Questa
è la storia di come un semplice ragazzo sempre molto
indaffarato tra scuola e impegni familiari, riesce grazie ai suoi
sforzi a far
avverare uno dei suoi più grandi desideri: diventare un
supereroe.
Tutto ha inizio circa sei anni fa, quando Akira era intento a guardare
uno di
quegli anime trasmessi sulla rete locale stando attento a non mancare
una
singola parola, essendo sottotitolato.
A quel tempo il
giovane protagonista
aveva solamente dieci anni e si sa, come ogni essere vivente avente la
sua stessa
età, è estremamente difficile scollarlo dal
rimanere davanti
alla tv per ore e seduto su quel
tappeto ormai consumato: era di un bel rosso intenso tendente al mogano
con dei
decori color oro, su di esso erano rappresentati dei fiori particolari
che
erano di color magenta, molto simili alle campanule.
Da quello che i suoi genitori gli avevano raccontato, quel tappeto
apparteneva
a sua nonna materna deceduta qualche anno prima della sua nascita; ed
ella
aveva deciso di regalarlo alla sua unica figlia perché
troppo importante per
lei.
L’anime trasmesso in TV era uno di quelli riguardanti appunto
i supereroi che
erano dotati di grandi poteri: riuscivano a volare e nessuno
riuscirebbe a
rinnegare un dono del genere se gli venisse offerta la
possibilità di averlo;
avevano la capacità di diventare invisibili molto utile
nelle occasioni in cui
era necessaria la massima rapidità e il fattore vedo-non
vedo; ed erano
soprattutto dotati di una forza immane che fa sempre comodo nella vita
quotidiana.
E’ allora che nasce in Akira la passione per quegli essere
tanto strani ma, nel
contempo, tanto normali.
Lui si sentiva così: un piccolo ragazzo dotato di poteri
purtroppo ancora
sopiti, ma che veniva continuamente torturato dai suoi genitori alias
nemici; e
che prima o poi avrebbe trovato la forza per risvegliarli e fargliela
pagare.
Voleva avere tutti i poteri che la sua mente era in grado di creare, in
modo
tale da essere sempre preparato contro ogni nemico avente il suo stesso
potere.
L’unica cosa che però dei supereroi odiava erano i
punti deboli: ad esempio,
per Superman c’era la Kriptonite e per quasi tutti gli altri
l’amore.
Non voleva assolutamente averne, non sarebbe riuscito a vivere in
tranquillità
quella vita tanto sperata sapendo di poter essere annientato da un
momento
all’altro.
In quel periodo, gli unici passatempi che erano in grado di colmare i
pomeriggi, dopo aver finito tutti i compiti per il volere di mamma, di
un
piccolo bambino di soli dieci anni erano giocare per strada con gli
amichetti,
fare un giro in bici o magari giocare per ore consecutive a qualche
gioco alla
vecchia Nintendo.
Ma Akira non faceva mai niente del genere: era costretto a restare
chiuso in
casa senza nemmeno avere la possibilità di stare in giardino
per godersi l’aria
primaverile, molto piacevole a parer suo e ‘ piena di
batteri, polline ed altri
fattori che porterebbero chiunque a star male ’ per la mamma;
e non poteva
nemmeno passare il tempo giocando perché era di famiglia
povera.
Vivevano in un piccolo monolocale dotato appunto di un giardino adatto
per
starci senza essere disturbato da qualcuno, poiché
all’interno di un condominio
avente vista palazzi grigi e decadenti.
L’unica cosa che lo aiutava a superare le giornate e a dargli
la forza di
andare avanti erano i sogni: erano l’unico scenario nel quale
i suoi genitori
erano imponenti e lui si sentiva il re del mondo; in grado di
contrastare tutto
e tutti per conquistare la sua principessa.
Una specie di Super Mario solo che al contrario suo, Akira non
l’aveva ancora
trovata.
Ma il piccolo a dir la verità, sperava di non trovarla mai:
sarebbe solo una
distrazione dal suo principale obiettivo, diceva.
Ed un supereroe deve essere sempre pronto a sconfiggere chiunque gli si
pari
davanti con fare minaccioso al posto di pensare a sbaciucchiarsi con
qualcuna!
Per questo motivo ogni sera andava a dormire circa alle 20:30 contro,
come al
solito, i suoi genitori; solo per riservarsi più tempo
nell’immaginare se
stesso da grande, con un mantello rosso che gli avrebbe fatto da sfondo
in ogni
sua posa ed una capigliatura alla Elvis.
Continuavano a ripetergli che andando a letto a quell’ora,
l’uomo nero sarebbe
arrivato e che gli avrebbe tenuto compagnia per tutta la notte,
condendolo con
sale e pepe per mangiarselo.
“Se proprio verrà qualcuno, lo
sconfiggerò con queste mani!” gridava contro i
genitori che ormai, stanchi della sua fervida immaginazione lo
lasciavano fare.
Immaginava sempre di riuscire a tenere sott’occhio
l’intera città grazie alla
vista della sua villa situata proprio al di sopra di essa. La sua era
una villa
speciale: infatti era coperta da un enorme fazzoletto che la rendeva
invisibile, impedendo così ad un eventuale nemico di
scoprire dove si
rifugiava.
Essa era dotata di ogni genere di comfort; dalla piscina
all’idromassaggio,
dalla sala giochi ad un simulatore spaziale.
Come si può ben immaginare, il piccolo passava la maggior
parte del suo tempo
libero nella sala giochi e nel simulatore dove era sempre in grado di
battere
il suo amico Frank, nonché amico robotico che grazie alla
sua formidabile
intelligenza era riuscito a costruire.
Akira veniva molto spesso preso in giro da questa sua ossessione che lo
aveva
portato ad allontanarsi da tutti, isolandosi con la sua passione nel
suo
piccolo mondo.
Nessuno sarebbe mai riuscito a comprendere fino in fondo quello che lui
provava, nessuno sarebbe mai stato in grado di fargli cambiare idea
riguardo il
suo amore per i supereroi.
Non era permesso a nessun essere umano che non fosse lui di entrarci,
altrimenti
li avrebbe sconfitti ritenendoli dei
nemici ripeteva sempre; per questo quei ragazzi che lo prendevano in
giro non
si limitavano più ad offese verbali ma iniziarono anche a
dargliene di santa
ragione.
Il piccolo rimaneva in silenzio e non muoveva un singolo arto per
difendersi, “Ve
la farò pagare” ripeteva in ogni
occasione; perché lui ne era convinto.
Sapeva che prima o poi, tutti l’avrebbero temuto; tutti si
sarebbero scusati
con lui per essersi comportati in modo meschino e così
maleducato nei suoi
confronti.
L’unica cosa che purtroppo, era costretto a fare, era
aspettare.
“La pazienza è la virtù dei
forti>> diceva sempre ai suoi compagni e ai
suoi genitori \\\"Diventerò il più grande eroe che
sia mai esistito e voi
sarete obbligati a scusarvi! Aspetterò con ansia quel
momento per vedervi
tremare dinanzi alla mia forza e sarà allora che vi
regalerò un bellissimo
calcio nel di dietro!”.
Ovviamente ogni volta che ripeteva l’intera manfrina,
riceveva dai suoi
genitori uno scappellotto e dai suoi compagni di classe altre offese;
ma non ci
faceva ormai più caso.
L’importante, almeno per lui, era rimanere vivo per poterli
guardare soffrire
sotto la sua mano.
Per lui era normale essere trattato in quel modo ma in fondo, cosa ne
poteva
sapere un bambino di dieci anni del futuro che gli era stato riservato?
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Ciao
a tutti!
Questa sera sono qui con una nuova Fan Fiction e per la prima volta,
interamente frutto della mia piccola mente!
Non sono solita scrivere questo genere di cose, ma nel caso in cui
questa idea
l’abbiano avuta anche altre persone, chiedo scusa.
In quel caso, il mio intento non è quello di PLAGIARE.
Comunque sia spero vi piaccia e se volete, lasciate una recensione per
farmelo
sapere!
Oh, e grazie anche a quelle persone che la leggeranno!
Al prossimo capitolo, baci!
Caraya.