazione preferita di tutto il discorso di Sherlock :3

 
   
 
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