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Autore: MoneLu1223    12/01/2014    0 recensioni
"Ha presente le ultime ricerche che sta svolgendo?"
"Come potrei non…"
"Bene. Per i prossimi due mesi andrà a lavorare sul territorio."
La cosa mi suonò strana. Io studiavo la terra che mille anni fa era chiamata America. Era sparito quel continente, immerso dalle acque, spazzato via dai cataclismi.
Genere: Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4 - JAKE
 
Arrivai a casa verso sera, dopo aver terminato alcune pratiche che dovevo chiudere prima della partenza. In giornata era venuto nel mio ufficio Voltaire accompagnato da un uomo grassoccio che si era presentato come il signor Smith. Il primo a parlare fu il mio capo.
“Anderson, le presento il signor Smith. È il capo della signorina Juliet Rose.”
Rose? Il cognome mi suonava familiare.
“Lieto di fare la sua conoscenza.” interloquì lui.
“Piacere mio, signore. A cosa devo la vostra visita?” gli risposi.
“Essendo lei il coordinatore dell’esperimento, volevamo spiegarle come procederà il tutto. Non ci metteremo più di venti minuti ma esigiamo la sua più completa attenzione.”
“Iniziate pure.”
“Bene. Per prima cosa tra sette giorni avverrà la partenza, ci troveremo al porto di Sunair. Per quanto riguarda il mezzo con cui giungerete in America, che da ora chiameremo Continente Beta, eravamo indecisi sul darvi un superspace o il watercastle. Il primo vi offre rapidità e sicurezza, mentre il secondo è più lento, ma avendo una maggiore superficie è più propenso al trasporto dei macchinari che vi fornirà la società e dei campioni che troverete sul luogo.
“La fortezza galleggiante è dotata di un grande laboratorio, oltre che ai normali macchinari che chiunque ha in casa. Sulla struttura, oltre a voi due, sarà presente ogni sorta di macchinari. I più banali si occuperanno della pulizia, mentre i più efficienti saranno in grado di trovare i luoghi sicuri nel continente.
“Potrete portare tutto ciò che volete, però ricordate che nel Continente Beta dovrete utilizzare solo apposite tute e cercapersone che vi saranno dati in seguito.
“Nel primo sopralluogo, la fortezza dovrà essere lasciata almeno a tre kilometri di distanza. Manderete Y5, una sonda, a perlustrare il territorio per voi. Solo al suo ‘ok’ potrete avvicinarvi fino ad un kilometro. In seguito, per giungere sulla costa userete un piccolo jet che vi faremo trovare all’ultimo piano del watercastle.
“Non dovete preoccuparvi di cibo, bevande o vestiti da indossare sulla fortezza: tutto sarà pronto per la data di partenza.
“L’operazione durerà due mesi, o almeno così speriamo. Attenendoci al protocollo non dovreste incontrare alcun tipo di difficoltà. I pericoli ipotizzabili saranno evitabili grazie alle apparecchiature che avrete a bordo.
“Ricordate che l’obiettivo primario è salvaguardare il watercastle. In caso di imprevisti la fortezza è tutto ciò che vi può salvare.
“Ho dimenticato qualcosa?” concluse Smith, rivolto a Voltaire.
“Solo che abbiamo inviato una squadra di ricerca per verificare l’effettiva esistenza del Continente Beta. Saranno di ritorno tra non molto.
“Tutto chiaro, Anderson?”
Posai in quel momento la matita. Aveva scritto ogni cosa. “Tutto chiaro, signore.”
“Bene, si occupi lei di informare la signorina Rose.”
Poi se ne andarono, io terminai le pratiche e uscii. Presi il jet e arrivai a casa. Ad accogliermi trovai Greta.
“Buonasera, signor Jake. Ha passato una buona giornata?”
Le corsi incontro e l’abbracciai. Saltellammo per qualche secondo, poi riuscii a ricompormi.
“Mi chiedi se ho passato una buona giornata?! Non potrai mai indovinare che…”
“Partirà per il continente emerso, signore?”
La guardai stupito. “E lei…”
“Ha appena telefonato una certa signorina Juliet per chiedermi una conferma alla cena di stasera e ci siamo messe a chiacchierare. All’inizio non potevo crederci, ma poi ho capito che non mi stava prendendo in giro!”
“Sì, Greta, è tutto vero!”
“È fantastico, signore!”
“Lo so, lo so!” trattenni una risata di gioia “comunque per la cena, dai pure la conferma”
“Sarà fatto. Lei vada a prepararsi.”
Abbracciai nuovamente Greta, poi andai in camera mia. Mi tolsi i vestiti, prestando particolare attenzione al maglione scuro, un ricordo di mio padre. Accesi l’acqua della doccia ed entrai dopo un paio di minuti. Amavo stare lì dentro. L’acqua calda che accarezza la pelle, il vapore che annebbia la vista, il tepore che ti solletica, ma soprattutto il tempo per pensare.
Stavo per andare in America, nel continente emerso o Continente Beta, comunque si voglia chiamare. Era il sogno di una vita.
Fin da piccolo ero sempre stato interessato alla Grande Guerra e agli usi e costumi degli uomini di prima. In storia ho sempre preso il massimo di voti e fino a qualche anno fa ero sicuro che avrei intrapreso una strada che mi avrebbe portato all’archeologia, ma, sfortunatamente, per mio padre non sarebbe stato abbastanza remunerativo. Così mi dovetti iscrivere ad una facoltà di architettura avanzata. Non che mi dispiacesse, ma tutto ciò che riguardava quello che era successo prima mi affascinava come nient’altro. La storia ci narra, ci spiega, ci fa capire quello che esisteva e che ha portato ai giorni nostri. Sapere la storia, conoscerla in ogni dettaglio avrebbe fatto di me una persona migliore: una delle cose che ho imparato è che la storia si ripete, si ripete all’infinito.
Diventare un potente leader, sapere in anticipo le mosse degli avversari, sventare i loro piani sul nascere. Tutto questo studiando e leggendo. I motivi delle guerre non sono mai differenti. Si cerca sempre qualcosa: denaro per finanziare la manodopera, miniere per ottenere metalli e pietre preziose, territori per dar casa alla popolazione in continua espansione. Sarebbe bastato analizzare qualche dato e i problemi sarebbero saltati fuori.
O almeno così credevo da ragazzo.
Ora comprendo quanto può essere difficile analizzare e dedurre le cause e le conseguenze, ma in cuor mio posso ancora sperare che la storia non sia perdita un tempo, anzi, seppur in piccola parte, possa aiutare gli uomini a comprendere i propri errori.
Fatto sta che mi laureai in architettura e lavorai come architetto per una decina d’anni. Progettai e costruii palazzi, tra i quali figura anche l’High Skyrider, la mia più grande opera.
Tre anni fa, però, il mio attuale capo, Voltaire, mi venne a trovare nel mio ufficio e mi chiese di lavorare per lui, in quanto aveva saputo delle mie doti nel campo storico. Mi disse che avremmo potuto fare grandi cose, e scherzò anche sulla possibilità di vedere l’America.
E ora l’occasione si è realmente presentata.
Andare in America. La terra distrutta mille anni prima dalla Grande Guerra. Un’associazione russa formata da terroristi, i svebolscevichi, aveva dichiarato guerra alla grande potenza e dopo i primi missili con centinaia di morti si era passati ad una guerra fredda. Non si capì bene se per errore o per problemi di altra natura ma un’enorme bomba con quasi duecento grammi di antimateria partì dagli USA per andare a distruggere buona parte della Russia. La risposta non si fece attendere e i due continenti perirono.
La Russia fu ri-civilizzata dall’Europa (ci vollero praticamente mille anni, e anche ora alcune zone non hanno visto miglioramenti), mentre l’America non ricette aiuti in quanto le rimanenti truppe di svebolscevichi impedirono gli imbarchi.
“Signor Jake, non vorrei disturbarla ma mi serve sapere quando ha intenzione di incontrare la signorina Juliet.” urlò Greta, fuori dalla porta del bagno, riportandomi alla realtà.
“Dille che fra venti minuti sono da lei! Ah, e non dimenticarti di chiedere l’indirizzo.”
“Sarà fatto, signore.”
Aspettai che Greta fosse uscita dalla camera, dopodiché mi misi l’accappatoio e uscii dal bagno. Mi asciugai alla svelta il corpo e mi vestii ,non troppo elegante però. Era una cena di lavoro dopotutto, quindi optai per qualcosa di semplice: Indossai una maglia di cotone color panna, un giacchino in pelle color blu scuro e un paio di pantaloni in tinta con la giacca .Poi infilai in tasca gli appunti riguardanti il viaggio, mi asciugai i capelli in qualche secondo e andai in salotto. Trovai Greta che passava l’aspirapolvere. Dovetti urlare per farmi sentire, ma alla fine capì che mi serviva l’indirizzo. Me lo diede, mi salutò e uscii.
Dopo aver preso l’ascensore cercai un taxi a propulsione nucleare e partii per arrivare da Juliet.
Solo allora mi accorsi di non averle preso niente. Ma, dopotutto, era una cena di lavoro. Non servivano fiori o torte.
Appena scesi dal taxi, mi trovai di fronte ad un’immensa villa, completamente immersa nel verde. Alberi e cespugli pieni di bacche spuntavano da ogni parte, facendo sembrare il tutto una fiaba molto pittoresca.
Per accedere alla villa c’era un’enorme cancello, sormontato ai lati da due statue di marmo rappresentanti due cani (forse beagle?) giganteschi. Ai miei occhi, era di pessimo gusto.
Sul cancello stesso c’era un cartello di legno, rifinito con molta cura, con scritto ‘residenza Rose’.
Rose. Ancora quel cognome. Gli rimandava alla mente qualcosa. Ma che cosa?
Suonai il campanello, attesi pochi secondi e poi una voce mi chiamò. Ma non proveniva dal citofono. Juliet era sotto l’immenso porticato della villa, a cinquecento metri da me.
I cancelli si aprirono come per magia, senza che nessuno li avesse toccati. Seguii la strada in ghiaia che conduceva alla villa e Juliet mi venne incontro. Neanche lei era troppo elegante, comunque. Indossava un semplice paio di jeans chiari e una canotta color turchese, sulla quale aveva messo un giacchino della stessa tonalità di celeste, ma l’insieme era gradevole.
“Buonasera, Jake!” mi accolse.
“Ciao anche a te.”
“Vieni, ti faccio entrare. Purtroppo stasera non possiamo cenare nella sala da ricevimento perché i miei genitori stanno ospitando una conferenza. Mangeremo nella sala da pranzo secondaria.”
“Sala da pranzo secondaria?”
“Sì, i miei si trattano bene.”
La seguii in silenzio, o per meglio dire, messo a tacere da quell’incredibile ricchezza e opulenza. Mi condusse per l’atrio, un corridoio lungo ad occhio e croce una ventina di metri, una rampa di scale, un altro corridoio e una stanza.
Arrivammo nella sala da pranzo secondaria. Era grande quanto tutto mio appartamento.
“Perdona l’indiscrezione, ma perché fai la commessa?”
“È un lavoro part-time, quindi occupa veramente molto poco tempo. Inoltre così posso mantenere qualche amicizia: sai, nella nostra società ognuno sembra pensare solo agli affari propri e fuori dal lavoro non conosco praticamente nessuno. Facendo la commessa sto a contatto con la gente, ci parlo, stringo amicizie. Mi piace.”
Ci sedemmo al tavolo.
“Allora, per quanto riguarda il nostro viaggio, ho alcune nozioni da darti. In primo luogo partiremo dal porto di…”
Passammo tutta la serata a parlare dell’America. Prima con gli appunti, poi ci ritrovammo a parlare di sogni e speranze. Eravamo attratti da quello che ci aspettava.
“Così mia mamma mi ha incoraggiata a seguire questo sogno. Sai, è l’unica dei miei due genitori che approvi questo viaggio. È stata lei a far sì che mio padre accettasse l’idea che io partirò. Lei non vorrebbe che rinunciassi a qualcosa a cui tengo, non è come il mio papà. Vuole che io sia felice.”  stava parlando lei. “I tuoi invece che cosa pensano?”
“Mia mamma è morta partorendo, mentre mio padre, sempre contrario alla carriera di storico, è stato ucciso due anni fa.”
Seguì un attimo di silenzio.
“Oh, mi dispiace. Non pensavo che…”
“Stai tranquilla. Va tutto bene. Torniamo a parlare di cose più allegre. Stavi dicendo, riguardo alla sonda Y5…”
Soltanto a discorso ultimato mi accorsi di tutto quello che avevo mangiato. Il primo consisteva in ravioli ripieni di carne avvolti nella salvia e basilico. Come secondo mangiammo scaloppine al latte. Concludemmo con dei profiteroles al cioccolato bianco.
Fummo interrotti da una delle cinque domestiche che ci avevano servito la cena.
“Signorina Juliet, suo padre vuole vedervi.”
“Ti fa niente?” mi chiese lei.
“Dovrei preoccuparmi?” le feci di rimando, ma lei non ebbe il tempo di rispondere.
Entrò, seguito da sei guardie del corpo, un signore con una lunga barba bianca. Mi mancò un colpo al cuore.
“Jake, ti presento…”
“So già chi è!” sentii la voce più amara di quanto in realtà volessi.
“Posso avere l’onore di conoscere il suo nome?” chiese lui.
“Certo, signor Rose. Sono Jake Anderson. Architetto dell’High Skyrider, il grattacielo che la sua società ambientalista vuole distruggere.”
  
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